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Autore: EleAB98    23/10/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
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*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo XII – Non Esistono Limiti Al Cuore

 

Avevo mandato tutto a farsi benedire in un solo pomeriggio. Mi era bastato riassaggiare quelle labbra per perdere completamente il lume della ragione. Quella ragione che, sin dalla morte di Melissa, avevo sempre anteposto alla passione e al sentimento. Avevo perduto persino quel minimo di decenza che di certo non apparteneva al mio modo di baciare, ma a cui mi ero prefissato di attenermi, se soltanto non avessi trovato il miele dall'altra parte.

Sorrisi come uno sciocco. Uscii dalla doccia e, tornato in camera, indossai l'asciugamano di cotone. Guardai di sfuggita il mio riflesso nello specchio da parete, che ospitava un comò in legno di quercia, posto di fronte al letto singolo.

Mi fermai, di scatto. Quel sorriso colpevole continuava a campeggiare sulle mie labbra e non accennava a scomparire. Arrossii quasi per la vergogna, perché una parte di me non riusciva ancora credere che una ragazza come Benedetta potesse farmi, a quarantatré anni suonati, un simile effetto. Non ero più al college da un pezzo, tantomeno così inesperto da lasciarmi condizionare da una semplicissima serata fatta di baci più o meno ardenti e di abbracci sinceri – tra l'altro assolutamente non compromettenti.
Ma forse... ai sentimenti non si poteva comandare. Forse non esisteva un'età giusta per provare determinate sensazioni. E forse non esisteva limite al cuore. Sapevo soltanto che quel Malcom che vedevo riflesso nello specchio mi piaceva. Per la prima volta dopo tanti anni, mi piacevo di nuovo.

Sospirai, colto da un'improvvisa paura. Non avevo mai perso la testa per una ragazza tanto più giovane di me. E non mi era neanche mai passato per l'anticamera del cervello il pensiero di sfiorarle.
Con Benedetta, però... non ero sicuro di sapere cosa stesse succedendo. È vero, l'avevo baciata. L'avevo tenuta stretta a me come se fosse la cosa più preziosa che la vita mi avesse donato. Però... potevo lasciarmi andare di nuovo? Meritavo di lasciarmi andare? Sarebbe stato giusto per lei? Sarebbe stato giusto per entrambi?
Per lei provavo un profondo attaccamento. Ma questo non lo avevo certo scoperto il giorno prima, anzi. Qualcos'altro di altamente singolare doveva essere successo.
Da quando mi aveva baciato, il mio cervello era completamente andato in tilt. Mi ero buttato su Megan soltanto perché reputavo più semplice percorrere quella strada, perché non mi fidavo di me stesso e perché tuttora ero convinto che Benedetta meritasse un uomo con la U maiuscola.
Sì, era questa la verità. Avevo scelto Megan soltanto perché ammettere che la donna misteriosa avesse lasciato un segno indelebile dentro di me sarebbe stato come mandare tutto a puttane. Gettare alle ortiche i principi a cui avevo sempre obbedito.

Adesso, però... io non volevo lasciare Benedetta. Per quanto mi costasse ammetterlo, covavo un disperato bisogno di averla accanto, anche se temevo moltissimo il futuro. Non erano state parole al vento le confessioni che le avevo fatto. Da quando aveva cominciato a telefonarmi tutte le sere, nelle vesti di una falsa sconosciuta, avevo scoperto dei lati di lei che mi facevano impazzire. Dei lati che in ambito lavorativo e amicale non erano mai emersi. Lei, in quelle telefonate, si era proposta come donna, e io l'avevo vista proprio come tale. In quel periodo non avevo mai pensato, neanche lontanamente, a instaurare una semplice amicizia, perché il desiderio che avevo di lei era di una forza spaventosa.
Quando avevo saputo la verità, l'agitazione si era impadronita del mio cuore e della mia mente. La paura aveva offuscato qualsivoglia desiderio. Così, avevo provato a convincermi che con Benedetta non poteva esserci niente.

Nemmeno il tempo di formulare un altro pensiero, che qualcuno bussò piano alla porta. «Malcom? Ci sei?»

Spalancai gli occhi. Ero ancora nudo come un verme, asciugamano a parte. «Ehm, dammi solo un minuto», esclamai, impacciato.
Un soffio di fiato, un attimo ancora... continuò a canticchiare la mia mente pazza, confusa e quant'altro. Perfetto, ci mancavano solo i Pooh, adesso. Ma che razza di ora era?

«Dai, che sono già le otto e quindici!» esclamò Benedetta, rispondendomi senza volerlo.

Cazzo. Mi ero proprio rincretinito, non c'era che dire. Ed ero diventato cieco come una talpa. Mi era sembrato di aver letto le sette e quindici, altro che le otto.
In tutta fretta, indossai un paio di boxer insieme ai cari vecchi pantaloni classici, quindi mi sistemai alla bell'e meglio la camicia bianca. I miei capelli, ancora bagnati dalla doccia, erano un vero disastro. Io ero un completo disastro.

Accorsi ad aprire la porta e l'espressione di Benedetta fu impagabile. Era anche lei a bocca aperta.

«Ciao», le sussurrai, imbarazzato. Non sapevo perché, ma Benedetta mi trasformava in uno scolaretto, in alcune circostanze.

Lei soffocò una risatina, non prima di avermi scandagliato per benino dall'alto in basso con un'espressione completamente rapita.

«Scusami, non mi ero accorto che fossero già le otto passate. Devo ancora asciugarmi i capelli e—»

«A quanto pare, non è l'unica cosa di cui non ti sei accorto», disse lei, sogghignando.

«Cosa intendi dire?» le chiesi, mentre anch'io la guardavo dalla testa ai piedi. Indossava un bel vestitino azzurrognolo a tinta unita che le stava d'incanto, insieme a un ciondolo a forma di cuore. E un paio di ballerine scamosciate che le calzavano a pennello con quei piedini di fata che si ritrovava.

«Guardati», disse lei.

Preferisco di gran lunga guardare te, pensai. Mi riscossi da quel pensiero da sedicenne e le diedi ascolto. Sbalordito, presi a correggere il tiro in tutta fretta.

Benedetta rise appena. «Dai, ti aiuto io», mi disse, interrompendo il mio processo di svestizione. Avevo abbottonato male la camicia ed era tutta storta. In buona sostanza, stavo proprio da schifo. O meglio, avrei fatto ridere persino un clown. Timorosamente, Benedetta appoggiò le mani sul secondo bottoncino della camicia e mi sfiorò la pelle nuda. Deglutii, a fatica. A poco a poco, la sbottonò del tutto e notai le sue guance arrossate e le sue labbra semiaperte che sembravano trattenere, a stento, un sospiro.
Cercai di fingere che tutto fosse normale, ma rimanere indifferente a quel tocco così delicato fu la prova più ardua che avessi mai affrontato. Avevo una gran voglia di stringerla tra le braccia e spupazzarmela per bene, baciarla per un tempo indefinito e sussurrarle quanto fosse adorabile. E non meno seducente.

Esattamente. Sentivo che lei, consciamente o no, mi stava seducendo. E io la stavo lasciando fare. Ero sorpreso e oltremodo incantato dai suoi movimenti, dai suoi gesti così cadenzati e timorosi, dalle sue mani che, di tanto in tanto, tremavano. A metà processo, però, percepii più frenesia del solito, tant'è che le sue guance si imporporarono ancora di più.

«Ehi», intervenni, bloccandole per un istante le mani. «Va tutto bene. Non essere agitata.»
Agitata lei? Ma se appena ti ha sfiorato il petto stavi per morire dall'emozione! gracchiò in sordina la mia coscienza, che ogni tanto si faceva sentire. Le sorrisi. «Spero che tu abbia dormito bene», dissi, tentando di rinfrescare l'atmosfera. Stavo letteralmente bruciando di desiderio.

Lei abbassò per un momento lo sguardo, annuendo appena. Io, dal canto mio, avevo dormito come un sasso. Come non accadeva da anni, per giunta. «Scusami, è che... immaginavo che fossi bellissimo, ma non credevo fino a questo punto.» Tornò a scrutare con timido ardore il mio petto seminudo e mi sentii, come mai prima d'ora, accettato e apprezzato.
Sì, c'erano state tante donne che non si erano risparmiate di farmi sapere quanto adorassero il mio corpo – e non si erano certo fermate lì –, ma, orgoglio e piacere fisico a parte, non avevo provato molto altro. Adesso, invece, non mi sentivo soltanto bellissimo, come aveva detto lei. Mi sentivo un uomo. Un uomo vero.
Un uomo che a quel complimento si era emozionato, ma anche un po' intimidito dalla situazione che si era creata. Benedetta apprezzava tutto di me, e io non ero abituato a tutto questo. Mi ero abituato a ben altro. A disprezzare me stesso per anni, a considerarmi soltanto un egoista, un vile e un autentico fallito. Un uomo del tutto immeritevole di vivere.

Con Benedetta, riuscivo invece a sentirmi quasi speciale.
Benedetta avrebbe potuto dirmi qualsiasi cosa e io ci avrei creduto. Perché io credevo alla sua genuinità, al suo affetto, alle sue emozioni. Credevo a ogni sua singola parola. Con lei, e soltanto con lei, io credevo.

«Labbra di Zucchero», esalai, dolce. Le sfiorai la guancia. «Guardami.»

Lei acconsentì, ma un velo di sentita vergogna avvolgeva i suoi occhi. «Ti senti a disagio?» le chiesi, deciso a capire cosa le stesse passando per la testa.

«Io non... io non volevo sedurti o metterti in difficoltà, scusami», esalò, d'un fiato. «Volevo solo...» Scosse la testa. «Tu mi piaci tantissimo, Malcom.»

Sorrisi. Immaginavo che questo per Benedetta fosse stato il primo, vero contatto con il sesso opposto, e la cosa mi intenerì non poco. Ed emozionò oltre misura.

«Per me è lo stesso. E non devi scusarti di niente. Ti posso assicurare che non hai fatto nulla di sconveniente. Quello che senti è normale. Ed è altrettanto normale che, per due persone che stanno cominciando a conoscersi, il livello di confidenza aumenti di volta in volta. Ma non devi farti paranoie inutili. Non esistono tempi giusti o sbagliati per queste cose. Esiste solo questo.» Con un gesto calibrato, afferrai la sua mano e la posai cautamente su di me, dirigendola verso il cuore. Batteva così forte che non mancò di stupirsene.

«Malcom...» sussurrò, avvicinandosi appena.

«Ho bisogno della mia dose giornaliera di zucchero», le sussurrai nell'orecchio, facendola ridere. «E la voglio adesso.» Con infinita dolcezza, l'attirai verso di me e le scoccai un bacio tenero. Avvolsi appena la mia bocca a quella di lei, in un moto di profonda rassicurazione. Mi staccai dopo qualche secondo, continuando a stringerle la mano destra. L'altra si soffermò, invece, sui miei capelli bagnati, più ribelli e indomabili del solito. Li accarezzò per un po', poi tornò sulle mie labbra, incapace di trattenersi. Questa volta, certo della sua tranquillità, la strinsi in un abbraccio più focoso. «Credevo che avessi cambiato idea», mi disse, tra un bacio e l'altro.

«Avevo così tanta voglia di baciarti», replicai invece, contento che la tensione si fosse finalmente dissolta.

«E io di abbottonarti quella camicia», ammise lei, quando fu abbastanza coraggiosa da sistemarmi il colletto senza smettere di guardare cosa c'era sotto.

Mi sfuggì una risata. «Anche tu sei bellissima», le dissi, sistemando gli ultimi bottoni.

«Mai quanto te.»

L'attirai ancora a me e la baciai con ardore. Quando si lasciava andare la trovavo deliziosa. E ancora più desiderabile. Mi cinse la vita e, con un calcetto, chiuse la porta. Quel tonfo mi ridestò per un momento.
Non smisi di baciarla – ero sin troppo preso da lei –, ma cercai di impormi ferreo controllo. Si appoggiò alla porta e mi trascinò verso di lei spostando le mani sulla mia schiena e, alla fine, sulle spalle.
Un brivido caldo mi trapassò da parte a parte.

Continuai a stringerla con una delicatezza e un'accortezza mai sperimentata prima. Nemmeno con Melissa ci ero andato così cauto.
Non volevo che la favola finisse troppo presto, ma non volevo nemmeno fermarmi sul più bello.
Benedetta mi destabilizzava. In alcuni momenti sembrava così timida e impacciata, mentre in altri sembrava che volesse strapparmi i vestiti di dosso da un momento all'altro. E quello che stavo vivendo adesso era senz'altro uno di quei momenti.
Sentii le sue unghie graffiarmi piano, da sopra la camicia.
Chiamai a raccolta tutte le divinità esistenti per non soccombere a quella presa di posizione.

Benedetta intrappolò le mie labbra in una dolce morsa, quindi assaggiai le sue con voluttà e ritrovato entusiasmo. Non riuscivo ancora a fermarmi, trovavo stupendo il suo modo di baciare.

Ragiona, Malcom, tentai, del tutto assorbito da quell'incantesimo. Quel pensiero, com'era comparso, sprofondò nell'oblio. Non volevo svegliarmi da quel sogno, ma al tempo stesso sapevo che dovevo procedere per gradi, senza bruciare né bruciarmi tutto subito. Avevo sempre dato retta all'istinto prendendo tutto ciò che volevo senza preoccuparmi troppo dei desideri degli altri. Con Benedetta sarebbe stato diverso.

A malincuore, mi staccai da lei. Ero senza fiato anche stavolta. Cavolo, mi dissi. Qua ci vuole la bombola d'ossigeno.
«Dove hai imparato a baciare così?» le chiesi, di getto. Eravamo ancora molto vicini e io le stavo accarezzando i contorni delle labbra.

Benedetta si strinse nelle spalle. «Non ho una grandissima esperienza in merito, anzi», pigolò, guardandomi a malapena.

Ed ecco che ritorna a fare la timida, pensai, non troppo sorpreso.

«Mi lascio soltanto guidare da questo», riprese, prendendo la mia mano e portandola sotto al suo seno sinistro, vicino al cuore.

Sussultai. Anche il suo batteva velocissimo.
«Non ho mai baciato nessuno nel modo in cui bacio te», mi disse, guardandomi intensamente.

Spostai le mani sui fianchi e le sorrisi, estasiato. «Ah, cosa mi fai, Benedetta», ammisi, sospirando. «Di questi tuoi baci non mi sazio mai.»

Sulle prime arrossì leggermente. La strinsi a me, baciandola a fior di labbra.
«Io ci farei volentieri colazione con i tuoi», mi disse poi, piantando gli occhi nei miei, assai colpiti da quell'affermazione.

Si vedeva che quell'ammissione le era costata un po', ma al tempo stesso sentivo anche quanto bramasse un nuovo contatto.

Sorrisi compiaciuto. «Sono contento che pure su questo siamo alla pari.»

«Alla pari?»

Scrollai le spalle. «Te l'ho detto che baci da Dio, no?»

Mi regalò un timido sorriso.

«Mi dai dieci minuti? Così scendiamo di sotto a farci un cappuccino e un bel cornetto alla marmellata. Che ne dici?»

Allungai il braccio e le sfiorai la guancia.

«D'accordo», rispose lei. «Ma prima volevo darti questo.»

Aggrottai la fronte. «Cos—»

Si avvicinò senza preavviso e mi diede un altro bacio, veloce ma non meno intenso. Poi, come fosse preda di un pudore mistico, si scostò immediatamente da me e, spinta all'ingiù la maniglia della porta, mi guardò di sfuggita e se la richiuse dentro di sé.

Mi toccai le labbra, stupito, sconvolto e non meno divertito.

«Questa ragazza mi farà perdere pure l'ultimo neurone sano che mi è rimasto», sussurrai, a mezza voce. Come imbambolato, tornai in bagno e mi accinsi ad asciugarmi i capelli. Non mi sarei sorpreso se fosse venuto fuori uno scempio alla Beethoven.

Avevo la testa da tutt'altra parte.

 

*

 

Anche stamane, il tempo era dalla nostra. Il sole brillava alto nel cielo e ben poche nuvole bianche ricoprivano nell'affascinante distesa azzurra.
Dopo aver visitato in tutta fretta Palazzo Ottolenghi e Il Museo Paleontologico – tempo un'oretta e avevamo scandagliato entrambi –, ci eravamo avviati mano nella mano per le strade principali della città astigiana, e di tanto in tanto sostavamo su qualche panchina soltanto con l'umile scopo di sbaciucchiarci un po'.
Mi sentivo gelatina tra le braccia di Benedetta. Mi sentivo di nuovo un ragazzino alle prese con la sua prima cotta, eppure non riuscivo a vergognarmene.
Baciarla, stringerla a me e sussurrarle dolcezze mi faceva stare bene, tenerci per mano mi rendeva parte di un disegno che già da settimane stavamo delineando, senza però rendercene troppo conto.
In buona sostanza, mi ero completamente rammollito, e tutto da quando avevo ceduto all'impulso di rivelarle che fare a meno della sua presenza sarebbe stato deleterio.
A colazione le avevo stretto la mano per quasi tutto il tempo, silenziosamente grato di avermi mostrato una parte di se stessa che troppo spesso si ostinava a tenere nascosta.
Lei mi sorrideva ancora, con quei dolci occhi da cerbiatta che lasciavano presagire timidezza e genuina malizia, bene profondo e continua voglia di scoperta.

«Mi sembra davvero un sogno essere qui con te», mi rivelò, dopo l'ennesimo bacio passionale che aveva sconvolto le menti – e i cuori – di entrambi. Eravamo nei pressi del Parco della Certosa, circondati da fiorenti alberelli di ciliegio e dal fresco e frizzante profumo delle viole e dei papaveri, che abbellivano l'enorme distesa di prati verdi di cui l'intero parco godeva.

Sorrisi inebetito, poi la presi sul ridere. «A me sembra incredibile essere tornato ai ritmi di una ventina di anni fa», le risposi, riferendomi esplicitamente alla caterva di baci che ci eravamo scambiati sin dalle prime ore del mattino.

Lei inarcò le sopracciglia e continuò ad accarezzarmi il collo. «Cioè?»

«Non mi fraintendere, sono felice di quanto sta accadendo fra noi. È che... era dai tempi di Melissa che non baciavo così. E quindi sono un po' spiazzato. Non voglio fare confronti, voglio solo—»

«Non devi spiegarmi niente, Malcom.»

Le sorrisi. «Io queste cose non le provavo da anni. E ne ho quasi paura.»

«E... sapresti dirmi di preciso quali sono queste cose?» Mi sorrise, intimidita e incuriosita allo stesso tempo.

«Credo non manchi molto per scoprirlo», replicai, allarmato dalle mie stesse affermazioni. Non ero pronto per le grandi parole, ma sentivo che qualcosa di tutt'altro che passeggero stava nascendo. «Benedetta, non ti sto baciando per sport, okay? Per me è una cosa seria», le dissi, col fiato corto. «Sei molto importante per me.»

Lei sorrise, emozionata. Io, più che emozionato, mi sentii piuttosto scosso in quel momento. Ammettere una cosa simile non era da me. Non nei primi tempi di una frequentazione, almeno. Ma era pur vero che adesso avevo una certa esperienza e sapevo che per Benedetta provavo un sincero interesse. Ed era pure vero che la conoscevo da più di un anno. «Sto davvero bene con te», rimarcai carezzandole il viso delicato. «Mi sembra ancora tutto così surreale, così—»

«Magico», concluse lei, spostando la sua attenzione sulla mia mascella e sulle guance, appena ricoperte da un filo di barba.

«Sì, è vero. Magico è la parola giusta.» Continuai a stringerla per la vita e ad accarezzarle teneramente la schiena, mentre lei, che era seduta su un muricciolo in pietra, mi teneva intrappolato per i fianchi con l'ausilio delle gambe. Era quasi del tutto appiccicata a me, e io in quella morsa decisa e delicata al tempo stesso mi sentivo a casa. «Sai, è da quando mi hai chiamato la prima volta per telefono che tutto, intorno a me, è cominciato a sembrarmi così magico

«Davvero?»

«Sì. Mi hai spiazzato completamente. E da quel giorno sono impazzito. Aspettavo con ansia che mi chiamassi tutte le sere. Affrontavo le giornate lavorative con la speranza che durante la serata avrei sentito la tua voce. Mi sono innamorato di quella voce», le confessai, sentii che la mia, di voce, aveva preso a tremare leggermente. Ripensare a quella voce mi faceva perdere il controllo più di quanto potessi aspettarmi.

«Volevo che non mi riconoscessi, così ho utilizzato le tecniche imparate al corso di doppiaggio. Ma non credevo che tu potessi affezionarti così a un'imitazione.» Si rabbuiò. «Anche perché la mia vera voce è abbastanza diversa da quella.»

«E io la adoro, infatti», la rassicurai, sorridendole. «E non mi hai colpito solo per questo. Però capisci che quel gioco è stato straordinario. La tua voce era come una calamita. Mi ha sempre infuso tanta calma, tanta serenità. E mi hai sempre ascoltato, come solo tu sai fare. Mi sono sentito capito. E allo stesso tempo mi hai scatenato così tanto altro, che la scoperta di te mi aveva fatto desistere. Avevo una terribile paura di buttarmi.
E se non ho provato subito determinate cose per te è stato solo perché ti ho sempre vista così giovane e piena di vita, così pura nei confronti del mondo. D'altronde non cercavo una partner, né fissa né altro, quindi non mi sono proprio posto il problema. Forse, in sordina ho creduto che fossi così inaccessibile per me, che non mi è nemmeno passato per la mente di vedere in te qualcos'altro. Quello che hai fatto mi ha permesso di andare al di là, di capire che forse è con te che voglio provare a ritrovare me stesso. Anche se so che meriteresti altro.» Abbassai lo sguardo. Se avessi potuto togliermi dieci anni, lo avrei fatto volentieri.

«Piantala di dire queste cose, Malcom», mi ammonì severamente lei, richiamando la mia attenzione. Non smetteva di guardarmi le labbra. E io ero soggiogato da quello sguardo.
«Io sono innamoratissima di te. E lo sai da sempre. Da ben prima che mi decidessi a usare il trucco della donna misteriosa. So quello che faccio», mi disse, senza paura.

Scostai per un momento lo sguardo. Sì, forse avevo sempre saputo che Benedetta provava sin dagli albori qualcosa di più per il sottoscritto. Ma non pensavo che si trattasse d'amore, perché una parte di me credeva soltanto a una sorta di infatuazione, o magari un'ammirazione e una stima più potenti del normale. Da quando Christian, però, si era espresso in merito alla questione, avevo preso ad analizzarla con estrema criticità, ad affrontare di petto una questione che agli inizi reputavo irrisoria e piuttosto surreale.

Un fastidioso nodo in gola mi bloccò quasi il respiro.
Io sono innamoratissima di te.

Tornai a guardarla. Io potevo esserlo di lei?

Okay, sapevo che mi piaceva da impazzire. Che era molto importante per me. Ma se la cosa fosse finita lì? Se fosse stato solo un fuoco di paglia? Se poi mi fossi reso conto che non eravamo compatibili?

Decisi di non farmi altre domande e di ascoltare solo il cuore. Il mio cuore mi stava già parlando, tra battiti più o meno irregolari. Quelle parole mi avevano colpito in modo assurdo. Forse non meritavo una ragazza così decisa, così... innamorata. Eppure... sapevo che le mie intenzioni erano serie. Gliel'avevo appena detto, e di certo non mentivo. Volevo conoscerla, volevo stare in sua compagnia per tutto il tempo.
Volevo lei. E la volevo più di qualsiasi altra cosa al mondo, più di quanto fosse possibile.
No, lei non era un capriccio passeggero.

«Ti prego, baciami ancora», le dissi, prima che lei potesse farmi altre domande. Avevo notato un cipiglio preoccupato e non volevo che fosse insicura dei sentimenti che io stavo iniziando a nutrire per lei. Volevo, anzi, che provasse a fidarsi di me. «Ho bisogno di sentirti.»

Lei non si lasciò pregare e mi avvolse nel più caldo degli abbracci, le labbra morbide che, affamate, reclamavano con insistenza le mie. «Sarei completamente persa senza di te», borbottò lei di rimando.

Continuai a manifestarle tutto l'affetto e la passione che potevo, tant'è che, d'istinto, affondai sul suo morbido collo e lo sfiorai con le labbra e la punta del naso. Stavo cominciando a non rispondere più di me stesso. Inspirai, felice, il profumo della sua pelle, curioso di scoprirne la fragranza. Benedetta sospirò, senza smettere di stringermi.
Profumava di freschezza, la sua pelle. E forse, anche d'amore.

Tornai a guardarla, la mia fronte poggiata contro la sua. «Devo confessarti una cosa.»

«Che cosa?» disse lei, ancora stordita.

«Sono sinceramente coinvolto dalla mia giovane assistente», soffiai, serio e divertito allo stesso tempo. «E non so proprio come uscirne.»

Benedetta, finalmente, rise. «Conosco forse questa tua assistente?»

«Potrebbe anche trovarsi davanti a me», risposi, sornione. «Benedetta, dico sul serio...» ripresi, giocando con alcuni suoi riccioli d'oro. «Immaginarmi senza di te sta diventando un problema. Però tu sei così giovane e io, rispetto a te, così vec—»

«E allora non privarti di me», mi disse lei, senza lasciarmi finire. «È così semplice, non pensi? Siamo entrambi liberi. Qual è il problema?»

Risposi al suo genuino sorriso e lei, poco prima che potessi replicare, mi regalò un altro splendido bacio.

Di nuovo sotto scacco, le presi entrambe le mani, intrecciando le mie alle sue. «Dove preferiresti andare questa sera?»

«Con te andrei ovunque», mi rispose lei. «Mi fido di te. Completamente.»

Quella risposta mi rallegrò non poco.

«Hai fatto di tutto per tenermi lontana da te, ma adesso vorrei essere io a condurre la partita. Ti prego, lascia decidere a me con chi voglio stare. Non esistono limiti al cuore.»

Rimasi spiazzato. Avevo pronunciato in sordina quelle stesse parole proprio quella mattina in camera, quando stavo riflettendo su di me, su di lei.
Su di noi. Perché forse, per il cuore, il nostro cuore, un noi poteva davvero esistere.

La feci scendere dal muretto e l'abbracciai forte. A fronte di quel gesto, non seguirono ulteriori dichiarazioni.
I nostri cuori continuavano a parlare con noi e per noi. E questo ci sembrava più che sufficiente.

   
 
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