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Autore: EleAB98    23/10/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
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*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo X – Labbra di Zucchero



Le avevo appena dato un bacio passionale e tutto il mio corpo fremeva ancora per l'emozione. Poco prima di staccarmi da quelle labbra, che riscoprii deliziose come lo zucchero, Benedetta aveva sussurrato il mio nome con un tono così supplichevole, così traboccante di desiderio, che cercare di riprendere il controllo delle mie facoltà mentali era stato più difficile del previsto. Occhi negli occhi, ancora stretti l'uno all'altra, eravamo semplicemente sbigottiti, ma non meno felici di esserci trovati in quella circostanza. Sulle prime, pensavamo persino di essere del tutto soli, ma delle risatine sommesse ci fecero intendere che qualcuno avesse assistito piacevolmente alla scena. Preferimmo evitare di incrociare lo sguardo di quel qualcuno, ma non mi sfuggì un sorrisetto.
«Mi sa che abbiamo dato spettacolo», sussurrai all'orecchio di Benedetta, che non smetteva di tremare alle carezze delicate che stavo riservando alla sua schiena.

Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata, le guance in fiamme. Dio, adoravo quel suo lato così timido e riservato. Si contrapponeva del tutto al mio, ma per qualche motivo, cucito addosso a lei, era semplicemente irresistibile.

«Spero di averti reso un po' l'idea su quello che sto provando ultimamente per te», soffiai in tono dolce, sperando che incrociasse di nuovo il mio sguardo.

Lei, per tutta risposta, puntò i suoi occhi nei miei e si avvicinò di nuovo per baciarmi. Fu un bacio tenero e altrettanto sentito; un bacio che ci trascinò ancora una volta in un mondo in cui nessun'altra persona era contemplata. Ricambiai all'istante, schiudendo appena le labbra.
Si staccò quasi subito e mi sorrise, raggiante. «E io spero di averti reso l'idea di quanto mi sia piaciuto il nostro spettacolo», mi disse, sfiorandomi la nuca con il palmo delle sue mani, morbide e lisce come la seta.

Mi beai di quel tocco leggero e continuai a sorridere. Era così bella, nella sua semplicità. Così vera. E io mi sentivo così bene!

«Mi stai quindi dicendo che ti è piaciuto baciarmi?» domandai dopo un po' fingendo ingenuità e sfoggiando un sorrisetto malandrino. D'altra parte, ero o non ero affetto da una qualche mania di protagonismo?

«Mi sembra logico che sia piaciuto anche a te», rispose lei con vivo sarcasmo, motivata a non darmi soddisfazione. Potevo ancora percepire qualche traccia di imbarazzo dal suo tono di voce, ma al tempo stesso adoravo quando si lasciava andare stando al mio gioco.

«Puoi dirlo forte», le risposi, senza smettere di guardarla con meraviglia. Nei suoi occhi c'era una luce così bella. Come avevo fatto a non accorgermene prima?
«Che dici, torniamo dentro? Credo che la cena ci stia aspettando», ripresi, cercando di spostare l'attenzione su altro. Avevo ancora fame dei suoi baci, però non volevo consumare troppo in fretta un momento che contemplava una confidenza e una conoscenza più fisiche, del tutto nuove per entrambi. Volevo diluire quel momento, gustarmelo con più calma e scoprirne le sfumature, magari durante un dopo cena rilassante.
D'altra parte, anche il vinello andava centellinato con calma tra una porzione e l'altra, no?

Le presi la mano e la intrecciai con la mia. Benedetta sorrise, stringendola più forte. «D'accordo, andiamo.»

La scortai nella Sala Ristorante e prendemmo posto su un tavolinetto circolare. L'uno di fronte all'altra, faticavamo non poco a concentrare la nostra attenzione sul cibo – avevamo ordinato un filetto di sgombro gratinato e un'insalata di riso –, perché la nostra mente era occupata da altro. La mia testa richiamava costantemente quel bacio, ed ero più che sicuro che Benedetta stesse facendo lo stesso. Non mi sarei mai aspettato di baciarla così, di punto in bianco. Avevo programmato di concedermi del tempo per capire, approfondire la conoscenza con lei. Ma ora come ora, desideravo soltanto averla con me, il più vicino possibile. Non avrei più potuto accorciare le distanze, perché volevo assolutamente altri baci e attenzioni da lei, e non potevo fingere indifferenza o controllo laddove non ve ne era neanche un briciolo. Sentivo che la passione – quella vera – si era risvegliata mostrando un bagliore così potente da avvinghiarmi senza pietà, penetrandomi sin dentro le viscere.

Senza preavviso, Benedetta allungò la mano verso la mia. Gliela strinsi, accarezzandone il dorso. «Va tutto bene?» le chiesi, bevendo un sorso di vino bianco.

«Non riesco a non pensarci», mi rivelò, accennando un sorriso.

Capii al volo. «Nemmeno io.»

Tra sorrisi complici e occhiate più intense, terminammo il pasto e ci alzammo dal tavolo. Eravamo sazi nel corpo, ma non lo eravamo di noi. Io stavo fremendo per tornare ad assaggiare le sue labbra, e lei non sembrava da meno. Parlare era quasi superfluo, o almeno lo era in quel momento. Lo avevamo fatto spesso e ci eravamo sempre trovati, ma ora volevamo capire se potevamo trovarci anche in altre circostanze.
La condussi per mano verso il giardino che era stato testimone del misfatto e cercai un posto più tranquillo. L'aria era piuttosto mite, ma una brezza piacevole la riempiva.

Benedetta si lasciò ammaliare dal paesaggio circostante. Una distesa di verdi prati e alberi secolari che, da quel terrazzo, davano una visione ancora più estesa. Ancora non scendeva la notte più completa, perciò potevamo godere di una vista mozzafiato. Le cinsi la vita e l'abbracciai da dietro con dolcezza. Inspirai il profumo dei suoi capelli e percepii una fresca essenza di vaniglia. Avevo sempre sognato, più o meno segretamente, di lasciarmi avvolgere da quella setosa massa di ricci ribelli, e adesso potevo farlo senza indugiare. Si voltò verso di me e la strinsi più forte. «Malcom, mi potrei anche abituare a tutti questi slanci d'affetto. Sei sicuro che sia quello che vuoi?»

«Mai stato più sicuro.» Cercai le sue labbra e, nel momento in cui le schiuse, ci abbandonammo per un paio di minuti alla più assoluta tenerezza. Le lasciai piccoli baci che lei, di tanto in tanto, approfondiva. Ogni volta che sorrideva, il mio cuore esultava felice. Ogni volta che sospirava, un brivido intenso serpeggiava lungo la mia schiena. Da quando mi ero lasciato andare, ogni singolo contatto con Benedetta era come fuoco, per me. Ardevo e bramavo la sua essenza, desideravo più di qualsiasi altra cosa stare con lei. Viverla nella sua totalità.

Smisi di baciarla, ma non di guardarla. «Sei bellissima. Lo so, ho avuto una giornata per dirtelo, però... la timidezza mi ha frenato.»

Benedetta rise. «La timidezza? Tu?! Da quando un tipo come te può considerarsi un timidone

Sorrisi, colto in flagrante. «Hai ragione, però... è tutto nuovo per me. Da tanto tempo non provavo questa sensazione di...»

«Di?»

«Appartenenza», esalai, del tutto privo di difese. Difficilmente ammettevo a parole quello che provavo, perché avevo spesso preferito esprimere con il corpo quello che la mia mente e il mio cuore mi suggerivano. Ero decisamente più bravo all'atto pratico, eppure con Benedetta sentivo l'esigenza di parlare, di confrontarmi costantemente con lei per cercare di capire me stesso.

«Io mi sono sentita così fin dal primo momento, Malcom. Quando ti ho visto al Griffith Park in tenuta sportiva, con i capelli scompigliati dalla fatica e le cuffiette alle orecchie, ho provato immediata curiosità e una strana stretta allo stomaco. Eri davvero... affascinante», ammise, imbarazzata.

Inarcai le sopracciglia e le sorrisi con aria falsamente severa. «Ero

«Lo sei ancora», si affrettò a dire lei, ridendo alla mia espressione buffa.

«Ah, ecco», le risposi, stampandole un bacio sulle labbra. «Anche tu mi hai colpita subito. Però non avrei mai immaginato che saremmo arrivati a questo. Io... io credo di non poter fare più a meno di te.»

Benedetta rimase senza fiato e si divincolò dalla mia stretta soltanto per gettarmi le braccia al collo. «È stato per questo motivo che mi hai proposto di venire qui?»

«Anche. Vorrei scoprire cosa mi riserva il futuro, e... credo che mi piacerebbe farlo insieme a te. Se lo vuoi ancora, ovvio.»

«L'ho sempre sognato», mi disse lei, lo sguardo incatenato al mio. «Non desidero altro. Anche se...» Si bloccò, di colpo.

«Cosa?»

«Credevo non ti allettasse per niente l'idea di baciarmi.»

Scossi la testa. Era così adorabile quando faceva la timida. «Morivo dalla voglia di farlo da un po', in realtà.» E muoio dalla voglia di farlo ancora, pensai.

«Da un po' quanto?» mi domandò, esitante.

«Quando mi hai baciato la prima volta, non sono rimasto tanto indifferente quanto avrei voluto. Mi sono detto che era sbagliato, che non potevo percorrere quella strada. Ero confuso e... spaventato, per certi versi.»

«Non avrei voluto confessarti in quel modo che la donna misteriosa ero io. Ma non sono riuscita a farlo prima, non ne ho avuto il coraggio.»

«E io non ne ho avuto per ammettere che solo stando con te riuscivo a essere me stesso. Per qualche mese ho conosciuto la donna misteriosa. Ma adesso voglio conoscere anche te. E voglio cominciare sin da ora.»

Senza concederle replica alcuna, mi fiondai sulle sue labbra con rinnovata passione. Percorsi con gentilezza le curve dei suoi fianchi, perfettamente fasciati, come il resto del corpo, da un sobrio vestito rosso con spalline finemente decorate da paillettes. Benedetta mi rispose con altrettanto ardore e posò le mani sul colletto della mia camicia. Sussultai a quel tocco, tanto innocente ma non casuale. Iniziò a baciarmi più lentamente e mi staccai per un istante, senza smettere di sorridere. Tornai su di lei e mi adattai al suo ritmo e alle sue carezze, delicate e non meno avvolgenti. Il mio cuore prese a battere all'impazzata. Sarei morto per quelle labbra. E sarei morto se mi avessero strappato tra le braccia di quella ragazza in quel preciso istante. Volevo perdermi in quel sottobosco di emozioni ancora per tanto tempo, volevo vivermi ogni istante, ogni minuto, ogni secondo, consapevole del fatto che anche a un singolo attimo di felicità poteva corrispondere uno stato di profonda e assoluta beatitudine. E io mi sentivo proprio così. in pace col mondo. Benedetta avvolse ulteriormente le mie labbra cacciando un profondo sospiro, desiderosa di mostrare e di mostrarsi.

Colto dalla frenesia, le succhiai il labbro inferiore e, sostenendole la testa sfiorandone i boccoli, mi lasciai avvolgere dal suo profumo. Dal suo delizioso sapore. Nelle sue labbra continuavo a percepire una dolce essenza zuccherata che mi spingeva ad approfondire il contatto senza che potessi contenermi, era come se fossi sotto l'effetto di una droga. Mi pentii amaramente di non averla baciata tempo prima, di non essermi accorto di quanto fosse desiderabile e, come se ciò bastasse, una ragazza estremamente dolce, sensibile, generosa e... molto altro ancora. Benedetta fece scorrere le dita sui miei capelli e si scostò appena. Decisamente rilassato, accolsi con entusiasmo la sua occhiata d'intesa e, dopo qualche secondo, si riappropriò delle mie labbra con flemmatica avidità, così che potessimo prenderci le dovute pause quando lo scambio di effusioni si faceva troppo intenso. Continuai a tenerla stretta, muovendo di tanto in tanto le mani per blandirle la schiena, i fianchi e le spalle. Quando il mio corpo diventò incandescente, le diedi un ultimo bacio e mi staccai da lei. Posai la fronte contro la sua, cercando di riprendere fiato. Quasi mi venne da ridere, dato che non pomiciavo in quel modo dai tempi... dell'università, molto probabilmente. Ma che potevo farci se la trovavo irresistibile?

«Miss Labbra di Zucchero, se continua così potrei vincere il Guinness World Record per il bacio più lungo della storia», le dissi, ancora a corto di fiato.

Lei mi sorrise, ma non mancò di farsi una bella risata. «Come mi hai chiamata?»

Scrollai le spalle. «Miss Labbra di Zucchero. Perché, non ti piace?»

«In realtà mi sto sciogliendo come neve al sole. Non c'è niente che non potrebbe piacermi, detto da te.»

Le scoccai un sonoro bacio sulle guance. Ero felice come un bambino. Mi sentivo talmente leggero, che se mi fosse caduto addosso un macigno probabilmente non l'avrei sentito.

«E comunque... penso che dovremmo allenarci ancora tanto per vincere quel premio di cui parlavi prima», riprese Benedetta, che per la prima volta da quando la conoscevo si concesse uno sguardo malizioso e divertito insieme.

«Be', allora sarà un vero piacere allenarmi per questa gara con te. Quando cominciamo?»

Ridemmo entrambi e, ancora ebbri di quei baci, esplorammo in lungo e in largo il giardino che circondava la struttura alberghiera. «Certo che è proprio un bel posto», osservò Benedetta, sfiorando le foglie di qualche piantina con la punta delle dita.

«Per baciarsi, di sicuro», convenni io, ancora sorridente. Ero ancora immerso nel mio mondo, non riuscivo a spiegarmi razionalmente cosa mi stesse succedendo. Sapevo soltanto di trovarmi nel posto giusto, al momento giusto. E con la ragazza giusta.

Benedetta tornò a ridere di gusto. «Ingordo», disse poi, rubandomi, però, un altro bacio.

«Non è colpa mia se le tue labbra sanno di zucchero», mi discolpai, ancora sottobraccio a lei. Ci incamminammo per un breve tratto nei pressi della frazione di Casabianca per poi tornare in Hotel. Costantemente mano nella mano, fu quasi un trauma separarci per la notte. «Eccoci qui», dissi a Benedetta, non appena raggiunsi la porta della mia camera. La sua stanza era situata sullo stesso piano della mia, a qualche metro di distanza. «È stata una splendida serata, Benedetta.»

«Concordo. Non vedo l'ora che sia domani.»

Le accarezzai la guancia con dolcezza. «Anch'io non vedo l'ora.» Le strinsi la mano e gliela baciai. «Buonanotte, Labbra di Zucchero

Lei si avvicinò a me, prendendo immediato possesso delle mie labbra. «Buonanotte, Malcom», esalò poi, sganciandosi a fatica dal mio abbraccio.

Mi diede le spalle e s'incamminò verso la sua stanza. Rimasi inerme sulla porta per un paio di minuti, quindi sorrisi e mi rifugiai in camera. Ero tramortito e non meno felice, anche se dietro a quell'autentica felicità si nascondeva pure un velo di sentita malinconia.

Speravo tanto che la notte passasse in fretta. Perché sapevo che, di lì a qualche settimana – se non prima –, avrei percepito tutto il peso di trascorrerne una intera da solo.

   
 
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