Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Green Star 90    12/09/2022    2 recensioni
Irene è figlia unica, per cui la compagnia di Emporio la assimila a quella di un fratello minore che non sapeva di desiderare.
Irene è buona con lui, forse anche troppo. Lo ha visto da solo e lei gli ha donato compagnia. Lo ha visto all’addiaccio e lei lo ha vestito. Lo ha visto affamato e lei gli ha dato da mangiare. Irene vuole farlo diventare un membro della sua famiglia contro ogni ragionevole buonsenso e lui è spaventato da quella generosità. La si potrebbe pensare una ricompensa per quanto fatto, ma Emporio non se la sente di festeggiare quella conquista, non ancora. Dentro di lui c’è ancora troppo dolore da assimilare.
***
Cinque raccolte di flashfic ambientate nell'Ireneverse.
Buona lettura.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Emporio Arnino, Nuovo personaggio, Rohan Kishibe
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Jojo in Heaven'
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II. Poker Face


 

Tsubaki è appena nata e non sa ancora di non essere come gli altri bambini.
L’ostetrica la accomoda sul seno della madre che scosta la coperta per vederla in viso.
«Comme son père», è la prima frase che si sente rivolgere.


 

̴


 

Tsubaki ha quattro anni, si è svegliata poco prima dell’alba e dovrebbe provare tanta paura.
C’è una cosa senza faccia che la segue come fosse la propria ombra e che non vuole lasciarla in pace. Bussa alla camera dei genitori tra un «Okāsan» appena mormorato e l’altro per il timore che la cosa possa farle del male anche se una parte di sé le dice che non c’è niente di cui temere.
Quando la porta si apre sua madre sta infilando la vestaglia da notte. La guarda a metà tra l’interrogativo e l’assonnato e poi volge lo sguardo verso il punto indicato dalla bambina, ma si ritrova a osservare il niente nel corridoio silenzioso.
Con uno sbadiglio, suo padre scende dal letto, sporge la testa oltre la spalla della compagna e subito un lampo gli attraversa gli occhi. Si fa avanti, prende la figlia in braccio e la conduce in soggiorno. La cosa li segue silenziosa e si ferma vicino alla libreria come una piccola guardia del corpo. È poco più alta della sua evocatrice, è argentea e longilinea e imbraccia uno scudo a forma di cuore. Leziosa, una coroncina di boccioli le adorna la testa pelata.
«Ti va se ti spiego un paio di cose?» domanda a Tsubaki mentre la fa sedere sulle sue ginocchia.
Lei annuisce in silenzio e gli stringe un lembo del pigiama. Lui le accarezza i capelli spettinati e inizia a parlarle del fatto che anche lui ha una cosa che gli fuoriesce dall’ombra.
Tsubaki ascolta e per la prima volta ha il sentore di non essere una bambina normale.
Del resto, nemmeno la sua famiglia è normale.


 

̴


 

Tsubaki ha cinque anni e di fronte a lei uno scienziato sta compilando una scheda. Nome. Cognome. Sesso biologico. Genere. Eventuali tare genetiche. Casi familiari: due certificati. Nome dello Stand – «gli Stand – così si chiamano le cose – hanno un nome?» «Sì, ma se non gliene hai ancora dato uno non fa niente» –. Quando ha finito scambia alcune parole con il portatore Stand – così si chiamano le persone che evocano le cose – che le rivolge uno sguardo benevolo. Tsubaki però capisce subito che non conviene farlo arrabbiare, come del resto non conviene fare arrabbiare qualsiasi altro portatore Stand.
Lo scienziato va via e lei resta da sola con quell’uomo. Lui fa tintinnare i bracciali alle braccia ed evoca il suo Stand, una specie di divinità egizia del fuoco con la testa a forma di uccello.
«Wow!» Tsubaki salta giù dalla sedia e si avvicina alla cosa – no, definirla cosa è riduttivo, quella è veramente una divinità, che subito le porge una mano artigliata. Emana un tepore piacevole e un senso di sicurezza che le infonde coraggio.
«Signore?»
«Sì, mia cara?»
«Anche io voglio una cosa grande grande come la tua!».
Lui ride di gusto, schiocca la lingua e agita l’indice.
«Devi allenarti tanto se vuoi che accada, ma sono sicuro che ce la farai. Allora, posso vedere la tua cosa adesso?».
Tsubaki strizza gli occhi per un attimo e quando li riapre la cosa è accanto a lei. La coroncina di boccioli inizia a schiudersi, ma è ancora troppo presto per identificare quali fiori custodisce.
«Ottimo, fammi vedere cosa sai fare!» la esorta l’uomo con un sorriso ampio.


 

̴


 

Tsubaki ha otto anni e sta rovistando nella cassetta del pronto soccorso alla ricerca di un cerotto. Accanto a lei suo zio ha assunto una faccia preoccupata.
«Aaah, ti prego, non dire niente a tua madre, ok?» si guarda alle spalle più volte, come se da un momento all’altro il cancelletto del villino debba spalancarsi per la furia della sorella che più volte gli ha intimato di non giocare a duello di Stand con la nipote. Regola prontamente disattesa dalla suddetta nipote e ignorata dal cognato, che in questo momento si sta godendo la scena simulando una finta pennichella all’ombra di un faggio.
«Petit doigt» cantilena la bambina quando preleva il tanto agognato cerotto «però la prossima volta non fare quella stoccata con la spada, mi stavi amputando la gamba!» e così dicendo si indica il taglio al ginocchio e assume il cipiglio tipico di suo padre.
«E tu smettila di annullare tutte le cose che faccio, così non c’è gusto!» rimbecca lui incrociando le braccia al petto.
«Colpa tua che stai diventando debole!» Tsubaki gli sventola il cerotto sul naso e gli fa una linguaccia.
I due litiganti non se ne accorgono, ma la persona all’ombra del faggio sorride appena e apre un occhio per vedere cosa stanno facendo. Perfetto, fanno casino come sempre.
E dire che voleva un nipote maschio, il cognato francese.


 

̴


 

Tsubaki ha quattordici anni e si tiene una manica premuta sullo zigomo dolorante.
Anche quel pomeriggio, all’uscita di scuola, ha fatto a botte coi bulli. Hanno vessato alcuni kōhai e poi hanno avuto la splendida idea di prendersela con lei perché è una hafu e perché si è permessa di dire loro di smetterla.
Conseguenza: due deficienti dell’ultimo anno sono finiti dritti in un cassonetto della spazzatura con un’alzata di scudo.
Quella violenza non si addice a una ragazzina graziosa come lei. Non le si addice l’uniforme sgualcita. Quella cicatrice sul ginocchio, mio Dio, non va bene. Quelle sfumature ramate sui capelli ondulati in un mondo di chiome lisce e corvine non fanno di lei una vera giapponese. E gli sguardi taglienti, e la risposta pronta, e la propensione a scaldarsi facilmente, non si addicono a una femmina. Che educazione le hanno impartito a casa?
Ma chi se ne frega, diamine.
L’adrenalina in corpo è ancora così tanta da aver dimenticato di ritirare Poker Face. Il suo Stand la segue tra la folla e poi giù fino alle gallerie della metropolitana con sempre il suo scudo e la corona di rose blu sul capo. L’ha nominato così per la sua imprevedibilità nello sferrare gli attacchi e perché è in grado di annullare il potere degli altri Stand. E poi perché non ha un volto, e questo a chi è in grado di vederlo non piace affatto. È inquietante anche con quelle rose in testa.
Tsubaki attende dietro la linea gialla in mezzo alla folla e respira lentamente mentre richiama a sé il suo Stand, quando un tap tap gentile sulla spalla la fa voltare. Lo riconosce, è il dottor Kujo. Sotto al braccio regge una scatola di legno, probabilmente la solita bottiglia di liquore rosso italiano. L’altra mano regge il manico di un trolley.
«Giornata pesante a scuola?».


 

̴


 

Tsubaki cammina impettita a circa un metro di distanza dal suo accompagnatore. Tiene il broncio, è normale. Qualcuno ha già detto che una signorina a modo non dovrebbe fare a botte?
Glielo fanno notare tutti, ma non la cerchia di stramboidi della quale si attornia la sua famiglia. Del resto, anche lei lo è. E lo è anche il tizio alto più di centonovanta centimetri che la segue placido, a passo lento. Non ha mai fretta, il dottor Kujo.
Secondo suo padre ha un’adorabile faccia da teppista.
Papà, quest’affermazione è molto gay, sappilo, gli aveva detto lei.
Capirai, aveva ribattuto, tuo zio credeva fossi gay quando l’ho conosciuto, poi tua madre è rimasta incinta e il resto lo sai già.
«Lo so, è fastidioso».
Tsubaki interrompe il suo viaggio mentale nei ricordi. Si volta a guardare l’adorabile teppista e lui le rivolge il più classico dei suoi sguardi stoici.
«È fastidioso essere mal tollerati perché non si è purosangue. Anche io spesso litigavo con chi faceva il prepotente».
Tsubaki sbuffa e torna a voltargli le spalle, per orgoglio adolescenziale non vuole dargli la soddisfazione di aver trovato rincuoranti quelle poche parole. Che faccia da poker.
Lui non prosegue il discorso, ma rimesta nella tracolla e tira fuori una partecipazione di nozze.
«Irene si sposa» butta lì «le piacerebbe molto averti come damigella».


 

̴


 

Tsubaki non si sorprende quando i suoi genitori mostrano preoccupazione vedendola col volto stropicciato dall’ennesima zuffa. Lei non dà molte spiegazioni – non che ne abbia mai date tante – lascia che il loro sguardo la segua fino alla sua camera, poi apre la porta e se la chiude alle spalle.
Sicuramente stanno parlando di lei in compagnia del liquore, in salotto, con quel bizzarro quadro che l’adorabile teppista osserva sempre quando va a fare loro visita. Raffigura due forme alienoidi, una verde, l’altra argento, immerse in un mondo metafisico, le due metà di Poker Face. Lui sa che esistono gli Stand ma non può vederli, quindi quando ne ha l’occasione indugia su quel quadro. Anche Irene, le volte in cui è stata in Giappone, si è persa spesso nel dettaglio di un tentacolo o in quello dello scintillio del fioretto, e più di una volta ha chiesto a Tsubaki cosa si prova ad avere un guardiano che ti protegge.
Tsubaki glielo ha spiegato, non si stanca mai quando si tratta di Irene. Da brave figlie uniche, è come se fossero sorelle. Anzi, lo sono.
Tsubaki non lo dice apertamente, ma non vede l’ora di riabbracciare Irene e di farsi sentire dire Sorellina! Come stai?
Ma Tsubaki in realtà non lo sa, come sta. Forse sta bene, ma potrebbe andare meglio.
Lo zigomo fa ancora male, ma cerca di non pensarci.
Conoscendola, Irene le farà indossare un abito blu perché è il suo colore preferito.


 

***


 

Nome Stand: Poker Face.
Portatore Stand: Tsubaki Kakyoin.

È in grado di annullare gli effetti degli Stand avversari fino a un raggio di cinque metri e per la durata di dieci secondi. È dotato di uno scudo grazie al quale sferra colpi dotati di una buona potenza distruttiva. Tuttavia, quando il potere di annullamento è attivo non può attaccare e, viceversa, quando attacca non può annullare i poteri Stand altrui. Non si esclude il superamento di questa lacuna col rafforzamento fisico del portatore e per questo motivo gli scienziati della Fondazione Speedwagon lo tengono costantemente sotto osservazione

Potenza distruttiva: B; Velocità: A; Raggio d’azione: C; Durata d’azione: C; Precisione: B; Potenzialità di crescita: A.


 


 


 

***


 


 

Momento pagliaccio numero uno: in fase di stesura ho dimenticato di inserire la versione Ireneverse di Iggy, quindi, se vi è di consolazione, sappiate che in questo universo alternativo vive gaio e felice in compagnia della versione Ireneverse di Abdul e della Fondazione Speedwagon.
Momento pagliaccio numero due: da grande detrattrice delle crack ship quale sono, ho ben pensato di far diventare Kakyoin e Polnareff cognati perché trovavo l’idea divertente e perché se esiste un Jouta che è la crasi di Jotaro e Noriaki non vedo perché non debba esistere una Tsubaki che è la crasi di Jean-Pierre e Noriaki. Per farla breve, la mia intenzione era, anzi è sempre stata, quella di prendere in giro la Jotakak e i tropi che le gravitano attorno poiché l’headcanon secondo il quale Kakyoin sia stato l’unico vero amore di Jotaro non mi è mai andato particolarmente a genio. Inoltre, resto fermamente convinta che Jotaro ami davvero l(a ex) moglie, quindi possiamo riassumere il tutto così: non esiste un solo vero amore, ma tanti amori di uguale valore che costellano le vite dei personaggi di Jojo.
Tornando in focus, Tsubaki ha due fonti di ispirazione: la prima è La signora delle camelie, dal quale prende il nome (Tsubaki è la traduzione letterale di camelia) e in parte il carattere di Marguerite; la seconda è La lettera scarlatta, da cui ho tratto spunto per il legame non convenzionale dei suoi genitori. Non l’ho specificato in diegesi, ma nell’Irenevese la sorella di Jean-Pierre si chiama Esther, mentre Kakyoin viene soprannominato «Arthur» dagli amici occidentali per il suo faccino da «finto puritano» (cit. Jean-Pierre).

Grazie per aver letto e alla prossima.


 

   
 
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