Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: blackjessamine    18/09/2022    6 recensioni
È una verità universalmente riconosciuta che i maghi non sappiano nulla di leggi economiche. Tuttavia, Gilderoy Allock una cosa la sa: in un mercato stagnante e chiuso come quello dell'editoria magica non c'è posto per due regine.
Per questo Queenie Royal, la misteriosa autrice capace di fare impazzire ogni strega con i suoi libri d'amore, rappresenta una minaccia pericolosissima per chiunque voglia indossare una corona d'inchiostro.
Una minaccia resa ancor più pericolosa dal suo essere invisibile, dal momento che nessuno, nemmeno gli editori più scaltri, sembrano aver mai posato lo sguardo su questa gallina dalle uova lilla.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gilderoy Allock, Kingsley Shacklebolt, Rita Skeeter, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 

Una buona ragione per infrangere le promesse




 

Se quella giornata fosse stata un romanzo – un romanzo qualsiasi, anche una robetta scadente e dimenticabile – il capitolo si sarebbe concluso esattamente così. 

Un luogo magnifico, il bacio perfetto, e poi una lunga pagina bianca, per permettere al lettore e ai personaggi di tirare un po’ il fiato, di raccogliere i sentimenti e di tornare nel capitolo successivo con una vita riordinata, con il cuore disteso e tutta la chiarezza mentale per dispiegare una situazione già appianata. 

Ma la vita, ahimé, era ben lontana dalla pulizia di un romanzo, e a un primo bacio perfetto seguiva, inevitabilmente, il momento del distacco e dell’imbarazzo. 

Perché sì, forse Gilderoy avrebbe anche voluto continuare a baciare Kingsley all’infinito, ma venne comunque il momento in cui i baci dovettero terminare, e allora restò solo un silenzio da cercare di riempire. 

Che cosa ci si dice quando per giorni ci si è avvicinati, giocando sul filo dell’ironia e facendo minuscoli passi avanti, per poi arrivare a scambiarsi un bacio come quello?
Gildeory non lo sapeva.

Gilderoy era abituato solamente a incontri privi di importanza, rapporti consumati in fretta dopo essersi scambiati solo bugie. In quegli incontri c’erano solo poche parole, e quasi tutti finivano con un pulito incantesimo di memoria: non aveva senso perdere tempo con carinerie e chiacchiere.
Con Kingsley, però, era diverso. Con Kingsley, Gilderoy voleva che fosse tutto diverso: si conoscevano, almeno un po’,  e Gilderoy voleva che quello fosse solo l’inizio di qualcosa. Ma per essere l’inizio di qualcosa, era necessario sbloccare quella situazione piena di imbarazzi. 

Gilderoy si voltò appena: Kingsley era disteso sulla schiena, si sosteneva sui gomiti e fissava con una piega concentrata in mezzo alla fronte il cielo. 

Gilderoy stava per fare una battuta – non una delle sue battute più brillanti, dovette ammetterlo – su quella piega concentrata, ma Kingsley lo precedette.

“Gatsby?”
Anche Gilderoy sollevò lo sguardo e si rese conto che, sì, un rapace stava planando placidamente verso di loro – per quanto placida potesse essere la planata di rapace: a Gilderoy non piaceva trovarsi dal lato della preda, non gli piaceva per niente, nemmeno se il pennuto in questione era un gheppio con cui nei giorni scorsi aveva quasi imparato a fare amicizia. 

Eppure, Gatsby non ebbe un solo atteggiamento minaccioso.
Strofinò il capo contro le dita di Kingsley, che lo carezzava con infinita tenerezza, e lanciò anche uno sguardo a Gilderoy che sembrava voler dire sì, ho visto anche te, e no, nemmeno oggi ho voglia di cavarti gli occhi ad artigli nudi. 

Incoraggiante, insomma. 

Presto Gatsby si stancò di farsi coccolare, e allungò semplicemente la zampa per porgere a Kingsley un minuscolo foglietto. Un foglietto che in realtà si rivelò essere una strisciolina di pergamena lunga e sottile, piegata a fisarmonica infinite volte.

Con la fronte sempre più aggrottata, Kingsley spianò pazientemente la pergamena, piega dopo piega. Gilderoy fremette: sapeva che spiare la corrispondenza altrui era da maleducati, ma la normale curiosità che in qualsiasi situazione lo avrebbe spinto ad allungare casualmente un occhio oltre la spalla dell’uomo non faceva che crescere davanti a quel singolare modo di scrivere messaggi. Insomma,  non resistette e si chinò spudoratamente in avanti per poter vedere meglio. 

Kingsley non se la prese, anzi, allungò un pochino le braccia per fare in modo che lui potesse vedere meglio.

Quando anche l’ultima piega fu sul punto di dispiegarsi, la pergamena schizzò via dalle mani di Kingsley, si sollevò a mezz’aria e, con grande stupore dei due uomini, si produsse in quello che era senz’ombra di dubbio il verso volgare che avrebbe fatto quel simpaticone di Pix nei suoi momenti migliori. Nel bel mezzo del loro sbigottimento, la pergamena prese fuoco. 

“Ma che cosa…”
Lo sconcerto di Gilderoy, se possibile, non fece altro che aumentare quando Kingsley, invece di indignarsi come sicuramente avrebbe fatto lui, scoppiò in una fragorosa risata. 

Davanti all’incertezza di Gilderoy, Kingsley si affrettò a dare una spiegazione che, in tutta onestà, non fece che spiazzarlo ancora di più:

“Be’, hai appena conosciuto mio nipote Mortimer”.

“Tuo nipote? Hai un nipote? Che vuole darti fuoco?”

Kingsley rise ancora più forte, spazzando via con la mano i rimasugli di cenere che gli sporcava i pantaloni. 

“Non ho un nipote, ne ho due, a dire il vero: Mortimer e Marigold. Hanno otto anni, sono gemelli, ma sono molto diversi… Marigold non avrebbe mai cercato di darmi fuoco. Credo”. 

Kingsley non aveva mai parlato della sua famiglia, se non per rari accenni alla falconeria. Era pur vero che Gilderoy non aveva mai fatto molte domande in proposito, perché aveva paura che se il discorso avesse preso quella piega, lui avrebbe dovuto ricambiare parlando della propria famiglia, e non aveva la minima voglia di dover cominciare a parlare di origini babbane e di screzi e di come i rapporti si fossero logorati e assottigliati così tanto da essere diventati qualcosa di inesistente. 

“E perché Mortimer dovrebbe volerti dare fuoco, invece?”
La curiosità, comunque, era più forte della ritrosia, e così Gilderoy decise di buttarsi. 

“A dire il vero, credo che sia per colpa tua”.

Per colpa mia?”

Una situazione più paradossale Gilderoy non credeva di averla mai vissuta.

“Non proprio tua tua. O almeno, lui non sa che la colpa sia tua, ma insomma, questa mattina, prima di raggiungerti, mia sorella mi aveva invitato a pranzo da loro. Mortimer non deve aver preso granché bene il mio rifiuto”. 

Gilderoy, inevitabilmente, si ritrovò a sorridere. Gli piaceva immaginare Kingsley intento a scegliere Gilderoy nonostante le minacce di un ragazzino di otto anni. 

“Mi sento quasi lusingato. Quasi. Ma, insomma, sei un Auror, non dovresti punire i marmocchi che fanno magie fuori da Hogwarts?”
Kingsley, invece di risentirsi, non fece altro che sorridere. Un sorriso un po’ compiaciuto e fiero: era un sorriso tutto nuovo, che Gilderoy non gli aveva mai visto in viso, ma che comunque gli donava. 

“È ancora piccolo per andare a scuola, quindi queste sono solo magie involontarie. Non posso certo arrestarlo solamente perché ha moltissimo talento!”

Sorrise anche Gilderoy: quel ragazzino aveva davvero del talento, perché non era da tutti saper incanalare con tanta fantasia e precisione la propria magia prima ancora di impugnare una bacchetta. Lo stesso Gilderoy non era certo di essere stato in grado di fare la stessa cosa, a otto anni. Non che ci avrebbe mai provato, del resto: lui era molto meno volgare, anche da bambino, ma non era quello il punto. 

“Deve aver preso tutto dallo zio, un certo Mister-Recluta-Coi-Punteggi-Migliori, vero?”

Kingsley scoppiò a ridere, la testa gettata all’indietro in un movimento così spontaneo che, per qualche motivo, quasi commosse Gilderoy.

“In realtà è Marigold quella che mi somiglia di più, Mortimer è tutto sua mamma”.

“Ah, e sua mamma non avrebbe potuto prendere il punteggio più alto fra tutte le reclute?”
Gilderoy si ritrovò ad essere incuriosito dalla famiglia di Kingsley. Aveva intuito che Kingsley aveva voglia di parlarne, ma probabilmente aveva capito che Gilderoy non avrebbe ricambiato con altrettanti racconti, e andava bene così. 

“Se avesse voluto, credo che mia sorella si sarebbe mangiata a colazione i miei punteggi in Accademia”.

“E non ha voluto?”
Kingsley ride di nuovo, fissando le poche nuvole sparse in quel cielo improvvisamente estivo.

“No. Ha preferito prendere dodici Eccezionale ai M.A.G.O. con un pancione che riempiva tutta la Sala Grande, e poi ha preferito continuare a mandare avanti l’allevamento di famiglia”.

Gatsby, quasi si fosse sentito preso in considerazione da quell’ultima affermazione, fece schioccare il becco.

“Non dev’essere stato facile”, si ritrovò a mormorare Gilderoy, cercando di nascondere un brivido d’orrore: se già l’idea di avere degli esseri umani in versione piccola e incompleta eternamente attaccati alla veste lo terrorizzava, pensare di averne due a diciassette anni era una specie di incubo.

“No, in effetti no, ma credo che lei sarebbe in grado di diventare Ministra in sei mesi, se si impegnasse”. 

La genetica doveva essere stata particolarmente generosa con i membri della famiglia Shacklebolt, si ritrovò a pensare Gilderoy. Forse aveva anche un po’ di curiosità nei confronti di questa energica sorella, anche se era decisamente, decisamente troppo presto per pensare di fare la conoscenza con qualche membro della famiglia di Kingsley. Soprattutto un membro dotato di due appendici umane sotto i dieci anni. 

“E tu quanti mesi impiegheresti per diventare Ministro?”
Ministro Shacklebolt: non suonava poi così male. Anche Ministro Allock aveva un che di allettante, ma Gilderoy si sentiva troppo giovane per buttarsi in politica. Un giorno, magari, quando la sua carriera si fosse consolidata completamente e fosse stata pronta a resistere a qualsiasi colpo del destino. Quando il suo ruolo nella società si fosse fatto più pressante e la fiducia in lui si fosse diffusa in modo capillare in ogni strato della popolazione, allora sì, perché no, avrebbe potuto raggiungere un diverso tipo di fama.

"Non credo che la politica sia la mia strada", tagliò corto Kingsley, con una risata appena trattenuta.

“Troppi compromessi e troppi riflettori puntati addosso… no, non fa per me”.

“Eh sì, molto meglio stare in un angolo al buio, hai proprio ragione”, mormorò Gilderoy, un po’ irritato e un po’ sarcastico. Come qualcuno potesse rinunciare a un ruolo di prestigio solo a causa delle attenzioni conseguenti a un tale ruolo restava per lui un insondabile mistero.

“Sì, in effetti sì, preferisco decisamente stare al buio e fare il mio lavoro in pace. Del resto, così ho dei benefici che nessuna carriera politica potrebbe darmi”.

“Tipo?”
Gilderoy non riusciva a immaginare quei benefici nemmeno concentrandosi terribilmente, ma quando Kingsley chinò la testa di lato, fissandolo con un’intensità in grado di fargli dimenticare anche la terribile sensazione dei suoi piedi costretti in quegli orribili scarponcini, la sua concentrazione svanì completamente.

“Tipo passare la domenica in compagnia dello scrittore migliore di tutto il Regno Unito. Tu sei già fin troppo famoso, se io fossi un politico in vista probabilmente non riusciremmo a passare inosservati neanche in mezzo ai babbani, e la cosa mi sembrerebbe davvero terribile”.

Gilderoy resistette giusto un istante per poter mormorare, confuso, un laconico che importa la tua fama? Io sono abbastanza famoso per tutti e due prima di cedere e scivolare in avanti ad incontrare di nuovo le labbra di Kingsley. 

 

Gilderoy avrebbe scommesso che in quell’angolo di paradiso ricavato da una strega eccentrica sul fianco della montagna il sole avrebbe continuato a brillare in eterno, senza tramontare mai, ma l’evidenza dei fatti dovette troppo presto smentirlo. 

Kingsley aveva evocato tutto il necessario per un picnic in piena regola – e Gilderoy si era ritrovato ad apprezzare l’accortezza che vedeva la stoffa della tovaglia cerata intonarsi al rivestimento del cestino di vimini. Avevano pranzato serenamente, e Gilderoy non aveva nemmeno ritenuto necessario calcolare la quantità di carboidrati ingeriti, dal momento che aveva fatto fin troppo esercizio fisico (e altrettanto ne avrebbe dovuto fare per discendere da quella maledetta montagna). 

Avevano pranzato, avevano chiacchierato, avevano scoperto quanto fosse comoda una tovaglia dal fondo cerato per sdraiarsi sul terreno umido a osservare le nuvole cambiare forma nel cielo e poi a stringersi fino a non vedere altro oltre le ciglia l’uno dell’altro. 

E poi le ombre si erano fatte morbide e sempre più lunghe, il tepore del sole aveva lasciato posto a un’aria sempre più fresca e la luce aveva cominciato a farsi sempre più fioca.

Gilderoy non avrebbe voluto, davvero non avrebbe voluto, ma si trovò costretto a sollevarsi a sedere, a passarsi una mano fra i riccioli irrimediabilmente rovinati – e quanto poco gli dispiaceva che a rovinarglieli fosse stato proprio Kingsley – e a dire:

“Non credi sia arrivato il momento di metterci in marcia? Intendiamoci, mi piace molto come stiamo passando il tempo ora, ma mi sembra ci sia sempre meno luce, e non credo sia particolarmente sicuro scalare una montagna in piena notte”. 

Kingsley si sollevò a sua volta, e gli lanciò uno sguardo che Gilderoy non seppe subito identificare: era forse ironia, quella che gli illuminava il viso?
“Ah, quindi la passeggiata ti è piaciuta così tanto che vuoi ripeterla anche al ritorno?”

“Cosa? Kinglsey, davvero, questo posto è bellissimo, ma non mi sembra proprio il caso di metterci a campeggiare qui, che dici?”
Gilderoy poteva farsi andare bene una scarpinata sui monti, poteva accettare quegli abiti orrendi e pure il pranzo trascorso con il sedere per terra, ma per la notte pretendeva un bagno caldo, delle lenzuola profumate di bucato attorno al corpo e soprattutto un tetto sopra la testa.

“No, dico, pensavo avresti preferito materializzarti direttamente a casa”. 

Il cuore di Gilderoy saltò un battito. 

“Materializzarci direttamente… mi stai dicendo che da qui ci si può materializzare? Non ci sono barriere magiche?”
Kingsley scosse il capo, il divertimento decisamente padrone della sua espressione, questa volta. 

“No, certo che no. Si può arrivare e partire come si vuole”.

“Quindi…” Gilderoy scelse con cura le parole, cercando di tenere a bada l’irritazione “...quindi mi stai dicendo che mi hai fatto vestire come un… uno stoccafisso babbano dal pessimo gusto e mi hai fatto scarpinare per niente?”
“Non direi proprio per niente…” Kingsley sorrideva apertamente, ed era così soddisfatto che Gilderoy fece fatica a mantenere la presa sulla propria irritazione.

“Insomma, questo posto si apprezza molto di più se si fatica un pochino per raggiungerlo, te lo assicuro. Se ti avessi portato direttamente qui, ti saresti perso metà della magia”. 

Una minuscola parte di Gilderoy voleva dargli ragione, perché in effetti senza il contrasto con il terreno brullo che circondava il sentiero quel giardino inaspettato non avrebbe avuto la stessa capacità di stupirlo, ma non era disposto ad ammetterlo ad alta voce. 

“Sei impossibile, Auror Shacklebolt. Sei davvero impossibile!”
“Posso farmi perdonare in qualche modo?”
A Gilderoy venivano in mente almeno dieci modi diversi in cui Kingsley avrebbe potuto farsi perdonare, ma tutti erano del tutto inadatti a un luogo pubblico, per quanto appartato.

Così Gilderoy si limitò a pretendere che Kingsley trasfigurasse di nuovo i suoi abiti nel bel completo che aveva scelto quella mattina, per poi porgere il braccio all’Auror e declamare, perentorio:
“Io non ho intenzione di muovere un muscolo, quindi a casa mi ci riporti tu con una Materializzazione Congiunta, così impari a prendermi in giro!”
E quando Kingsley invece di limitarsi a stringergli il braccio lo avvolse in un abbraccio caldo e accogliente, un abbraccio così saldo e sicuro da rendere quasi piacevole la sensazione di essere risucchiato in quel non-spazio che era la Materializzazione, Gilderoy seppe con estrema certezza due cose. 

Seppe che non avrebbe potuto fare scelta migliore, quando aveva deciso di ascoltare la voce di Kingsley Shacklebolt. 

E seppe che non sarebbe mai stato in grado di rispettare la promessa che aveva fatto a Septimus. 







 

 


 

Note: 

So di non avere assolutamente nessuna giustificazione per questo ritardo, e mi dispiace.
Ma, davvero, credetemi quando dico che le cose, anche volendo, non avrebbero potuto andare in maniera diversa. In ogni caso, non ho alcuna intenzione di abbandonare la storia, e anzi, sono sempre più determinata a portarla a termine. Insomma, non posso garantire che i prossimi aggiornamenti saranno più rapidi, ahimé, ma posso garantire che degli aggiornamenti ci saranno. 

Mi rendo conto che questo capitolo è molto breve e mette sul fuoco davvero poca carne, ma inizialmente avevo stabilito di fargli prendere una piega molto diversa che mi avrebbe costretta ad allungare e complicare di molto la trama di tutta la storia, ma poi ho riflettuto meglio e ho capito che non è nella natura di questa storia fare un giro così ampio. Anzi, ho già temporeggiato fin troppo, perché credo che avrei dovuto asciugare molto di più alcuni aspetti, ma insomma, ormai quello che è fatto è fatto. 

Mi scuso ancora per il ritardo e ringrazio chiunque avrà ancora voglia di leggere di questa coppia improbabile.

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: blackjessamine