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Autore: My Pride    14/09/2022    1 recensioni
~ Raccolta di flash fiction/one-shot incentrate sui membri della Bat-family ♥
» 200. Cospiracy ~ Bernard x Tim
Non è la prima volta che Bernard passa un mucchio di tempo al computer, ma non gli è mai capitato di starsene quasi mezza giornata alla ricerca di chissà cosa tra forum che parlano di supereroi, siti dedicati e informazioni che dovrebbero teoricamente arrivare dal cosiddetto “dark web”.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Bruce Wayne, Damian Wayne, Jason Todd, Jonathan Samuel Kent, Richard Grayson
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Let your heart guide you Titolo: Let your heart guide you
Autore:
My Pride
Fandom:
Superman
Tipologia:
One-shot [ 3313
parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi:
Jonathan Samuel Kent, Lois Lane
Rating:
Verde
Genere:
Generale, Fluff
Avvertimenti:
What if?, Coming out
200 summer prompts:
Come i bambini || "Da quanto tempo!" || "Hai paura di X?"

 

BATMAN © 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.

    «Sicuro di voler andare da solo?»
    Quelle parole risuonarono nelle sue orecchie come se Damian si fosse ancora trovato lì con lui e, mentre osservava l'enorme edificio del Daily Planet proprio al centro del New Troy District, Jon cominciò a pentirsi di essere andato davvero da solo.
    Forse avere con sé il suo migliore amico lo avrebbe aiutato ad affrontare meglio il discorso, forse sapere che la sua cotta segreta avrebbe ascoltato tutto lo avrebbe fatto balbettare come un cretino, fatto stava che, sorridendogli, Jon aveva ringraziato Damian e gli aveva semplicemente detto che se avesse avuto bisogno di rinforzi gli avrebbe mandato un messaggio, ma che era comunque certo di riuscire ad affrontare Lois Lane.
    «Hai paura di tua madre?» gli aveva chiesto Damian quando era quasi andato nel panico nel leggere il messaggio che lei gli aveva mandato, ma Jon aveva riso nervosamente e fatto notare che, no, certo che no, sua madre dopotutto gli aveva solo chiesto come andavano gli studi e se fosse libero per l'ora di pranzo, non gli aveva certo detto che lo aspettava con un fiore in una mano e un frammento di kryptonite nell'altra.
    Ci erano comunque volute più di un paio d'ore - e l'ovvia constatazione di Damian che dopotutto stavano parlando di sua madre Lois - prima che Jon si convincesse ad accettare quell'invito a pranzo, soprattutto perché Damian gli aveva fatto notare che non avrebbe dovuto affrontare il discorso proprio quel giorno se non avesse voluto. Ne aveva parlato con Damian prima ancora di farlo con i suoi genitori perché Damian era suo amico, Jon sapeva che sarebbe stato supportivo e che non lo avrebbe guardato in modo strano, e il fatto che Damian avesse replicato che quella era la cosa “meno strana” che gli avesse detto, essendo lui un mezzo alieno, aveva fatto ridere di cuore Jon. Così aveva passato quel mese in assoluta tranquillità, nell’appartamento che condivideva con Damian e con altri due ragazzi proprio a due passi dall’università, finché sua madre non gli aveva mandato quel semplice messaggio che lo aveva mandato in tilt. Era stupido, Jon lo sapeva. E aveva continuato a ripeterselo per tutto il tempo in cui aveva macinato chilometri e chilometri di asfalto con la sua macchina, fermandosi nel parcheggio del Planet con le parole di Damian ancora in testa.
    «Sicuro di voler andare da solo?»
    No, accidenti, adesso non ne era più tanto sicuro. Jon infilò automaticamente la mano in tasca e toccò il suo cellulare, resistendo all’impulso di mandare quello stupido messaggio al suo migliore amico. Era solo un pranzo con sua madre, accidenti! E Damian aveva ragione: non c’era motivo di affrontare il discorso proprio quel giorno se non se la sentiva. Tutto qui. Allora perché aveva come la sensazione che stesse respirando acqua e che quest’ultima si stesse congelando nei suoi polmoni a causa del suo soffio artico?
    Jon si prese ancora un momento, passandosi una mano fra i capelli nel vano tentativo di riordinare quelle ciocche scure. In realtà era solo un modo per scaricare lo stress, ma alla fine si diede dell’idiota e varcò le porte del Daily Planet, entrando nella vasta hall; c’era il solito via vai di gente che si dirigeva alla caffetteria o usciva fuori a pranzo, c’era chi si fermava per una chiacchierata accanto agli ascensori prima di risalire e chi si concedeva una pausa sigaretta per poi rimettersi a lavoro, e Jon deglutì mentre si avvicinava al bancone della reception, sollevando una mano per salutare Janet quando lei lo vide. Dopo vari saluti e convenevoli – “Da quanto tempo che non ti vedo, sei diventato proprio un bel giovanotto” – e qualche sorrisetto imbarazzato da parte di Jon, Janet gli fece compagnia finché le porte dell’ascensore non si aprirono e ne uscì Lois, la quale sorrise raggiante non appena notò Jon.
    «Ciao, tesoro», lo salutò con un abbraccio che Jon ricambiò, salutando anche la donna. «Pronto ad andare?»
    Jon annuì, ma si guardò comunque intorno. «E papà?» chiese nel sapere che solitamente pranzavano insieme, ma Lois liquidò la faccenda agitando una mano.
    «Impegnato in una storia investigativa. Non sapevo se baciarlo o strozzarlo per essere riuscito ad accaparrarsi l’esclusiva».
    «Competitiva come sempre, Lois», ridacchiò la receptionist, e Lois sorrise melliflua.
    «Mi conosci, Janet», disse solo, salutandola per incamminarsi insieme al figlio fuori dall’edificio e, per quanto Jon avesse cercato di fare finta di niente, Lois gli lanciò uno sguardo che avrebbe potuto significare qualunque cosa. Ciononostante si limitò a chiedere della scuola e come procedessero gli studi, arrivando all’Ace Pub in meno di dieci minuti per accomodarsi e ordinare qualcosa.
    Jon non avrebbe voluto farlo, ma passò il tempo a rigirare con la cannuccia il ghiaccio della sua coca cola con sguardo assente, con l’hamburger abbandonato davanti a sé e il pacchetto di patatine ancora intatto. Sua madre sapeva quanto amasse i cibi da fast food e lo aveva portato in una tavola calda per fargli piacere invece che nei soliti ristoranti, ma non aveva toccato ancora nulla e rispondeva a pizzichi e bocconi alle domande che gli venivano porte. L’università andava bene, gli studi procedevano al meglio, lui e i suoi amici passavano di tanto in tanto qualche serata fuori e andavano a divertirsi… e il tempo che trascorreva con Damian non si limitava solo alle pattuglie ma anche alle uscite, dato che si univa spesso a loro vivendo nello stesso posto. Tutto come ci si sarebbe aspettati da un ragazzo di diciassette anni… kryptoniano o meno che fosse.
    «Qualcosa non va, Jon?»
    Quella domanda, posta così a bruciapelo, per poco non lo fece strozzare col sorso di cola che Jon si era finalmente deciso a prendere. Non che si fosse dimenticato della presenza di sua madre – oh, insomma, fino a quel momento le aveva risposto, no? –, ma era stato tutto così automatico che non si era aspettato che lei gli chiedesse una cosa del genere.
    «Cosa?» Jon sollevò lo sguardo verso di lei e sbatté le palpebre, scuotendo la testa. «No, tutto bene. Perché?»
    «Non hai nemmeno toccato il tuo panino. A quest’ora sarebbe già il terzo».
    Jon la fissò come se l’aliena fosse lei, con occhi enormi e spalancati. Era stato così ovvio? Certo che lo era stato!, gridò una voce nella sua testa, e fu inquietante il modo in cui suonò terribilmente come quella di Damian. Si ostinava a credere che tutto fosse esattamente come prima e ignorava l’elefante che camminava insieme a loro in quella stanza, ma in realtà era cambiato tutto e aveva paura che sarebbe cambiato ancora di più se avesse aperto bocca. Non dubitava dell’amore che i suoi genitori provavano nei suoi confronti, non ne aveva mai dubitato; era cresciuto sapendo quanto entrambi gli volessero un bene dell’anima e lo avevano sostenuto in tutte le sue scelte, c’erano stati momenti in cui avevano litigato e discusso e in cui c’erano stati attimi di imbarazzo per la pubertà che aveva attivato nuovi poteri, ma Jon non aveva mai pensato per un singolo istante che i genitori non lo accettassero per ciò che era… almeno fino a quel momento.
    «In realtà… c’è una cosa», cominciò Jon, tergiversando ancora sotto lo sguardo curioso di Lois. Aveva quella vago cipiglio giornalistico che sfoggiava almeno il settanta percento delle volte, ma anche l’aria preoccupata di una madre che cercava di leggere l’espressione sul volto di suo figlio. Difatti allungò una mano verso la sua, carezzandogli il dorso prima di muovere un dito in circolo, imitando qualcosa che volava.
    «Problemi con la tua… tu sai cosa?» La voce di Lois era chiara e dolce, e a Jon quasi venne da sorridere al pensiero che sua madre avesse immediatamente pensato che il problema principale fosse la sua visione dello spettro elettromagnetico. Era un potere che aveva sviluppato da meno di un anno, e a volte faticava a tenere a bada il modo in cui i suoi occhi gli mostravano le frequenze radio come se fossero fili veri e propri che danzavano in piccoli vortici davanti ai suoi occhi, anche se ammetteva che l’aiuto di Damian a riguardo era stato provvidenziale.
    «No», replicò Jon, facendo scorrere lo sguardo dal volto di Lois alla sua mano. Riusciva a sentire il sangue fluire fino al suo cuore e il suo battito un po’ più rapido del solito, simbolo che la sua giornalista interiore stava completamente lasciando il posto alla madre. «Riguarda me, ma… in altro modo».
    Jon non aveva ancora proferito parola né tantomeno si era spiegato, eppure sentire lo sguardo di sua madre su di sé lo mise in soggezione. A causa degli studi e del lavoro non erano molti i momenti in cui poteva avere un momento con i suoi genitori, l’ultima volta in cui la famiglia si era unita era stata la notte di Natale ed era successo quasi quattro mesi prima… quando lui non si sentiva ancora pronto per parlare e aprirsi con loro, poiché lui stesso non aveva ancora capito bene sé stesso. E sentiva che rimandare ancora avrebbe solo aumentato quel senso di vuoto e pesantezza che avvertiva dentro di sé, e che gli dava come l’impressione di vivere una vita diversa da quella che la sua famiglia si sarebbe aspettata da lui. Forse era un pensiero stupido, ma faceva più male di tutte le notti di pattuglia passate a lottare contro i peggior super cattivi della storia.
    «Sai che puoi dirci tutto, Jon». Lois lo riportò ancorato alla realtà, e la fissò negli occhi solo per vederla sorridere. Gli aveva stretto maggiormente la mano, ma Jon si sentiva come se delle api avessero cominciato a ronzare nelle sue orecchie.
    «Lo so. Solo che… non è una cosa facile da dire».
    «Prenditi il tuo tempo».
    Jon esitò ancora, resistendo all’impulso di battere ritmicamente il piede sul pavimento per evitare di provocare un terremoto. No, forse non era ancora pronto. Non era pronto a vedere quel sorriso scomparire dalle labbra di sua madre, quegli occhi ingigantirsi dalla confusione e dallo sgomento, e tutto ciò che conosceva sgretolarsi davanti a lui come una pietra tenuta troppo stretta nel suo pugno. Aveva le palpitazioni, il petto gli doleva e si sentiva come se stesse soffocando, e cercò di trarre lunghi respiri per calmarsi sotto lo sguardo sempre preoccupato di Lois. Riconosceva i sintomi di un attacco di panico, e non era esattamente ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
    «Jon. Jon… ehi, piccolo… respira».
    Jon aveva visto le labbra di sua madre muoversi, ma ci aveva messo molto più di quanto avrebbe voluto per capire che gli aveva detto qualcosa e che si era alzata per accomodarsi accanto a lui e poggiargli una mano dietro la schiena, massaggiandola. Non sapeva se la parte umana di lui avesse preso il sopravvento, ma fino a quel momento non avrebbe mai pensato che un kryptoniano avrebbe potuto avere la nausea e le vertigini. Da bambino gli era successo, ma a quel tempo i suoi poteri erano instabili e non aveva mai avuto un vero e proprio controllo su di essi. Adesso, esattamente come un bambino smarrito, non riusciva a fare altro che guardare sua madre senza sapere cosa dire.
    «Possiamo… fare due passi?» riuscì a dire, con addosso la sensazione di star per perdere il controllo della situazione. Aveva persino cominciato a sudare, e lo stomaco gli si era chiuso al solo pensiero del discorso che lui stesso aveva cercato di avere.
    Lois lo osservò per un istante e annuì comprensiva, chiedendo il conto prima di pagare e invitare lei stessa il figlio a seguirla; attraversarono la strada per incamminarsi verso Centellian Park e restarono in silenzio per quelli che furono attimi interminabili, nessuno dei due pronto a dire anche una sola parola. L’unica cosa che si sentiva era il chiacchiericcio delle persone che passeggiavano nel parco, il cantante e degli uccelli e qualche artista di strada che suonava i suoi strumenti, e Lois aveva passato il tempo a squadrare Jon come se avesse voluto soppesare la sua postura. Non lo aveva mai visto così sulla difensiva nemmeno in passato. Aveva le spalle curve e guardava ostinatamente le sue converse rosse, con le mani ficcate nelle tasche dei jeans e i capelli scompigliati che gli ricadevano sugli occhi. Lo aveva visto mogio quando aveva accidentalmente usato i suoi poteri da bambino, quando avevano dovuto trasferirsi a Metropolis abbandonando Hamilton e quando era stato spaventato dai suoi cambiamenti durante la pubertà, ma questo… questo era del tutto diverso.
    Superarono la statua di Superman al centro del parco e Lois ebbe quasi l’impressione che Jon avesse trattenuto il fiato, ma non fece domande; si fermarono non molto tempo dopo nei pressi del ponte e osservarono il fiume sottostante che scorreva placido, trasportando qualche foglia caduta dagli alberi; i loro riflessi si guardavano l’un l’altro, e Lois poté benissimo vedere il modo in cui Jon aveva serrato la mascella anche senza doversi girare verso di lui per guardarlo. Aveva però stretto una mano sul legno lavorato del ponte, e dovette poggiare la propria sul suo dorso per fargli allentare la presa, visto che il legno aveva cominciato a creparsi.
    «Era da un po’ nel volevo dire una cosa a te e a papà». Jon soffiò quelle parole di punto in bianco, lo sguardo fisso sulle foglie che galleggiavano sul pelo dell’acqua e su qualche fiore che si staccava a sta volta dai rami. «Ma non so come… non sono come potreste reagire».
    Stavolta Lois si preoccupò davvero e le sue sopracciglia si aggrottarono, facendo scivolare la mano lungo il braccio del figlio fino a poggiarla sulla spalla. «Cosa c’è, Jon?»
    «Io…»
    Jon deglutì sonoramente più e più volte, dovendo allentare la presa sul legno poiché un pezzo gli rimase in mano e non voleva distruggerlo a causa del proprio nervosismo. Aveva ripreso a sudare freddo e il suo corpo era scosso dai tremori, il mondo sembrava aver cominciato a muoversi a rallentatore e persino il frullo del battito d’ali degli uccelli del parco sembrava essersi arrestato del tutto; la gola era così riarsa che gli sembrava di avere manciate intere di sabbia in bocca, masticandone i granelli tra i denti nel tentativo di riprendere fiato. Il suo cervello mandò immediatamente ai suoi nervi l’impulso di infilare la mano in tasca e di inviare un messaggio a Damian, ma la voce del suo amico nella testa suonava rassicurante e lo spronava a fidarsi del suo cuore, a continuare ad aprirsi a sua madre, anche se in quel momento la sabbia aveva lasciato spazio a grossi batuffoli di cotone che faceva fatica ad ingoiare.
    Era stata una pessima idea. Una stupida e pessima idea. Avrebbe dovuto aspettare la prossima cena di famiglia, forse persino una rimpatriata a Smallville durante il mese della mietitura, con tutti i Kent presenti e anche suo padre e… no. Forse non sarebbe riuscito a spiccicare una parola davanti a tutti, visto che già con sua madre si stava rivelando così difficile. Poteva già immaginare la sua espressione sgomenta, quindi con quale coraggio avrebbe potuto parlarne a suo padre, i suoi nonni, a Conner e a Chris e Kara? Non aveva idea di come avrebbero reagito alla notizia, a cosa quella rivelazione avrebbe potuto comportare all’interno della famiglia o se avessero cominciato a guardarlo con occhi diversi, e aveva paura di vedere gli occhi di sua madre spalancarsi inorriditi. Damian aveva provato a rassicurarlo dicendogli che lo capiva, che comprendeva bene le difficoltà e il disagio di parlare di cose importanti con la propria madre e che Lois in fin dei conti era una donna intelligente, quindi Jon non avrebbe dovuto preoccuparsi di cose del genere. Allora perché tutto il suo corpo si era messo sulla difensiva e non faceva altro che gridare “Vattene”? In un lontano angolo della sua mente, Jon pensò persino che avrebbe preferito essere in giro a pestare delinquenti e a fermare invasioni aliene piuttosto che essere lì insieme a sua madre.
    «Sono bisessuale», disse infine dopo aver tratto un lungo respiro. E se da un lato si sentì con sé si fosse tolto un enorme peso dallo stomaco e le sue gambe tremarono a tal punto che se non avesse usato un po’ i suoi poteri sarebbe sicuramente caduto, dall’altro il silenzio che seguì lo destabilizzò per un momento che gli parve un secolo.
    Il silenzio era una cosa buona? Perché sua madre non diceva nulla? Aveva rinserrato la presa sulla sua spalla e Jon poteva vedere il modo in cui lo fissava attraverso il riflesso distorto che gli restituita il fiume sottostante, ma non sentirla proferire parola fu così terrificante che quasi ebbe l’impulso di volare via e… Jon sgranò gli occhi quando le esili braccia della madre lo attirarono in un abbraccio e lei lo strinse al suo petto come quando era bambino, le dita di una mano intrecciate fra i suoi capelli e un sorriso premuto contro la spalla. Di tutti gli scenari che si erano fatti largo nella sua testa, quello era stata la più bassa delle probabilità e si vergognava ad ammetterlo.
    «Grazie per esserti fidato di me e per avermelo detto, tesoro». La voce di sua madre era una carezza contro la sua pelle, e Jon deglutì, sentendo le spalle meno rigide.
    «Non… non sei arrabbiata?» pigolò nel tastare il terreno. Era assurdo come avesse la forza di mille uomini per far fuori un intero esercito di invasori alieni, ma si sentisse completamente vulnerabile fra le braccia di sua madre in quel momento.
    Lois allontanò il viso solo per poterlo guardare negli occhi, le mani stabili nuovamente sulle sue spalle. «Perché avrei dovuto?» chiese, e Jon si morse il labbro inferiore.
    «Io… non lo so, credevo…»
    «La tua nascita è stata la cosa più bella e straordinaria che sia mai capitata a me e a tuo padre, Jon». Lois sorrise, sollevandosi sulle punte dei piedi per potergli baciare la fronte prima di guardarlo di nuovo negli occhi. «Chiunque amerai, che sia esso uomo o donna, non cambierà l’affetto che nutriamo per te. Sei nostro figlio, il nostro ragazzo», gli poggiò una mano sul viso, carezzandogli una guancia col pollice con movimenti concentrici e precisi. «Non potremmo mai smettere di amarti solo perché sei te stesso. Siamo fieri di te e ti sosterremo sempre».
    Jon non avrebbe voluto farlo, tentò di resistere e sbatté più volte le ciglia nel tentativo di non piangere, ma gli occhi gli si riempirono di lacrime e stavolta fu lui stesso ad abbracciare con impeto la madre, scusandosi tra i singhiozzi quando lei gli disse di allentare un po’ la presa prima di ricambiare. E fu solo a quel punto che Jon si sentì più sereno, amato e apprezzato per chi era e per chi sarebbe stato, e tutta la sua preoccupazione si sciolse finalmente come neve al sole, lasciando spazio al piacevole calore materno contro cui si stava scaldando.
    Sarebbe andata bene, sarebbe stato bene; i suoi genitori lo amavano incondizionatamente senza vincoli o imposizioni, e Jon voleva attingere a quell’amore e abbeverarsene alla fonte come un assetato dopo la folle ricerca di un’oasi. Sua madre gli voleva bene, nulla sarebbe cambiato e ogni cosa si incastrava perfettamente al suo posto; Damian stesso aveva provato a rassicurarlo e gli aveva sussurrato una frase prima di partire, una frase in arabo che sulle prime Jon non aveva capito a causa del nervosismo che gli aveva attanagliato l’animo fino a quel momento, ma adesso ne comprendeva appieno il suo significato e non poteva essere più grato all’amico per quelle parole.
    “Qualunque cosa deciderai di fare, spetterà solo a te. Il tuo cuore è la tua guida.
 




_Note inconcludenti dell'autrice
Ennesima storia scritta per l#200summerprompt indetta dal gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom
Doveva essere una cosa allegra, ma l'argomento è quello che è quindi c'è un po' di magone soprattutto da parte di Jon, perché per quanto sua madre gli voglia bene, sta pur sempr per dirle apertamente la sua sessualità e vuole prendere l'argomento con le pinze. Però per la maggior parte è fluffuosa e devo ammettere che questa storia è stata un po' la mia rivalsa al coming out che gli hanno fatto fare nel fumetto (davvero insulso e poco curato, una roba che non mi sarei mai aspettata), inoltre la frase finale di Damian (Il tuo cuore è la tua guida) è un vero e proprio detto arabo
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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