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Autore: My Pride    09/10/2022    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Hugging you has always been my light Titolo: Hugging you has always been my light
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 
1277 parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Rating: Giallo
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort
Writeptember: 2. Puoi tenere la luce accesa? || Immagine. A si abbraccia e stringe in sé stesso
 


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
.

    Fu un dolore alla gamba a svegliarlo, anche se Damian si rese ben presto conto che proveniva dai suoi incubi.
    Col cuore in gola e il respiro accelerato, artigliò le coperte e le scostò così bruscamente che rischiò di strapparle, fissando nella penombra della camera la fasciatura che ricopriva il moncone dove mesi prima c’era stata la sua gamba sinistra. Deglutendo, la sfiorò con dita tremanti e serrò le palpebre, cercando di scacciare dalla propria mente le immagini dell’incubo che lo aveva strappato dal suo sonno. Gli sembrava di essere ancora lì, nel bel mezzo della battaglia, con il viso sporco di sangue e le urla che rimbombavano nelle orecchie, le sue stesse urla che suonavano così aliene e distanti come se non provenissero dalla sua bocca: la carne che veniva dilaniata con un rumore viscido, le articolazioni che scricchiolavano, le ossa che si frantumavano e i tendini che si strappavano; la sensazione della gamba che si staccava e i tessuti che si laceravano, il sangue che schizzava in ogni dove fino a creare una pozza sul terreno in cui era accasciato, l’emorragia che lo lasciava pallido e senza forze e il mondo intorno a lui che roteava fino a scomparire.
    L’incubo si era ripetuto in un loop continuo che lo aveva lasciato senza fiato prima ancora di aprire gli occhi, e il dolore si era impossessato del suo corpo nonostante ormai non avrebbe dovuto più provarlo. Lancinante e continuo, un martellio che lo aveva trascinato fuori da quell’incubo per farlo piombare in un altro, la sensazione di qualcosa bloccato in gola che premeva per uscire ma che si bloccava lì, immobile, impedendogli di respirare. E Damian si avvolse le braccia intorno al busto, si massaggiò le spalle, sollevò la gamba destra contro il petto e rimase a fissare il moncone come se non gli appartenesse, avviluppato da immagini che si accavallavano le une alle altre e che sembravano stringersi intorno alla sua bocca e alla sua gola come ad impedirgli di urlare, mozzandogli il fiato nel petto; sentiva il rombo del proprio cuore nelle orecchie che risuonava come un martello pneumatico, inzuppato di sudore nonostante il freddo che sembrava avvolgere la stanza, e aveva come l’opprimente sensazione che qualcosa non andasse. Sapeva che era solo colpa del suo subconscio, che i rumori che sentiva erano semplicemente i suoni provenienti dalla città non ancora addormentata e che gli scricchiolii provenivano probabilmente dalle tubature, ma aveva ricominciato a respirare pesantemente e affondò le unghie nella coscia sinistra, poco al di sopra della curva del moncone fasciato dalle bende.
    Damian inspirò pesantemente, soffiando il poco fiato rimasto nei polmoni. Doveva calmarsi, si impose di farlo, ma il vortice di urla, immagini e sangue che sbatteva continuamente contro le pareti del suo cervello non voleva lasciarlo in pace, provocando continui conati di vomito che gli attorcigliavano le budella; trattenne il fiato quando sentì dei passi e serrò il pugno della mano destra, ma il suo corpo addestrato scattò nello stesso istante in cui qualcosa gli sfiorò la spalla. Ad occhi sbarrati, afferrò nell’oscurità il suo aggressore e lo gettò sul letto, rotolando con lui sul materasso tra imprecazioni e suoni soffocati; si ritrovò a cavalcioni su di lui senza nemmeno rendersene conto, le mani avvolte intorno al collo robusto che stringevano e stringevano con l’intento di togliergli completamente il fiato. Erano anni che non avvertiva l’istinto di uccidere per sopravvivere e, con le immagini di quell’incubo ancora impresse nel cervello, non aveva intenzione di farsi sopraffare in alcun modo.
    «Tranquillo, D. Sono io».
    La voce che gli parlò suonava calma, un mormorio che si sollevò dolcemente come una brezza leggera, e Damian risalì a fatica dal suo stato di torpore nello sbattere più e più volte le palpebre, annaspando mentre l’incubo si diradava e il campo di battaglia lasciava il posto alle mura della camere da letto; il volto di Mad Harriet si scioglieva e il suo ghigno si distorceva fino a scomparire, lasciando posto al viso rilassato di Jon che, nella penombra e alla flebile luce della luna che filtrava dalla finestra, lo osservava con i suoi grandi occhi azzurri.
    «Jon?»
    Ingoiando dolorosamente, Damian si umettò le labbra secche e allargò le palpebre quando si rese conto di ciò che stava facendo, allentando poco a poco la presa intorno al collo mentre il corpo cominciava a tremare; Jon parve avvertirlo, poiché sentì il palmo della sua mano premere delicatamente sulla sua guancia improvvisamente bagnata di lacrime. Quando aveva cominciato a piangere?
    «Va tutto bene», sussurrò ancora Jon nell’accendere la lampada sul comodino, e Damian notò i capelli ancora umidi dalla doccia appena fatta, goccioline d’acqua intrappolate in quelle ciocche scure e che brillavano alla luce. «Sei a casa».
    «Io… credevo…»
    Damian cominciò a balbettare, cercò di distogliere lo sguardo dal volto di Jon e a rintanarsi lontano da lui, ma Jon gli carezzò ancora una volta il viso e cominciò a sussurrare parole che alle orecchie di Damian parvero vagamente incomprensibili, avvolgendogli entrambe le braccia intorno ai fianchi qualche momento dopo; era consapevole che Jon riuscisse a sentire il battito impazzito del suo cuore nonostante lui cercasse di stabilizzarlo insieme al respiro, ma si accasciò del tutto contro di lui, trattenendo lacrime e singhiozzi mentre le dita di Jon districavano i nodi nei suoi capelli. Non aveva osato toccare il moncone, non aveva nemmeno provato a carezzargli la coscia o a cercare un contatto maggiore, consapevole che non sarebbe riuscito a sopportare qualcosa di più intimo di un semplice abbraccio. E Damian gliene fu grato. Si lasciò solo cullare dalla voce di Jon, dalle parole rassicuranti che gli sussurrava e dal modo in cui aveva cominciato a massaggiargli i muscoli della schiena, sdraiandosi insieme a lui nel silenzio più totale.
    Non seppe quanto passò, perse la cognizione del tempo mentre il suo cuore si placava e il suo respiro si regolarizzava, con Il sommesso canticchiare di Jon e le coperte a nascondere nuovamente la parte inferiore del suo corpo, ma fu di scatto che poggiò mano sul braccio di Jon quando lo vide allungarsi verso la lampada sul comodino, ricevendo da lui uno sguardo curioso e interrogativo.
    «Puoi… puoi tenere la luce accesa, J?» pigolò con voce roca, e non gli importò di sembrare un bambino che aveva paura del buio, poiché in quel momento aveva bisogno di un contatto visivo stabile e di scacciare gli orribili pensieri che cercavano ancora di affollare la sua mente; quindi ringraziò Jon in silenzio quando, conscio che non servissero parole, si limitò semplicemente a lasciare la luce accesa come richiesto e lo attirò nuovamente a sé, e Damian non si vergognò di accoccolarsi al suo fianco nonostante avesse sussultato per un istante quando il moncone sfiorò una gamba di Jon al di sotto delle coperte.
    Damian non aveva mai avuto paura del buio. L’oscurità era sempre stata la sua casa, aveva vissuto nell’ombra e aveva imparato a fondersi con essa anno dopo anno, ma qualcosa dentro di lui si era spezzato e, in quel momento, temeva gli incubi che si nascondevano nel buio e che la penombra della camera da letto non sarebbe stata confortante come lo era sempre stata notte dopo notte. Così si rilassò fra quelle braccia, lo sguardo puntato sul volto di Jon e sul modo in cui gli occhi tremavano al di sotto delle palpebre ormai abbassate, sul lieve ronfare a cui dava vita e sul corpo provato dalla stanchezza, e lui stesso si addormentò così, premuto su quel petto che infondeva protezione e col viso rilassato di Jon ben impresso nella mente.






_Note inconcludenti dell'autrice
Scritta per il secondo giorno del #writeptember sul gruppo facebook Hurt/comfort Italia
Ambientata prima del trasferimento ad Hamilton, in un momento imprecisato durante i primi mesi in cui Damian perde la gamba.
Damian soffre di stress post traumatico, cosa piuttosto comune quando si affrontano momenti così delicati che scuotono del tutto la vita di una persona. La sua reazione probabilmente è eccessiva, ma è ciò che a volte succede ai soldati che hanno subito traumi durante la guerra: è il motivo per cui bisognerebbe fare attenzione a non toccarli durante il sonno, proprio per evitare reaazioni che potrebbero mettere in pericolo tutti
Detto questo, ovviamente alla fine Damian si calma e si accoccola contro Jon
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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