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Autore: blackjessamine    23/10/2022    7 recensioni
È una verità universalmente riconosciuta che i maghi non sappiano nulla di leggi economiche. Tuttavia, Gilderoy Allock una cosa la sa: in un mercato stagnante e chiuso come quello dell'editoria magica non c'è posto per due regine.
Per questo Queenie Royal, la misteriosa autrice capace di fare impazzire ogni strega con i suoi libri d'amore, rappresenta una minaccia pericolosissima per chiunque voglia indossare una corona d'inchiostro.
Una minaccia resa ancor più pericolosa dal suo essere invisibile, dal momento che nessuno, nemmeno gli editori più scaltri, sembrano aver mai posato lo sguardo su questa gallina dalle uova lilla.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gilderoy Allock, Kingsley Shacklebolt, Rita Skeeter, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In bilico



 

Gilderoy era terribilmente stanco. 

E deluso, anche, perché la vita aveva un senso dell’umorismo incredibilmente beffardo, e lui cominciava a sentirsi solamente il bersaglio di un orribile scherzo. Perché non era umanamente possibile – neppure per una persona straordinaria come lui – riuscire a provare nello stesso momento emozioni e pulsioni tanto differenti. 

Gilderoy sentiva di essere felice, voleva essere felice, ed era convinto che difficilmente avrebbe potuto essere così felice immerso in un contesto differente. Era felice perché, all’improvviso, nella sua vita si era allargato un soffio di aria calda che lo aveva investito e riscaldato con una naturalezza che mai avrebbe creduto possibile. 

L’estate era arrivata all’improvviso, sorprendendolo con un vorticare che lo faceva girare e girare e girare per poi ritrovarsi a orbitare sempre e comunque attorno allo stesso asse: Gatsby che becchettava con classe contro il vetro della sua finestra, un biglietto scritto di fretta stretto nel becco. Perché lui e Kingsley, dopo quella domenica trascorsa sul pendio del Coniston Old Man, non erano più stati in grado di perdersi di vista per più di qualche giorno. La loro storia era nata piano piano, con una naturalezza che Gilderoy non avrebbe saputo trovare nemmeno se l’avesse cercata: avevano continuato a darsi appuntamento dopo il lavoro, a cenare insieme, a passeggiare nei quartieri babbani attorno alla casa di Kingsley e a trascorrere ore e ore senza sentire il bisogno di uscire in casa di Gilderoy. 

Era stato facile, una sera, dare a Kingsley il suo indirizzo di casa e chiedergli di fare in modo che le magie difensive non funzionassero, contro di lui. Era stato facile, nonostante Kingsley fosse la prima persona, dopo Septimus, a varcare quella soglia: semplicemente, Gilderoy era stanco di continuare a vedere regolarmente Kingsley dovendo però scappare a casa. Era stanco del Nottetempo ed era stanco di dover trovare ogni volta una scusa per non materializzarsi nell’appartamento dell’Auror. Un collegamento tramite Metropolvere tra il minuscolo camino di mattoni dell’appartamento di Kingsley e l’ampio camino smaltato di bianco del soggiorno di Gilderoy aveva risolto ogni problema. 

Era stato facile cominciare lentamente a fare affidamento su Kingsley e scoprire che, nonostante tutto, per loro era possibile un’abitudine: avevano vite completamente diverse, orari diversi e ritmi che sembravano non c’entrare nulla l’uno con l’altro, ma ritagliarsi almeno una sera alla settimana per cenare insieme era uno sforzo che compivano entrambi senza troppe difficoltà, mossi da un sentimento sincero. 

 

Eppure, a quella felicità appena accennata, che sapeva di inizi e di promesse, si contrapponeva un sottile filo di apprensione che ogni giorno si intrecciava a un nuovo motivo di preoccupazione, crescendo e gonfiandosi fino a diventare un cappio che gli stringeva il collo e minacciava di togliergli l’aria. 

Gilderoy viveva nel terrore che la loro storia venisse alla luce e facesse crollare ogni cosa. Aveva paura di aprire un giornale e trovarsi a fissare parole di scherno nei loro confronti – già immaginava quanto avrebbe potuto essere affilato il pennino di Rita Skeeter davanti a uno scoop così scabroso. Aveva paura che la verità gli esplodesse tra le mani, aveva paura che tutto improvvisamente svanisse, aveva paura di finire sotto l’occhio impiccione e bigotto di una società che certe cose forse non le avrebbe mai capite.
E aveva paura che la sua paura rovinasse ogni cosa con Kingsley.

 

Era una discussione nata con leggerezza una sera, quando Gilderoy se ne stava con i gomiti appoggiati sul davanzale della finestra dell’appartamento di Kingsley, tutto preso a osservare il tramonto riempire il brutto cortile pieno di cemento e automobili di colori meravigliosi. 

Kingsley era comparso dalla cucina reggendo fra le mani un bicchiere di vino per sé e una spremuta d’arancia per Gilderoy. Si era insinuato al suo fianco, e in qualche modo era riuscito a far stare anche le sue spalle larghe all’interno del confine della cornice della finestra. A Gilderoy era venuto naturale dapprima sollevarsi in punta di piedi per rubargli un bacio prima che le sue labbra sapessero di vino, e poi ritrarsi, spaventato dall’avventatezza del gesto in un punto così esposto della casa.

“Che c’è? Non dirmi che devo cambiare di nuovo rasoio, perché davvero, credo che le mie guance non siano così lisce da quando avevo nove anni”.

Gilderoy fece un gesto impaziente: adorava il pizzicore che gli restava sul viso quando Kingsley era di riposo e non si radeva il viso, ma da quando un mattino si era rifiutato di baciarlo poco prima di presentarsi a un servizio fotografico di capitale importanza per non rischiare di farsi immortalare con il viso troppo irritato, Kingsley non aveva mai smesso di prenderlo in giro. 

Il che sarebbe anche stato divertente, se solo non ci fossero state in ballo questioni decisamente più urgenti. 

“Non essere sciocco, il problema è che prima la tua vicina mi ha fatto un cenno di saluto”.

Il sopracciglio inarcato di Kingsley era abbastanza eloquente.
“E quindi, mi sembra di averti già detto che dovresti inventarti un incantesimo per fare in modo che i vicini guardando in su vedano solo delle tende tirate!”
Kingsley bevve un altro sorso di vino, senza alcuna fretta.

“Ma io ho già delle tende, delle tende vere”.

Gilderoy sbuffò, cercando di non pensare al poliestere celeste che pendeva floscio ai lati della finestra.

“Sì, hai delle tende orribili, e per di più ti ostini a tenerle aperte”.

“Mi sembrava di aver capito che anche a te piacesse il tramonto, da qui”.

Gilderoy ritenne più saggio non specificare che il tramonto rendesse solo un poco più tollerabile la desolazione babbana in cui Kingsley si ostinava a vivere. 

“Appunto! Non sei mica un vampiro, non ti puoi sigillare qui dentro anche d’estate. Quindi, se tu ti dessi da fare con un maledetto incantesimo…”
“Ma il punto di vivere qui con i babbani è proprio non fare incantesimi. Devo imparare a vivere come loro, no?”
Gilderoy sospirò, leggermente esasperato. Kingsley non viveva esattamente come un babbano – lo dimostrava il barattolo di Polvere Volante sopra il camino, o il fatto che Gatsby andava e veniva a suo piacimento dalla finestra della camera da letto, o ancora la facilità con cui Kingsley eseguiva ogni incantesimo di economia domestica, così da non sprecare nemmeno un secondo del suo poco tempo libero. E il fatto che vivesse in un quartiere completamente babbano era certamente un bene, perché il rischio di imbattersi in altri maghi che avrebbero potuto riconoscerlo e cominciare a fare domande sulla sua frequentazione era nettamente ridotto. 

“Sì, ma se potessi evitare di far sapere a tutti i tuoi vicini che io e te ci vediamo così spesso per… per fare quello che facciamo, sarei decisamente più sollevato”.

Kingsley questa volta si allontanò di un passo, posando il bicchiere di vino sul tavolino del soggiorno.

“Loro non ti conoscono, non potrebbero rovinarti la carriera”.

“Non è questo il punto, e lo sai”.

Era una discussione a cui avevano già girato attorno qualche volta, ma che non avevano mai avuto il coraggio di seguire fino in fondo, forse perché entrambi erano consapevoli che avrebbero rischiato di andare incontro a qualche piccolo contrasto.

“E quindi il punto qual è? Che anche se tu non fossi famoso dovremmo fare comunque finta di non frequentarci?”
Era esattamente quello che Gilderoy intendeva, ma pronunciarlo ad alta voce faceva sembrare la cosa molto più fredda di quanto non fosse in realtà.

Gilderoy non si era mai trovato nella condizione di non essere famoso: anche da ragazzino, tutti i suoi sforzi erano sempre stati rivolti a costruirsi un ruolo nella società, e anche quando l’interesse per i ragazzi era solo qualcosa di nebuloso e confuso, a cui non aveva nemmeno tempo di dedicarsi, lui aveva sempre intuito che mantenere segreto il suo orientamento fosse la scelta migliore. Niente battutine alle spalle, niente risate, niente spintoni  e insulti sussurrati all’orecchio. Niente porte in faccia, niente stigma da portare addosso, niente sguardi scandalizzati o disgustati. 

“Il punto è che così sarebbe tutto più facile e tranquillo. Per me, ma anche per te. Credi davvero che la vecchia del primo piano continuerebbe a sorriderti come fa di solito, se ci vedesse insieme?”
Kingsley si strinse nelle spalle.

“Se la signora Miller sentisse il bisogno di non sorridermi più solo perché ho voglia di stare davanti alla finestra mentre ti bacio, il problema è solo suo”.

Ma era una bugia: il problema non era solo della signora Miller. Perché Kingsley ai sorrisi della signora Miller avrebbe anche potuto rinunciare, ma insieme a quei sorrisi sarebbe scomparsa la fiducia, sarebbero arrivati i sussurri maligni, le voci, i problemi sul lavoro…

“A quante persone lo hai detto?”, chiese poi Gilderoy, a bruciapelo.

“Di noi?” 

La voce di Kingsley aveva una circospezione tutta nuova: Gilderoy sapeva che Kingsley non voleva ferirlo, ma era ovvio che la loro storia non avesse così tanta importanza perché lui ne parlasse a chicchessia. 

“Non di me me, sciocco. A quante persone hai detto che comunque nella tua vita ci sarà solo un Gilderoy, o un Anthony, un Charles o chi ti pare, e non certo una Janet o una Mary?”
Kingsley non rispose, non subito. 

Chinò il capo di lato, con una nuova malinconia negli occhi: sembrava aver capito dove volesse andare a parare il ragionamento di Gilderoy.

“Solo a quelle davvero importanti”.

“Quindi, per dire, immagino che al lavoro tu ti sia scordato di ricordare ai tuoi capi e ai tuoi colleghi che preferisci uscire con gli uomini, giusto?”
Un sospiro. 

“Gilderoy, che cosa…”
“È così, vero?”
Un sospiro ancora più profondo. 

“È così, ma…”
“E allora non farmi la predica. Tu puoi anche dire che non ti importa niente di farti vedere dai tuoi vicini, ma è solo perché non ti importa niente dei tuoi vicini. Perché quando le cose si fanno importanti, preferisci anche tu la tua tranquillità”. 

“Forse hai ragione”, la voce di Kingsley era un mormorio roco, gli occhi ardenti puntati su quelli di Gilderoy con la lucidità disarmante che lui faceva sempre fatica a sostenere.

“Forse in alcune situazioni non mi sto esponendo come dovrei, non sto combattendo come sarebbe giusto che facessi… però, ecco, non ho mai creduto di voler tacere per sempre. Forse… forse credevo fosse giusto aspettare di avere accanto una persona per cui valesse la pena combattere, ecco”.

Kingsley non aggiunse e ora quella persona c’è. Non lo aggiunse, e Gilderoy sapeva di non poterlo pretendere, soprattutto quando lui per primo non sarebbe mai stato pronto a esporsi e combattere per quella relazione, ma fece comunque un po’ di male. 

Forse per questo parlò con voce più fredda di quanto avrebbe voluto:
“Be’, allora dire che siamo d’accordo. Non vale la pena di perdere la prudenza, no?”

 

Quella sera Gilderoy era tornato a casa prima del previsto, portandosi dietro la freddezza di quella discussione come un altro giro di quella corda che gli toglieva il respiro, ma evidentemente nessuno dei due sembrava intenzionato a far durare quel malumore più del necessario, perché presto s’erano di nuovo cercati con la solita urgenza, erano stati entrambi più premurosi e affettuosi del solito e avevano semplicemente preso a evitare ogni possibile riferimento ad argomenti simili. Tuttavia, Gilderoy non poteva impedirsi di pensare che ogni giorno trascorso ad avvicinarsi a Kingsley era un giorno in più che lo portava vicino a un disastro da cui sarebbe uscito solamente a costo di affrontare un grandissimo dolore: essere scoperto dal suo pubblico e perdere, insieme alla credibilità, ogni cosa, oppure essere scoperto da Kingsley. Perché Gilderoy poteva anche conoscerlo da poco, ma era certo che una persona come Kingsley non sarebbe mai stata disposta a stare al fianco di qualcuno che aveva basato tutto il proprio successo su menzogne e incantesimi di memoria. Era un dato di fatto: quella storia era un pericolante castello di carte che ogni giorno si faceva più alto e più pericoloso. E più Gilderoy vi fosse rimasto aggrappato, più doloroso sarebbe stato il contraccolpo quando fosse crollato a terra. La cosa migliore sarebbe stata rispettare la promessa fatta a Septimus, staccarsi da Kingsley prima che il loro rapporto diventasse pericoloso e tornare a concentrarsi su ciò che contava davvero. Avrebbe dovuto farlo. Avrebbe proprio dovuto farlo, si ripeteva ogni giorno, e ogni giorno si ritrovava a seppellire quella consapevolezza in fondo al sorriso che gli spuntava in viso quando Gatsby gli portava l’ennesimo bigliettino di Kingsley a cui si ritrovava a rispondere così rapidamente da non preoccuparsi nemmeno delle gocce d’inchiostro che spargeva ovunque.

 

***

 

Gilderoy si stiracchiò appena, allungando il collo e cercando di sciogliere la tensione accumulata in zona cervicale. 

Lavorare a letto era qualcosa che si era sempre vietato di fare, terrorizzato che ciò potesse portarlo a rovinarsi la postura: aveva uno scrittoio che era stato costruito su misura per la sua altezza e la sua schiena, e da anni diligentemente a casa scriveva solo sedendo lì. 

La sera prima, tuttavia, non aveva resistito alla tentazione di stendersi accanto a un Kingsley con la fronte aggrottata e il naso immerso nel voluminoso fascicolo di un caso di cui non aveva voluto parlare – Gilderoy non aveva resistito nemmeno alla tentazione di far scivolare lo sguardo oltre la spalla di Kingsley, ma il fascicolo era stato secretato con un Incantesimo Illeggibile, e i suoi occhi non autorizzati vedevano solo linee confuse  e fuori fuoco. Lavorare avendo la possibilità di allungare appena un piede e sfiorare quello di Kingsley lo ripagava di tutti gli indolenzimenti cervicali. 

Scrivere accanto a Kingsley era qualcosa di completamente nuovo, per Gilderoy: il lavoro di entrambi nelle ultime settimane era esponenzialmente cresciuto – le scadenze per consegnare le bozze dei primi capitoli del manuale si facevano sempre più pressanti, e Kingsley era coinvolto in qualche misteriosa indagine che spesso lo tratteneva lontano da Londra per giornate intere, o lo costringeva a portarsi a casa rotoli e rotoli di deposizioni da analizzare e confrontare – e così, per ritagliarsi comunque del tempo insieme, avevano cominciato a portarsi il lavoro a casa e ad affrontarlo insieme, dopo cena. 

Gilderoy credeva sarebbe stato un disastro: la sua concentrazione, già piuttosto labile normalmente, avrebbe potuto essere messa a dura prova dalla sempre interessante presenza di Kingsley. E invece, con grande sorpresa, Gilderoy aveva scoperto che accadeva proprio il contrario: Kingsley era preciso e meticoloso, sul lavoro, e quando si concentrava sui suoi fascicoli sembrava che il mondo smettesse di esistere. L’intensità della sua concentrazione era tale che sembrava espandersi oltre il confine del suo corpo, influenzando tutto ciò che vi si trovava in prossimità. Compreso Gilderoy, che accanto a tanta concentrazione si ritrovava a immergersi completamente nel lavoro, facendo fruttare quelle poche ore come intere giornate. 

Il che si rivelava particolarmente utile, perché alla fine restava loro sempre un po’ di tempo per mettere via in fretta e furia piume e pergamene e terminare la serata in modi decisamente più piacevoli, proprio come era accaduto la sera prima.

 

Gilderoy si stiracchiò, incapace di trattenere un enorme sorriso quando il suo stiracchiarsi provocò in Kingsley un verso semi-addormentato: l’enorme letto di Gilderoy sembrava essere fatto apposta per contenerli entrambi.

Era solo la seconda volta che Kingsley si addormentava lì – solitamente si salutavano a notte fonda e uno dei due, assonnato e scarmigliato, si gettava nella Metropolvere per tornare a casa sua, almeno fino a quando Gilderoy, in un impeto improvviso, aveva deciso che sarebbe stato decisamente più pratico dormire insieme e salutarsi solo il mattino dopo – ma sembrava che quel lato del letto fosse stato suo da sempre.

Solo una sottile lama di luce grigiastra fendeva le finestre, facendo loro intuire che il giorno stava cominciando e ben presto Kingsley – che di una sveglia non aveva mai bisogno, perché poteva contare su un orologio biologico che infallibilmente lo buttava giù dal letto ogni giorno alle sei del mattino – si sarebbe appropriato per pochi minuti del bagno, preparandosi alla lunga giornata che lo attendeva. 

Gilderoy, che invece di solito detestava svegliarsi presto, rotolò sul fianco, scivolando piano sul rigonfiamento delle lenzuola al suo fianco rappresentato da Kingsley: se lui non riusciva a dormire, allora neanche Kingsley doveva dormire. 

L’uomo aprì gli occhi con un sospiro e un cipiglio confuso, salvo poi rischiararsi non appena mise a fuoco il viso di Gilderoy e aprirsi in uno dei rari sorrisi che riuscivano a rivelare la sua giovane età. 

“Buongiorno…”
Passò una mano fra i capelli di Gilderoy – capelli che sicuramente una piega non l’avevano più, ma che Kingsley sembrava apprezzare comunque – e poi fece scivolare le braccia attorno ai fianchi di Gilderoy, stringendolo in un abbraccio pigro. 

“Come mai così mattiniero?”
Gilderoy si strinse nelle spalle, abbandonandosi contro la solidità di Kingsley: l’unica risposta che gli sembrasse plausibile era un avevo voglia di essere abbracciato, ma pronunciarlo ad alta voce forse sarebbe stato troppo. 

“Non so. Forse non sono abituato a dividere il mio letto con qualcuno”.

Gilderoy lo disse così, con semplicità: non aveva mai parlato a Kingsley della netta linea di demarcazione che aveva sempre posto tra sé e gli altri uomini, delle relazioni fugaci che si concedeva solo raramente, solo a notte fonda e solo quando era certo di poter dimenticare e farsi dimenticare con un colpo di bacchetta preciso. Non aveva mai accennato al fatto che non si era mai concesso una relazione che andasse oltre un primo appuntamento, perché questo lo faceva sentire inesperto e del tutto incapace di essere padrone della situazione – una sensazione su cui non aveva la minima intenzione di indugiare.

“Non sei obbligato a farlo, lo sai, vero? Se non ti va, se ti sembra che stiamo andando troppo velocemente…”
“La tua galanteria è quasi nauseante. Ho cacciato una Banshee, sarei ben in grado di allontanare te, se non ti volessi qui!”
Kingsley rispose solo con un sopracciglio scetticamente sollevato, ma Gilderoy decise di non dargli attenzione e di non indugiare in una dichiarazione che sarebbe stata decisamente più nauseante della galanteria di Kingsley.

“È oggi che hai quel ritiro non-so-dove a fare non-so-che per non-so-quanti-giorni?”
Kingsley era sempre così riservato quando si trattava dei propri impegni di lavoro che Gilderoy non aveva ancora capito nemmeno che cosa riguardasse il caso che lo stava impegnando al momento – e neanche gli importava più di tanto: i maghi oscuri non erano una minaccia pressante, non in quel momento storico, e tutto ciò che gli importava era capire per quanto tempo Kingsley sarebbe rimasto lontano da lui. 

“Tornerò sicuramente entro l’ora di cena di sabato. Ti va di tenerti libero?”
“Dipende”, mormorò pigro Gilderoy, pur essendo in realtà già pronto a spostare qualsiasi impegno potesse avere per quel giorno, “torni entro l’ora di cena, ma hai almeno il tempo di farti una doccia? Non ci esco a cena con un Auror pieno di polvere di cose da Auror”.

Kingsley sorrise, gli occhi accesi di quella malizia che ormai Gilderoy aveva imparato a conoscere e apprezzare. 

“E io che pensavo me lo chiedessi perché volevi essere sicuro di farmi compagnia durante la doccia…”
Gilderoy, per cercare di nascondere il rossore che sicuramente lo aveva invaso assieme al calore che un semplice mormorio roco poteva provocare, si gettò sulle labbra di Kingsley, ben deciso a restituirgli il favore e far avvampare anche lui. 

E proprio quando sembrava che avessero trovato un modo perfetto per occupare il tempo che li separava dalla sveglia biologica di Kingsley, un sonoro crack risuonò a interrompere i loro respiri sempre più affannati. 

Gilderoy, confuso e distratto, non ebbe neanche il tempo di reagire. Kingsley se lo scrollò di dosso quasi di peso, facendolo scivolare sul materasso accanto a sé con un gesto rapidissimo, e in un attimo fu in piedi, la bacchetta stretta saldamente in mano e puntata contro la porta socchiusa della camera da letto.

Era scomparso il ragazzo sorridente, e al suo posto sembrava essersi materializzato l’Auror: tutto, nella sua posa guardinga e salda, esprimeva una forza minacciosa pronta ad esplodere. Poco importava che indossasse solo un ridicolo paio di vecchi pantaloni di un pigiama ricamato con un motivo di boccini svolazzanti: chiunque sarebbe apparso ridicolo, così conciato, ma Kingsley no.

Kingsley non apparve affatto ridicolo quando la porta della camera si spalancò e la sua bacchetta si mosse con una velocità e una precisione che Gilderoy non si sarebbe mai immaginato, emettendo un lampo di luce che travolse l’intruso senza lasciargli alcuna possibilità di difendersi e strappando a Gilderoy uno strillo acuto di sorpresa e paura. 




 

 


 

Note:

Torno ad aggiornare questa storia con un ritardo mostruoso e con un capitolo che in realtà più che un capitolo è un riassunto di quello che avrei voluto scrivere, ma inizio seriamente a pensare che questo sia l’unico modo per portare a termine questa storia.

Mi dispiace davvero: vorrei promettere aggiornamenti più rapidi e sensati per i pochi capitoli rimanenti, ma temo che non sarà così, e anzi, che la situazione potrà solo peggiorare. 

Ringrazio comunque chiunque abbia la pazienza di continuare a seguire questa storia.

 
   
 
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