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Autore: PrimPrime    23/09/2022    0 recensioni
Garlis non riesce proprio a sopportare Ariha, e come biasimarlo?
È un suo nemico, generale dell'esercito contro cui combatte una guerra interminabile, ma c'è dell'altro.
Garlis si porta dentro un dolore che non lo abbandonerà mai, per tutta la durata della sua vita immortale.
L'incontro con Ariha, che gli ricorda inevitabilmente qualcuno del suo passato, cambia la situazione... ma non è detto che sarà un cambiamento in positivo.
"Sono le esperienze che viviamo a renderci ciò che siamo. Di conseguenza, sono i nostri ricordi legati a quelle esperienze a renderci ciò che siamo.
Se non ricordassimo anche solo una parte di ciò che abbiamo vissuto, saremmo senza dubbio persone diverse."
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Parte 4 ✴ La Prima Notte




Più Garlis si allontanava dai suoni e dagli odori del campo base, più il freddo della sera gli infastidiva il viso, ma non gli importava.

Aveva lasciato la corazza nella sua tenda per potersi muovere più liberamente, quindi indossava la sua solita maglietta bianca, morbida e comoda ma pur sempre corredata di spalline e gomitiere in metallo.
In quanto Portatore di Luce era immortale, perciò aveva preferito disfarsi del peso almeno per qualche ora.

Il loro insediamento non era troppo lontano quando si imbatté in un cespuglio di fiori blu. I loro colori si distinguevano a malapena nel buio della notte, svettando sui fili d'erba violacei tipici di quei luoghi.
Si chinò vicino a loro e la luce fioca emanata dal suo corpo li illuminò abbastanza perché potesse avere la conferma che fossero proprio i fiori che Ari amava tanto.

Rimanendo in quella posizione, recuperò dalla piccola borsa che aveva con sé una bacchetta con la punta d'incenso e l'accese, sprigionando lentamente il suo profumo nell'aria.
Non gli servì osservare il ritratto per pensare a lui.
Gli bastava chiudere gli occhi e lui era lì... insieme a un giovane Garlis, ancora ignaro di ciò che lo attendeva.

Ari era morto proprio nelle terre neutrali.
Garlis non lo aveva sentito rientrare la sera prima, e non lo trovò al suo fianco al mattino.
Trattandosi del giorno della sua ascesa, non aveva tempo per pensare a niente se non a prepararsi e farsi trovare pronto, nella piazza.
Ari sapeva che giorno fosse, perciò lui era certo che l'avrebbe trovato lì, tra il pubblico.

Si erano sposati da quattro giorni e il tatuaggio sulla sua mano era ancora fresco.
Garlis sapeva che presto si sarebbero visti, ma non fu così.
In realtà Ari era già morto.

Negli ultimi tempi, il suo vizio di scommettere si era fatto più forte. Scommetteva su qualsiasi cosa, dalle sfide tra guerrieri alle semplici dispute tra amici, per arrivare alle partite a carte o a dadi.
Qualcosa lo rendeva insoddisfatto e lui si sfogava in quel modo.

Garlis se n'era accorto, malgrado lui volesse tenerglielo nascosto, ma non gli aveva detto niente; sapeva che prima o poi Ari gliene avrebbe parlato, o avrebbe smesso. Non era tipo da cacciarsi nei guai.

Quella sera, però, tutto cambiò per sempre.

L'ennesima sfida a cui assistere lo aveva portato fin nelle terre di nessuno, dove qualcosa era andato storto e lui era stato ucciso.
A raccontare i fatti era stato un uomo di passaggio che conosceva Ari e si era fermato, a distanza, a vedere cosa stesse facendo.

Garlis non seppe mai l'identità dei suoi assassini né cosa fosse successo di preciso; e mai lo avrebbe saputo, perché Ariha, che era Ari nel corpo e nell'anima, non ricordava più niente ormai.
Ripensava a lui ogni giorno e il dolore lo straziava ogni volta.

C'erano anche i bei ricordi, carichi di emozioni positive, ma il fatto che l'amore della sua vita gli fosse stato strappato via così, all'improvviso e senza spiegazioni, per rimanere qualcosa di irrisolto nella sua vita infinita, lo dilaniava.
E quando gli era parso di aver iniziato a lasciarlo andare per concentrarsi soltanto sui ricordi belli, era comparso Ariha a rovinare tutto.

Avevano respirato la stessa aria per meno di un'ora e già lo odiava, malgrado amasse con tutto se stesso Ari.
Sembrava che quella missione fosse stata organizzata apposta per lui, per distruggerlo dall'interno.

Sospirò mentre osservava il fumo dell'incenso diffondersi, mischiarsi all'aria fino a esaurirsi, dopodiché appoggiò a terra la bacchetta.
Portò le mani sul viso e si coprì gli occhi, sforzandosi per non piangere.

Continuava a porsi una domanda: Perché? Perché le cose sono dovute andare in questo modo?
Ma non aveva alcuna risposta da darsi.

Degli schiamazzi in lontananza attirarono la sua attenzione. Non venivano dal campo.
Si voltò, allarmato, ma vide che era solo Ariha.
Si era allontanato anche lui per camminare e non era solo. Al suo fianco c'erano due ragazze dai capelli scuri.

Lui parlava, loro ridevano e Garlis si innervosiva a ogni passo che muovevano nella sua direzione.
Poi lo notarono.

Il Portatore di Oscurità, prima ignaro della sua presenza, sorrise in modo maligno e aumentò il passo per raggiungerlo più velocemente.
"Ti illumini al buio, ragazzina... È disgustoso", commentò, facendo ridacchiare le sue accompagnatrici.

Solo in quel momento lui si rese conto che le due ragazze portavano un collare collegato a una catena che terminava nelle mani di Ariha.
La sua espressione, prima triste e stanca, mutò all'istante per diventare severa.
"Sono schiave?" gli chiese, senza girarci intorno.

"Volontarie", rispose il Portatore nemico, sfoggiando un sorriso a mezza bocca. "A loro piace così. Ragazze, tornate al campo, lasciateci parlare da soli..."
Lasciò cadere la catena e le due obbedirono, tornando sui loro passi senza proferir parola.

"Sono umane..." osservò Garlis, perplesso.
"Sono occultiste da generazioni, perciò non ha importanza. Ormai sono Viss", lo corresse Ariha. "Non c'era bisogno di fare il paladino della giustizia", aggiunse.

Il Portatore di Luce abbassò lo sguardo e sospirò.
"Comunque sia, è rivoltante. E questo non è un buon momento, torna indietro con loro."
"Te l'ho detto, non sei nessuno per darmi ordini."

"Non è che mi stavi seguendo?"
Ariha sgranò gli occhi e il suo sorriso si allargò.
"E perché dovrei, ragazzina? Stavo portando le mie schiave a vedere i fiori blu, non ce ne sono a Viss."

"Al signore della guerra piacciono i fiori?" domandò, sarcastico, Garlis.
Scoprire un altro aspetto che lo accomunava con Ari gli fece male.

"Solo alcuni..." rispose il Viss, facendo il vago. "È incenso quello che sento?"
"Non è un buon momento, davvero", insistette, stanco. "Che cosa vuoi?" chiese poi, notando che lo osservava in silenzio.

"Sei buffo", disse solo, innervosendolo ancora. "Voi Reyn accendete l'incenso per i morti... ed è un odore che a me piace molto, di solito implica che ho contribuito alla morte di qualcuno."
Garlis, che prima si stava accarezzando il dorso della mano destra, non ci vide più dalla rabbia.

Si scagliò su di lui portando le mani al suo collo nel vano tentativo di strangolarlo.
Il suo nemico finì con la schiena a terra, ma niente avrebbe potuto nascondere dal suo viso il divertimento che stava provando.

Bisognoso di sfogarsi in qualche modo, Garlis gli sferrò un pugno su uno zigomo, senza sortire alcun effetto.
In risposta, il Viss afferrò il suo guanto e glielo strappò via.

Garlis si spostò da sopra di lui e arretrò, coprendosi il dorso della mano.
"Troppo tardi, l'ho visto", esordì Ariha. "Sapevo che ce l'avevi anche tu, non fai altro che toccarlo... Ma dimmi, cos'è?"

"Ridammi il guanto prima."
"No, prima me lo fai vedere."
Si fece avanti mentre, confuso, Garlis rimaneva fermo sul posto.

Ariha gli prese la mano per liberarla dalla presa dell'altra e poterne guardare il dorso.
Il suo tocco era freddo, ma gentile. Le sue mani avevano assunto un colore azzurrino, ma erano le stesse di Ari, le stesse che lui conosceva bene...
Garlis avvertì una stretta al cuore e lo respinse bruscamente, come scottato.

Il Viss non ridacchiò né lo schernì questa volta. Mantenne il viso in un'espressione concentrata, a guardare la mano che prima aveva stretto per un istante.
"È come il mio, ma più marcato. Cos'è? Un marchio? Il simbolo di qualche setta?"

"È un tatuaggio matrimoniale!" Si decise a rivelargli, per poi sospirare tutta la sua frustrazione. "Diversi anni fa, a Reyn era usanza farselo fare."
Abbassò lo sguardo, ripensando a quel momento e a ciò che era successo pochi giorni dopo.

"Un'usanza Reyn... Ma non avrebbe senso, ce l'ho dalla nascita..."
Lo sguardo di Ariha era basso, perso da qualche parte nei suoi pensieri.

"Evidentemente c'è qualcosa del tuo passato che non ricordi. Se ce l'hai, significa che non sei nato a Viss e che sei sposato. Anzi, che lo eri."
"Mi stai prendendo in giro," rispose, scoccandogli un'occhiataccia. "Questa storia non ha senso!"

L'espressione stanca e indifferente sul viso di Garlis non mutò, così come il dolore che provava. Sapeva che non c'era motivo per dirgli quelle cose, perché lui non le avrebbe capite, ma lo aveva fatto lo stesso, spinto dalla voglia di sconvolgerlo... con la verità.

Raccolse un mazzolino di fiori e andò da lui per porgerglielo, strappandogli di mano contemporaneamente il suo guanto.
"Cosa significa?" chiese il Viss, confuso.
"Così puoi farli vedere a quelle ragazze. Sono i tuoi preferiti, no?"

"Tu... devi avere qualche abilità sovrannaturale. Anche il tatuaggio, come facevi a sapere che ce l'ho?" domandò circospetto Ariha.
"Chi lo sa. Forse ci conoscevamo in un'altra vita", rispose.

Si affrettò a rimettersi il guanto mentre lo superava, lasciandolo lì da solo.
Tornò al campo e poi nella sua tenda, dove trovò già i compagni pronti per dormire.

 


Quella notte, Garlis venne tormentato dagli incubi.
La voce dolce di Ari lasciava spazio a quella sarcastica di Ariha, priva del suo accento del nord e carica di cattiveria.
I suoi ricordi venivano macchiati da parole ignobili, amare.

Alla fine i sogni tornarono quelli di sempre, giusto per lasciarlo in preda al dolore al risveglio, conscio come sempre di ciò che aveva perso.

Anche se Sol non era ancora sorto, si mise a sedere e si coprì il viso con le mani.
Era stata una giornata difficile, e la nottata anche peggiore, ma erano solo le prime di una serie e questa consapevolezza lo lasciò privo di forze.

Una mano si appoggiò sulla sua spalla, facendolo sussultare.
Si voltò per scoprire che si trattava di Anite, che lo guardava preoccupata.
Non le servì parlare, lui colse una domanda nella sua espressione. Voleva sapere se stesse bene.

Non rispose, mostrandosi invece stanco come se non avesse dormito affatto. Era così che si sentiva.

"Garlis... qualcosa non va in questi giorni, me ne sono accorta. È da prima della partenza che sei abbattuto."
Il giovane sospirò e scosse la testa, per niente desideroso di parlarne.
"Sei riuscita a dormire?" le chiese invece, sussurrando.

"Non molto, ero preoccupata e ti sentivo agitarti nel sonno."
"È difficile addormentarsi, quando il tuo compagno di stanza si illumina al buio." Aggiunse Oris, stiracchiandosi.
Il Portatore guardò lui e poi Vellga, accorgendosi che erano svegli entrambi.
"Mi spiace..."

"Non preoccuparti, lo sapevamo quando siamo venuti nella tua tenda", continuò lo spadaccino dai capelli rossi.
"Adesso dicci cosa sta succedendo", insistette la maga, mettendosi a gambe incrociate.
Anche gli altri avevano spostato lo sguardo su di lui, che invece lo abbassò, combattuto.

"Non voglio parlarne, non cambierebbe le cose."
"Invece potrebbe farti sentire meglio. Siamo amici, no?"
Lo sguardo della ragazza era preoccupato, ma anche rassicurante in qualche modo.

Lui sospirò e scosse la testa di nuovo.
"La persona con cui ero sposato... è morta qui, nelle terre neutrali. Io ne sono ancora innamorato e non faccio che pensarci", ammise, mentre cercava il ritratto nella tasca.

L'espressione della maga si addolcì. Né lei né gli altri osarono dire niente, rimanendo invece ad ascoltare. Era raro che Garlis parlasse di sé, anzi non lo faceva mai, il che conferiva una certa importanza a quella conversazione.

Consegnò il piccolo ritratto ad Anite e gli altri lasciarono i loro giacigli caldi per farsi avanti e guardarlo.
La luce nella tenda era fioca e veniva emanata proprio da Garlis, ma bastava a permettere di vederlo adeguatamente.

"Lui... è morto quattro giorni dopo il nostro matrimonio, lo stesso giorno in cui sono asceso..." continuò, con le parole che gli uscivano a fatica dalla gola annodata dalla sofferenza.

Osservò le espressioni degli amici e notò la ragazza sgranare gli occhi per poi spostare lo sguardo su di lui.
"Forse me lo sto solo immaginando, ma... c'è una vaga somiglianza con il generale dei Viss," disse, incredula.
Anche gli altri due rivolsero su Garlis la loro attenzione, confusi.

Il ragazzo annuì e sospirò, trovandosi ancora più in difficoltà a dover continuare il discorso.
"Il corpo di mio marito non è mai stato trovato... A quanto pare lo hanno preso i Viss, gli hanno cancellato la memoria e lo hanno riportato in vita perché diventasse un Portatore..."
"Cosa?!" esclamò la maga, alzando la voce tanto che probabilmente l'avevano sentita anche fuori dalla tenda.

Garlis le fece segno di parlare piano, ma la ragazza era chiaramente sconvolta, boccheggiava non trovando le parole giuste per continuare.
Anche gli altri due erano senza parole, li osservavano senza sapere cosa dire o fare.

"Sono davvero la stessa persona?" si decise a parlare Vellga.
"Sì, è stato il Saggio a confermarlo."
"Ma... com'è possibile che quell'orrendo Viss un tempo sia stato un Reyn? Senza offesa", commentò incredula Anite.

"Sembra impossibile ma è così. Lo hanno fatto rinascere, crescendolo come se fosse uno di loro... Non è più la persona che conoscevo. La sua orribile personalità è frutto dell'educazione che ha ricevuto, eppure quando lo guardo... mi rendo conto che allo stesso tempo è la persona che ho sposato. Ogni sua parola mi ferisce, sporca i ricordi che ho di lui... E non posso odiarlo davvero, altrimenti odierei anche lui."

Ora lo sapevano, li aveva informati del profondo dolore e del conflitto che provava. Non potevano capirlo davvero, ma potevano farsene un'idea.
Garlis si sentiva esposto, persino patetico; parlarne non lo aveva certo fatto sentire meglio.
Inoltre, gli amici chiaramente non sapevano cosa dire.

Prese il ritratto dalle mani di Anite, lo mise a posto e indossò la sua armatura. Prese con sé la spada e uscì.
Attraversò a grandi falcate il campo base finché non l'ebbe ormai alle spalle.

Sol non era ancora sorto, ma potevano vedersi in lontananza le luci dell'alba.
Garlis avrebbe voluto urlare, sfogare la frustrazione in quel modo, ma così facendo avrebbe svegliato tutti.

Strinse i pugni e i denti, domandandosi cosa avrebbe potuto fare.
Lasciare il comando a qualcun altro pur di non avere a che fare con Ariha era impensabile; era stato mandato lui, non c'era nessuno con un grado abbastanza alto da poterlo sostituire e comunque sarebbe stata una scelta assurda, che avrebbe suscitato molte domande.

Doveva resistere, collaborare e intanto sopportare la sua vista e le sue parole. Tener duro fino al momento in cui le loro strade si sarebbero separate, nuovamente e per sempre.

Uno strano senso di vuoto lo colse, disorientandolo.
Si domandò se fosse ciò che voleva davvero, ma non fu in grado di darsi una risposta certa.

Pensò a un'alternativa e infine la trovò: far capire ad Ariha che lui non era un Viss, che aveva un passato a Reyn, un passato che avevano condiviso.
Ma come?
Se glielo avesse detto, sicuramente lui non gli avrebbe creduto.

Si domandò se Ariha fosse, almeno in parte, attratto da lui.
Con Ari era stato così, Garlis gli era piaciuto già da lontano, senza il bisogno di parlarsi; quando poi avevano iniziato a conoscersi, non si erano più separati.
Dato che erano la stessa persona, forse anche il generale dei Viss era interessato a lui.

Forse avrebbe potuto giocare su questo. Rincorrerlo, come un tempo Ari aveva fatto con lui.
Sarebbe toccato a lui, stavolta, fare il primo passo.

Si decise, ma poi ebbe un attimo di lucidità.
Era un Portatore, aveva delle responsabilità, e lo stesso valeva per Ariha. Inoltre lui era diventata una persona ignobile, per niente associabile al ragazzo gentile del quale si era innamorato.

Spiazzato da quella consapevolezza improvvisa, si propose di ripensarci, così da elaborare il tutto e lasciar perdere.

Fu in quel momento che i suoi amici lo raggiunsero a passo leggero, facendosi notare comunque.
Sapendo di averli alle spalle, Garlis non si voltò. Rimase in attesa che parlassero per primi.

"Scusa se abbiamo insistito", esordì Anite, con la voce ancora impastata dal sonno. "E... se abbiamo reagito un po' troppo male."

Finalmente il più grande si girò a guardarli. In volto gli si leggevano tutta la stanchezza, la confusione e il dolore che avevano caratterizzato quegli ultimi due giorni, senza lasciargli scampo.

"E come dovevate reagire?" disse, in un tono più duro di quanto avrebbe voluto. Si schiarì la voce e lo corresse, riprendendo a parlare in modo calmo: "È orribile, non era certo così quando ci siamo conosciuti. È ancora lui, ma... allo stesso tempo non lo è più. Eppure lo guardo e non posso fare a meno di pensarci."

"È come hai detto tu, non sono la stessa persona. Tuo marito è morto", sottolineò la maga, in un modo triste ma categorico che fece rabbrividire il Portatore. "Anche se si assomigliano, quello che hanno fatto nascere i Viss non è lui, ma un altro."
Seppur a malincuore, Garlis dovette dargliene atto. Annuì, non trovando le parole giuste per commentare. Non aveva altro da aggiungere.

"Vieni, dopo una bella colazione ti sentirai meglio", lo incoraggiò Oris, dopo uno sbadiglio.
Si voltò per primo incamminandosi verso il campo base, seguito dalla maga.
Solo Vellga rimase lì, poco convinto delle sue condizioni. Gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla sinistra, rivolgendogli uno sguardo preoccupato.

"Grazie... per avercene parlato", disse solo.
Garlis gli rivolse un sorriso amaro e tornò a osservare l'orizzonte.
"Per così poco..." commentò, sarcastico.
"Non è poco, non prendermi in giro", sottolineò e sospirò. "Rivelarcelo ti è costato caro."

Il Portatore tornò voltato verso di lui, questa volta con un'espressione diversa in viso. Lo stava ascoltando, stupito dalle sue parole.

"Sarà dura averci a che fare, permettici almeno di distrarti nei momenti in cui non c'è. E, se ti va... con me puoi parlare di tutto. Se vuoi rievocare i tuoi ricordi con lui, ti ascolto. Dev'essere dura lasciare andare... ma non devi associarlo con un individuo come quello."
"È molto più che dura", sospirò. "Grazie, Vellga... Lo apprezzo molto. Ora andiamo dagli altri."

"Te la senti davvero?"
"Sì, per oggi ho rimuginato anche troppo. Meglio dare inizio alla giornata e non pensarci", dichiarò, anche se non credeva che sarebbe riuscito a distrarsi davvero.

 

Vellga, realizzato con Midjourney

Vellga, realizzato con Midjourney

 

   
 
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