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Autore: shilyss    10/09/2022    14 recensioni
Il dio dell’inganno si guardò attorno: la foresta, innaturalmente silenziosa, quasi priva di colore – se ne accorse solamente in quel momento – li avvolgeva con i suoi alberi familiari, con i rami scheletrici che schermavano la poca luce esistente. Non c’era alcuna fessura, nessuno strappo a indicare una cesura tra i due mondi.
“Dov’è?” mormorò Loki.
“La sentirai.”
“La vedrai.”

Tutta la conoscenza e l'astuzia del mondo non bastano a raggiungere e a oltrepassare il Valgrind, il magnifico cancello oltre cui si estende il Valhalla. Non è detto che basti nemmeno morire in battaglia. Per chi non riesce a trovare la via, il destino è quello di rimanere in un limbo, come uno spirito errante.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hela, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 2
Senza soffrire
Da chimico un giorno avevo il potere
Di sposar gli elementi e farli reagire
Ma gli uomini mai mi riuscì di capire
Perché si combinassero attraverso l’amore
Affidando ad un gioco la gioia e il dolore […]
(Un chimico, De André)

Si girò di scatto per andarsene e abbandonare quella stanza ricordata, condivisa, ancora abitata oltre ogni ragionevole previsione. Non c’era motivo per cui lei fosse ancora lì, non aveva alcun senso che stringesse al petto una sua tunica. Nel farlo, l’armatura che gli copriva la spalla sfiorò la porta, muovendola di una spanna, o forse meno: tanto bastò perché cigolasse. Loki s’irrigidì fino sentire ogni muscolo tendersi. Era uno spirito, una sostanza incorporea, eppure subiva un dolore identico a quello fisico, viveva reazioni che lo illudevano di possedere ancora un corpo agile, nervoso, scattante.
“Sei molto teso, dio dell’inganno,” notò Muninn.
“Non è tutto risolto, qui. Ti servono altre prove?” gracchiò il fratello.
“Il dio corvo, di te, ha sempre detto che sei molto acuto.”
“Si sbaglia?”

Loki, strano a dirsi, non seppe che rispondere ai due corvi. Sigyn guardava nella sua direzione, fissando esattamente il punto dov’era lui, ma senza vederlo. L’ingannatore si sentì trapassato da quello sguardo sorpreso, spaventato. Si accorse di riuscire a sentire il battito accelerato del suo cuore. I palazzi ampi, si sa, sono pieni di spifferi, rumori e scricchiolii vari, specie se prevedono una tale presenza di legno come accadeva in quelli degli Æsir, ma ci sono creature, più sensibili di altre, che, in determinati momenti della loro esistenza, riescono a captare una delle fessure che separano il mondo dei vivi da quello dei morti. Sigyn non poteva vedere Loki, ma lui era riuscito a interagire con lei, in qualche modo. Senza volerlo, anzi, spinto da tutt’altro bisogno, era stato capace di muovere un oggetto. All’esultanza per l’insperato progresso si sommò il dispetto per averlo fatto davanti a lei e non a Thor e, soprattutto, il fastidio per non aver ancora ben chiaro come fosse riuscito in una simile impresa. Era stato il caso? Lo sdegno di fronte alla scena ridicola della sua bella vedova che lo piangeva? Immobile, Sigyn continuava a osservare la porta che si era aperta cigolando senza alcun motivo apparente, come se dovesse valutare se fosse pericolosa o meno, e quanto. Alla fine, decise di scacciare qualsiasi dubbio o sensazione la attanagliasse e si avvicinò a passi decisi per spalancarla completamente, in modo da assicurarsi che non si muovesse più da sola. Passò tanto vicino a Loki che lui avrebbe potuto toccarla, se fosse stato vivo. Ma non lo era e anche quello che fece – trattenere il respiro in virtù dell’illusoria sensazione di possedere ancora un corpo – fu notato da quei due attenti osservatori che erano i corvi di Odino.
“Se rimarrò qui potrò toccare di nuovo altri oggetti?” domandò alle sue guide. “Forse,” gracchiò Muninn.
“Dipende da te. Adesso concentrati. Tua moglie avrà delle visite,” gli fece eco Huginn.

Loki imprecò tra i denti e rientrò nella stanza, registrando suo malgrado quello che già aveva colto alla prima, rapida occhiata data all’ampia camera. C’erano ancora i suoi libri, nelle scaffalature che occupavano per intero l’ampia parete di fronte alle finestre – una delle molte librerie disseminate in ogni angolo del palazzo. Appese vicino al letto scintillavano le lame dei suoi pugnali preferiti, forgiate direttamente dai Nani di Nidavellir ed era sicuro che nei bauli e negli armadi avrebbe trovato corazze di pelle intrecciata e mantelli color notte. Sigyn non aveva dato ordine di togliere nulla, sacrificando solo qualche oggetto perché fosse tumulato come si conveniva a un principe del suo rango – ma, in fondo, di che funerali farseschi si trattava mai? Thor non era riuscito a riportare le sue spoglie mortali ad Asgard e i suoi resti giacevano insepolti da qualche parte – forse erano già ossa bianche, i soli resti di un banchetto fatto dai fratelli meno ciarlieri di Huginn e Muninn, che lo fissavano con quegli occhi neri piccoli e lucidi. No, Sigyn non si era sbarazzata delle sue cose, ma continuava ostinatamente a tenerle accanto alle sue. Poco distante dalla libreria, per esempio, c’era la toletta con lo specchio dove lei si sedeva a spazzolare i lunghi capelli color dell’oro: ecco la sua spazzola col corpo in legno di quercia e argento, le boccette contenenti il suo profumo a base di vaniglia e qualche altra essenza dolce, il cofanetto finemente lavorato che conteneva i suoi gioielli più preziosi: in quel momento era aperto e Loki riconobbe, tra gli altri. il pregiatissimo filo di perle con la chiusura di diamanti che lui le aveva regalato. Accanto alla magnifica collana, però, c’era qualcosa che gli fece schioccare la lingua sul palato in un gesto carico di stizza.
“Non tutti i gioielli di tua moglie sono di tuo gradimento, Loki?” gracchiò Huginn posandosi sulla specchiera.

Loki tentò di ignorare il corvo. Si concentrò su Sigyn, che, avvertita di una visita dalla sua ancella, riponeva con estrema cura la tunica che gli era appartenuta, sì, ma nel proprio baule, pieno di sete chiare e lane soffici. Fatto ciò si guardò attorno inquieta e gettò un ciocco di legno nell’ampio camino. Non si era mai abituata del tutto all’inclemente clima di Asgard, ma quel pomeriggio sentiva più freddo del normale. Si scaldò le punte delle dita sottili e inanellate di fronte alle fiamme guizzanti e fu così che la trovò il suo ospite.
Vedendola, lui le andò incontro trascinando una gamba lievemente offesa e le afferrò le mani, portandosele alle labbra con slancio e devozione. Sigyn le ritrasse più velocemente che poté, senza mascherare una nota di disagio.
“Lo conosci anche tu, dio dell’inganno?” gracchiò Muninn raggiungendo suo fratello.
“Quello è il suo amante attuale o il suo prossimo marito.” Le labbra di Loki, sottili e ironiche, erano congelate in un ghigno perfido. “Theoric.” Pronunciò il nome assaporandone ogni sillaba, rigirandoselo in bocca con la stessa lentezza con cui gli avrebbe torto le viscere attorno a uno dei suoi pugnali affilati. “Ditemi, bestie del malaugurio, illuminatemi: vederli scopare nella mia casa, nel mio letto, mi farà guadagnare i cancelli di Valgrind? L’umiliazione è quello che mi serve per il Valhalla?”
“Ascolta.”
“Aspetta.”
Loki sibilò che non intendeva fare nulla di tutto ciò e fece per andarsene – ma dove? Era uno spirito errante, in fondo: la sua destinazione finale era irraggiungibile e ignota, perduta. Diede le spalle ai due, ma a inchiodarlo dov’era non fu solo il frullare d’ali dei due corvi, ma anche la voce di Sigyn, più ferma di quanto si aspettasse.
“Non voglio lasciare questa casa. È la mia. Non credevo che lo sarebbe diventata, ma è così e lo resterà per sempre.”
“Sei ancora a lutto.” La constatazione di Theoric – un guerriero alto, bello, biondo – era intrisa di disappunto.
Il dio dell’inganno si voltò appena per guardare la moglie – errore, la vedova – con la coda dell’occhio. Sigyn aveva una grazia innata che mostrava in ogni suo gesto, persino nel modo in cui piegava la testa di lato o nel modo in cui muoveva le mani sottili e delicate. Ma accanto a quella delicatezza c’era, in lei, una forza insospettabile, che Loki aveva imparato a conoscere e che ritrovò nella risposta decisa e chiara, incontrovertibile, che diede allo spasimante di una vita, all’uomo a cui l’aveva strappata tanti anni prima.
“Sì.” I suoi occhi, liquidi e grigi, erano carichi di una fermezza assoluta.
Theoric non nascose un gesto d’impazienza. “È morto!” Vide le labbra di lei contrarsi in una smorfia di dolore e tentò di nuovo di avvicinarsi, di prenderle le mani dove ancora brillavano gli anelli donati da Loki. “E non da un giorno,” insistette. Vedendo lo stato della donna, Theoric aggiustò il tiro e abbassò la voce. Se desiderava convincerla ad abbandonare l’inclemente Asgard doveva usare la ragione, la dolcezza, la logica. Aiutarla a fuggire dalla gabbia in cui era stata intrappolata anni prima, da cui forse non sapeva più uscire. “Sono passati mesi, Sigyn. Re Thor ti ha dato la possibilità di scegliere quello che più desideri,” le ricordò, rivelando ad alta voce il contenuto della lettera che lo spettro del dio dell’inganno, spettatore suo malgrado costretto al silenzio, aveva visto nella sua passata visita al regno dei vivi.
Sigyn stavolta non liberò le proprie mani, ma guardò negli occhi Theoric e gli parlò con voce ferma e sicura.
“E io ho scelto. Dillo a mio padre. Spiegalo a tutti quanti.”
“Cosa dovrei spiegare?” esplose Theoric accorato, approfittando per avvicinarsi ancora, per stringere tra le sue quelle dita che sentiva fredde e inerti al proprio tocco. “Che vuoi appassire qui dentro? Vogliono – vogliamo che tu torni da noi. Puoi essere ancora felice.” La vide abbassare lo sguardo, come se quella proposta ragionevole, forse inevitabile, la confondesse. “Sei ancora giovane, bella.” Esitò, temendo di farla scappare di nuovo. “Bellissima,” soffiò infine, accostandosi ancora.

Loki pensò che, se fosse stato al posto del suo rivale, l’avrebbe baciata. Erano abbastanza vicini perché succedesse, era quasi giusto che avvenisse. Lui era morto e lei non poteva, non doveva piangere un fantasma. La sua fedeltà non era più richiesta e in quello sguardo che si puntava in basso l’ingannatore riconobbe il tentativo della sua giovane vedova di sfuggire a una resa sempre più inevitabile. Al naturale bisogno di essere consolata, amata, accarezzata.
Per Sigyn, invece, fu troppo. Sussultò, liberandosi in fretta dalla presa cui aveva ceduto per stanchezza e in virtù di un passato che considerava lontano, troppo. Si rifugiò accanto alla finestra e diede uno sguardo distratto al fiordo sotto di loro. “Avresti dovuto dimenticarmi molti anni fa, Theoric. Me lo avevi promesso.”
“Non ci sono riuscito.”
“Non mi hai creduta,” ribatté lei con forza, ma c’era una nota disperata nel suo tono. Loki, costretto a osservarla, la colse. E comprese, suo malgrado.
“Mentivi per proteggerti. Non ho mai dubitato del tuo amore.”
“Allora hai sbagliato.” La voce della donna si era fatta dura, severa. Quasi crudele.
Theoric strinse i pugni. Conosceva una ragazza, ma forse lei se n’era andata, lasciando il posto a una donna che lo guardava come se fosse un vecchio amico sgarbato. “Sigyn, so come la pensi,” insistette. “So che cosa hai passato e so anche che non lo avresti mai tradito finché fosse stato tuo marito, ma ora sei libera. Ogni vincolo è sciolto. Se n’è andato, finalmente.”
Le labbra di Sigyn tremavano, le sue dita nervose giocavano con gli anelli che le abbellivano le mani, ma questo non le impedì di risultare imperiosa e spiccia. “Rispetta la mia volontà, ti prego.”
Per Theoric era il momento di esporsi del tutto. Di convincerla a lasciare quel palazzo, maledetto come lo era tutto il popolo degli Æsir. “Ti amo, Sigyn. Ti ho sempre amata,” confessò. Fece una pausa, sperando di cogliere un barlume di qualcosa, in lei – amore, comprensione, felicità improvvisa. Vide solo dolore e disappunto. “Lo avrei ucciso io, un giorno.”
“Non dirlo,” mormorò Sigyn; chiuse gli occhi, scosse la testa. Sembrava stanca. “Non saresti mai sopravvissuto a un altro scontro con lui. Non ti è bastato il vostro duello? C’è stato un tempo in cui ho alimentato i tuoi sentimenti per me, è vero.” Sospirò. “Mi dispiace, ma non posso, non riesco ad amarti, Theoric.”
Il guerriero sbiancò, scosso dal rancore e dalla consapevolezza. “Deve averti anche dopo che è morto?” esplose. “È così?”
Sigyn gli rivolse un sorriso mesto. “Forse sì. Forse è giusto così.”
“Non posso accettarlo. Non posso permetterti di rinunciare a me, a noi, a te, Sigyn! Vuoi rimanere qui, sepolta dai ricordi, a piangere un uomo abietto e maligno come Loki di Asgard?”
Sigyn spalancò gli occhi e strinse i pugni. “Non osare parlare così di lui nella nostra casa, Theoric,” l’avvertì severa. "Non te lo consento. Ora vai, la tua presenza non è gradita.”
“Mi amavi!”
“Te lo dissi, è vero,” ammise lei. “Quando mi portò via dalla casa di mio padre. Lo credevo anche io, l’ho creduto per molto tempo. Ma ora so che non era reale.”
L’aveva persa davvero, per sempre? Theoric non poteva crederlo. Non riusciva a capire quale terribile incantesimo Loki Laufeyson avesse utilizzato su Sigyn per costringerla a mantenere un lutto che durava da mesi. Le disse quello che si era ripetuto per anni, nell’attesa di poterla salvare, di trovare un modo per liberarsi del dio dell’inganno e riportare lei nella loro terra, a Vanheim. Si sforzò di usare un tono gentile, di convincerla con la dolcezza. “Lo hai fatto per sopravvivere, Sigyn,” spiegò. “Ti sei convinta di dover amare lui e mi hai dimenticato. Così è stato facile, suppongo.”
Sigyn, pallida in volto, trovò quella spiegazione offensiva. “Vattene, Theoric. Adesso.”
L’altro strinse le labbra in una smorfia triste e si avviò verso l’uscita, passando accanto allo spettro attento di Loki con la sua camminata lievemente claudicante. Sulla soglia, si voltò per l’ultima volta verso Sigyn. “Ti avrei resa felice.”
Sigyn gli rivolse un sorriso triste, amaro. “Tu pensi davvero di sapere cosa mi avrebbe resa felice? Loki non aveva questa pretesa. No, Loki di Asgard non pensava di sapere cosa provassi, cosa volessi. Non riteneva di dover controllare i miei desideri.”
Theoric non rispose. Probabilmente, non comprese nemmeno il punto del discorso di Sigyn. Se ne andò senza voltarsi indietro, col cuore gonfio di amarezza, di rimpianto. Se fosse stato un guerriero migliore, più forte, più spavaldo, avrebbe sconfitto Loki. Rivide la sua figura slanciata e agile, il volto affilato, gli occhi lucenti verdi e penetranti, quel ghigno maledetto e beffardo che non era riuscito a levargli dalla faccia nonostante l’avesse ferito di striscio poco sotto lo zigomo. No, Loki non lo aveva temuto mai, nemmeno per un secondo, ed era sceso nell’arena in cui si erano scontrati consapevole che avrebbe trionfato. Cosa che era avvenuta, alla fine, e le diverse ferite superficiali che aveva inflitto al dio dell’inganno non valevano quella, profonda e ben assestata, che lo aveva reso zoppo per tutta la vita.

“Povero Theoric,” gracchiò Muninn. “Ha passato ogni notte a sognare di liberare la principessa dal drago.”
“E invece la principessa ha scelto di rimanere nella sua tana,” gli fece eco Huginn, volando fino a posarsi sulla spalla del dio dell’inganno.
“Come mai zoppica?” s’interessò.
“Ne sai niente?”
Loki non aveva smesso di fissare sua moglie. “Mi sfidò per riaverla, quell’idiota. Volevo strappargli il cuore dal petto con le mie mani,” ricordò con un ghigno di soddisfazione, “ma lei mi chiese di risparmiarlo.”
“Poi curò le tue ferite,” gli ricordò Muninn. “Nel cofanetto Sigyn tiene una ciocca di capelli intrecciati. Sono neri come le nostre piume.”
“Sono tuoi, dio dell’inganno.”
L’Ase non rispose. La sua attenzione era tutta per lei, che era rimasta a fissare la porta con un’espressione triste, che si lasciava andare a un pianto breve e nervoso. Ricordarlo era doloroso quanto riaprire una ferita mai guarita, ma capire di non essere in grado di trovare di nuovo la felicità era quasi peggio. Aveva sperato di riuscire a dimenticarlo: incontrando Theoric, era arrivata all’amara conclusione di non volere nessun altro al suo fianco – di non essere ancora guarita dal suo lutto e di non voler riuscire a farlo. Allora il suo pianto divenne uno sfogo disperato.

“Ora hai guardato,” osservò Huginn, muovendo con uno scatto il collo dal piumaggio talmente scuro da avere dei riflessi blu. “Sei sorpreso?”
“Deluso?” gracchiò Muninn.
Loki si inumidì le labbra sempre ironiche e sottili, scoprendo i denti bianchi e regolari. Era troppo intelligente per non ammettere di aver sbagliato. Parte della sua acutezza derivava proprio dalla capacità di interpretare in maniera pronta e rapida gli eventi, correggendo il tiro nel caso in cui le sue iniziali deduzioni si rivelassero errate. Così si era salvato in mille occasioni e avventure. Ma la sagacia con cui interpretava gli eventi spesso gli si era ritorta contro con una violenza inaudita: come quando aveva capito, prima di Thor, che non sarebbe scampato all’ira del Titano. Non c’erano vie di uscita, ma solo la morte. Ineluttabile, da affrontare a viso aperto, col coraggio proprio degli Æsir di cui era il principe. Ora, ridotto nella miserabile condizione di spirito errante, osservava Sigyn struggersi, preda di un dolore evidente, di una sofferenza quasi tangibile. Forse la morte gli aveva regalato una maggiore comprensione delle emozioni altrui, una capacità di leggere le anime che sopperiva l’impossibilità di afferrare un oggetto o di catturare l’attenzione di qualcuno. Non ne aveva idea – lo avrebbe scoperto, dopo – così come non sapeva ancora dire perché Sigyn lo piangesse. Non era stata un’unione felice, la loro.
Scoprì di averlo detto, si accorse di essersi avvicinato a Sigyn tanto che, se avesse allungato la mano, avrebbe potuto sfiorarle le ciocche dorate che le coprivano il viso. Non osò farlo; temeva di scoprire l’effetto che un tale gesto avrebbe avuto su entrambi.
“E come la definiresti, allora?” l’incalzò Huginn. “Perché la dolce Sigyn soffre così tanto?”
“Il dio corvo dice che sei bravo a raccontare storie, Loki,” rivelò Muninn. “Ma forse quella che conosci è sbagliata.”
“Il dio corvo non vi ha detto che raccontare la propria storia è più difficile che farlo con quella di un altro?” sbottò l’ingannatore. “Non ho voglia di perdere tempo con qualcosa che pare conosciate meglio di me. Anziché tormentarmi, bestiacce maledette, ditemi come raggiungere Valgrind, fatemi scaldare al fuoco di Odino. Sono morto come un Ase, in battaglia. Lo merito. Mi spetta.”
“Lo sappiamo che è difficile, Loki. Come la vista si annebbia quando qualcosa gli si fa troppo vicino, così la memoria si inganna e il cuore mente e non vede, se la storia che raccontiamo appartiene a noi stessi,” confermò Huginn.
“Ma devi farlo.”
“Vagherai nella foresta per sempre, altrimenti.”
“Finché ti consumerai e dimenticherai chi sei, Loki di Asgard.”
“E tu questo non lo vuoi.”
L’ingannatore scosse il capo in segno di diniego. Non dubitava delle parole dei corvi. Erano le sue guide nell’Aldilà; degli alleati preziosi, da ascoltare e sfruttare al massimo. Un dono fatto da Odino in persona affinché si districasse meglio in quella foresta fatta di mille sfumature diverse di bianco, priva di rumori e di vita. Questa consapevolezza, però, non lo spinse a parlare, tutt’altro. Aveva sempre adorato raccontare. Nelle spedizioni con Thor, nei banchetti ad Asgard e negli accampamenti militari era solito catturare l’attenzione di chiunque fosse alla portata della sua voce roca e suadente con le sue storie brillanti, con i suoi racconti fantastici. Ma ora che gli si chiedeva di raccontare una parte della propria vita, sentiva di non avere parole da dire e di non volerle incatenare le une alle altre per formare un discorso.
“Ora seguici,” gracchiò Muninn.
“Tornerai da lei,” proseguì Huginn.
“Dobbiamo mostrarti qualcosa.”
“Immagino che sarà doloroso,” ironizzò freddamente l’Ase lanciando un’ultima occhiata a Sigyn.
“Sei acuto, allora.” “Ma per le cose di nessuna rilevanza.”
Quando lo spettro di Loki Laufeyson lasciò la stanza che, in vita, aveva condiviso con Sigyn, lei sentì un brivido gelido correrle lungo la schiena. Fu questione di un momento, ma il fuoco nel camino tremò fin quasi a spegnersi, la porta cigolò in modo sinistro. La giovane vedova si asciugò le lacrime e si guardò attorno spaesata. Per un momento, uno solo, le era sembrato di sentire accanto a sé l’odore di cuoio, inchiostro e pelle che accompagnava sempre il dio dell’inganno.

Erano ritornati in quella terra di nessuno che era la foresta. Loki aprì gli occhi e la prima cosa che vide furono i corvi di Odino che lo aspettavano, appollaiati su un ramo secco e basso, contorto. Si tirò su a fatica sotto i loro occhi lucidi e neri, attenti.
“Di nuovo qui?” ironizzò tetro. Anelava di entrare nella casa di Odino, di avvicinarsi alle fiamme calde e guizzanti che lo aspettavano. Forse, meditò, quelli erano i cancelli di Valgrind, quelli che lui meritava di oltrepassare.
“Dipende.” gracchiò Huginn, presto seguito dal fratello.
“Guardati attorno.”
“Ma fai attenzione.”
Loki osservò meglio e si accorse che a parte la sparuta radura in cui aveva dormito – sempre se uno spirito come lui poteva dormire – non era più la foresta da cui era emersa Hela e che lui aveva attraversato. Era ciò che restava di un campo di battaglia. Sul momento, gli parve che fosse uno dei molti – moltissimi – che aveva calpestato, ma poi riconobbe qualcosa di noto e riuscì a comprendere dove volessero arrivare i due corvi e perché lo avessero portato fin lì.
Dietro di lui frullavano le ali dei due uccelli.
“Che volete che faccia?” tagliò corto, senza nascondere un ghigno che si sarebbe potuto definire ammirato.
“Parla.”
“Racconta.”

La vendetta, disse Loki, va soddisfatta a dispetto di ogni circostanza. I torti subiti devono essere raddrizzati, chi ce li ha inferti va punito. Questo pretendono gli Æsir, questo stabiliscono le antiche leggi, specie se a subire l’ingiuria è uno dei figli di Padre Tutto.
“Cosa succede se non si adempie alla legge, dio dell’inganno?” gracchiò Huginn. “Tu, che hai sempre tentato di sovvertire ogni regola lo sai, dio dell’inganno,” precisò Muninn.
L’Ase annuì. “Si viene perseguitati senza sosta dallo spirito di coloro che dobbiamo vendicare o dagli antenati, offesi perché il loro nome viene infangato da un comportamento codardo,” spiegò tra i denti. “Ma anche voi lo sapete bene, il dio corvo ve lo avrà detto: la responsabilità della vendetta, il suo peso, anche quando è dolorosa, ricade su chi la compie. Interamente.”
“Dici bene.”
“Ora continua. Ci piacciono le storie che parlano di vendette.”
So che vi piacciono e so il perché, sibilò Loki e, fissando negli occhi le sue due guide nel mondo dell’Aldilà, riprese a raccontare. Nel farlo, si rese conto di provare qualcosa di simile all’amarezza: una sorta di sofferenza, un rimpianto per quello che avrebbe potuto essere e non era stato. Le parole, all’inizio, fluivano con difficoltà, ma andando avanti la sua lingua sciolta gli permise comunque di intrecciare ogni frase con la consumata abilità del diplomatico e del truffatore, del poeta e del bugiardo – lui era tutto questo e molto altro. Forse i corvi avevano ragione e raccontare la propria versione dei fatti, suscettibile, a ogni buon conto, di omissioni, dimenticanze e distorsioni più o meno intenzionali, lo avrebbe liberato da quel rancore nero che lo aveva ghermito da quando era piombato nella camera da letto che aveva condiviso con Sigyn.
La vendetta, ripeté Loki, talvolta è necessaria, ma altre si rivela sgradevole e amara. Ci trascina in un vortice da cui è difficile sfuggire. Un vortice di caos capace di inghiottire. E lui amava il caos, ne era il signore e il padrone. All’iniziò, proseguì, gli era sembrata dolce, la vendetta. Ne aveva pregustato in bocca il sapore, divertendosi a progettarla nei minimi dettagli. Era stato catturato, su quel campo di battaglia che ora gli si dipanava davanti. I suoi avversari non erano più forti o intelligenti di lui, ma avevano avuto una buona dose di fortuna. A volte non serve nient’altro per catturare una preda molto più forte di noi, spiegò con un ghigno. Col senno di poi gli toccò ammettere che aveva fornito ai suoi avversari una succosa occasione per farlo prigioniero. Si era trovato davanti una creatura ancestrale di estrema potenza; per batterla, aveva recitato i suoi incantesimi più potenti ed efficaci, pronunciando rune che sarebbero state capaci di lasciare senza forze persino il dio delle forche in persona. Il prezzo della vittoria era stato cadere a terra esausto, privo di sensi, troppo distante da Thor perché il fratello, impegnato con altri nemici, potesse soccorrerlo. Si era risvegliato dentro una cella umida e buia, trincerandosi dietro un sorriso sornione e un atteggiamento insolente, facendo del silenzio il suo scudo. Intanto, osservava, studiava, pensava. La sua calma innervosiva i carcerieri.
Lì, dopo alcuni giorni, fece la sua conoscenza con Theoric: nella penombra giallastra della prigione gli si parò davanti un guerriero alto quasi quanto lui e ben piantato, dall’animo vergognosamente nobile, di quelli che credono sempre di fare la cosa giusta. Affermò di essere stato lui a catturarlo. Loki Laufeyson gli sorrise con condiscendenza, cercando negli occhi dell’altro la naturale e scontata scintilla d’orgoglio per una caccia conclusasi in maniera tanto vittoriosa.
Theoric domandò, minacciò, promise. Desiderava che Loki gli svelasse come recuperare una reliquia antica, oggetto della contesa che aveva visto il suo esercito opporsi a quello degli Æsir. Conosceva Loki di fama, come tutti, ma non aveva ben chiaro come l’ingannatore usasse il suo potere. Credeva che la cattività avrebbe reso il mago più malleabile e pronto a trattare, che temesse torture e privazioni. Non era forse un principe degli Æsir famoso per amare le comodità e il lusso? Scoprì a sue spese che si sbagliava. Loki lo assecondò solo quel tanto che bastava per prendersi crudelmente gioco di lui e della sua ingenuità, dimostrando di non temere né il dolore fisico né il digiuno. Era pronto a resistere a qualsiasi vessazione; nella sua lunga vita di guerriero aveva affrontato situazioni che giudicava ben più gravi di quello in cui era momentaneamente incastrato. Non aveva paura né di Theoric né di nessun altro. Mentre si divertiva a sbeffeggiare i suoi carcerieri, non perdeva occasione per carpire informazioni, individuare legami, ascoltare ogni battuta che echeggiava nelle basse volte di pietra della prigione. Era incredibile quanti dettagli si potessero raccogliere solo concentrandosi su quello che avveniva attorno a lui. Fu così che scoprì che quel brav’uomo di Theoric aveva una graziosa fidanzata. Riuscì persino a udirne la voce, una volta. Mentre ne immaginava le fattezze, un lento sorriso gli si dipinse sulle labbra.
Nel rievocare il tempo perduto di fronte ai due corvi, Loki gesticolava – movimenti da attore sul palco, atti a sottolineare i concetti, coinvolgere gli spettatori. Della sua fuga c’era poco da raccontare: si liberò da solo, sfruttando le conoscenze che aveva acquisito spiando i suoi ignari e sciocchi carcerieri. Temevano così tanto la sua magia che lo avevano rinchiuso apponendo decine di sigilli alla sua cella; quello che avevano dimenticato o che, semplicemente, non avevano considerato, era che Loki figlio di Odino non aveva bisogno di ricorrere al seiðr per uscire da una prigione, per quanto resistente e protetta fosse. Sapeva aprire dei ceppi con relativa facilità, così come era in grado di scassinare senza troppi intoppi una serratura. Una volta fuori poté dedicarsi alla sua vendetta. E perché questa si realizzasse c’era una sola cosa da fare: osservare Theoric nel proprio ambiente, guardare in faccia il suo signore, così codardo da non aver mai avuto l’ardire di incrociare lo sguardo con l’aristocratico e potentissimo prigioniero che solo per una stupida fatalità gli era riuscito di catturare. Naturalmente desiderava anche dare un volto e un nome alla voce che aveva udito durante la propria cattività. Sapeva di avere poche ore a propria disposizione, prima che qualcuno si accorgesse della sua fuga e intendeva sfruttarle fino in fondo.
Mentre raccontava, Loki aveva fatto sfoggio del suo miglior ghigno, ma arrivato a quel punto della storia non poté fare a meno di deglutire e di aggrottare la fronte. Il paesaggio attorno a lui si fece più indefinito e desolato, i contorni svanirono. Del campo di battaglia in cui era stato catturato non restava nulla. I corvi, appollaiati su un albero vicino, presero a schernirlo con maligna esattezza.
“Hai portato via proprio Sigyn quella notte, vero?” gracchiò Muninn.
“Dicci, Loki, ti perdonerai mai per quello che le hai fatto?” domandò Huginn.
“Lei forse lo ha fatto.”
“Lei è una donna coraggiosa e leale,” mormorò l’ingannatore, la mente concentrata su qualcos’altro. “Questo gliel’ho sempre riconosciuto.”
“Cosa senti nel tuo petto, Loki? Rimorso? Rimpianto?” insistette Huginn.
“Se tornassi indietro, ripeteresti tutto? Le faresti un simile torto, di nuovo?”

Sul volto affilato del dio dell’inganno era scomparsa ogni traccia dell’antica tracotanza. Rimaneva l’ombra di una smorfia irata. Gli venne in mente un episodio capitato molti mesi dopo la sua liberazione, quando lei era già sua moglie. Aveva osato disturbarlo nel suo studio, ben sapendo che avrebbe interrotto la lettura di complicate rune. Le si era rivolto con un tono graffiante e sarcastico, pur sapendo perfettamente che Sigyn non aveva altro modo per incontrarlo se non tendergli quell’agguato.
Lei non aveva battuto ciglio di fronte alla sua condotta sgarbata, no: la ricordò mentre si avvicinava, decisa e, al tempo stesso, incuriosita da quello strano ambiente – aveva i modi aggraziati di una principessa di sangue e uno sguardo liquido e profondo, dolce e fiero allo stesso tempo.
“L’altra sera hai detto che le sconfitte nascondono delle opportunità, a chi sa sfruttarle. Se lo pensi davvero, concedici un’occasione.”
Loki si era alzato dalla sua poltrona e l’aveva fissata in silenzio, in attesa, come se fosse davanti a un avversario indecifrabile e non alla donna che aveva sposato. Riusciva ancora a sentire la fiamma di desiderio che lo aveva bruciato e corroso anche allora; un bisogno fisico di stringerla tra le braccia, di spingerla contro l’immensa libreria che la sua gonna chiara sfiorava appena e baciarla sulle labbra fino a perdere il respiro, per poi spogliarla con urgenza e farla sua lì, in quella stanza. Un privilegio che gli spettava, ma che non aveva mai preteso, né lì né altrove, perché c’era un limite alle bassezze che il dio dell’inganno poteva compiere.
“Perché?” le aveva domando con voce roca.
Sostenendo il suo sguardo, come faceva sempre, Sigyn si era lasciata sfuggire un sospiro. “Posso trascorrere il resto della mia vita come una prigioniera,” spiegò, “odiandoti per quello che hai fatto, lasciandomi corrompere dal desiderio di vendicarmi, nell’infelicità. Cosa mi rimarrebbe? Una vita di sofferenza e rimpianti. Nient’altro. Oppure, posso cercare di scoprire se le Norne, unendo il mio destino al tuo, facendo di me una principessa di Asgard, hanno in serbo qualcos’altro. Possiamo avere dei rapporti civili, cortesi, io e te. Non sei un orribile lupo bramoso di sangue, come pretendeva il mio signore, no. Ti ho osservato. La tua conversazione è brillante e divertente, incanti la gente, ami le arti, sei pieno di interessi.”
“Vorresti diventare mia amica, Sigyn? È così?” aveva scosso la testa con un ghigno basso, maligno. “Il nostro rapporto è di un altro tipo. E faresti bene a continuare a ritenermi un lupo e non considerarmi un cortigiano.”
Sigyn era impallidita. “Un abile politico,” lo corresse. “Che tipo di rapporto abbiamo, noi? Qualunque sia, possiamo migliorarlo. Renderlo più tollerabile, per entrambi.”

Continua

L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore,
Ecco la mia seconda fetta di torta alla melassa: il prompt, stavolta, era la parola "soffrire".
Nel testo c'è qualche voluta ripetizione volta a sottolineare i concetti, mentre per quanto concerne le vicissitudini Loki/Sigyn, saprete poi... Per il momento vi basti sapere che Sigynella sta approntando la tecnica ninja del "se non puoi lasciare il tunnel, arredalo." Farà bene? Farà male? Chissà! Ringrazio di cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. ♥
Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo. A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,
Vostra,
Shilyss

   
 
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