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Autore: Nat_Matryoshka    08/09/2022    2 recensioni
“Sei una strega perfetta. Non so se l’hai capito, ma mi hai già stregato a sufficienza, Cunningham.” Le sposta una ciocca dietro l’orecchio, soffermandosi a sfiorare la guancia quell’attimo in più che porta Chrissy a socchiudere gli occhi, godendosi il suo tocco. “Ormai non posso più toglierti gli occhi di dosso.”
[Chrissy Lives AU | Eddie/Chrissy | canon divergence, what if?, post-S4 ]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Chrissy Cunningham, Eddie Munson
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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3. Autunno 



“If you fall I will catch you, I will be waiting
Time after time.”
 



I.
 

La prima parte del viaggio verso il Colorado la trascorre guardando il paesaggio che scorre fuori dall’auto, gli occhi spalancati, pieni di meraviglia.

Eddie guida piano accanto a lei – Steve Harrington esagerava: dopotutto sa anche prendere le curve con dolcezza, quando vuole – canticchiando le canzoni che passano alla radio e ogni tanto le rivolge un’occhiata, mentre sono fermi al semaforo o durante una delle pause. La strada è bagnata da un velo sottile di pioggia che schizza ai lati delle gomme del furgone, uno sciacquio che accompagna la musica. I Fletwood Mac per lei, una cassetta che le ha fatto trovare sul sedile, i Dio per lui, seguiti dai Black Sabbath e poi di nuovo da Madonna, per bilanciare la situazione. “Un giorno ti farò una compilation metal come si deve,” promette con il tono di chi lo sta ricordando a se stesso più che riferirlo all’altro, ma Chrissy lo guarda nuovamente con gli occhi spalancati e la sua risposta entusiasta è così pura da lasciarlo spiazzato. Deve ancora abituarsi a quella dolcezza, a qualcuno che desidera coinvolgerla nel suo mondo apprezzandola per quello che è, senza pretendere in cambio un cambiamento radicale.

“Certo! Anche con gli Iron Maiden?”

Lui si finge offeso. “Certo che sì! Pensavi forse che li avrei dimenticati, Cunningham?”
Sta ridendo, lo vede benissimo con la coda dell’occhio. Chrissy allunga un braccio fuori dal finestrino, catturando l’aria fresca di settembre con le dita, godendosi quella sensazione di libertà che le gonfia il cuore, zittendo i pensieri disordinati che minacciano di aggredirla ogni volta che il silenzio scende tra loro. La sua borsa è nel bagagliaio, accanto a quella di Eddie. Lui ha lanciato la giacca di pelle sul sedile posteriore: alla prima pausa alla stazione di servizio ha tirato fuori una camicia a scacchi rossa e nera e l’ha indossata sopra alla t-shirt, il tessuto morbido che odora di erba, consumato all’altezza dei gomiti. Profuma di un tempo che non hanno vissuto insieme, di ricordi di cui solo lui ha memoria. Gli sta benissimo. Vorrebbe dirglielo, ma è da tutta la mattina che cerca di mettere in ordine quello che pensa senza riuscire a trarne nulla, a parte risposte brevi e piccoli sorrisi.

Passerà. Forse deve solo abituarsi, come ha fatto finora per ogni altra cosa. Abituarsi al dolore dello stomaco vuoto che protesta chiedendo nutrimento, alla presenza costante di Jason al suo fianco a ogni singola festa, alle intromissioni di sua madre nella sua vita. Almeno stavolta non si tratta di qualcosa di negativo.

La cartina che Eddie ha infilato nel cruscotto riporta una dicitura a penna, in una scrittura che non è la sua: 17 ore, non lontano da Steambot Springs. Una volta distolto lo sguardo dal paesaggio, infila la mano nel cassetto per prenderla, rigirandosela tra le mani come se non sapesse bene cosa farsene. “È stata Cassie,” spiega lui, senza staccare lo sguardo dalla strada. “Mia zia,” aggiunge un attimo dopo, come se bastasse quella parola a spiegare tutto, mentre il sole fa capolino tra i filamenti di nuvole e scalda il cofano del furgone e la punta delle dita di Chrissy. “Mia madre le faceva visita spesso, a volte portava anche me. Chiederemo a lei di trovarci un posto dove stare, ha sempre un sacco di risorse.”

Le piace quella parola: risorse. Eddie sa sempre come fare, ha un asso nella manica per tutto e la forza di rivoltare con una risata anche le situazioni peggiori. Vorrebbe possedere quel potere, quella forza gentile di mettere in disordine il mondo ridendo in faccia a chi vuole impedirgli di essere se stesso, ma forse è solo un’altra delle cose che imparerà in quella nuova vita. Un passo dopo l’altro, dimenticare quella che è stata per costruire una nuova se stessa, quella nuova Chrissy che si è fatta strada con tanta fatica nel suo cuore.

Forse, sì. Quel meglio di cui parlava con se stessa e che sta arrivando, veloce come le nuvole che scorrono davanti al sole. Chrissy sorride, si permette di immaginarlo mentre le osserva, sfidandosi a trovare un significato nelle loro forme come faceva da bambina.

Dopo la seconda sosta il vento inizia a spirare dolcemente, si infila nello spiraglio di finestrino lasciato aperto per accarezzarle il viso. Eddie ha cambiato cassetta, le note di Life On Mars riempiono l’abitacolo insieme alla voce di David Bowie e Chrissy si addormenta con la testa appoggiata al poggiatesta, cullata dal rombo del motore. Sogna sua madre che le allarga la gonna della divisa, nervosa perché non ha abbastanza filo per completare il lavoro, suo padre che guarda la televisione senza dire una parola, le guance segnate da due righe lucide di lacrime che finiscono sul giornale, bagnando la pagina delle notizie del giorno. Sogna Jason che legge la sua lettera senza dire nulla, stringendo nel pugno un pezzo di carta che si accartoccia sempre di più, mormorando le parole che ha appena letto, spero tu sia felice, se puoi non pensare a me, meriti di trovare qualcuno che accetti di vivere il tipo di vita che desideri e tutto il resto. Colori confusi, paesaggi che si sformano e corrono insieme a lei, insieme all’auto, insieme alla musica che resta sullo sfondo senza essere invadente, mentre Chrissy si allontana nella luce e né sua madre, né suo padre, né Jason la seguono.

Sono immagini dure, eppure non le provocano nemmeno un grammo dell’antica paura: basta quella sensazione rassicurante a non farle trasformare in un incubo, come è sempre accaduto finché Eddie non è entrato nella sua vita.

Chrissy sogna, salutando il passato con la mano, e quando si risveglia è sorpresa di ritrovarsi con la testa appoggiata sul morbido, le gambe distese. Il furgone è fermo in quello che sembra un parcheggio o qualcosa di simile, un albero dalle fronde rade cerca di coprirlo come può. Eddie è appoggiato allo sportello del passeggero, fuma una sigaretta con lo sguardo rivolto al cielo. Deve averla presa in braccio e spostata sul sedile posteriore per farla riposare un po’, fermandosi a quella piazzola di sosta per non disturbarla, con la sua solita gentilezza che non chiede nulla in cambio.  
 
 

II.
 

Proseguono fino a che il sole non inizia a calare all’orizzonte, rosso brillante e splendido come solo i tramonti di settembre sanno essere, circondato da nuvole che virano dall’arancio al rosa ad un viola intenso, quasi temporalesco. Mancano ancora sette ore all’arrivo, ma hanno deciso di comune accordo di trascorrere la notte in un motel sulla strada. Chrissy è talmente eccitata da quell’avventura che non avrebbe protestato nemmeno se le avesse proposto di dormire nel retro del furgone, ma lui è stato irremovibile: “Meriti un letto come si deve, piccola, e di mangiare qualcosa di meglio di un pacchetto di patatine,” le ha detto, scompigliandole affettuosamente i capelli.
Così si sono fermati al primo motel dall’aria leggermente più affidabile e con un cartello che indicava delle stanze libere, Eddie ha parcheggiato e sono entrati nella zona già illuminata dai lampioni, una grossa scritta intermittente al neon a indicare la loro nuova dimora temporanea. Stardust Motel, legge Chrissy. Le piace, come nome. Promette bene.

Mentre Eddie allunga i documenti alla donna alla reception, un pensiero rapido come un fulmine la coglie in pieno: e se i suoi – o Jason – la cercassero proprio lì? Non dovrebbero far altro che chiedere se sia passata una ragazza bionda con i capelli legati in una coda e una felpa bianca che risponde al nome di Christine Elizabeth Cunningham, il registro delle presenze farebbe il resto… ma un secondo dopo torna alla realtà, rimproverandosi: i suoi la credono ancora in viaggio. Non la verrebbero mai a cercare in un motel tra due stati, non appariranno sulla soglia della sua stanza per riportarla a Hawkins e costringerla a seguire la strada che hanno scelto per lei. Non sanno nulla di quella fuga e probabilmente non la scopriranno mai, se non nel momento in cui rivelerà finalmente le carte in tavola, sconvolgendo il quadro con il quale hanno scelto di illudersi.

Stringe tra le dita il documento che ha appena ripreso perché la aiuti ad ancorarsi quel presente così nuovo da sembrare quasi spaventoso, poi inspira. Andrà tutto bene, Chris, si ripete. Tutto è spaventoso la prima volta. Devi solo farci l’abitudine.

Non sei più sola.

“Una doppia,” chiede Eddie, esibendo il suo miglior sorriso luminoso e rassicurante, allungando una banconota alla donna a cui ha appena mostrato i documenti. Chissà cosa penserà di loro: forse li considera una coppia giovane partita per una vacanza post-diploma, o magari ci ha preso in pieno e ha intuito subito la situazione. Qualunque sia la risposta, non fa domande: si limita ad allungargli una chiave con un talloncino di plastica blu attaccato. “Stanza numero 5, i distributori automatici sono qui a destra,” offre a mo’ di saluto e li guarda a malapena allontanarsi, due sagome che scompaiono nel corridoio, un ragazzo con una camicia a scacchi e un paio di Reebok bianche sfondate e una ragazza dai pantaloni rosa e lo sguardo schivo.

La stanza è più bella di quanto Chrissy possa sognare: ampia, la carta da parati a fiori rosa ancora integra e le porte in legno scuro, con un letto dalla trapunta beige che sembra appena cambiata. Posa la borsa sul letto e corre ad ammirare il bagno, felice come una bambina alla prima gita scolastica, mentre Eddie si leva le scarpe e le lascia cerimoniosamente accanto al tavolo di legno su cui è sistemata una televisione tutto sommato in buono stato. Il bagno ha un buon profumo, la cameriera ha lasciato alcune saponette sul lavabo, di quelle con la carta impossibile da strappare senza l’aiuto delle forbicine del nécessaire. Sorride prendendone una, se la rigira tra le dita come fosse un tesoro di inestimabile valore, poi si toglie le scarpe anche lei. Nessuna delle sue amiche si sorprenderebbe tanto nel vedere una stanza di motel come quella: niente a che vedere con gli hotel che frequentano, né con quelli che ospitano squadre come i Tigers in trasferta. Ma quella fuga è solo sua, solo loro, e anche le quattro pareti piastrellate di bianco del bagnetto le sembrano quelle di una reggia meravigliosa.

Eddie si è steso sul letto. Allarga le braccia e le gambe sul materasso, sfinito.

“Non ne potevo più. Temevo che avrei finito per fondermi con quel dannato sedile… meno male che questo posto aveva ancora un paio di camere libere, o ci sarebbe toccato lottare per piegare i sedili posteriori del furgone. L’ultima volta che ci ha provato, Gareth si è quasi lussato una spalla.”
Chrissy si siede per terra, appoggiando la schiena al materasso. La moquette è blu scura, con qualche macchia nella zona vicina alla porta. Chissà chi è passato di là, in che direzione l’ha portato la vita. Chissà se tra loro c’erano rockstar mancate, o ex reginette del ballo in cerca di loro stesse. Qualunque sia il caso, spera abbiano trovato la loro strada. Si mordicchia un’unghia, pensierosa, finché le dita di Eddie non scivolano piano a sfiorarle la coda ormai sfatta.

“Chris… non è un problema per te dormire insieme, vero?”

“No!” esclama immediatamente lei, mettendoci tanta foga da strappargli un sorriso. Lui la accarezza ancora, come a rassicurarla. “Perché dovrebbe essere un problema?”

“Beh, sai…” si gira sulla pancia, così da poterla guardare meglio. Chrissy si volta, mentre i suoi occhi scurissimi la avvolgono completamente, facendola quasi rabbrividire per l’intensità di quello sguardo. “Non so, magari volevi stare un po’ da sola. Dormire per conto tuo, riflettere. Ho dato per scontato che volessi restare con me come quando eravamo nel trailer, ma magari…”

Chrissy interrompe quel fiume di parole con un bacio, alzando la testa per premere le labbra contro le sue e  cancellare ogni insicurezza con il suo entusiasmo che, ormai l’ha imparato, sa essere tumultuoso. È stato Eddie a insegnarglielo, oppure ha trovato quella forza dentro di sé, scartando la corteccia di una vita ripetitiva, incolore? Lui ride sotto al bacio, le sposta per l’ennesima volta una ciocca di capelli dal viso.

“D’accordo, d’accordo! Quindi accetta la proposta, miss Christine. Mi fa molto piacere.”

“Non potrei fare altrimenti, Eddie il reietto. Ora che hai accettato di scappare con me, dovrai sopportare tutte le conseguenze. Una per una.”
“Una per una,” ripete lui, assaporando quelle parole con calma. Si solleva, ridendo, e alza la manica della camicia quel tanto che basta a controllare l’ora sul display dell’orologio elettronico nero, l’unico regalo di sua madre che ancora gli resta, a parte i bei ricordi di una parte di vita vissuta al suo fianco. “Tra poco possiamo andare a procurarci qualcosa da mangiare, miss Christine. Ho visto un locale qui accanto che fa proprio al caso nostro… che ne dici?”

Ma Chrissy si limita a emettere una specie di “mh-mh” distratto di assenso, mentre passeggia per la stanza osservandone i dettagli. Sul letto hanno appeso un quadro che rappresenta un paesaggio immerso nel verde, con alberi lussureggianti e quello che sembra un castello bianco in fondo alla valle, lontano anni luce dall’interstatale e dai suoi dintorni polverosi, segnati da alberi e campi che iniziano a ingiallirsi. Le lampade sono carine, ceramica bianca e paralumi retrò, a sua madre piacerebbero moltissimo. Il legno delle sedie è tirato a lucido, hanno i cuscini di velluto abbinato al copriletto. E chiunque abbia sistemato la stanza non si è limitato a rassettare i cassetti e la Bibbia contenuta nel comodino, no: l’ha sistemata in bella mostra accanto alla lampada, come una sorta di invito, o forse di ammonizione. La osserva, le lettere d’oro stampate sulla copertina ed Eddie a breve distanza, con la maglietta dei Black Sabbath e l’orlo blu dei boxer che spunta dai pantaloni che iniziano inesorabilmente a calare per via della posizione, e scoppia a ridere all’improvviso. Una risata piena, liberatoria, che la scuote da capo a piedi, le toglie il respiro, quasi le fa venire il singhiozzo. Ride anche mentre Eddie la afferra e le fa il solletico, agitandosi perché smetta e sperando non lo faccia, ride mentre la prende tra le braccia ancora una volta e la bacia sul collo e sulle spalle. Ride fino a dimenticarsi perché sta ridendo, ma un attimo dopo si rende conto che non importa: è l’inizio del loro viaggio, della sua libertà.

Perché non ridere, quando può farlo senza che nessuno le dica di smettere?
 
                                                                  

            III.                     
 

Eddie aveva ragione: il locale è davvero carino. A pochi passi dal motel e annunciato da un’insegna al neon rosa e blu, ha l’aspetto di un diner anni Cinquanta rimodernato da parecchie luci e da una serie di panche rosse fiammanti dall’aria molto comoda. All’interno convivono una macchina per il karaoke e un juke-box, le plafoniere rotonde rendono l’atmosfera più calda e familiare e un paio di cameriere vestite di verde raccolgono le prenotazioni, accogliendo i clienti con un sorriso.

È assurdo pensare che esista un posto simile, così lontano da Hawkins e così pieno di colore, pensa Chrissy, mentre una delle donne – Brenda, come indica il nome sulla targhetta – gli mostra una panca libera in fondo al locale, dove si accomodano subito. Solo ventiquattro ore prima era seduta a tavola con i suoi, a fissare un mucchietto di piselli con il cuore in gola e con lo stomaco in subbuglio per la fame mentre cercava di ignorare lo sguardo indagatorio di sua madre, e ora è da qualche parte tra il Missouri e il Kansas, in un diner insieme a Eddie. Pronta a scegliere cibo da un menù plastificato popolato di alimenti gustosi, proibiti, pieni di grassi e nutrienti e sostanze che Laura Cunningham non vuole nemmeno sentire nominare, figuriamoci vederle nel piatto della figlia…

Ma sua madre non è lì. E Chrissy non vede l’ora di disobbedirle ancora.

La macchina del karaoke è stata occupata da una donna dai capelli tinti di rosso carico, che smanetta con il microfono nel tentativo di farlo funzionare. Al momento di ordinare – un hamburger doppio con patatine per Eddie, mentre Chrissy opta per un paio di club sandwich – ha già iniziato ad esibirsi in una cover piuttosto opinabile di You Give Love a Bad Name.

“I Bon Jovi la butterebbero subito fuori,” ridacchia Eddie a voce bassa per non farsi sentire, ma la verità è che non lo sentirebbe comunque: il volume è talmente alto, tra la base e la voce, da coprire qualunque altro suono. Chrissy annuisce, ridendo insieme a lui, e Eddie inizia subito un gioco a base di canzoni che potrebbe cantare con il suo stile e di band disposte a scritturarla per un giro di prova, tanto per farla ridere ancora. Te la immagini For Whom The Bell Tolls cantata così? E Don’t You Forget About Me? Like a Virgin avrebbe qualcosa di sperimentale, scherza Chrissy, e le si illuminano gli occhi quando Eddie scoppia a ridere, coprendosi la bocca con una mano per frenare i mugolii che minacciano di farlo scoprire. No no aspetta, che ne dici di The Riddle? Diventerebbe un’esperienza mistica, qualcosa di mai sentito prima! Ma in realtà neppure io sono tanto intonato, dovrei prendere qualche lezione… è inutile che mi guardi così, è vero! Se mi unissi a lei romperemmo i vetri…

La cameriera con il vassoio arriva proprio mentre Chrissy è ancora impegnata a sferrargli un pugno scherzoso sul braccio, ed Eddie a fingere di non riuscire a schivarlo. I club sandwich sono quattro, tostati alla perfezione e bloccati dagli stuzzicadenti, con il giallo dell’uovo e il verde dell’insalata che brillano tra gli strati, come il sale sulla montagna di patatine fritte. Accanto all’hamburger la cameriera ha lasciato una ciotola piena di salsa rosa dal profumo interessante, oltre ad un paio di bustine di ketchup.

Per la prima volta dopo anni interi, Chrissy sente di avere l’acquolina in bocca.

“Inizio io?” si offre Eddie, e il suo solito sorriso scanzonato viene sostituito per un attimo da un’espressione cauta. Sa bene quanto sia difficile per lei lasciarsi andare e mangiare normalmente: tutti i pomeriggi e le serate nel trailer e con l’Hellfire gliel’hanno ampiamente dimostrato. Si è sempre limitato a comprarle qualcosa per cercare di stuzzicarle l’appetito, a farle trovare esattamente quel cibo di cui aveva parlato una volta, anche di sfuggita… ciambelle coperte di glassa, sandwich tostati, pancake. Una volta le ha persino cucinato una specie di sformato di carote, appena un po’ troppo bruciato ma buono, l’ha capito dal suo sguardo pieno di gratitudine. Piccoli passi per farla sentire meno in colpa con se stessa, più felice di condividere qualcosa di nuovo con lui. Finora ha funzionato.

Chrissy annuisce, ma ha già preso il primo sandwich per intingerlo nella salsa e un attimo dopo lo porta alla bocca, chiudendo gli occhi dopo il primo morso. Tua madre non è qui a sgridarti, le sussurra la sua mente, per incoraggiarla. Tua madre non può togliertelo dal piatto urlandoti addosso, non può minacciarti di rifarti la gonna della divisa perché sei ingrassata. È a miglia da qui, a vivere la sua vita senza proiettare le sue insicurezze su di te.
Goditela finché puoi.

Il pomodoro è sugoso, il pane croccante sui bordi, ruvido al centro. L’insalata ha un buon profumo di cibo fresco, così come le fette di formaggio. Dà un altro morso, assaporando con attenzione tutto l’insieme.

È buonissimo.

Senza nemmeno rendersene conto, lo finisce in tre morsi. Poi beve un sorso d’acqua, la lascia scendere nella gola per assaporare la freschezza delle bollicine e sospira, felice. Non ha mai avuto così tanta fame in vita sua, o forse erano anni che non si permetteva di averne.

“È la cosa più buona che abbia mai mangiato.”

Eddie sorride, attaccando il suo hamburger con un morso.
 

IV.
 

“Sai, i primi tempi credevo fossi una di quelle ragazze…”

“Quelle ragazze?” chiede Chrissy storcendo il naso, aspettando che Eddie rida nell’oscurità. Lui non la delude, e fa di più: le posa un bacio tra i capelli, stringendola a sé.

“Sì, le ragazze tutte casa e chiesa, interessate solamente alla scuola durante la settimana e alla Chiesa la domenica. Poi, da quando ti sei seduta su quella panchina e abbiamo iniziato a parlare, ho capito che mi sbagliavo. E quanto! Chi l’avrebbe mai detto che Chrissy Cunningham fosse davvero una svitata?”

Chrissy gli strofina la testa sotto il mento, approfondendo il contatto di poco prima senza nemmeno rendersene conto. Dopo la cena sono tornati in camera ridendo come due ragazzini, il braccio di Eddie sopra le sue spalle e il suo a cingergli la vita, salutando con un sorriso brioso la persona alla reception, ora un uomo calvo con gli occhiali. Per un attimo fugace ha pensato di tirare fuori il pigiama come una brava ragazza e di metterselo prima di infilarsi a letto, ma la sua immagine allo specchio le ha rivolto uno sguardo completamente diverso: nuova vita, nuove regole… meglio che ti abitui subito, ex cheerleader capo. Così si è limitata a sfilarsi i pantaloni rosa, il cardigan e la maglia bianca per restare con addosso solo le mutandine di cotone bianco e il reggiseno abbinato, uno di quei completini che sua madre riteneva un affronto dozzinale al buon gusto.

(Eddie no. Lui le ha sempre fatto i complimenti, qualunque cosa indossi, perché la trova bellissima e non smetterebbe mai di dirglielo. Lei non ha ancora trovato il modo di fargli capire quanto quelle attenzioni le risanino il cuore, pezzo dopo pezzo, un balsamo in grado di far guarire ogni ferita).

Non appena l’ha vista armeggiare con la chiusura dei pantaloni si è voltato, per non metterla in imbarazzo.
Ha aspettato che si infilasse a letto, è entrato in bagno e ne è uscito con la sua inseparabile maglietta-da-notte dei Black Sabbath, quella sbiadita, che è anche uno dei pochi ricordi felici che ha di suo padre.

La stanza è immersa nel buio: solo i lampioni all’esterno proiettano un fascio di luce debole, interrotto dalle righe geometriche delle tapparelle. Ogni tanto un'auto spezza il silenzio, ammortizzatori che sobbalzano e stridore di pneumatici sull’asfalto, o un camion che sferraglia verso il nulla. La lama di luce giallo intenso sotto la porta si è spenta da poco. Deve essere molto tardi, pensa Chrissy, sua madre starà sicuramente dormendo. Forse sogna. Chissà perché non si sono mai confidate a vicenda i loro sogni. Forse, se lei avesse iniziato, anche casualmente, sarebbe stato più facile confessarle che la protagonista dei suoi incubi era proprio lei, e tutte le aspettative (disattese) che riponeva in una figlia perfetta…

Le dita di Eddie le sfiorano i capelli, piano piano, quasi avesse timore di farle male con una carezza più forte delle altre.

“In realtà non andavo molto in Chiesa,” sussurra lei, lo sguardo che non riesce a staccarsi dalle ombre sul muro. “Giusto la domenica, e solo perché mia madre non voleva fare brutta figura con le amiche del circolo femminile. Quando ero più piccola contavo i minuti per uscire e andare a giocare con le altre bambine, ero così impaziente che lei si arrabbiava. ‘Se continui così niente gelato, Chrissy’ mi diceva ogni volta in cui le chiedevo che ora fosse… poi ha smesso di comprarmelo per altri motivi.” Sospira. “Ma tu…”

“Io sono Eddie Munson il satanista, ricordi? Se fossi entrato, le navate avrebbero preso fuoco, come minimo.” Le strappa una risata sincera, che risuona nel bel mezzo della stanza. “Penso di esserci entrato un paio di volte quando ero piccolo, forse per qualche matrimonio di amici di mia madre… lei era un bel tipo, sai. Non ho nemmeno idea di quale religione praticasse, se ne ha mai avuta una. Il tipo religioso della famiglia era zio Wayne, l’avresti mai detto?”

“Sul serio?”

“Assolutamente sì. Per un periodo frequentava moltissimo la Chiesa, soprattutto dopo che hanno messo dentro mio padre. Credo cercasse risposte alle sue domande, e il silenzio che trovava lì dentro lo aiutava a riflettere… finché non hanno iniziato a parlargli alle spalle, per cui ha deciso di smettere di andarci.”

Sospira, lasciandole un attimo per ricordare il viso di suo zio, l’abbraccio che ha dato a entrambi prima di partire, solo qualche ora prima. Non vi mettete nei guai l’ha sentito sussurrare all’orecchio di Eddie, poi ha stretto forte anche lei e le ha rivolto uno sguardo che non aveva mai visto prima, triste ma pieno di fiducia, quasi le stesse affidando ciò a cui teneva di più.

Abbi cura di Eddie.

Quando si è sporta dal finestrino per salutarlo prima di girare la curva, è sicura di averlo visto piangere.

“Poi ha avuto i suoi problemi con il lavoro… insomma, le solite cose. Ma no, nessun altro Munson si è mai rivelato particolarmente religioso. Forse il mio vecchio prega di più ora che è finito dentro, magari proprio ieri si è fatto tatuare una croce enorme sul petto per festeggiare la fede ritrovata…” si lascia sfuggire una risata, tutto tranne che allegra. “In ogni caso, il problema era chi la frequentava, non la Chiesa in sé. Chissà, magari una volta ci siamo anche incontrati, quando eravamo piccoli.”

Una prova in più di quanto quell’incontro avesse un senso già stabilito, nell’enorme quadro cosmico che comprende le loro vite. Chrissy sorride tra sé, traccia segni pigri e confusi sul suo petto, il sonno che inizia a sfiorarla appena. Il letto è sfondato, la rete cigola implacabilmente ogni volta che si girano. Deve averne viste tante, tra persone che l’hanno usato per guadagnarsi una notte di riposo durante una fuga, amanti clandestini e disperati desiderosi di rifarsi una nuova vita partendo da un luogo lontano, in cui nessuno li conosceva. Disperatamente felici come loro, forse. Incoscienti. Qualunque sia la sua storia, Eddie si sistema meglio per farle spazio, emettendo un gemito di fastidio quando una molla si sposta e spinge sul suo fianco.

Eppure è tutto così bello.

La moquette consumata ai piedi del letto, i quadri comprati chissà dove, il posacenere di vetro sulla scrivania. Persino la Bibbia nel comodino e il pacchetto di fiammiferi con la scritta Stardust Motel in rosso, il rumore dei camion e l’asciugacapelli di plastica, di quelli che appena li sfiori si staccano dal muro e iniziano a ronzare, penzolando come tristi anime in pena. È tutto perfetto, un quadro che nessuno avrebbe saputo dipingere meglio, un angolo di normalità che si sono ritagliati come un premio insperato e di cui stanno apprezzando ogni brandello. Ridere di scemenze, gettare le scarpe in un angolo della stanza senza preoccuparsi di metterle in ordine. Infilarsi nel letto accanto a Eddie e sfiorare le sue caviglie con la punta dei piedi, quasi spaventata all’idea di dormire davvero con lui, e allo stesso tempo deliziata per il coraggio di quella fuga.

“Chissà,” mormora, mentre il sonno si fa sempre più avanti, confonde i suoi pensieri mentre la tira a sé con le dita sottili, come fili di fumo. La mano di Eddie affonda tra le ciocche, le accarezza con dolcezza abbandonata, l’incavo del suo braccio la accoglie così come il materasso sfondato e tutto attorno a lei si fa confuso, morbidamente accogliente, sussurrato. In men che non si dica si addormenta, un ultimo pensiero che sfugge trasformandosi, mischiandosi ad un anticipo di sogno: siamo insieme. Sarà
sempre abbastanza.


La prima notte di libertà di Chrissy Cunningham trascorre in una stanza di motel economico, con la moquette consumata e il posacenere di vetro davanti a un televisore che trasmette due canali su sette, tra le braccia dell’unica persona di cui sente di potersi fidare: Eddie Munson, lo svitato dai capelli troppo lunghi. Il satanista capo dell’Hellfire club, il pessimo soggetto che nessuna madre per bene vorrebbe mai accogliere a casa sua, figurarsi averlo come futuro genero. Il ragazzo che nessuno avrebbe mai pensato di vedere con il tocco sulla testa – troppo stupido, troppo ribelle, troppo sfrontato – e che ha reso quel 1986 veramente il suo anno.
Eddie Munson che è anche il suo ragazzo, da qualche mese a questa parte.

Il ragazzo di cui si è innamorata.
 
 
 
 
V.
 
Il Colorado si avvicina e le montagne iniziano a farsi strada tra le prime luci del mattino, tra uno sbadiglio e un bicchiere di caffè ancora troppo amaro nonostante il dolcificante (“non c’è niente di male nello zucchero, Chris” le ha fatto notare lui, accigliato: deve ricordarsi di dargli retta), la luce rosata che presto si trasforma in dorata e poi in azzurra, il cielo che accoglie quei colori passando dall’uno all’altro con grazia, lasciandogli il posto che meritano. Partiamo presto, così avremo tutta la giornata per ambientarci, ha proposto Eddie: lei ha annuito, entusiasta.

Si è svegliata che il sole non era nemmeno sorto ed è sgattaiolata piano fuori dal letto per godersi quella prima alba diversa da tutte le altre, in piedi contro la finestra socchiusa, inspirando a pieni polmoni l’aria dell’esterno. Quei colori che ha ammirato così di rado l’hanno talmente incantata da non accorgersi nemmeno di Eddie, scivolato pianissimo alle sue spalle: l’ha salutato con un bacio sulle labbra ed è rimasta così, con le sue braccia a cingerla da dietro e la sua testa appoggiata a una spalla, ad ammirare il sole che saliva sempre di più.

È la prima di molte albe, ha pensato, scossa da un brivido. E si è chiesta, per l’ennesima volta, cosa succeda davvero il giorno prima che la tua vita cambi del tutto, se qualcosa nel fondo dell’anima se ne renda davvero conto e possa testimoniarlo anche in seguito, aggiungendo un tassello alla storia. Cos’era lei prima di quel 21 marzo, prima del loro incontro nella radura? La Chrissy del 20 aveva idea che, appena sei mesi dopo, al principio di un nuovo autunno, avrebbe ripensato ad Hawkins in piedi nella stanza di un motel tra il Missouri e il Kansas con un misto di tristezza e risoluzione?

La risposta è ovvia e non importante. È il futuro a contare, solo il futuro, quello che ha scelto per sé ormai da mesi. Quello che spera di avere il coraggio di confidare anche ai suoi, prima o poi.

Eddie sembra allegro, spensierato: canta ad alta voce un brano dei Metallica che Chrissy non conosce e ogni tanto controlla la loro posizione sulla carta, ma sembra muoversi con molta più sicurezza rispetto a qualche miglia fa. Sono i luoghi della sua infanzia, riflette lei, probabilmente è la memoria a guidarlo senza sbagliare. Un po’ lo invidia. I Cunningham sono sempre vissuti in Indiana, non si raccontano storie mirabolanti e misteriose su nonni e bisnonni a casa sua… a sua madre, poi, non è mai piaciuto viaggiare, e si è trovata un marito docile, silenzioso, che condividesse quell’antipatia. I viaggi non sono mai entrati nei suoi interessi, c’era il posto di reginetta del ballo a cui pensare, quello che si è guadagnata per ben tre anni di fila. E i voti! I suoi erano i più alti della classe, in tutte le materie! Avrebbe avuto un futuro promettente, ma i nonni erano stati categorici: una donna sposata con l’uomo giusto non ha bisogno di lavorare, né di studiare. Ecco perché Chrissy è stata fortunata a trovare Jason l’ho sempre detto i suoi hanno un’ottima posizione. Certo può andare al college per svagarsi un po’ e farsi una cultura ma una volta tornata dovrà pensare al matrimonio e comunque…

Scuote la testa. Il pensiero di sua madre non la lascia andare, ed è l’ultima cosa di cui ha bisogno in un momento simile.

All’ultima sosta Eddie le ha comprato un muffin ai mirtilli freschi per fare colazione e le ha indicato la cittadina dove sono diretti: Finn Haven, un nome evidenziato da un cerchio tracciato con un pennarello nero tra le linee blu dei fiumi e quelle rosse e gialle delle strade. Ricorda di averlo visto sull’indirizzo delle cartoline nel suo cassetto, un nome che sulle prime non le ha detto nulla, ma che per lui deve significare tutto. Il paesaggio stampato sui cartoncini era molto simile a quello che li circonda, con alberi altissimi e vette maestose, e basta quel pensiero a riempirle il cuore di una gioia sottile, un misto di anticipazione ed entusiasmo. Quella gioia che la bambina che è stata non ha mai dimenticato.  

Sembra un bel posto. Perfetto per ricominciare da capo. 

Questa volta riesce a non addormentarsi: ci sono tante cose da scoprire, tante strade da osservare a occhi spalancati per coglierne ogni dettaglio. I boschi scorrono come un nastro verde oltre il finestrino, Eddie rimette la cassetta dei Fletwood Mac per rallegrarla e in un attimo si ritrova a canticchiare Landslide senza nemmeno accorgersene, le dita che si agitano nella brezza fresca del mattino. Per fortuna ha portato con sé più abiti invernali che estivi, pensa. La notte deve essere fredda, nei boschi probabilmente farà ancora più freddo. Come sarà Finn Haven? Un posto piccolo come Hawkins ma più raccolto, un paese da cartolina natalizia? Avrà un bosco alle spalle, con degli alberi maestosi in grado di proteggerla da tutti i mali, come quelli tra cui si nascondevano a Forest Hills? E dove andranno a dormire quella notte? Immagina una casa piccola, con le imposte di legno e un tavolo da picnic fuori dalla porta, identico a quello fuori dal trailer di Eddie. Una cucina invasa dalla luce, armadi pieni di abiti che nessuno usa più, un paio di sci che la sua immaginazione posiziona accanto alla porta, totalmente a caso, ma basta il pensiero ad allargarle il sorriso.

Una vita anonima, ma piena di bellezza. Come ha sempre desiderato.

Dopo un paio d’ore che sembrano volare come se fossero trascorsi solo cinque minuti, Eddie ferma il furgone. Al di là di un ponte si snoda una cittadina di case dai tetti colorati, alcuni rosso scuro, altri più chiari, intervallati da alberi e aiuole ben curate. Scende per aprirle la portiera e la prende per mano senza una parola: si limita a sorriderle. Chrissy scende con un salto, rassettando la giacca, cercando di eliminare le pieghe dei pantaloni rosa. Il suo desiderio di avere un aspetto ordinato lotta contro la curiosità pura di avventurarsi subito in città, ma in un attimo è la prima ad avere la meglio.

“Prendi la borsa, il resto della strada lo facciamo a piedi. Dopo verrò a riprendere il furgone… credo che Cassie ci stia aspettando.”

Lei annuisce, sistemandosi la cinghia sulla spalla. Allungando il collo le sembra di vedere in lontananza una fontana decorata da quello che sembra un pesce stretto tra le zampe di un orso, o qualcosa di simile. L’acqua gorgoglia cantando una canzone, il vento del mattino sposta le corolle dei fiori nelle aiuole, ancora vividi: l’estate sta finendo, qualche segno della sua bellezza resta ancora. Ma i fiori di Hawkins non sono mai stati altrettanto belli.
Girando la testa verso i negozi – due drugstore, forse una boutique, un ferramenta da cui è appena uscito un uomo – nota immediatamente un’insegna di legno, con una chitarra scolpita in rilievo. Dalle due vetrine si intravede un bancone tappezzato di poster e una serie di scaffali alti, probabilmente pieni di cassette e dischi. Quasi saltella sul posto indicandoglielo, in preda all’entusiasmo, ed Eddie sorride di nuovo.

“Ti piacerà, vedrai.”

Le stringe la mano. Chrissy lo segue lungo la strada di mattoni rossi, lo sguardo che si sposta dagli alberi ai negozi alle aiuole e poi di nuovo agli alberi. È impossibile cogliere tutti quei dettagli con un solo sguardo, tanto che alla fine decide di rinunciarci e si limita a lasciarsi guidare in avanti, la brezza gentile che le scompiglia i capelli. Per un attimo si chiede se è mai stata tanto attenta a quelle piccole cose, il profumo del vento e il modo in cui il sole filtra tra le foglie degli alberi, ma prima che la risposta possa arrivare Eddie si è fermato di nuovo, stavolta di fronte a quella che sembra una lunga passeggiata fiancheggiata da panchine e lampioni. Davanti a loro un albero dal tronco segnato allunga le foglie al cielo, mostrando già qualche ramo in cui da verde tenero sono diventate gialle. Attorno al tronco è stata sistemata una panchina che gira in cerchio, quasi abbracciasse la corteccia ruvida e antica, e sulla panchina è seduta una donna.

Una donna con i capelli scuri tagliati corti e un paio di occhiali da sole calati sugli occhi. A parte il taglio particolare sembrerebbe una persona come tante, con un paio di jeans a vita alta e una canottiera bianca, ma la camicia che indossa aperta sopra la canottiera è identica a quella di Eddie: rossa e nera a scacchi, di flanella morbida. Appena più consumata, come se fosse stata amata e vissuta in parti uguali.

Eddie, di fronte alla donna, le rivolge un saluto con la mano, come a volerle mostrare i suoi rispetti. Lei, per tutta risposta, si alza di scatto e gli corre incontro, afferrandolo in un abbraccio travolgente, stringendolo con l’impeto di chi non vede una persona da un millennio e desidera ricominciare subito a recuperare il tempo perduto… il che deve essere esattamente quello che è successo, pensa Chrissy. La famosa Cassie, l’amica di sua mamma. Una persona completamente senza età, che potrebbe essere loro coetanea come quarantenne, e che sta cercando disperatamente di trattenere le lacrime con una smorfia molto eloquente.

Si allontana di un passo, appoggiandogli entrambe le mani sulle spalle con un sorriso ampio e caloroso.

“Beh, che dire… sei molto più alto di quanto ricordassi, Eds.”





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È stato un periodo un po' così (leggasi: non ho avuto un attimo libero per scrivere, sob) dal punto di vista lavorativo e ne ha risentito anche la scrittura. Come al solito con i capitoli di passaggio sento sempre di non essere riuscita a raccontare i sentimenti come vorrei, ma spero vi sia piaciuto tanto quanto gli altri 
♥ 
Molte delle canzoni che trovate nei capitoli fanno parte della playlist che ho creato per loro: è  qui, se volete entrare nel mood della storia. 

Grazie ancora a chiunque è arrivato fin qui, e a chi ha inserito la storia nei preferiti e nelle seguite! Mi fa sempre piacere leggere cosa pensate dello svolgimento degli eventi, ogni singolo commento mi illumina la giornata :3
Fede
 
   
 
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