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Autore: shilyss    24/09/2022    12 recensioni
Il dio dell’inganno si guardò attorno: la foresta, innaturalmente silenziosa, quasi priva di colore – se ne accorse solamente in quel momento – li avvolgeva con i suoi alberi familiari, con i rami scheletrici che schermavano la poca luce esistente. Non c’era alcuna fessura, nessuno strappo a indicare una cesura tra i due mondi.
“Dov’è?” mormorò Loki.
“La sentirai.”
“La vedrai.”

Tutta la conoscenza e l'astuzia del mondo non bastano a raggiungere e a oltrepassare il Valgrind, il magnifico cancello oltre cui si estende il Valhalla. Non è detto che basti nemmeno morire in battaglia. Per chi non riesce a trovare la via, il destino è quello di rimanere in un limbo, come uno spirito errante.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hela, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 3
Dammi la mano
È strano andarsene senza soffrire
Senza un volto di donna da dover ricordare
Ma è forse diverso il vostro morire
[…]
Cosa c’è di diverso nel vostro morire.
(Un chimico, De André)

Loki aveva rilassato le spalle, pur continuando a torreggiare sull’esile figura di Sigyn. Non poteva fare a meno di ammirarla per il coraggio dimostrato e per l’intelligenza della sua proposta. Ribaltare una situazione sgradevole tentando di volgerla il più possibile a proprio vantaggio era qualcosa che lui professava da tutta la vita. Era lusingato e colpito dal fatto che la moglie non solo lo avesse ascoltato, ma si fosse messa a riflettere con la mente libera da pregiudizi sulle sue parole, traendone addirittura un modello di vita per sé. D’altro canto, però, non doveva dimenticare che l’aveva sposata nel modo più crudele e brutale possibile, strappandola ai suoi affetti, imponendole un’unione che lei non desiderava. Cosa nascondeva dietro quel suo sguardo liquido e le labbra serrate? Avrebbe potuto scoprirlo. Violare i suoi pensieri con un incantesimo terribile, ma sarebbe stato crudele come costringerla a dividere con lui il letto.
“Rendere il nostro rapporto più tollerabile, dici,” soffiò, senza lasciar trapelare nulla dei propri pensieri. “Cosa vorresti che facessi, mia dolce sposa?
A Sigyn non sfuggì l’ironia con cui l’aveva apostrofata, ma doveva essersi preparata a lungo il discorso che intendeva fargli, perché lo ignorò e proseguì verso l’obiettivo. “Vorrei che trascorressimo del tempo insieme. Per conoscerci, e scoprire se qualcosa ci unisce, oltre il matrimonio. Che ambizioni hai, Loki di Asgard? Che progetti? Cosa studi? Potrei rivelarmi utile, in qualche modo, potrei essere una tua alleata, ma me ne devi dare l’occasione, l’opportunità.” Sigyn gli si avvicinò con le sue gonne fruscianti, ignara dell’effetto che la sua presenza, il profumo inebriante della sua pelle, aveva su di lui.
“C’è dell’altro?” sibilò l’Ase con voce roca, sforzandosi di non guardare le sue labbra invitanti e morbide, senza dubbio dolci al tatto. Non aveva la benché minima voglia di assecondare i suoi desideri, anche se erano costruttivi e ragionevoli.
Sigyn esitò, a disagio. Abbassò le palpebre e, quando si decise a rispondere, parlò in fretta. “Le tue relazioni per me sono un problema. Preferirei le vivessi in modo molto più discreto, mio signore. Suscitano pettegolezzi. Mi offendono.” Tornò a guardarlo. “In verità, preferirei non ne avessi affatto.”
Loki di Asgard non nascose la sorpresa. “Le mie amanti soddisfano bisogni che, di regola, dovrei pretendere da te,” puntualizzò lentamente, tra i denti. “È buffo. Mi incolpi per averti rispettata?”
“Lo capisco. E ti assicuro, Loki, che non sarei qui se non mi avessi rispettata fino ad adesso. Potrei dire che sono qui proprio per questo. Se, in qualche modo, tieni a me, potresti limitare o ridurre le tue… frequentazioni.”
Le gonne fruscianti di Sigyn avevano oltrepassato l’angolo della gigantesca scrivania su cui, sparpagliate in un disordine all’apparenza casuale, stavano le carte, i dispacci e i volumi del dio dell’inganno, assieme a una profusione di strumenti, lenti d’ingrandimento e altri oggetti di cui la ragazza forse non conosceva la funzione. Nel vederla avvicinarsi, Loki raddrizzò ancora di più le spalle, accentuando il suo abituale portamento fiero, principesco.
“Tengo a te?” assottigliò gli occhi, divertito. “E cosa ti fa pensare che tengo a te?” aggiunse, avvicinandosi alla giovane moglie.
Sigyn non indietreggiò – non lo faceva mai, ma, dal canto suo, Loki aveva sempre evitato accuratamente di starle troppo vicino. Persino durante banchetti.
“I fatti. Mi hai rapita, è vero,” ammise Sigyn. “Tra gli Æsir e tra i Vanir questo succede spesso, anche se è un costume orribile. Ma avresti potuto trascinarmi qui come tua schiava personale, e non l’hai fatto. Mi hai resa una principessa di Asgard, e quella notte terribile, quella in cui ci siamo sposati, non hai preteso niente da me.” Deglutì. “Né quella né le altre.”
“E credi di contare qualcosa?” Loki rise e la intrappolò, frapponendosi tra la libreria e la porta. Si fece così vicino che avrebbe potuto baciarla, se avesse voluto. Negli occhi di Sigyn ora scintillavano il dubbio, la paura. La tunica che indossava sfiorò il tessuto sottile che fasciava il seno di lei, procurandogli un brivido basso e improvviso. “Tu sei parte di una vendetta, solo questo. Il tuo innamorato mi ha catturato e lasciato marcire in una prigione per mesi interi, ferito. Quando mi sono liberato, non ho trovato di meglio che catturare qualcosa che amava, che desiderava, a cui teneva, lui sì… e strapparglielo, farlo mio,” sibilò. Poteva sentire i battiti del cuore di Sigyn, vedere come si sforzava per impedire alle sue labbra di tremare. “Te l’ho già detto quella notte. Non mi interessa scoparti, mi basta che lui immagini mentre lo faccio.”
Il desiderio che aveva di lei gli corrodeva le vene, gli pulsava nel petto, gli scorreva lungo i fianchi. Aveva annullato ogni distanza, tanto che sarebbe bastato un leggero movimento per sfiorarle la punta del naso, baciarle le labbra fino a perdere il respiro. Sigyn lo fissava con occhi lucidi e accesi, carichi d’ira e di sgomento – o era disprezzo? Se fosse rimasta un minuto di più, l’avrebbe presa lì, sul pavimento del suo studio ingombro di carte. Si allontanò con un movimento repentino.
“Sparisci, vattene,” le ordinò con voce roca. Lei obbedì senza proferire parola.

“Sigyn è una donna intelligente, dio dell’inganno. Voleva essere tua moglie,” gracchiò Huginn, il corvo del pensiero, distogliendolo da un ricordo che sommava in sé l’amarezza e il desiderio. Ma poteva, uno spirito errante come lui, rimpiangere una scelta antica? Nella sua esistenza tortuosa e complicata Loki si vantava di aver preso ogni decisione con ponderazione e acutezza. Guardare al passato immaginando scenari alternativi rappresentava un vezzo, una perdita di tempo, il gioco di qualche anima miserabile che si piangeva addosso. Non era un comportamento che apparteneva a lui, abituato a ragionare in termini più costruttivi: il passato non si poteva né doveva cambiare. La sua utilità stava nel permettere a chi aveva la necessaria lucidità di analizzarlo con attenzione, in modo tale da poter raddrizzare e comprendere il presente e il futuro.
“Se l’avessi baciata, quella volta, chissà come avrebbe reagito,” continuò il corvo con malizia.
“Avresti potuto conquistarla. Ammaliarla,” gli fece eco Muninn.
“Corteggiarla.”
“L’hai spinta verso Theoric, invece.”
“Eppure la desideravi.”
“La volevi, oh, quanto la volevi!”
“Se tu non fossi stato ferito, l’avresti persa. Per sempre.”
“Continua il tuo racconto, Loki figlio di Odino. Stiamo andando troppo avanti.”
“Valgrind ti aspetta.”
“O forse era Hel.”
“Non c’è molto da raccontare,” ribatté Loki con tono aspro. “Specie se chi ascolta pretende di sapere ogni cosa.”
“Cosa si prova a subire l’insolenza e la tracotanza altrui, Loki?”
“Tu l’hai imposta a chiunque per tutta la tua vita: ora te ne lamenti?”
“Ascoltaci, figlio del dio corvo.”
“Il freddo che senti sparirà. Fidati delle nostre parole.”
“Devi farlo.”
“Noi non mentiamo.”

Che scelta aveva? Non poteva vagare con quel gelo addosso, che gli ghiacciava le ossa e s’infilava nelle vene – incredibile come la sua anima s’illudesse ancora di avere un corpo fatto di carne e sangue. Non riusciva nemmeno a liberarsi di quei due corvi dagli occhi piccoli e neri, indagatori. Sospirando riprese a raccontare la propria storia così come la ricordava, con tutti i suoi errori e le dimenticanze. Dunque, Sigyn. Trovarla non era stato facile; era arrivato quasi al punto di abbandonare la parte di vendetta che la riguardava e di indirizzare il suo rancore verso altri, più facili, obiettivi. Non era evaso dalla sua prigionia in una serata qualunque. Aveva atteso con pazienza l’arrivo di una festività, valutando che l’idromele e la voglia di divertirsi avrebbero reso le guardie distratte al punto di non fare caso a un’ombra che sgusciava fuori dal buio per mescolarsi alla folla che si perdeva appresso ai canti, ai balli e ai molti brindisi. Prima si occupò del nobiluccio che aveva ordinato la sua cattura, ma che non aveva avuto il coraggio di incontrarlo. Non gli diede nemmeno il tempo di gridare, ma prima di affondare i propri pugnali recuperati non senza fatica, fece in modo di farsi riconoscere, compiacendosi di illustrare il suo piano nei minimi dettagli. Solo dopo aver fatto ciò si prese la propria vendetta con un movimento rapido e preciso, letale. Poi tenne d’occhio Theoric, l’odioso guerriero che lo aveva trascinato nella cella. Lui non meritava una morte rapida, questo era certo, ma perché il suo progetto potesse dirsi riuscito aveva bisogno di trovare la ragazza. Eppure, per quanto cercasse con attenzione, Loki non riusciva a individuare a chi appartenesse quella voce che ricordava così distintamente.

“Poi, però, li hai visti baciarsi,” gracchiò Muninn, maligno.
“Cos’hai sentito in quel momento, Loki?” lo sbeffeggiò Huginn. “Ti si attorcigliano ancora le viscere, al pensiero, vero?”
“Come allora.”
L’ingannatore si sforzò di trasformare la smorfia serrata in cui erano piegate le sue labbra in un ghigno compiaciuto dei suoi, ma l’impresa gli riuscì a metà. Negare sarebbe stato sciocco. Di più, inutile. Ma avevano ragione, proprio quando era sul punto di modificare il suo piano, aveva visto Theoric appartarsi con una ragazza e li aveva seguiti. Non conosceva ancora il suo nome, ma aveva ammirato il profilo ben disegnato dell’innamorata del suo rivale, il corpo flessuoso colto nell’atto di stringersi all’altro, la chioma ricca e disordinata, color dell’oro, acconciata con distratta semplicità, come se lei avesse implorato l’ancella di far presto.
Theoric era troppo virtuoso per cedere al desiderio, per andare oltre qualche bacio, ma quella sera le sue labbra scesero sul collo di Sigyn con un’avidità che Loki, nascosto nell’ombra, comprese benissimo. Ecco perché, quando i due si separarono, seguì la ragazza senza nome fino alle porte della sua casa, per poi raggiungerla arrampicandosi a una finestra – impresa che gli strappò una serie di imprecazioni, ricordò, perché il nobile e retto Theoric non era stato meno crudele degli Æsir con il suo riottoso prigioniero: solo più ipocrita. Dalle imposte socchiuse per lasciar passare la fresca aria della notte filtrava una lama sottile di luce. L’ingannatore ne approfittò per spiarla, ma l’immagine che gli si parò davanti lo ricompensò della fatica.
La ragazza discorreva con la propria ancella. Aveva raccolto verso l’alto la massa ricca e caotica dei suoi capelli ed era immersa in una vasca da bagno. L’aria di Vanheim era umida, la notte: non era strano che una nobildonna come lei, dopo aver danzato per buona parte della sera, desiderasse rinfrescarsi immergendosi nell’acqua profumata. L’Ase ammirò la linea elegante del collo e delle spalle, le braccia nude e bianche. La vide sorridere e fissare l’ancella e amica, cui stava confidando con occhi brillanti le proprie impressioni riguardo la serata. Fu quest’ultima a chiamarla per nome: Sigyn, disse, allora vi sposerete con Theoric la prossima estate, vero? È così?
Sigyn.
Il suo nome aveva una musicalità particolare e s’intonava alla perfezione con lei, con le sue labbra ben disegnate, con il naso delicato, con le guance rosse per l’imbarazzo e la felicità. Sigyn e Theoric. No, non lo avrebbe mai permesso.
Si rivelò dopo che l’ancella se ne fu andata. Sigyn rimase qualche altro minuto nella vasca, con un sorriso trasognato sul viso. Forse immaginava il proprio futuro. Poi uscì e si avvolse in un telo. Per ammirare la scena nella sua interezza, Loki avrebbe dovuto solo sospingere leggermente l’imposta, ma sebbene avesse posato le proprie dita sul legno rimase immobile, a ragionare sulle implicazioni del proprio piano, a concederle l’ultimo istante di libertà della sua vita.
Sigyn si avvicinò a uno scrigno e ripose la collana che aveva indossato quella sera al suo interno. Un gesto normale e quotidiano di una serata come tante. Poi si voltò e impallidì.
“Se griderai,” l’avvertì Loki, “sarò costretto a mettere da parte ogni cortesia e verrà versato molto sangue.”
Lei era ancora fasciata nel telo aderente; sulle braccia e sulle spalle rilucevano gocce d’acqua. Abbassò lo sguardo verso la mano di Loki, che stringeva un pugnale affilato e lucidissimo. Sul suo viso si leggevano il terrore e la vergogna.
“Dolce signora,” sibilò l’ingannatore, “domani questo posto sarà messo a ferro e fuoco. Vieni con me e ti assicuro che nessuno, tra coloro che abitano in questa casa, rimarrà ferito o ucciso.”
Sigyn deglutì e sollevò il mento. “Chi sei tu, e come osi minacciarmi?”
L’Ase sorrise e il nodo che gli attorcigliava le viscere si sciolse. Allungò una mano verso di lei, invitandola a seguirlo. “Loki di Asgard,” scandì, compiacendosi dell’espressione di puro terrore che passò sul viso della ragazza.

Nei suoi sogni, Loki avrebbe rivissuto quella notte centinaia di volte; entrava nella stanza da letto di Sigyn, la sorprendeva come allora, appena uscita dalla vasca. Ma dopo aver rivelato il proprio nome, lei non iniziava a tremare di paura. Lasciava che il telo che le ricopriva la pelle ancora umida scivolasse a terra e, dopo essersi fatta ammirare, lo accoglieva con una dolcezza che solo alla fine si trasformava nell’impazienza di un’amante appassionata. Loki si chiese se i corvi conoscessero quel sogno ricorrente, frustrante oltre ogni immaginazione, che lo aveva perseguitato fino alla fine dei suoi giorni.
“Sigyn è sempre stata una ragazza intelligente,” gracchiò Muninn. “Sapeva che era più saggio assecondarti che contrastarti.”
“Ti seguì, quella notte,” gli fece eco Huginn, “e il giorno dopo fu versato molto, molto sangue.”
“Non quello della sua famiglia,” lo corresse Loki, rapido. “Li risparmiai, tutti.”
Sigyn, proseguì Loki, apparteneva a una famiglia nobile e valorosa. Suo padre era un guerriero anziano, ma ancora valente e pieno di coraggio. Accettò la sconfitta del suo signore con grande dignità e quando venne il momento di deporre le proprie armi ai piedi di Odino, chiese che gli fosse restituita sua figlia. Lo fece con parole così commoventi che il dio delle forche fece chiamare Loki, domandandogli se un corrispettivo in oro avrebbe potuto spingerlo a restituire la ragazza. Anche l’ingannatore era rimasto colpito dal padre di Sigyn, ma desiderava prendersi la sua vendetta. Non l’aveva toccata, quella notte, limitandosi a offrirle il proprio mantello. Un gesto di cortesia che lei aveva accolto con freddezza, com’era naturale. Si aspettava il peggio, da lui, e Loki non gliene poteva fare un torto. Di fronte al suo rifiuto così netto, a Odino venne in mente un modo per legare a sé quell’avversario che si era dimostrato tanto capace e leale. Gli avrebbe offerto la possibilità di giurargli fedeltà; come ricompensa, sua figlia non sarebbe stata una semplice schiava, ma una principessa di Asgard.

“Che onore! Un vero privilegio!” gracchiò Huginn.
“Dicci, Loki, c’è differenza, tra essere principessa o schiava?”
Muninn spiccò il volo e venne a posarsi sulla sua spalla. “È questo ciò che dicesti al dio corvo quando ti propose la mano della ragazza.”
“Ora raccontaci, è stato diverso?”
“Odino non desiderava inimicarsi un uomo che stimava e che avrebbe potuto essergli utile,” soffiò Loki. “Ho imparato da lui a vedere dei vantaggi dove gli altri non scorgevano che fastidi e problemi.”
Il padre di Sigyn rimase sbalordito dalla proposta: si rendeva perfettamente conto che l’accomodamento suggerito da Odino, viste le terribili circostanze, era quanto di meglio potesse sperare per la figlia e per il resto del proprio clan, della sua gente. Ma nonostante questo non volle stipulare un contratto alle spalle della ragazza, non prima di averla vista ed essersi accertato delle sue condizioni, ricordò Loki con una voce amara, quasi beffarda. I corvi lo ascoltavano con i loro occhi neri e acuti, invitandolo a proseguire. Nel raccontare, poteva distrarsi da quel freddo annichilente che gli era penetrato nelle ossa, allontanarsi dalla radura spoglia e gelata dove i due messaggeri di Odino lo costringevano a rimanere. Con un sospiro, proseguì la propria storia.
Quando Loki incontrò Sigyn, lei aveva già ricevuto la visita dell’amato genitore. Sedeva in un angolo, dritta, con ancora il mantello che le aveva dato la notte in cui se l’era portata via posato sulle spalle. Sul suo viso scolorito, segnato dalla stanchezza, si leggeva un’espressione indecifrabile – un misto di curiosità e disprezzo. Lo fissava senza perderlo d’occhio nemmeno per un istante, seguendo i suoi movimenti con la stessa attenzione che avrebbe riservato a un lupo o a qualche altra bestia feroce.
“Loki di Asgard,” lo salutò. “Mi è stato detto che non siete soddisfatto delle ultime decisioni di Padre Tutto.”
Si sforzava di mostrarsi calma e padrona della situazione, ma era furibonda e spaventata. Loki, dal canto suo, sapeva essere accattivante e cortese, ma non avrebbe avuto senso cercare d’incantarla, a quel punto. S’inumidì le labbra e le sorrise, ma gli uscì fuori solo un ghigno tirato, freddo. “Qualcosa in comune l’abbiamo, vedi?”
“Ma non possiamo opporci, dico bene?”
“Sì. Ho commesso troppi passi falsi, in passato, per ribellarmi senza dovermi aspettare delle severe conseguenze.”
Prima di andarsene, quand’era già sulla porta, s’inumidì le labbra e parlò ancora, voltandosi verso di lei. “Odino chiama questa sua soluzione un accomodamento tra le parti. Non è così. Sposandoti non raddrizzo alcun torto, non ti faccio alcun favore, non riparo nulla. Semmai, distruggo, peggioro la tua situazione – chi, maledizione, chi vorrebbe vivere accanto a colui che le ha rovinato l’esistenza?” sorrise. Sigyn ora lo guardava sorpresa. “Certo, lo so, se ci guardiamo intorno molte unioni sono nate in questa stessa identica maniera. Noi stessi discendiamo da legami analoghi, stipulati tra vincitori e vinti. Ma questa giustificazione non cambia la realtà delle cose – sì, Sigyn, la realtà, proprio così: non c’è nessuno, ad Asgard, che sappia individuare bene quanto me la verità, che sappia privarla di ogni suo orpello o illusione. L’inganno migliore è quello che ha in sé una scintilla vera, genuina; un appiglio necessario per far credere all’idiota di turno quello che vogliamo. E, parlando di verità, so bene e capisco quanto sgradevole sia tutto questo. Sei qui contro la tua volontà, per un mio preciso intervento. L’ottenere il titolo di principessa ti farà partecipare ai banchetti, indossare gioielli e abiti preziosi, ma forse saresti stata più libera come schiava.”
Il suo discorso doveva aver colpito Sigyn, perché lei si alzò in piedi e quasi lo raggiunse. “Sei stato fatto prigioniero e torturato dall’uomo che amo. Ti sei liberato, lo hai sconfitto sul campo di battaglia. Ora sei libero e pieno di onori, di gloria. Se la pensi così, lasciami andare. Hai dimostrato di essergli superiore in forza e in astuzia. Dimostrati un principe clemente, ancora più grande, e lasciami andare. Nemmeno tu mi vuoi, e questa vendetta, Loki di Asgard, ti sta sfuggendo di mano. Un gesto di pace vale più di mille uccisioni in battaglia. Il tuo perdono, la tua indifferenza, gli farebbero male come un insulto, come una ferita.”
“Sei intelligente,” riconobbe Loki, “ma ingenua: manipolarmi non è così facile. Vedi, Sigyn, la mia vendetta verso Theoric e il suo signore deve essere totale, assoluta, schiacciante. E la soddisfazione, purtroppo, non è nella mia natura. Voglio ogni cosa.”
“Anche quello che non puoi avere? Anche quello che ti ripugna avere?”
“Parli già come una principessa di Asgard. Curioso.”

Le nozze, fastose e irrorate di idromele, si tennero di lì a pochi giorni. Sigyn era tesa, ma incantevole, ammise il dio dell’inganno. Continuava a fissarlo circospetta, le belle labbra serrate in quello che era tutto meno un sorriso. Bevve alla sua stessa coppa, come prevedeva il rito degli Æsir e lui le offrì in dono una delle antiche spade di Bor. Solo allora qualcosa nello sguardo di Sigyn cambiò. Un guizzo d’ironia le illuminò gli occhi grigi, grandi e rotondi, altrimenti carichi di dolcezza.
Dopo la cerimonia e i festeggiamenti, si ritrovarono soli. Sigyn osservava il magnifico anello che le adornava l’anulare: la montatura ricordava un ramo, decorato con diamanti bianchi e rosa e con smeraldi d’incomparabile purezza e bellezza. Oreficeria dei Nani fabbricanti di gioielli. Il silenzio era opprimente, la situazione strana. Forse, ammise Loki, quella notte avrebbe potuto fare qualcosa per cercare di mettere a proprio agio la sua giovane e riluttante sposa. Invece disse qualcosa di sgarbato, perché era nella sua natura distruggere le cose che desiderava.
“Hai sperato che Theoric venisse a salvarti, non è vero?” s’interessò mentre slacciava l’armatura tirata a lucido per l’occasione.
“Sì. Ma lo amo e preferisco saperlo sano e salvo, lontano da qui. Lontano da te.” Sigyn lo sfidava con lo sguardo e a voce, ma in realtà era terrorizzata.
Loki incassò il colpo con l’eleganza che gli era propria. Ghignò, come se lo divertisse l’idea di aver sposato una donna perdutamente innamorata di un altro, come se potesse ignorare le fitte di desiderio che lo attanagliavano quando le era così vicino da poter sentire il profumo della sua pelle. Dal momento in cui era diventata sua prigioniera non l’aveva mai toccata, neppure con un dito. Durante la cerimonia, dopo aver bevuto dalla stessa coppa, le loro labbra si erano unite in un bacio breve, che non aveva lasciato nessuno dei due indifferenti. Avevano sussultato, ma per ragioni diverse. Per questo, e per non odiarsi e farsi detestare ancora di più, non le impose la propria presenza, quella notte. Andò via, preferendo dormire nel proprio studio ingombro di carte, che dividere con lei un letto che sarebbe rimasto freddo come la gelida Jotunheim. L’equilibrio raggiunto rimase inalterato per mesi, come il loro rapporto.

“Dicci, Loki, che parola sceglieresti per definire il tuo matrimonio con Sigyn?” gracchiò Huginn.
“Non restare in silenzio, figlio di Odino,” lo incalzò suo fratello.
“Vederla rifiutare il suo antico innamorato ha cambiato qualcosa, per te?”
“Vedere che soffre ancora per te.
“Scoprire che ti amava.”
“Ditemi voi come lo definireste,” sbottò il dio dell’inganno, esasperato. “Ditemelo voi, che ascoltate, vedete e ricordate tutto.”
Huginn piegò il capo di lato. “Ci sfidi, Loki?”
“Ci piace la tua arroganza, dio dell’inganno. Ci è sempre piaciuta,” confessò Muninn. “Noi diremmo che mancavate di tempismo.”
“Quando tu eri cortese e gentile, lei era scostante e fredda,” gracchiò Huginn.
“Quando lei ti tendeva la mano e cercava di capirti, tu eri crudele e distante,” ricordò Muninn. “Non è forse così che è andata?”
Loki rifletté sulle parole dei due corvi e poi annuì gravemente, senza abbandonare il suo atteggiamento fiero e sprezzante. Per vendicarsi si era infilato in una trappola, in una rete da cui non era mai riuscito a liberarsi? I messaggeri di Odino, fino a quel momento così loquaci e beffardi, aspettavano in silenzio, finalmente, continuando a fissarlo con i loro occhi piccoli neri, invitandolo a raccontare di quel matrimonio in cui niente, nessuna cosa era andata per il verso giusto.

C’erano stati dei tentativi di avvicinarsi, reciproci in effetti. Intrapresi sia per non dare adito a spiacevoli pettegolezzi, sia perché entrambi erano abbastanza intelligenti da ritenere che odiarsi apertamente, nel tempo, non avrebbe reso le loro esistenze più felici, anzi. Loki era un uomo abituato a sporcarsi le mani e a compiere azioni riprovevoli in virtù del fatto che il fine era giustificato dai mezzi. Non si era mai fatto scrupoli a tradire e a uccidere, così come non aveva badato troppo alle conseguenze che sarebbero derivate dalla vendetta che intendeva perpetuare a seguito della sua cattura, ma non era un bruto. Conosceva la differenza tra il bene e il male e, sebbene all’occorrenza fosse capacissimo di metterla da parte, era in grado di immedesimarsi nel prossimo. Strappando Sigyn alla sua vita – al suo amore – le aveva arrecato un torto gravissimo. Poco importava che lui giudicasse Theoric un uomo mediocre, un guerriero ottuso il cui unico merito era stato avere in qualche occasione una sfacciata fortuna. Non gli piaceva l’idea di avere una nemica piena di rancore proprio nella sua casa, che dormiva nel suo letto – nel loro, anzi: quello che lui disertava. L’alternativa, dunque, era riesumare la proposta di Sigyn inizialmente accantonata con fastidio – lei aveva parlato di amicizia, ma a lui non serviva niente del genere, né gli sarebbe mai bastata: aveva visto nell’invito della moglie un interesse calcolato, perché lei, pur ascoltandolo, pur osservandolo, lo temeva e lo disprezzava. Eppure, non c’erano altre vie d’uscita. Dovevano trovare un punto d’incontro. Per farlo, era indispensabile che Loki scalfisse le difese di Sigyn: l’unico modo per riuscirci era provando a renderle la vita un po’ più gradevole, mostrandole che, tutto sommato, potevano trovare interessi in comune e assecondando, per quanto possibile, le inclinazioni di lei.
Nonostante i suoi sforzi, Sigyn per diverse settimane lo aveva comunque tenuto a distanza e guardato con diffidenza, ma col passare del tempo il suo atteggiamento si era fatto più rilassato. Qualche volta Loki l’aveva sorpresa a osservarlo con un misto di interesse e curiosità, come se stesse valutando che tipo d’uomo fosse. In altre circostanze si erano trovati a essere d’accordo su alcune questioni fondamentali di letteratura, storia o scienze varie, finendo per discorrere persino in modo piacevole. In quelle occasioni sul viso di Sigyn era comparso un sorriso genuino, sincero. Abituato com’era a cogliere ogni opportunità, si era deciso a farle una corte stringente: Sigyn amava cavalcare? L’avrebbe accompagnata, allora, mostrandole alcuni dei luoghi più suggestivi del fiordo su cui sorgeva la magnifica Asgard. Lei si era indubbiamente divertita – Loki la ricordò con i capelli quasi sciolti, che spingeva il proprio cavallo al galoppo sfidandolo in una corsa. Al termine della gara, sul suo viso aveva colto un rossore nuovo, nel suo sguardo una scintilla diversa, sulle sue labbra una confusione che lo avevano convinto di non esserle del tutto indifferente. Aveva provato a baciarla. Lei si era ritratta, d’accordo, ma lo aveva fatto quasi di malavoglia. Per tutta la durata del loro viaggio di ritorno era rimasta in silenzio, concentrata sui propri pensieri. Loki, osservandola con la coda dell’occhio, si era chiesto quanta parte di dubbio ci fosse nel suo cuore, quanto tempo gli servisse, ancora, per scardinare le certezze della sua incantevole moglie.
Nei mesi seguenti, Loki non mancò di osservare con attenzione Sigyn, districandosi abilmente, come era sua abitudine, tra i propri interessi e i numerosi obblighi imposti dal rango e dalle sue capacità in ambito diplomatico. Notò che la moglie cominciava a muoversi con più familiarità nei loro appartamenti. Visitava spessissimo la biblioteca, proponeva piccole, ma costanti modifiche all’arredamento, iniziava a eleggere degli spazi propri, prediletti su tutti, dove leggere, ricamare o chiacchierare con qualche dama di compagnia. A volte, Loki veniva interrotto nella redazione di qualche importante missiva dal suono ovattato della sua risata o da qualche canzone che lei cantava. Mentre la ascoltava, si ritrovava a stirare le labbra sottili in un sorriso breve e appena accennato, vittorioso. Sigyn si stava abituando alla sua nuova vita? Era stata cresciuta per essere una nobildonna e come tale si comportava: fin dal giorno delle loro nozze aveva assunto un atteggiamento impeccabile – freddo, ma corretto nella forma, così come il suo aspetto sempre curato, appropriato, visto dall’esterno non tradiva alcuna sofferenza. Ma, forse, nell’ultimo periodo Loki aveva scorto una traccia di vanità in più nel modo in cui sceglieva colori, acconciature, abiti e gioielli e quando, sempre più spesso, si proponeva di accompagnarla per qualche passeggiata a cavallo, lei arrossiva appena e, dopo una brevissima esitazione, accettava. Fu uno di quei pomeriggi che l’audacia di Loki venne premiata; l’aria era pungente e fredda nonostante il cielo sereno e le foglie avevano iniziato a prendere delle sfumature rossastre e dorate. I cavalli stavano riposandosi dopo una lunga cavalcata e loro avevano deciso di seguirne l’esempio, sedendosi sul mantello che l’Ase aveva steso sull’erba umida. Entrambi facevano finta che quella vicinanza non li toccasse, ma non era così. Lui la desiderava con la forza con cui bramava tutto ciò che non poteva avere, mentre Sigyn temeva Loki e forse temeva ancora di più sé stessa. Parlarono a lungo, consapevoli di quanto la situazione fosse pericolosa, di come i loro occhi non riuscissero a celare qualunque cosa senza nome ci fosse tra loro e quando si ritrovarono in silenzio, muti, avvolti nella luce rosseggiante del tramonto, lui le prese il viso tra le mani e le sfiorò una guancia e poi le labbra senza incontrare alcuna resistenza. Fu un bacio lento, lungo intenso, che Sigyn sembrava non voler interrompere; la sentì sciogliersi tra le sue braccia, rispondere al suo assalto con un ardore identico, acconsentire a sdraiarsi sul mantello, prima accanto a lui, poi sotto di lui. Anche quando iniziò ad accarezzarla non lo fermò, limitandosi a sospirare, ma quando Loki decise di saggiare la rotondità dei suoi fianchi, lei si irrigidì e lo fermò.
“Non posso. Non così.” Rossa in viso, di nuovo in piedi, si sistemava con dita tremanti il corsetto. Era bellissima.
Loki inghiottì rancore e desiderio. “Ma sei attratta da me, pare,” sibilò.
Sigyn, per la prima volta da quando lo aveva incontrato, fuggì il suo sguardo. “Sei un uomo affascinante,” ammise. “Intelligente. E stai cercando da mesi di sedurmi.”
“E dimmi, ci sto riuscendo?”
Gli occhi di lei erano ancora fissi a terra. “Ti chiedo dell’altro tempo. Sono consapevole della mia, della nostra situazione.”
Forse lo desiderava, ma non riusciva ad ammetterlo, a dimenticare come era diventata sua moglie e l’uomo che aveva amato quand’era libera. Da quel pomeriggio in poi, i loro incontri si fecero più frequenti e intensi e frustranti. Lei cercava la sua compagnia, accettava di essere baciata e rispondeva alle sue attenzioni, si lasciava stringere e accarezzare, ma sussultava spaventata ogni volta che Loki cercava di spingersi oltre, fuggendo via sempre più rapida a ogni centimetro di pelle che lui scopriva e baciava e lambiva con la sua lingua insolente e bugiarda. Lo lasciava solo e insoddisfatto, a maledirsi per aver avuto la pessima idea di catturarla prima, sposarla poi, anche se questa non era stata una sua decisione.
Avrebbe dovuto desiderarla di meno. Anzi, essere del tutto immune a quella donna. Ma così non era e, pur detestandosi, non riusciva a soffocare quella voglia ardente che gli infiammava le vene e il sangue, che infestava i suoi sogni e chiedeva di essere soddisfatta. Ma le altre donne con cui si crogiolava non erano lei e, mentre le amava, era a Sigyn che pensava – l’irraggiungibile e altera Sigyn, addormentata nel loro letto. Altre volte, invece, gli era sembrato che lei fosse gelosa di lui e che la offendesse la quasi totale assenza di contatto, tra loro. Ma per un passo in avanti che facevano, sembravano destinati a compierne tre indietro. Quando l’ingannatore aveva iniziato a sospettare che ci fosse una breccia nel cuore di Sigyn, Theoric era tornato non come un fantasma del passato, ma in carne e ossa. Era riuscito a farle arrivare delle lettere, cui lei aveva risposto. Solo alle prime, era vero, e in nessuna aveva dato modo all’innamorato di sperare in un loro incontro o in una futura relazione, ma questa considerazione non cancellò il rancore sordo che lo investì. Questa scoperta avrebbe ancora potuto evitare di rovinare ogni cosa, tra loro. A mente lucida, Loki sarebbe riuscito a valutare correttamente la situazione, a riconoscere che Sigyn aveva ammesso immediatamente che c’era stata una corrispondenza. Sì, sarebbe riuscito a riflettere sul fatto che la colpa di sua moglie non era comunque grande quanto la sua, che l’aveva portata via con la forza. Ma Theoric si era fatto avanti, uscendo dalla lurida tana in cui si era nascosto per più di un anno per sfidarlo ufficialmente in un duello e riavere lei. L’occasione era una festa rituale; secondo le regole degli Æsir, vendette e contese potevano essere risolte in uno scontro faccia a faccia e lavate via col sangue. Sconfiggendo il proprio avversario, il vincitore avrebbe dimostrato in maniera inappellabile di avere ragione. Loki, naturalmente, aveva accettato lo scontro: non temeva Theoric e desiderava ucciderlo, ma prima dell’incontro Sigyn si era recata da lui, piangendo e supplicandolo di risparmiare la vita dell’antico innamorato. Per un breve istante, nel petto del dio dell’inganno aveva prevalso un certo senso d’orgoglio. Sigyn riconosceva la sua evidente superiorità: sapeva che era più forte e intelligente dell’altro. Ma questa soddisfazione assunse subito un gusto amaro, perché la sua fiera e bella moglie, che di fronte a lui aveva sempre sfoggiato una forza d’animo spettacolare, ora era crollata in lacrime, pregandolo di risparmiare Theoric.
Esaudì il suo desiderio. Sconfisse il rivale, ma lo lasciò in vita. Si limitò a ferirlo in maniera tale da renderlo per sempre zoppo. Quando, dopo il combattimento, Sigyn gli si accostò per medicare la leggera ferita che Loki aveva rimediato a un braccio, lui la scacciò via nel più freddo dei modi. La desiderava ancora, forse ancora più di prima, dopo le brevi schermaglie che c’erano state tra loro, ma la voglia di lei si era mescolata a un rancore sordo e profondo che, con fasi alterne, sarebbe proseguito finché il dio dell’inganno non fosse morto per mano di Thanos e anche oltre – lo poteva sentire persino in quel momento, mentre, ridotto a uno spirito errante accompagnato da Huginn e Muninn, cercava una via per entrare nel Valhalla.

“Hai sempre avuto un certo successo, con le donne,” chiosò Muninn, fissandolo con i suoi occhi color dell’inchiostro.
“Ti trovano affascinante,” spiegò Huginn. “Chissà perché, poi. Anche Sigyn ti trovava affascinante. E bello. Apprezzava la tua intelligenza.”
“E i tuoi tentativi di comprenderla, di farla sentire a proprio agio.”
“All’inizio ti detestava, certo. Era terrorizzata.”
“Poi, però, pensare a te la turbava, la confondeva.”
“Si chiedeva, alle volte, se Theoric al tuo posto si sarebbe comportato con la stessa pazienza e attenzione.”
Il dio dell’inganno serrò la mascella e intrecciò le mani dietro la schiena, in quella che da vivo era stata una posa abituale, ma accuratamente studiata. E, identica al passato, era la sprezzante alterigia con cui fissava i suoi due beffardi e crudeli interlocutori. “Della sua riconoscenza non me ne è mai importato nulla,” sibilò a denti stretti. Quei tentativi di ingraziarsi la bella e giovane moglie, visti in prospettiva gli sembravano patetici, nient’altro.
Huginn piegò la testa di lato. “E del suo amore, Loki?”
“Raccontaci di quella volta che si fece male alla mano,” gracchiò Muninn. “Se lo farai, ti aspetta un dono da parte nostra.”

Loki sapeva perfettamente di che cosa stavano parlando i corvi, ma era un altro di quei ricordi che non desiderava condividere. Avrebbe preferito che rimanesse lì, in un angolo della propria testa, a sbiadire, perdendosi insieme a tutte le giornate che si confondono le une con le altre. Perché quel preciso ricordo ne portava con sé altri che Loki non voleva affatto rievocare: porte impietosamente sbarrate contro cui lui aveva parlato invano, notti troppo brevi di cui gli rimanevano solo brandelli dolciastri. Come l’immagine della schiena nuda di lei, dalle linee flessuose e perfette, con quella massa dorata sparpagliata sui cuscini. Come il rimpianto per il tempo perduto, sprecato, passato a corteggiarla di giorno e allontanarla di notte. La volta che Sigyn era entrata nel suo studio offrendogli la propria amicizia – preludio di una conoscenza inevitabile affinché lei potesse, forse, un giorno, provare qualcos’altro, in cambio della sua fedeltà, l’aveva davvero spinta, come suggerivano i due corvi, verso Theoric? Possibile, probabile. Dovettero passare settimane prima che tra loro vi fosse una conversazione normale, questo lo ricordava bene, così come rammentava di aver ragionato che la flebile speranza che, un giorno, lei magari avrebbe potuto amarlo gli era odiosa, detestabile. Di più, costituiva un insulto. Voleva ogni cosa – il suo cuore, la sua anima, interamente.
Era sempre stato un cacciatore paziente, uno stratega che conosceva le molte virtù dell’attesa, al contrario del suo irruento fratello. Ma questa qualità, che in altri contesti lo aveva aiutato, con Sigyn si era rivelata un’arma a doppio taglio.
Il suo desiderio di raggiungere i cancelli del Valhalla, però, era troppo grande e radicato nel suo spirito, per poter declinare la richiesta di Huginn e Muninn. La prospettiva di un dono da parte delle due creature, poi, accentuava la sua curiosità, sebbene il suo istinto lupesco gli suggeriva che, con tutta probabilità, si trattava di una trappola. Ma aveva scelta? Non si muoveva ancora bene in quel regno sospeso che non apparteneva né ai vivi né a Hela e il freddo che gli ghiacciava le ossa era insostenibile. Non c’era granché da dire, esordì il dio dell’inganno. L’aveva già raccontato. Quando Sigyn aveva cominciato ad abituarsi all’idea di essere sua moglie, lui si era messo d’impegno per renderle Asgard attraente. Un giorno, qualcuno, forse un’ancella oppure Thor o Frigga, aveva raccontato a Sigyn che lui amava andare a caccia col proprio falcone. Era un’arte nobile e sofisticata, molto antica e complessa, che necessitava di pazienza. Lei ne era rimasta profondamente colpita, perché quando viveva nella casa di suo padre una volta le era capitato di far pratica, sì, ma con le poiane. Tuttavia, provava ancora un certo disagio nel rapportarsi con lui – era prima che iniziassero le loro passeggiate a cavallo, quando il tempo che trascorrevano insieme si limitava ai banchetti e a poco altro; eventi in cui si scambiavano occhiate di fuoco e frasi sferzanti. Spinta dalla curiosità e dall’interesse, Sigyn alla fine aveva espresso il desiderio di visitare la torre dove Loki teneva i suoi falconi. Il dio dell’inganno l’assecondò senza nascondere una certa sorpresa, perché le donne di Vanheim, al contrario di quelle di Asgard, non si dilettavano spesso in simili passatempi. E poi, le poiane erano molto più piccole dei falchi, e i rapaci che Loki sceglieva per cacciare erano particolarmente grandi. A ogni modo, Sigyn li trovò maestosi e bellissimi, e questo nonostante il piccolo incidente che la vide protagonista. Aveva preso ogni precauzione possibile per avvicinarsi ai maestosi rapaci di suo marito, naturalmente. Sobbalzò quando, con cautela, Loki tirò fuori dalla voliera uno dei suoi falconi e lo posò sull’esile e sottile braccio di lei, coperto da un guanto imbottito che avrebbe impedito agli artigli dell’animale di ferirla. Il rapace mosse il collo con uno scatto e Sigyn poté ammirare il rostro adunco, il piumaggio chiaro, striato di marrone, il portamento fiero ed elegante del predatore. Il falco si lasciava ammirare con una certa calma, perché aveva gli occhi e la testa coperti dal cappuccio, ma quando questo cadde e l’uccello tornò a vedere iniziò ad agitarsi e a sbattere le ali, spaventando Sigyn. L’intervento del dio dell’inganno fu repentino, ma meno elegante del solito: doveva tranquillizzare il rapace e la ragazza e non sapeva da dove iniziare. Afferrò il falco da dietro, chiudendogli le ali come avrebbe fatto con un meno principesco pollo, esplodendo, lo confessava, in una serie di maledizioni e improperi verso l’inserviente idiota che non si era premunito di controllare il cappuccio, verso sé stesso, che non sottovalutava mai abbastanza l’altrui intelligenza, verso il falcone, che continuava a stridere indispettito uncinando in aria gli artigli e, infine, nei confronti di Sigyn, che invece di interessarsi ai cerbiatti, ai gatti o a qualsiasi altra bestia innocua s’incaponiva con gli uccelli rapaci. Era una scena buffa sotto ogni punto di vista, resa ancora più ridicola dal fatto che Loki non aveva perso il proprio atteggiamento altero nemmeno mentre si rivolgeva al suo offesissimo falco. Sigyn forse non avrebbe dovuto ridere, ma lo fece, non riuscì a trattenersi. Solo quando l’animale si fu calmato e dopo che il cappuccio tornò a oscurargli la vista, il dio dell’inganno, scarmigliato, riuscì a riportarlo nella voliera e a dedicarsi, finalmente, a lei.
“Adesso tocca a te. Fammi vedere il braccio e la mano, avanti,” sospirò, incurante delle ciocche scure che gli ricadevano disordinate sul viso, di una piuma che si era incastrata poco elegantemente in uno degli spallacci.
Negli occhi di Sigyn brillava una luce divertita. Si tolse il guanto e gli porse le dita, mordendosi le labbra per non ridere di nuovo: il polso era arrossato. L’Ase lo sfiorò mormorando un paio di rune di guarigione – era sottile e delicato come quello di una fata e la protezione non era bastata a salvaguardarla.
Con l’altra mano, lei gli tolse la piuma e lo osservò inclinando la testa di lato, come se lo stesse vedendo per la prima volta. “Non ti avevo mai considerato in queste vesti,” ammise.
“Quali vesti?”
“Sei divertente.”

Continua…

L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore,
Ecco la mia terza fetta di torta alla melassa: il prompt, stavolta, era la parola "mano". Qui l’ho sviluppata in tre diversi momenti, quando Loki rapisce Sigyn e le offre la mano, quando si discute di dare la sua mano (nell’accezione di sposarla) e nella scena col falco.
Parto dalla fine: la scena con il falco è una precisa richiesta della cara e insostituibile Emi, a cui la dedica. Il personaggio storico di riferimento per la caccia col falcone, nobile arte citata da Dante nella Commedia, è l’imperatore Federico II Hohenstaufen, detto “stupor mundi” e autore del prezioso “De arti venandi cum avibus” primo e tutt’ora insuperato trattato di falconeria scritto, naturalmente, nel XIII secolo. E basta.
Questo capitolo è lunghissimo (e me ne scuso) e mi ha richiesto una revisione intensa, che non facevo più da molto tempo, almeno qui su Efp. Le ragioni sono nel fatto che Loki ricostruisce il proprio passato mentendo, spesso involontariamente. Ecco perché il suo rapporto complicato con Sigyn sta emergendo lentamente: prima è lei che prova a fare un passo in avanti, ma viene rifiutata. Quindi è lui che adotta la stessa strategia, ma non vince del tutto le resistenze di lei.
Un’altra parte su cui ci terrei a scrivere due righe è sul loro matrimonio. Come sapete, ci tengo sempre tanto a che ci sia un’aderenza storica tra le divinità vichinghe e la società vichinga, una società dove esistevano schiavi, dove gli uomini del nord erano fondamentalmente pirati (da cui il termine vichingo) e dove le mogli si trovavano anche in questo barbaro modo. Tuttavia, scrivendo, mi sembrava quasi che il fatto di far sposare a Sigyn Loki fosse quasi una ricompensa per il trattamento subito. Beh, non lo è e lui, pur rimanendo entro usi e costumi del tempo, ne è ben consapevole – è troppo intelligente per non esserlo, credo.
Ringrazio di cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. ♥ Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo. A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, Vostra,
Shilyss

   
 
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