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Autore: Marauder Juggernaut    09/10/2022    0 recensioni
[ Dal Testo ]
È vero, la persona che spera di incontrare è degna di Katakuri. Col tempo, il Ministro della farina si è reso conto di non essere disposto a concedere la propria presenza a gente che non lo merita. Già cinque minuti sono sufficienti, figurarsi spendere notti intere.
È vero, è bellissima. Katakuri ha visto quasi l’intero oceano e poche volte ha posato lo sguardo su creature più ammalianti.
È vero, non ci fa nulla. È sfiorito il tempo della passione imperterrita per entrambi. Ogni tanto, uno dei due ci prova a rinvigorire la fiamma, ma non sempre è un successo e col passare del tempo si sentono sempre più ridicoli.
È vero, è della sua taglia. A essere onesti, svariate decine di centimetri di più (e qualche milione di Berry in più, ma è un’altra questione) e questo è un particolare che ha sempre infastidito Katakuri, ma ha imparato a non darci peso per il quieto vivere.
È falso, invece, che si tratti di una donna, ma questo è un dettaglio che non condividerà mai con nessuno.
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[ Coppia principale: Katakuri x King/Arbel ]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Charlotte Katakuri
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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 Capitolo 2: Bugie per un Alleato

 
 
 
«Questi sono i soldi» dice Katakuri riponendo un sacchetto con una sostanziosa quantità di monete d’oro sul bancone, di fronte alla proprietaria di Casa Romance, che si degna di accogliere nel proprio bordello solo i clienti più facoltosi. Katakuri è uno di questi.
«Sono più del dovuto, come al solito» ridacchia Stussy, contandoli e ponendoli in un cofanetto sotto al banco, per poi ritirare la chiave della camera numero 12.
«È per comprarmi anche il tuo silenzio» ribatte Katakuri senza mezzi termini, guardandola con serietà.
Stussy non smette di sorridere maliziosa quando si sporge oltre il bancone per essere più vicina possibile al suo volto, il suo corpo attraente a pochi centimetri da Katakuri. È una donna sensuale, ha in pugno molti personaggi scomodi, ma Katakuri non ha simili mire e questo lei lo sa. È una dei pochi a saperlo. «Sai perfettamente che a Kanrakugai vige il segreto professionale, ancora di più a Casa Romance. Non oserei mai spifferare in giro quanto vedo, anche perché potrei mettere in crisi la metà della gente che bazzica il Nuovo Mondo». Stussy ha potere perché controlla un’isola senza legge dove le persone arrivano e si spogliano, mettendo a nudo la parte più vera e intima di sé; non è sospetto che lei conosca informazioni che possono compromettere tutto il mare. «E poi non sono così stupida da inimicarmi due dei pirati più pericolosi che esistano» conclude e torna al suo posto facendo le spallucce.
Ha ragione. In fondo, se il loro segreto non è stato ancora scoperto è anche grazie a quell’imprenditrice che ha saputo tenere la bocca chiusa. Aveva tutto da guadagnare con quello scoop, ma ci avrebbe perso la vita con molta probabilità. Stussy non è mai stata una donna stupida.
«C’è anche questo» dice Katakuri, allungando una lettera sul banco per lei.
Stussy lo guarda accigliata, battendo le palpebre incuriosita quando nota il simbolo di Big Mom sulla ceralacca che chiude la busta.
«“Ufficialmente invitata al matrimonio tra Charlotte Pudding – trentacinquesima figlia di Charlotte “Big Mom” Lin Lin, regina di Totland – e Vinsmoke Sanji – terzo figlio di Judge Vinsmoke, re di Germa.”» legge ad alta voce con tono divertito. Senza smettere di sorridere, guarda Katakuri. «Immagino che sia un ordine di partecipazione, più che un invito, dico bene?».
«No. Puoi non venire. Cosa ti potrà accadere se non vieni, è fuori dalle mie previsioni» le risponde serio e la donna ride ancora di più, intascandosi il biglietto con un movimento fluido.
«Di’ pure a tua madre che ci sarò, è da un sacco che non mi invitano a un matrimonio. Quelli della famiglia Charlotte, poi, sono sempre in grande stile» e nel dirlo, appoggia il mento sulla mano e gli dedica un occhiolino malizioso. «Aspetto con ansia il giorno in cui sarò invitata al tuo».
Katakuri sente un prurito alle mani che è facilmente traducibile in una voglia di strozzare la donna che ha davanti, ma si trattiene perché se le capita qualcosa, dovrebbe sorbire l’ira della madre e non crede di esserne pronto, non per una sciocchezza simile.
Non le risponde, si limita a prendere la chiave e a dirigersi verso la camera.
«A volte mi chiedo se tu sappia prevedere più futuro di quanto tu ammetta: dalle mie fonti, ho scoperto che lui si presenterà a Kanrakugai questa notte» lo informa Stussy a bassa voce prima che lui si possa allontanare del tutto.
Dietro la sciarpa, Katakuri sorride compiaciuto: non sbaglia mai una previsione.
 
La stanza numero 12 è opulenta in modo assolutamente indiscreto. Stussy dice che ha assegnato loro quella perché è quella adatta alle dimensioni di Katakuri e Arbel e di certo è vero, ma non è l’unica motivazione. Sì, il letto, le poltrone, il tavolo, i bauli, gli armadi con tutto l’occorrente sono più grandi del normale, ma c’è una cosa che ha sempre disturbato Katakuri. Specchi. Ovunque ci sono specchi, sulle pareti, sui mobili. Sul soffitto. Ovunque volti la testa, non c’è il rischio che non veda la propria immagine riflessa che lo fissa.
Se ne era lamentato la prima volta che era stato nella camera e, in preda all’imbarazzo e all’irritazione, era tornato nella hall della casa chiusa a chiedere spiegazioni a una Stussy ancora apprendista che gli aveva dato la chiave della stanza.
Non aveva avuto spazio a sufficienza per lamentarsene perché Arbel era arrivato in quel momento e si erano dovuti accontentare della camera 12, nonostante Katakuri avesse assicurato all’altro che la stanza coperta di specchi non era stata una sua idea.
Avrebbe capito quella notte stessa a cosa servivano, perché proprio a loro avevano assegnato quella stanza. Dovunque si girassero, non potevano non scorgere i loro volti stravolti dal piacere, con le lacrime e il sudore che rigavano le guance. Katakuri si era rimirato nello specchio sul soffitto mentre incassava – accoglieva – gli affondi di Arbel e si era visto tremendamente vulnerabile. Ovunque si fosse voltato, avrebbe scorto se stesso avviluppato nelle spire di piacere, avvolto dalle braccia di Arbel. L’unico modo per non farlo era chiudere gli occhi, ma Katakuri detestava abbassare così tanto la guardia. E aveva capito il perché degli specchi, il perché di quella stanza assegnata a loro. Quella piccola apprendista col caschetto biondo e il sorriso malizioso voleva mettere in chiaro come loro, temibili pirati e spauracchio del Nuovo Mondo, a Kanrakugai non fossero altro che l’ennesima coppia che si mostrava nella parte più intima e profonda di sé, vulnerabili come dei bambini e coi loro segreti a nudo come loro, a disposizione di chi manteneva celata la confidenza.
Kanrakugai li aveva in pugno e loro non potevano controbattere.
Katakuri sospira accantonando i ricordi e appoggia sul tavolo coperto di specchi al centro della stanza la scacchiera di vetro. Sta per estrarre i pezzi dal piccolo cassettino, quando cambia idea.
La rimette al suo posto e prende invece un mazzo di carte. Si attraggono più mosche con il miele che con l’aceto, quindi se vuole rendere ben disposto il futuro ospite, è meglio accoglierlo con un benvenuto adatto alle sue corde.
Si mette a sedere sulla poltrona dopo aver preso un libro da leggere. Avrà ancora del tempo da aspettare.
 
 
Katakuri alza gli occhi dal libro che sta leggendo quando sente avvicinarsi dei passi. In realtà, i passi sono ancora distanti da qualche parte nel castello, ma Katakuri sa per certo che si stanno dirigendo da lui.
Torna a leggere, in attesa che quella persona si palesi davanti a lui per chiedergli in faccia quello che le serve. 
Nella vasta biblioteca del castello, ci sono un sacco di libri impilati nelle posizioni più assurde e precarie, tanto che una colonna di tomi in bilico gli era quasi caduta addosso quando aveva provato a prenderne uno nello specifico. Quella biblioteca merita una sistemata e nessuno vuole prendersi la briga di farlo a parte il suo fratellino Mont d’Or, che sembra invece parecchio propenso a mettere in un posto ben specifico ogni libro che gli capita sottomano. Probabilmente ha un futuro come studioso, poiché per il combattimento non sembra molto portato.
Volta la pagina con interesse, l’argomento di cui sta leggendo lo ha intrigato più di quanto immaginasse. Corruccia la fronte davanti ad alcune parole che non subito comprende, ma inserite nel contesto hanno significato più chiaro (sua madre si era impuntata che tutti i suoi figli sapessero quanto meno la base della cultura, quindi leggere e scrivere e fare quel minimo di conto che impedisse loro di venire fregati quando reclamavano denaro o dolci).
Il motivo per cui aveva preso quel libro era stata l’immagine sulla quarta di copertina: un angelo con le ali nere. Nello specifico, quella lettura parla di diverse razze antichissime che hanno calcato la Terra, alcune ancora esistenti e altre no. I giganti, le sirene, i…
«Lunariani» lo interrompe dai suoi ragionamenti sua Madre, comparsa davanti a lui in quel momento, con il collo piegato abbastanza in avanti per capire cosa stia leggendo il figlio. «Pelle scura, capelli chiari, grandi ali nere … pirocinesi» elenca con un sorriso sempre più largo e si lecca le labbra, come se la sola idea di parlare di una simile razza le faccia venire appetito. Il suo sogno di riunire tutte le razze sotto il suo vessillo non si ferma nemmeno di fronte a una popolazione tecnicamente estinta. «È un peccato che non ne esistano più» continua infatti, guardando negli occhi il proprio figlio forse prediletto. «Si diceva fossero anche incredibilmente forti e resistenti … quanto mi sarebbe piaciuto averne uno nella ciurma!» fantastica ad alta voce, sollevando la testa.
Katakuri si blocca e si irrigidisce; spera che la donna di fronte a lui non se ne accorga, ma ha un dubbio che non riesce a togliersi dalla testa. «Quindi … è impossibile che esistano ancora, vero?». Non deve insistere troppo, non vuole attirare sospetti, ma…
«Mh?» domanda la madre, sollevando un sopracciglio e guardando il giovane uomo. «Si dice che il Governo paghi cento milioni di Berry anche solo per delle informazioni a riguardo, ma non ne troveranno mai. Non esiste più nessun Lunariano».
Non esiste più nessun Lunariano. Katakuri guarda l’immagine disegnata sul libro, di un uomo e una donna dotati di ali nere e circondati da fiamme, troppo simili ad Arbel perché si tratti di una coincidenza.
«Mi cercavi, madre?» cambia completamente discorso, senza smettere di guardare il disegno.
«Mh? … Sì!» esclama Big Mom, come se si fosse ricordata solo in quel momento perché si trovi in quel luogo, davanti a suo figlio. «Il prossimo mese dovrò incontrare un uomo».
Katakuri chiude gli occhi e trattiene un brivido di disgusto, perché non può mostrarlo davanti a quella pirata in particolare. La possibilità di avere altri fratelli non lo infastidisce, anzi, ma la l’idea di dover di nuovo sopportare sua madre incinta non lo entusiasma particolarmente. I suoi attacchi di fame uniti alle voglie della gravidanza risultavano sempre una situazione non semplice da gestire per i figli Charlotte.
«La nave ammiraglia di dirigerà a Kanrakugai». Il giovane uomo alza lo sguardo, all’improvviso più interessato e attento. Una volta all’anno Charlotte Linlin si reca su quell’isola per incontrare i suoi amanti e porta con sé i suoi figli più maturi come scorta e per far loro sfogare una libido che non sanno tenere davvero sotto controllo. Katakuri è sempre uno dei figli prescelti perché, anche se è il migliore a mantenere la calma, si vede che smania per arrivare su quell’isola e appartarsi nessuno dei fratelli ha ancora capito dove. Tutti hanno liquidato la questione come eccessiva dose di testosterone in un corpo che sta crescendo a dismisura, come a un sano giovane uomo si richiede.
E ogni volta che arriva sull’isola, Katakuri può incontrare quello spasimante che sembra contenere in corpo tanta voglia quanta ne ha lui. Sono quasi tre anni che riescono a convivere con questo tipo di incontri. Dietro la sciarpa, Katakuri sorride deliziato all’idea di poterlo rivedere di nuovo tra un mese, perché se adesso sua madre gli sta dicendo quello è perché vuole che l’accompagni in quella “missione”.
Accarezza il libro con sguardo assente. Non c’è nemmeno la garanzia che possa incontrarlo ancora proprio in quei pochi giorni che sarà là, ma si aggrappa a ogni minima speranza perché non può negare la pesantezza che gli era albergata nel petto durante gli ultimi tre anni al pensiero che l’unica persona con cui era disposto a condividere l’intimità era disperso chissà dove nel mare. Katakuri non ammetterà mai di sognare di notte i rari momenti insieme, come non ammetterà mai di aver perso di tanto in tanto interminabili minuti a guardare la Vivre Card strisciare verso un impreciso Nord-Ovest. «Tu verrai con me e un altro gruppo di tuoi fratelli e sorelle. Dovrai badare a Cracker … sai che intendo». È chiaro: Cracker ha ormai compiuto diciotto anni e, come quell’imbarazzante rito di passaggio richiede, dovrà passare una notte in uno dei bordelli di Kanrakugai. Perospero l’aveva fatto per lui e i suoi gemelli, ora Katakuri deve farlo per Cracker. Si domanda perché non possa farlo di nuovo Perospero, ma non osa controbattere in quel frangente: non vuole farsi sfuggire la possibilità di andare sull’isola a luci rosse.
«Inoltre, c’è una donna che dovrai conoscere molto a fondo».
Il tempo rallenta fino a congelarsi. Katakuri è convinto di sentire un vaso di vetro andare in frantumi solo per rendersi conto che in realtà è il suo animo che è stato attraversato da una crepa.
Guarda incredulo la propria madre, che sta sorridendo soddisfatta come se quella fosse un’idea geniale e anche Katakuri la ritenesse tale.
«Cosa intendi?». Vuole fugare ogni dubbio, ma non ce ne sono davvero. Sua madre vuole dire una cosa sola.
«Dovrai unirti a lei e darmi dei nipotini. Sono certa che dei figli tuoi sarebbero un’ottima aggiunta al potere complessivo della ciurma».
Katakuri fissa le pagine, ma non vede le parole. Sfumano e si confondono sulla superficie bianca e Katakuri vorrebbe solamente vomitare in quel momento, perché sa che non può opporsi alla decisione di sua madre. Vuole patteggiare, farle presente che non è il caso, ha solo ventun anni dopotutto, c’è ancora tempo, ma sa che è tutto inutile: sua madre troverebbe fuori ogni scusa per obbligarlo, tacciandolo di ammutinamento se si rifiutasse fino alla fine.
Deglutisce e stringe la copertina del libro fino a farsi sbiancare le nocche. «Non mi sento ancora pronto per sposarmi…» si oppone a mezza voce.
Big Mom solleva un sopracciglio, prima di ridere sguaiatamente. «Non devi sposarti! Nessuna donna ti vorrebbe con una bocca simile. Devi solo fare dei figli con lei!».
Il commento della Madre è una stoccata al suo orgoglio. Katakuri serra le fauci in preda all’ira e allo sdegno, non riesce a credere che il capitano – sua madre – si prenda la briga di esternare giudizi simili al figlio a cui ha appena detto che dovrà giacere con una donna per darle dei nipoti.
Katakuri fissa il libro e batte le palpebre, colto da un’idea. Potrebbe farlo, sì … potrebbe spifferare a Big Mom che un Lunariano esiste ancora, che balla tra le dita di Katakuri già da qualche anno, che potrebbe trovare un modo per farlo unire alla ciurma. Potrebbe rivelarle che si vedono di nascosto una volta all’anno a Kanrakugai per …
Katakuri deglutisce. Non oserebbe dire al suo capitano che ogni volta che lei si era recata sull’isola, lui aveva impiegato il proprio tempo in compagnia di un altro uomo. Non vuole farle sapere dell’esistenza di Arbel per un egoistico desiderio di “salvezza” dai doveri di pilastro fondante della ciurma. L’essenza di Arbel come segreto lo fa sentire colpevole in modo compiaciuto, ma è una regola non detta quella che si sono imposti entrambi di non far sapere a nessuno quegli incontri, quindi non svelerà nulla. Non vuole convivere con l’ira dell’altro sulla coscienza.
Katakuri chiude gli occhi e obbedisce, perché per ora non può fare altro.
 
 
Kanrakugai quella sera è meno accogliente di quanto lo sia mai stata negli anni precedenti. C’è lo stesso colore rosso, lo stesso odore di incensi, ma questo, invece di essere afrodisiaco, stringe lo stomaco di Katakuri in una morsa che gli dà la nausea.
È la quarta volta che sta facendo il giro di quel quartiere con la scusa che si tratti di un pattugliamento, quando in realtà sta solo aspettando che suo fratello Cracker esca dal Thorned Rose per riaccompagnarlo alla nave; si rifiuta di aspettarlo fuori dall’entrata del bordello perché, per quanto ha ormai sviluppato il Kenbun-shoku, se si concentrasse troppo sulla presenza di Cracker, riuscirebbe a percepire azioni che sta eseguendo di cui farebbe volentieri a meno di venirne a conoscenza.
Purtroppo però, il suo vagabondare senza meta lo lascia solo coi propri pensieri e agitazioni. Dopo aver riaccompagnato Cracker alla nave, dovrà raggiungere Casa Romance, ma non per incontrare chi desidera davvero. Una donna lo attende in una delle stanze di quell’albergo a ore già da un po’, ma Katakuri sta vigliaccamente ritardando il suo incontro con lei perché è più forte di lui: non gli interessa andare. Si rende conto che in ogni caso dovrà obbedire agli ordini del suo capitano e prima lo fa, prima smette di pensarci, ma non ci riesce. Quando varcherà la porta della camera, spererà soltanto che duri il meno possibile, ma da quanto poco lo entusiasma l’idea, ha addirittura paura che non riuscirà a eccitarsi abbastanza per concludere.
Scuote la testa per allontanare quei pensieri e si concentra su altro, come quella presenza estremamente forte che lo assilla sin da quando Queen Mama Chanter ha attraccato sull’isola il giorno prima. Sa che Arbel si trova qui, nella camera numero 12. Chissà se è riuscito a distinguere la presenza di Katakuri sull’isola, se ne è altrettanto ossessionato da tenere i sensi tesi per percepire ogni singolo cambiamento nell’aura di Kanrakugai; oppure non lo sta davvero attendendo ed è qui solo per gustare l’ospitalità che l’isola offre.
Quando passa di fronte alla porta del Thorned Rose per l’ennesima volta, c’è Cracker ad aspettarlo sdraiato su una panchina, semicoperto dal proprio mantello.
Katakuri non si preoccupa: non deve nemmeno avvicinarsi per rendersi conto che è vivo, vegeto e pure cosciente. È soltanto stanco e, di base, è una persona estremamente teatrale in qualsiasi cosa.
Cracker ha gli occhi chiusi e Katakuri è tentato di stuzzicarlo con la punta della scarpa, ma si limita a dargli un colpetto con l’asta di Mogura. Cracker fa una smorfia.
«Fammi spazio almeno» lo incalza con un altro colpo Katakuri; ancora senza aprire gli occhi, il fratello si mette a sedere composto e gli lascia posto sulla panchina.
Il mantello scivola lungo il petto scoperto di Cracker, rivelando i numerosi segni di morsi e succhiotti che gli costellano collo e pettorali.
«E copriti, sei indecente».
«Hai altri ordini da darmi, fratellone?» domanda sardonico con voce gracchiante, come se l’avesse usata troppo nelle ultime ore, ma fa come gli viene detto.
Katakuri lo studia per alcuni secondi, sondando ogni espressione del suo volto, ma gli sembra solo rilassato. È comunque bene accertarsene.
«Come ti senti?» domanda con un accenno di apprensione.
«È difficile stare meglio di così» mormora il fratello con sguardo distante anni luce, perso in chissà quale ricordo appena creato.
Katakuri sbuffa divertito: sapeva che per Cracker non sarebbe stato un problema quella “prova del fuoco” destinata a tutti i maschi Charlotte. Fino ad adesso, sembra che l’unico ad avere avuto problemi sia stato Katakuri stesso.
Sospira. «Alzati, dai. Ti riaccompagno alla nave».
«Stai solo evitando i tuoi doveri, fratello». La frase di Cracker è un colpo di mannaia che agisce dove fa più male. Katakuri è irritato dal fatto che sia il fratello minore a ricordagli quello che deve fare, ma la motivazione per cui Katakuri è lì a Kanrakugai si è diffusa tra la ciurma a macchia d’olio. Tutti ne parlavano a bassa voce guardando Katakuri che si è domandato come lo sapessero, dato che quello doveva essere solamente un’informazione privata tra lui e la Madre.
Non si sorprenderebbe di scoprire che è stata Brulee a raccontarlo in giro, troppo agitata del segreto di cui era venuta a conoscenza per non dirlo a qualcuno. Per giorni Katakuri ha sopportato in silenzio lo sguardo colmo di giudizio e rispetto dei propri fratelli che avevano capito quale sarebbe stato il compito di Katakuri, quando dentro di sé voleva soltanto urlare e ammutinarsi a quell’ordine che gli stava pesando addosso come una cappa di piombo.
«Non me lo faccio ricordare da mio fratello minore…» ringhia a mezza voce, fulminando con gli occhi, ma ciò sembra non sortire alcun effetto, perché Cracker lo guarda con una serietà che Katakuri stesso non immaginava.
«Perché ti fa così schifo l’idea? Ogni volta che vieni a Kanrakugai ti imboschi da qualche parte e non ne esci finché non è ora di salpare … cosa cambia questa volta? Perché l’ha scelta Mamma invece che te?» indaga Cracker, mettendosi meglio seduto e scrutando il fratello maggiore come se cercasse una qualsiasi falla nella sua armatura impenetrabile.
Katakuri riflette sul mettersi a nudo. Il suo fratellino è alle volte troppo impiccione e Katakuri non vuole rischiare di svelare i propri segreti a qualcuno solo per scoprire che poi ne sarà a conoscenza l’intera ciurma. Ma è anche vero che Cracker saprebbe mantenere il segreto, Katakuri si fida di lui (si è affezionato tanto nel corso degli anni); inoltre, sta indagando troppo: potrebbe dirgli una mezza verità, ma non vuole correre il rischio che si impunti e lo tampini.
«C’è … già una persona» si limita a dire e solo quelle parole bastano ad ammutolire Cracker che lo guarda sorpreso. Katakuri non incrocia il suo sguardo e forse quel gesto potrebbe apparire come imbarazzo, ma in realtà non vuole che Cracker ci legga più del dovuto.
«Ah … E Mamma non l’approverebbe lo stesso?» domanda tastando il terreno.
«È un uomo, Cracker…». Quella frase basta a far congelare sul posto il fratello minore, che adesso fissa il vuoto con stupore di fronte a quell’inaspettata rivelazione.
Katakuri si aspetta di tutto, tranne quel rumoroso suono deglutizione e la voce del fratello, di solito alta e casinista, così flebile e insicura. «È una questione pericolosa, fratello». Katakuri non risponde e non lo guarda. Resta in silenzio quando la fronte dell’altro gli colpisce la spalla e rimane lì. «Cosa hai intenzione di fare allora?».
«Non lo so…» risponde, sull’orlo dell’esasperazione. È proprio quello il problema: Katakuri ha le spalle al muro. Per tutto il mese, da quando sua madre era comparsa nella biblioteca per impartire quell’ordine, Katakuri ha pensato a un modo per uscirne, senza riuscirci. La frustrazione gli annebbia la mente e ogni idea si fa confusa e irrealizzabile. Tutta quella situazione gli sembra assurda come una barzelletta.
«Non per cacciarti nei guai, ma potresti…».
«Se stai per dirmi “dillo a mamma”, ti rispondo già che mi caccerebbe nei guai…».
«Tsk, non interrompermi! Non sai quello che sto per dire, e a meno che tu non voglia il mio suggerimento…».
Katakuri sospira e guarda la strada di fronte a sé con occhi assenti, arreso. «In questo momento accetto qualunque proposta».
 
 
 
La stanza di Casa Romance odora di un miscuglio di frutti rossi e chiodi di garofano che sta dando alla testa a Katakuri. L’intera camera è in penombra, non c’è luce che delinei le forme se non quella dei bracieri. Sta seduto sul bordo del letto e non guarda in faccia quella cosina che se ne sta nascosta, nuda, tra le lenzuola e lo fissa con apprensione.
Cosa avesse in mente Mamma quando ha deciso che sarebbe stata lei, proprio non riesce a capirlo. È una giovane donna umana, forse qualche anno più grande di Katakuri, ma glielo si legge in volto che non vuole essere lì, che è stata la paura a convincerla a infilarsi in quel letto. Una paura che deve essersi dilatata per tutte le ore in cui Katakuri non si è presentato.
Ora c’è solo uno spesso strato di imbarazzo che riempie lo spazio tra di loro, perché nessuno dei due sa come cominciare quell’obbligatorio rituale che devono compiere. Ci ha provato, lei, ma era tutto così finto e impostato che ha rinunciato non appena aveva visto che Katakuri non stava rispondendo.
«Io…» inizia a dire la donna, ma Katakuri la blocca con un gesto fermo della mano.
«Non dire nulla» la rassicura. «Rivestiti. Non ti obbligo a fare questa cosa. E non ti biasimo per non volerla fare». La osserva per la prima volta, vede come si nasconde con un gesto pudico dietro il lenzuolo, come i lunghi capelli castani scendono come una coltre sulle sue spalle. È molto più minuta di lui. Si domanda come avrebbe fatto a…
Non importano questi pensieri. Loro due non faranno assolutamente nulla.
Lei ha comunque le spalle contratte per la paura. «Ma tua madre punirà la mia famiglia se…».
«Non accadrà» la rassicura con tono solido. Come in battaglia, anche adesso non può permettersi di mostrarsi indeciso. E non potrà mostrarsi indeciso neanche quando dovrà affrontare sua madre sul perché non è riuscito ad avere degli eredi. «Tu non devi preoccuparti. Non succederà nulla a te o alla tua famiglia, mi assicurerò di questo».
Lei sembra sull’orlo delle lacrime e Katakuri non è sicuro se si tratti di sollievo o di terrore. Ma in una più che decennale esperienza di fratello maggiore, sa cosa deve fare in questi casi. Attrae a sé con delicatezza quella sconosciuta, stringendola tra le sue braccia possenti come se stesse consolando uno dei fratelli minori. Le braccia bianche della ragazza si avvolgono attorno al suo collo e nasconde il viso nella sua spalla, senza soffocare i singhiozzi liberatori.
«Grazie … grazie…».
Katakuri non risponde. Non sa come reagire a quella gratitudine, perché l’idea che ha in testa per mettere in salvo entrambi ancora non ce l’ha definita, solo un suggerimento dato dall’inesperto fratello minore. Ma ci penserà più tardi. Adesso si stacca solamente da quell’abbraccio, si alza e rassicura la giovane donna che potrà restare nella stanza finché la ciurma di Big Mom non avrà abbandonato l’isola il giorno dopo.
Adesso, vuole solo prendersi del tempo per se stesso e godersi quella nottata prima di prendere il mare di nuovo.
 
 
Arbel ha le spalle alla porta quando Katakuri entra nella camera numero 12. La linea del suo dorso è più rigida del solito, come se fosse rimasto in una posizione scomoda per troppo tempo. E l’attesa può essere una posizione estremamente scomoda, soprattutto se si sa che l’oggetto del proprio pazientare si trova sull’isola da diverso tempo e non si è mai presentato all’incontro fino a quel momento.
Katakuri chiude la porta dietro di sé e vi si appoggia con la schiena guardando l’altro che ha voltato appena la testa con un movimento lento che ha smosso i lunghi capelli bianchi.
«Sei venuto, alla fine…». Ha un tono neutro, ma Katakuri è convinto che nasconda una buona dose di irritazione. Non importa: Katakuri non gli deve niente.
«Potevi andartene, se ti stavi annoiando». Non lo nasconde perché non è mai stato persona che le manda a dire, anche se una parte di lui è contento che non se ne sia andato e che abbia invece deciso di aspettarlo, in fondo fiducioso che Katakuri si sarebbe presentato all’incontro.
«E fare tutta la strada fino a Kanrakugai per nulla?». La voce di Arbel è ancora più dura, mentre marcia spazientito verso di lui, ma per ora non sembra esserci l’intento di alzare le mani: sembra piuttosto infastidito dal fatto che Katakuri lo abbia lasciato lì ad aspettare. Se il suo fastidio, in qualche momento, si sia trasformato anche in preoccupazione, Katakuri non lo saprà mai.
«C’è pieno di bordelli in cui potevi andare» insinua Katakuri, con un tono di sfida. «Qui a Casa Romance» fa un passo verso Arbel senza abbassare lo sguardo: ora sono a meno di un metro di distanza «ci sono le più belle prostitute di tutta Kanrakugai e la scelta va incontro ai gusti di tutti: se non volevi farti tutta la strada per nulla, nessuno ti impediva di portarti nel letto quanti uomini e donne volessi».
«Come hai fatto tu?» ringhia Arbel, forse involontariamente.
«È gelosia quella che sento?» lo stuzzica e forse tira troppo la corda perché un lampo indefinibile passa per gli occhi del Lunariano, ma quello che Katakuri riesce a leggere dalle sue intenzioni non è una voglia di violenza, ma un incontenibile desiderio di andarsene. Per la prima volta da quando lo conosce, Katakuri vede Arbel a disagio.
Non sa se l’altro darà ascolto a quegli istinti che gli dicono di abbandonare la stanza e Katakuri per non farsi più vedere, ma il secondogenito Charlotte non si è dannato l’anima per giorni per lasciar scappare il vero motivo per cui ha deciso di presentarsi a Kanrakugai.
«Mia madre voleva che avessi degli eredi». Questa frase doveva essere un segreto per l’intera ciurma Charlotte, non perché fosse necessariamente una nozione riservata, ma perché Katakuri si vergognava a parlarne. Tutti ne erano a conoscenza, ma non per sua volontà. Gli sembra quasi impossibile che gli sia uscita con tale naturalezza di fronte ad Arbel. Come se lui potesse capirlo; o per lo meno, non volesse giudicarlo. «Mi ha obbligato ad avere rapporti con una giovane donna appartenente a una famiglia della criminalità organizzata affiliata alla nostra ciurma».
Negli occhi di Arbel c’è una scintilla di incredulità. «Tua madre vuole che ti sposi?» e nel dirlo sembra quasi prenderlo come un affronto personale.
Quella domanda scatena un’amara risata di pancia a Katakuri. «No, no … come dice lei, con un bocca simile nessuna donna vorrebbe sposarmi». A sentire quelle parole, Arbel sembra irrigidirsi per un istante, ma è talmente rapido che Katakuri può esserselo immaginato. «Alla fine comunque non l’ho fatto e dopo aver chiarito la questione con quella ragazza, sono venuto qui».
Gli occhi di Arbel proprio come Katakuri se li aspettava: non lo stanno giudicando, ma lo fissano impassibili. «È stato un azzardo. Non serve conoscere il futuro per sapere che tua madre non la prenderà bene».
Katakuri scuote la testa e si avvicina di un altro passo. Ora non c’è che un velo di aria a dividerli. «Ho un piano. Ma non voglio pensarci adesso». Alza lo sguardo sulla bocca di Arbel che è appena dischiusa e sembra promettere peccati e paradiso. Negli ultimi anni, i capelli del Lunariano si sono fatti più lunghi, li tiene raccolti in una treccia e lo rendono ancora più sensuale, assottigliando le forme del suo viso.
Arbel alza una mano per scostare la sciarpa di Katakuri e accarezzare il suo volto, poggiando la fronte sulla sua. Gli sfiora lo zigomo con il pollice, un gesto insolitamente tenero per loro due, quasi fuori luogo. «Per quanto possa valere» sussurra con voce rauca, guardandolo fisso negli occhi «Tua madre ha torto sulla questione della tua bocca».
Katakuri non commenta. Se Arbel pensa così, tanto gli basta.
 
 
Non è ancora l’alba, Katakuri ne è sicuro. C’è un venticello tiepido che entra dalla finestra e la stanza è buia. Ha un attimo di confusione mentre cerca di capire cosa l’ha svegliato, prima di notare che Arbel è all’angolo della stanza, concentrato sul braciere. È spento e non è chiaro da quanto. Con un gesto casuale della mano di Arbel, torna in vita, come se le braci non si fossero mai soffocate. Katakuri chiude gli occhi e con un sussurro interroga il ragazzo tornato a sedersi accanto a lui e che ha appena ravvivato il fuoco senza nessun mezzo se non la propria mano.
«Hai mangiato un frutto del diavolo?». La sua voce è più impastata dal sonno di quanto avesse preventivato, ma le parole sono ancora chiare e il suo dubbio pure.
«Sì».
Bugiardo, riesce solo a pensare Katakuri.
Arbel si è preso qualche secondo per rispondere, secondi di troppo perché si tratti della verità.
«Un potere interessante, controllare le fiamme» mormora ancora, voltandosi nel letto per ricercare di nuovo il riposo e non mostrare all’altro quanta verità sulla sua natura davvero conosca.
«Mette in difficoltà molti nemici…» conferma Arbel con voce neutra, pronto ad alzarsi di nuovo dal letto per rivestirsi, ma non per lasciarlo solo. Non lo fa mai e Katakuri non vuole leggere ragioni dietro quel gesto.
«Sembra che tu ne abbia parecchi…». La voce del secondogenito Charlotte è di nuovo spezzata dal sonno: Arbel, complice l’altalenarsi di emozioni di quella nottata, lo ha lasciato più stanco del solito. Più insaziabile di quanto lo fosse stato le volte precedenti; una possessività nei suoi tocchi mai dimostrata prima, come se ciò che Katakuri gli aveva confessato appena entrato in camera lo avesse rinvigorito a tal punto da dimostrare quanto Katakuri si stesse sbagliando.
«È così. Ma è normale, è difficile sapere di chi fidarsi in queste acque» risponde ancora senza alcuna inflessione, dando un’occhiata a Katakuri.
«E di me ti fidi?» lo interroga il secondogenito Charlotte, mettendosi finalmente a sedere su quel letto enorme. Arbel lo fissa intensamente negli occhi, ma non risponde, cosa che infastidisce Katakuri.
Infatti lo chiede di nuovo. «Allora, sono un alleato o sono un nemico?».
«Mi pare abbastanza chiaro cosa tu sia…» risponde, senza smettere di rivestirsi.
A Katakuri viene quasi da ridere per quella risposta affettata che riceve. «È chiaro? Davvero? Solo perché puoi godere di questo» dice, scoprendosi del tutto con un gesto di stizza «dai per scontato che siamo alleati?».
«Allora mettiamola così» si spazientisce Arbel, fronteggiando Katakuri standosene ritto ai piedi del letto, fissando da quella posizione sopraelevata l’altro ancora sdraiato e completamente nudo. «Non mi hai dato ancora motivo per dubitarne».
Quella è la più grande dichiarazione di fiducia che Katakuri possa mai ricevere da Arbel. Che un uomo così fiero eppure così schivo potesse affermare qualcosa di simile, era fuori anche dalle previsioni di Katakuri. Arbel non ha abbassato la guardia, perché non lo fa mai (come Katakuri, del resto), ma sta platealmente dicendo che in compagnia di Katakuri, gli volterebbe le spalle perché convinto che lui non gli darebbe mai una pugnalata. E forse ha ragione. La mente del secondogenito della famiglia Charlotte non può che volare alla conversazione con la madre avuta poco più di un mese prima, quando avrebbe potuto consegnare Arbel nelle mani del suo capitano per evitare una copulazione non richiesta e invece aveva preferito ritrovarsi con l’acqua alla gola a cercare una scusa per la propria inadempienza e potersi godere ancora quei momenti con l’altro.
Forse Arbel, pur ignorando tutto questo, fa bene a fidarsi perché quel legame clandestino che ha intessuto con Katakuri è diventato più importante della fedeltà al suo capitano, alla sua famiglia. Nemmeno Katakuri sa come sia possibile (lui, figlio esemplare e fratello devoto), ma una risposta è forse da cercare nel fatto che con Arbel può essere finalmente se stesso, senza nascondersi.
E niente vuole nascondere. «Io so cosa sei … Lunariano».
Succede tutto in un secondo, il movimento con cui una mano di Arbel minaccia di prendergli la faccia e sbatterla contro il muro sembra più reale di quanto Katakuri abbia preventivato, ma il tempo rallenta e, sebbene Arbel sia tremendamente contrito in volto, non lo colpisce. Ancora, non c’è violenza nelle sue intenzioni, forse perché intuisce che se il Governo e la Marina non sono ancora venuti a sfondare la porta di quella camera è perché la sua natura non è trapelata.
«Da quanto lo sai?». La sua voce è poco più di un ringhio.
«Solo da un mese…» ammette Katakuri, appoggiandosi contro la testiera del letto, sforzandosi di guardare Arbel negli occhi per evitare di fissare le mille riproduzioni date dagli specchi.
Il Lunariano fa una smorfia. «Non vuoi i soldi che offre il Governo? Farebbe finta di non vedere la tua taglia se gli dicessi di me».
«Non mi servono i soldi…» preferisco quello che ho qui rimane non detto e Katakuri spera veementemente che Arbel non lo capisca, perché significherebbe mettersi a nudo più di quanto non abbia già fatto.
L’altro chiude gli occhi con espressione pensosa, sedendosi sul letto a fianco a Katakuri. Resta in silenzio per un minuto, prima di confessare. «Ho alleati che … se scoprissero la mia natura, mi venderebbero alla Marina senza pensarci due volte. Eppure, tu che mi conosci appena».
Katakuri sbuffa: probabilmente lo conosce meglio lui di tanti sedicenti alleati, nonostante si fossero visti di persona solo una manciata di volte.
«Eppure tu che mi conosci appena, ti fidi abbastanza da non raccontare in giro un segreto che ti frutterebbe milioni. Pensi che io sia un tuo alleato?».
«Mettiamola così: non mi hai dato ancora un motivo per dubitarne». Katakuri gli restituisce la frase e l’atto di fiducia che l’altro giovane uomo ha riposto nei suoi confronti.
Arbel spalanca gli occhi. Per qualche istante è così sorpreso da non dire nulla. Anzi, è come se volesse dire qualcosa per scardinare quell’equilibrio che hanno appena creato, ma alla fine ci ripensa e non dice nulla.
Sbuffa una risata (un suono così raro provenire dalla sua bocca) e appoggia la fronte a quella di Katakuri, passandogli la mano sotto la mandibola, accarezzandola.
«Spero che tu non cambierai idea troppo presto».
Katakuri non capisce cosa intenda, vuole chiederlo, ma il bacio che gli regala Arbel lo lascia senza il fiato per domandare.
 
 
Si sentono urla per tutta Queen Mama Chanter, ma le singole parole sono indistinguibili. È un impeto di rabbia che trova epicentro nella cabina del capitano e si dirama alle orecchie di ogni singolo pirata presente sulla nave. Cracker trattiene Bruleé dallo sgattaiolare in uno degli specchi per origliare meglio e scoprire quindi la sorte del fratello maggiore, Perospero fa buona guardia alla porta che conduce alla stiva in modo che nessuno possa avvicinarsi ulteriormente.
La nave è ormeggiata in mare aperto da diverse ore e da altrettanto tempo la furia di Big Mom si sta scagliando contro Katakuri. Anche dalle altre navi della flotta accanto all’ammiraglia si affacciano membri della ciurma curiosi di conoscere le sorti del figlio più ammirato.
I ruggiti senza senso della Madre sembrano quietarsi per un minuto, due, sempre di più, prima che dalla porta su cui è appoggiato Perospero arrivino dei passi e si spalanchi completamente, tanto che il fratello maggiore ha giusto il tempo per spostarsi se non vuole essere travolto.
Da sottocoperta riemerge altero Katakuri; il suo volto è corrucciato in un’espressione grave, ma non sembra più provato del solito. Perospero lo squadra dall’alto in basso con sguardo dubbioso.
Il fratello minore nemmeno lo guarda: «Streussen, prepara subito una cheesecake ai frutti tropicali … Mamma sta per avere uno dei suoi attacchi di fame improvvisa, risolvilo prima che faccia un disastro».
Il capocuoco della ciurma scatta sull’attenti, correndo in cambusa e poi in cucina per eseguire gli ordini dati da Katakuri, che se ne va facendo lunghi passi e non guardando in faccia nessuno dei fratelli che se ne stanno ancora lì a bocca spalancata, domandandosi cosa stia succedendo.
Solo Perospero però lo segue, agitando il bastone e dando ordini a tutti di levare l’ancora e salpare verso la prossima isola.
Katakuri si avvicina a un parapetto nel trambusto generale, pronto a saltare sulla nave che gli compete comandare insieme ai gemelli, ma un colpo secco e deciso sulla sua spalla lo fa voltare irritato: Perospero lo guarda colmo di fraterno rimprovero. Poco dietro di lui, Cracker si sta affaccendando a fare cose inutili solo per poter origliare il discorso.
«Dunque?».
Katakuri fa una smorfia, ma la sciarpa ne smorza l’intensità. «Governa questa nave, Perospero. Non mi metterò in ridicolo ulteriormente per ripeterti roba che hai già sentito» e fa per andarsene di nuovo, ma quel colpo fermo lo blocca di nuovo.
«Quanti anni?». Il fratello maggiore calca meglio la domanda questa volta; i suoi occhi si assottigliano per il sospetto e le sue pupille si fanno più attente, come se cercasse di carpire prima una risposta che in ogni caso non gli sarebbe piaciuta.
«Non mi ha tolto degli anni … per ora».
Perospero fa una faccia come se avesse ingoiato un limone. Sapere che Mamma possa, da un momento all’altro, decidere di togliere anni di vita come minaccia al fratello minore non è piacevole per niente.
Lo biasima apertamente. «Spero per te che almeno ne valesse la pena».
«Ogni singolo minuto». La voce di Katakuri è marmorea. Non c’è segno di cedimento né nelle sue parole né nel suo sguardo e almeno questo Perospero glielo deve riconoscere.
«E dimmi». La voce del fratello maggiore si fa più bassa, in modo che Cracker ancora appostato non possa sentire quale bugia avesse detto Katakuri al capitano sul perché non avesse potuto procreare con quella donna. Non che ce ne sia davvero bisogno: quell’idea stessa l’aveva in parte lanciata Cracker. «Come convincerai Mamma a portarti di nuovo a Kabuchojima ora che le hai fatto credere che il miglior frutto dell’albero Charlotte non può dare frutti a sua volta?».



 
   
 
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