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Autore: Kanako91    01/10/2022    1 recensioni
Chi erano l’Esterling Nero e il Re Stregone di Angmar prima di diventare famosi come Nazgûl?
Come sono entrati in possesso dei rispettivi anelli?
Nove erano gli anelli dati agli Uomini e questa è la storia di due di loro, tra Númenor e l’Est della Terra di Mezzo.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Khamûl, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Parte I. Il tenente - 4. Frutto avariato


Nomi utili:

Khamûl: futuro tenente dei Nazgûl (unico con un nome canonico)
Hurren: zia di Khamûl
Badem: secondo marito della zia di Khamûl
Rahamadi: generale haradrim, suocero di Khamûl
Harshani: moglie di Khamûl, figlia di Rahamadi
Samir: primogenito di Khamûl e Harshani
Gente del Sole: gli Esterling
Gente del Serpente: gli Haradrim
Doragzûl: grande città a Est della Terra di Mezzo
Vaharabadi: capitale dell’Harad e poi dei Regni del Sole
Uomini della Morte: i Númenóreani
Doragmalik: titolo per "Gran Re"
Sempregiovani: gli elfi che hanno rinunciato alla chiamata dei Valar e sono rimasti a Est della Terra di Mezzo (Avari)
Demoni pallidi: gli elfi partiti per l'Ovest e che abitano l'Ovest della Terra di Mezzo (Eldar o Amanyar)




4. Frutto avariato




I figli si susseguirono nel giro di pochi anni: dopo Samir venne un altro maschio, Ramaj, a cui succedette Urri, la prima femmina; poi Hamed e infine Farah. Il tempo di battere ciglio e Khamûl se li ritrovò cresciuti e adulti.

In quel periodo, giunse anche l’ora che Rahamadi lasciasse il suo fianco.

«Sono quasi sette decenni, ho vissuto molto a lungo rispetto a tanti miei coetanei» gli disse, costretto a letto dall’ultimo malanno che lo aveva colpito.

Khamul se lo era aspettato. Forse era stato per quello che l’aveva presa meglio della perdita di Badem, o di sua madre.

Harshani non aveva versato una lacrima finché non si era tenuto il funerale, ma Khamûl non avrebbe saputo dire se quel pianto fosse stato a beneficio delle usanze funerarie o sincero. Di certo, lui non l’aveva mai vista piangere, nemmeno durante il parto di Samir.

Nel raddrizzare la casacca di Ramaj, Khamûl si rese conto per la prima volta di quanto il tempo fosse scivolato tra le sue dita, come sabbia del deserto. Si avvicinava sempre più ai cinquant’anni e, nonostante i primi fili bianchi tra i capelli, non si sentiva un giorno più vecchio di quando era diventato Doragmalik.

«Sai cosa devi fare» disse Khamûl con una pacca alle spalle del suo secondogenito.

Ramaj sollevò gli occhi al cielo. «Non ti rispondo come vorrei, solo perché sono anche io padre di famiglia e posso immaginare cosa stai provando».

Come dimenticare che ora aveva anche dei nipoti! Piccoli, ma aveva due femmine da Samir e da Ramaj altri tre –due maschi e una femmina. Le sue Urri e Farah non erano ancora sposate e Khamûl era tentato di tenerle così finché non fossero state loro a scalpitare per trovare marito.

Anche se Urri aveva già accennato alla questione e lui aveva fatto finta di non sentire.

Sua figlia sapeva con chi aveva a che fare e non aveva insistito, ma prima o poi sarebbe tornata alla carica e allora Khamûl avrebbe dovuto accettare anche quel fatto della vita: le sue principesse sarebbero andate da un altro uomo.

«Non preoccuparti per me» gli disse Ramaj, stringendogli un braccio. «Non è la prima volta che vado in battaglia».

«Ma è la prima che ci vai senza di me».

«E non sarà l’ultima, vedrai».

Khamûl gli sorrise, il cuore pieno di orgoglio, e lo strinse a sé per un ultimo abbraccio, prima di spedirlo verso il cavallo e le sue truppe in attesa.

Lo guardò partire sul viale di Vaharabadi dal portone della corte, per poi rientrare nel palazzo, un sorriso ancora sulle labbra.

Poteva essere solo il suo secondogenito, ma Ramaj era speciale per lui. Era certo che fosse stato concepito la notte in cui aveva finalmente confessato ad Harshani di amarla, in cui lei aveva detto di saperlo e di ricambiare.

Era stata una notte che aveva segnato la svolta definitiva nel loro rapporto e Ramaj ne era la prova: il suo secondogenito era tutto quello che Khamûl sarebbe stato se non fosse nato in tempo di guerra, senza un padre e in un villaggio povero e vulnerabile.

Nutriva grandi speranze per Ramaj, anche se non era il suo erede.

«Padre».

Parlando di eredi, Samir lo affiancò, scrutandolo guardingo da sotto le ciglia scure.

«Ramaj è partito a spingere indietro l’avanzata degli Uomini della Morte dalle nostre coste, qualcosa che di solito hai fatto tu» disse Samir. «Ho pensato che potrei trovare un posto nel tuo consiglio e darti una mano. Non sarò un guerriero, ma penso di poter fare qualcosa sul campo di battaglia politico».

Khamûl si fermò a guardare Samir in volto, ma suo figlio non ricambiò lo sguardo. Lo teneva nella direzione generale del suo viso, ma non nei suoi occhi.

Quasi si vergognasse a incontrarli.

Quasi avesse qualcosa da nascondere.

«Non è necessario» disse Khamûl. «Occupati delle tue figlie. E cerca di darci un erede. Per ora non c’è bisogno che ti occupi di altro».

Samir parve ridimensionarsi davanti ai suoi occhi. A conferma che non era pronto ad affiancarlo.

Per tutte le urla a perdifiato che aveva lanciato da bambino quando aveva avuto fame o qualcosa non gli andava a genio, Samir era cresciuto sempre più chiuso e taciturno. E la differenza si era fatta ancora più accentuata con Ramaj che, nato a un anno di distanza, sembrava più grande di lui, era più intraprendente e precoce.

Ramaj era il figlio che Khamûl si sarebbe aspettato come primogenito.

E ora, nonostante avesse provato a chiedergli un suo spazio, Samir non insistette quando Khamûl glielo negò. Non cercò di convincerlo della sua utilità, o della saggezza di coinvolgerlo nel governo del regno.

Non fece nulla di tutto ciò.

Accettò la decisione di Khamûl con un cenno del capo, poi si voltò e se ne andò nel corridoio da cui era arrivato.


* * *


Quella notte, Khamûl ebbe appena il tempo di infilarsi a letto e gettare un braccio intorno alla vita di Harshani, che lei gli lanciò uno sguardo oltre la spalla con il sopracciglio del giudizio sollevato.

Così Khamûl sospirò e disse: «Che c’è?»

«Tuo figlio ti ha chiesto qualcosa oggi».

«Quale figlio? Abbiamo tre maschi e due femmine, e fanno parecchie richieste durante il giorno, nemmeno fossi il re e loro i miei sudditi».

«Be’, sei il loro re. Prima ancora di essere loro padre».

«Perché non vengono a te con certe richieste, me lo ricordi?»

«Vengono e io li rimando a te. E poi devo sentirmi dire che non gli hai risposto o li hai mandati a stendere, la loro moglie e con l’intento di procreare».

Khamûl si lasciò andare sulla schiena e grugnì, infastidito.

«Corre subito dalla mamma a lamentarsi» disse. «Certo che poi non riesce a fare il suo dovere a letto».

Harshani si girò verso di lui, sollevata su un gomito.

«Quali problemi ti crea Samir?» gli chiese. «Perché devi pretendere da lui cose su cui nemmeno tu hai il controllo?»

«Noi abbiamo avuto subito due figli maschi».

«Per pura fortuna, Khamûl. Non per qualche tua capacità sovrannaturale a letto».

Khamûl la guardò con un sopracciglio inarcato. «Ah, quindi ora mi dici che non ti lascio soddisfatta».

Harshani sbuffò con tutta l’esasperazione che aveva in corpo.

«Quando fai questi commenti provocatori solo per sviare il discorso da dove fa male, vorrei strozzarti».

«Potresti provare, non ho nulla in contrario».

Al che si beccò una manata sul petto, con uno schiocco di pelle contro pelle, e ridacchiò.

«Non vedo il fascino della cosa e vorrei che finissimo di parlare di Samir, prima che tu ponga rimedio a tutte queste battute fuori luogo».

Khamûl sospirò e si passò le mani sul viso, prima di intrecciarle sullo stomaco.

«D’accordo, sono tutto orecchi» disse.

«Vedi di essere anche tutto parole e fatti» disse Harshani. «Perché non inserisci Samir nel tuo consiglio? È abbastanza riflessivo da ascoltare e imparare senza aprire bocca, finché non è sicuro di avere chiara la situazione. Non ti nuocerà. Lo abbiamo fatto istruire perché ti succeda, non può iniziare a fare pratica già da ora?»

Khamûl aprì la bocca per rispondere, ma Harshani gli posò due dita sulle labbra.

«Hai mandato Ramaj a fare qualcosa che un tempo avresti fatto tu, e persino Hamed inizia a supervisionare per te i lavori in giro per il regno. Samir è pur sempre il primogenito, devi dargli qualcosa con cui tenersi occupato. Non vorrei che si ritrovasse a regnare senza aver fatto abbastanza esperienza sotto la tua guida».

«Ma se la mia guida fosse così comoda che non si impegna da solo?» disse Khamûl. «Non sarebbe neppure la prima volta. Per ogni singola decisione cerca la mia conferma e il mio aiuto e l’unica cosa per cui non ha potuto chiedermeli sono stati i doveri coniugali, e lì non ha dato grandi soddisfazioni».

«Hai parlato con sua moglie, per caso?»

«Non mi sembra il ritratto della gioia matrimoniale. Con te ho sempre visto la differenza».

«Potrebbero esserci mille motivi per cui lei non sprizza gioia da tutti i pori. Per esempio, anche lei è riservata come Samir, è per questo che li ho trovati perfetti appena li ho visti insieme».

«Ramaj e sua moglie mi ricordano me e te» le disse, con un sorriso.

Harshani sorrise a sua volta. «Perché sono diversi tra loro e sono anche diversi da noi. Non illuderti che ci somiglino, perché quando inizieranno a differenziarsi anche ai tuoi occhi, potresti rimanere molto deluso dai loro comportamenti».

«Sissignora».

Harshani gli tracciò una linea dal centro della fronte, lungo il naso, le labbra, fino alla punta del mento.

«Samir ti chiede consiglio perché ti stima più di chiunque altro. Non vuole deluderti, o commettere errori che potrebbero distruggere tutto il lavoro che hai fatto tu. Prova a dare più fiducia anche a Samir».

«Lo dici solo perché sei sua madre».

Harshani lo guardò con le sopracciglia inarcate. «Ti sembro una che fa favoritismi?»

«Certo, altrimenti non mi avresti graziato con questa conversazione e mi avresti direttamente tirato le orecchie e fustigato sulla pubblica piazza».

Lei sospirò, esasperata, ma con un sorriso sulle labbra.

«Ci proverò, ma vedrai che ho ragione io» le disse e prima che lei potesse continuare il discorso, la rovesciò sul letto e si distese tra le sue gambe. «Ora basta parlare dei nostri figli, che dobbiamo averci a che fare già durante tutto il giorno».

«Caro mio, ti piace tanto farli, ma poi seguirli neanche a parlarne».

«Solo quando sono bravi».

Harshani roteò gli occhi. «Sono tuoi figli, come ti aspetti che non piantino grane a ogni angolo?»

«Ah, ora sono miei figli» le disse. «Meno male che io ti piaccio, o avrei paura che li metteresti alla porta, con tutto questo affetto materno».

«Scusa se mi riesce difficile essere materna, quando ho la tua lancia premuta tra le gambe».

Le lanciò un’occhiata di finto rimprovero e le lasciò il tempo di ridere, prima di calare la bocca sulla sua e concludere definitivamente i discorsi di figli ed educazione.

Almeno per quella notte.


* * *


Gli Uomini della Morte non attaccavano solo dove Ramaj li stava respingendo, ma avevano circumnavigato il Sud –dove avevano comunque lasciato segni del loro passaggio– per spuntare dal mare a Est. Erano per lo più esploratori, ma ciò non voleva dire che non fossero una minaccia.

Il grosso problema si presentò quando giunse finalmente notizia che nell’Estremo Sud avevano fondato una colonia e la popolazione locale stava reagendo da sola, nei modi più disparati, come se non facessero parte di un solo regno. Ma coordinarsi era complicato: far arrivare i messaggi attraverso la giungla richiedeva troppo tempo e la costa, con gli attacchi degli Uomini della Morte, era poco praticabile.

Era giunta l’ora di collegare a dovere la parte più a sud del suo regno e lì emersero altre difficoltà. Nessuno voleva lavorarci. C’erano voci su spiriti della giungla che attaccavano chiunque tentasse di attraversarla o si spingesse troppo a fondo. Erano secoli che nessuno della Gente del Serpente vi si addentrava e le leggende non facevano che dissuadere chiunque dal provarci, anche per sbaglio.

Khamûl decise che, come primo passo, avrebbe costruito una strada nell’area meno fitta della giungla.

«Devo andarci di persona e dimostrare che non c’è niente da temere» disse Khamûl, quando nessuno si fece avanti per guidare i lavori.

«Non mi sembra il caso, rimani qui e trova qualcuno di fidato da mandare» gli suggerì Harshani. «Qualcuno di sacrificabile».

«C’è una ragione per cui nessuno ci va più e non vorrei che fossi proprio tu, padre, a provare che le leggende hanno fondamento» disse Urri, che aveva decisamente preso il piglio della madre nel dispensare consigli senza chiedere permesso a nessuno.

Khamûl non era sorpreso da quelle credenze, dopotutto era nato tra gente piena di superstizioni e lui stesso ne aveva, ma la giungla era un nemico da abbattere per lui, un’oasi di disordine nel suo regno ordinato.

«Nemmeno il Doragmalik ha mai osato estendere il suo dominio nella giungla» disse Samir a cena, dopo il consiglio riguardo alla strada.

Era da un paio di anni che gli permetteva di partecipare, da quando si era creata una lotta intestina tra i suoi consiglieri storici per riempire il seggio lasciato vuoto da Rahamadi,

«Come, non mi inviti ad andare così ti lascio governare in mia vece?» gli chiese Khamûl.

Samir serrò la mascella e distolse lo sguardo. «Mi consideri così opportunista?»

«Non fai che chiedermi maggior potere: i miei dubbi sembrano legittimi».

Al suo fianco, Harshani sbuffò per fargli capire quanto non fosse d’accordo con lui.

Però tutta la cautela consigliata da sua moglie e sua figlia, e anche buona parte del consiglio, servì a qualcosa: Khamûl decise di non andare subito, ma di selezionare operai e manodopera dal Nord, dove potevano essere all’oscuro delle superstizioni dei locali e avrebbero avuto una barriera linguistica a proteggerli il tempo necessario per avviare i lavori e dimostrare che le dicerie erano infondate.

Con architetti e governatori delle regioni limitrofe alla giungla, Khamûl pianificò la costruzione della strada attraverso una zona meno fitta così da non urtare troppo le sensibilità dei locali, ma senza sacrificare il suo obiettivo principale.

Tutte le persone coinvolte sembrarono convinte dal piano e dalle parole di incoraggiamento di Khamûl, eppure dopo sei mesi un messo giunse ad avvisarlo che i lavori erano stati resi impossibili dai demoni della giungla, che sabotavano di notte il cantiere, e dagli alberi stessi, che sembravano ribellarsi a loro volta all’invasione degli operai.

Khamûl inviò altre guardie per difendere il cantiere di notte, e non servì a nulla.

Mandò sacerdoti, sciamani, stregoni che si fecero avanti per sconfiggere la giungla, ma nessuna delle loro preghiere e magie servì a qualcosa.

Intanto, l’Estremo Sud era sempre più fuori controllo, e gli Uomini della Morte razziavano dove il potere del Doragmalik non arrivava.

Così, alla fine, Khamûl partì alla volta della giungla e lasciò la reggenza non a Samir, ma ad Harshani.

«So di lasciarla in mani capaci» le disse. «Ti scriverò appena arrivo alla giungla e ti terrò aggiornata».

Lei scosse il capo. «Sei un testone».

«Non sarei qui altrimenti».

Harshani non rispose con uno sbuffo divertito al ghigno che le rivolse, ma strinse gli occhi in un rimprovero che gli bruciò più del dovuto.






Nota dell'autrice


Sarebbe una mia storia senza rapporti genitori-figli conflittuali e mogli che danno in testa ai mariti? Claro che no.

Ci avviciniamo alla fine della storia di Khamûl e c'è un grande assente...
Ma non per molto ;)

Grazie a chi sta seguendo la storia e ci rivediamo la prossima settimana,

Kan


   
 
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