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Autore: EleAB98    23/10/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
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*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo XIV – Fotografie

 

Il viaggio di ritorno non ci aveva soltanto riportato all'ovile, ma anche alla realtà. Avevamo trascorso due giorni bellissimi, tant'è che ancora faticavo a credere a quanto successo. Ci vediamo domani in redazione, le avevo detto la sera prima di rientrare al lavoro, poco prima che lei richiudesse il portone di casa dietro di sé, dopo la consueta passeggiatina serale. Benedetta mi aveva rifilato un sorriso adorante e, dopo un ultimo bacio, aveva salito in tutta fretta le scale ed era sparita all'istante. Con un sospiro, mi ero avviato in macchina e mi ero lasciato cadere sul sedile. Ancora una volta, avevo percepito un pesante non detto da quel semplice bacio. La tensione sessuale esisteva da entrambe le parti, questo non lo si poteva negare. Io per primo avevo faticato a tenere le mani a posto quando, al termine dello splendido weekend trascorso ad Asti e a poche ore dalla partenza, avevamo tentato – seppur con fatica – di accomiatarci con garbo e di placare la forte attrazione che provavamo l'uno verso l'altra. Piuttosto, durante la serata avevamo continuato per un quarto d'ora buono a divorarci senza tregua nell'angolino più appartato del corridoio dell'albergo tra un razionale okay, adesso ti lascio andare a dormire e un più desideroso e meno controllato ti prego, resta ancora un po' con me.
Le mie sensazioni, i miei impulsi, il mio desiderio nei confronti di Benedetta erano esplosi tutti insieme, e io stesso riuscivo a malapena a contenere tutte quelle immagini che, senza chiedermi il conto, mi si presentavano nella testa. Ero sempre stato molto fisico con Melissa, e non soltanto perché ne fossi terribilmente attratto. Ero già di base molto passionale, ma anche innamorato pazzo di lei. Non sapevo se con Benedetta mi stesse capitando la stessa cosa, ma di certo sussistevano importanti differenze tra un prima e un dopo. Le circostanze erano diverse, e non solo quelle. Io per primo ero diverso. E non potevo ancora sapere se questa diversità mi avrebbe tarpato o meno le ali.

Ryan schioccò le dita, interrompendo il filo dei miei pensieri.

«Allora? È pronta o no quella bozza?» mi domandò. Trattenne a stento un sorrisetto.

Non lo ricambiai e finsi totale indifferenza. «Certo che sì. Tieni», ribattei con sicurezza. Gliela porsi e lui la guardò per un momento.

«A una prima occhiata, mi sembra buona.»

«Come sempre», ribattei, sarcastico. Ryan conosceva benissimo la mia professionalità sul lavoro, come la mia invidiabile esperienza, e non comprendevo proprio perché per tutta la settimana mi avesse seguito passo passo come un segugio. L'ultima volta che l'aveva fatto era stato vent'anni prima. Che volesse sapere qualcosa di più? Ovviamente, immaginavo quali fossero le sue mire.

«Non mi hai ancora detto com'è andata», se ne uscì dopo un po', mentre smanettava con la stampante, a pochi passi dalla scrivania cui sedevo ormai da un paio d'ore.

Per l'appunto, pensai. «Ti riferisci forse a—»

«Sto aspettando da un pezzo. Una settimana, per essere precisi. Avanti, racconta!» mi esortò con impazienza voltandosi verso di me, un luccichio negli occhi a rimarcare un'accesa curiosità che, si vedeva chiaramente, lo stava divorando.

Abbassai il capo e trattenni un sorriso. Io e Benedetta avevamo deciso di comune accordo di non dare troppo nell'occhio al lavoro e non volevo che lei si sentisse a disagio per causa mia. Dovevo andarci cauto. «Abbiamo cominciato a frequentarci», esordii, studiando la sua reazione. «E non come amici», mi affrettai ad aggiungere.

Ryan rise, scuotendo sommessamente la testa. «Ma è... è fantastico!» sputò poi, emozionato.

«Be', sì...» Feci spallucce. «Suppongo che lo sia.»

«Com'è successo? Cioè, come ti sei accorto di provare qualcosa che andava al di là di una semplice amicizia?»

Sulle prime, rimasi in silenzio. L'entusiasmo di Ryan mi colpiva sempre parecchio; quando si trattava di faccende amorose perdeva del tutto quel lato integerrimo che in ambito lavorativo aveva sempre dimostrato e non riuscivo a capacitarmene, sebbene lo conoscessi da sempre. «So soltanto che mi è bastato un solo bacio», dissi infine, ricordando il dolce sapore di quelle labbra sulle mie. «E poi, non so... non sono più riuscito a farne a meno. Con lei mi sento bene. Riesco a essere me stesso. E riesco quasi ad apprezzarmi come uomo.»

«E cosa senti per lei?» mi chiese, sistemandosi gli occhiali sul naso.

Sospirai. «Preferirei non sbilanciarmi troppo su questo punto», mormorai, per nulla abituato a quel genere di confessioni.

«Capisco, fatichi ancora ad accettare quello che provi. Sai, penso che sia normale, dopo quello che hai passato. Ma sono altrettanto sicuro che Benedetta riuscirà a tirar fuori la parte migliore di te.»

«Forse l'ha già fatto.» Mi sfuggì un sorriso. «Non riesco a credere di essermi lasciato andare in questo modo. Sono quasi spaventato da tutto questo, sai?» ammisi, tornando serio.

«Non devi esserlo.» Ryan mi diede una pacca sulla spalla. «Vivitela, Malcom. Accantona la paura. E lascia spazio soltanto al tuo cuore.»

Fece per andarsene e, a quel punto, lo fermai.

«Ryan, volevo dirti—»

«Sta' tranquillo. Il vostro segreto è al sicuro con me. Non dirò una parola.»

Sorrisi con riconoscenza. «Ti ringrazio.»

Mi rimisi a capo chino sugli appunti. Ma la verità era che stavo pensando a tutto, tranne che a quell'ammasso di fogli che avevo davanti.
 

*

 

Scoccarono – finalmente – le sette e trenta. Durante tutto il giorno, io e Benedetta ci eravamo incrociati soltanto un paio di volte lungo i corridoi della redazione e io non avevo resistito dall'inviarle un messaggio a metà mattinata. Era stata una settimana pesante. Non vederla e non sfiorarla come prima, non parlarle nemmeno durante la pausa caffè. Alla fine mi ero semplicemente arreso. Ti voglio nel mio ufficio, le avevo scritto, senza aggiungere altro.
Tempo le sette e trenta e sono da te aveva risposto lei. Se dovessi venire prima temo che resterei lì dentro con te per ore... molte ore.
Quell'SMS mi aveva fritto il cervello. Mi aveva messo addosso un'impazienza e un desiderio tali che concentrarsi sulle mansioni da svolgere era stato ancora più complicato. Quando Benedetta bussò alla porta, accorsi ad aprire senza aspettare un minuto di più. La trascinai verso di me senza pensarci e ci scambiammo finalmente un saluto come si deve. Mi nutrii delle sue labbra per un paio di minuti, quindi mi staccai e le sorrisi.

«Cosa significava quel messaggio?» la provocai, di nuovo soggiogato da lei. Mi bastava rivederla anche solo un momento per perdere quasi ogni rotella del cervello.

Lei mi schioccò un altro bacio. «Non capisco di cosa stai parlando», mi rispose, giocando con la cravatta.

Le mie mani faticarono non poco a rimanere dov'erano – la stavo stringendo per la vita ma mi stavo già bruciando. Bramavo un contatto più profondo, meno casto e ben più sfrontato. «Sì che lo sai», ribattei con fare autoritario.

Benedetta rimase ipnotizzata dalla mia voce, fattasi improvvisamente più roca. «Se fossi venuta qui non ne sarei più uscita», mi confessò lei, per nulla imbarazzata. «È stata una settimana infernale. Lo sai che non riesco a resisterti.»

«Nemmeno io ci riesco.» Sospirai, staccandomi di colpo da lei.  Dovevo riservare quegli slanci a una prossima volta. Molto prossima. «Ma temo che dobbiamo sloggiare. Tra poco verranno gli addetti alle pulizie.»

«Hai ragione», convenne lei, ridendoci su.

«Questa sera ti porto in un bel ristorantino qui vicino. Ti va?» le chiesi, mentre mi accingevo a sistemare un plico di fogli nella mia ventiquattrore.

Benedetta sorrise entusiasta. «Certo che sì. Anche perché possiamo vederci solo di sera, e ammetto che stare vicini d'ufficio è una completa tortura per me. Spero sempre che le giornate finiscano in fretta», confessò, senza imbarazzo.

«Ti assicuro che è lo stesso per me. Ma penso che andarci cauti sia la soluzione migliore, non credi?»

Benedetta annuì. «Ancora non mi hai detto com'è andata la tua giornata. Spero non sia stata troppo stressante.»

«Direi di no.» Anche perché ho pensato a te quasi per tutto il tempo, pensai. «Le solite scartoffie, la solita routine. Il venerdì fortunatamente non va poi così malaccio.» Mi avvicinai alla porta e le feci cenno di uscire. Chiusi a chiave l'ufficio e ci avviammo mano nella mano verso l'atrio. In redazione eravamo rimasti soli soletti, ed era bello assaporare quella sensazione per un po'. «Tu che mi racconti?»

Quando fummo usciti, mi rivolse uno strano sorriso. «Nulla di particolare. Stamane ho ottenuto una valutazione più che positiva al mio primissimo articolo e quindi posso già pensare al prossimo.»

Mi fermai di scatto sul marciapiede inzuppato di passanti. «Hai... hai pubblicato il tuo primissimo articolo? Quando?»

«Qualche giorno fa, poco dopo essere tornati dalla nostra vacanza.»

«E tu avresti il coraggio di dire che non è successo nulla di particolare? Tutto questo è... è grandioso!» La scossi piano per le spalle. «Ma perché non me l'hai detto prima?»

Benedetta rise. «Volevo farti una sorpresa, tutto qui.» Estrasse il Literature Journal dalla sua borsa in stile vintage e me lo sventolò sotto agli occhi, mostrandomi con orgoglio la sua creatura. «È a pagina cinquantotto», mi disse, emozionata.

Sfogliai con fare concitato quelle pagine e, non appena trovai l'articolo, trascinai Benedetta in macchina. Entrammo nell'abitacolo e, animato da una forte curiosità, lo lessi tutto d'un fiato. Era davvero un ottimo articolo, ma non me ne stupii. «Sei stata bravissima», affermai, fiero di lei e non meno affascinato.

«Lo pensi davvero? Non c'è valutazione che tenga, se le cose che scrivo non piacciono anche a te.»

«A me piace tutto di te. Quello che scrivi, quello che sei...» Le sfiorai la guancia destra. «Non devi mai più dubitare di te stessa.»

Benedetta si commosse e mi abbracciò forte. «Ho imparato tanto da te. Niente sarebbe stato possibile senza il tuo sostegno.»

«Hai fatto tutto tu. E sono io che ringrazio te.» Le diedi un dolce bacio sulla fronte e inserii la chiave nel quadro. 

Quella sera avevamo molto da festeggiare.
 

*

 

«A questa serata. E al tuo primo successo», conclusi, guardandola dritto negli occhi.
Tintinnammo all'unisono i calici e poi ingurgitammo l'ultimo sorso di champagne. La cena a base di carne era stata all'altezza delle nostre aspettative, come il grazioso locale in cui l'avevo portata.
Benedetta aveva apprezzato tanto il suo stile squisitamente minimalista, per non parlare del sottofondo musicale che aveva contribuito a dipingere un'atmosfera molto più intima e tranquilla.

«Che dici, torniamo al Griffith Park? Potremo fare due passi lì», le proposi, accompagnandola all'uscita del ristorante.

«Adoro quel posto», rispose lei, stringendomi la mano.

«Andata, allora.»

Dopo qualche minuto arrivammo a destinazione, mentre nel frattempo avevamo sommessamente canticchiato una delle tante canzoni rock dei The Who – Baba O' Riley.

Le luci che avvolgevano il parco davano quasi la sensazione di assistere a una proiezione cinematografica. Il leggero soffio del vento e il profumo dei fiori di pesco si insinuò nelle nostre narici. Quella piacevole brezza ci accompagnò per tutta la durata della passeggiata.

«Non penso che potrò mai abituarmi a tutto questo», disse di colpo, incantata da quanto la circondava. «Quando mi sono trasferita qui, ho sempre pensato che Los Angeles fosse una bellissima città. Ma adesso che sono con te, mi sembra ancora più bella.»

Sorrisi. Forse sarei stato io incapace di abituarmi al fatto che avevo ripreso a frequentare sul serio una donna. Per certi versi, mi sembrava di vivere una seconda giovinezza, avendo però alle spalle molta più consapevolezza e altrettanta maturità. Il che di certo non guastava.

«Cos'è, Malcom Stone è rimasto senza parole?» domandò divertita, perdendosi nel mio sorriso.

Feci spallucce. «Per tanti anni sono stato solo con me stesso. A combattere i miei demoni interiori commettendo gli errori più disparati.» Le presi entrambe le mani e ci fermammo un istante. «Benedetta, io...» Deglutii. Spezzare quella magia mi costava parecchio. «Non sono l'uomo che credi.»

Benedetta sbuffò appena. «Malcom, ascolta, adesso non ric—»

«Ti prego, lasciami finire. Io... c'è una cosa che non ti ho raccontato quando ti ho confidato la storia di Melissa. Dopo la sua morte, sono caduto in una profonda depressione. Fumavo moltissimo e ho tentato di gettarmi nell'alcol. Se ho resistito dal farlo davvero è stato solo grazie a mia madre. In quel periodo mi è stata molto vicina.»

«Lo so, Mal. So quanto tu abbia sofferto. E mi rincresce molto.» Mi strinse le mani.

«Volevo morire. Lo volevo con tutte le mie forze. Ma poi...» Scostai lo sguardo da lei. Se mi avesse disprezzato e avesse deciso di chiudere – cosa legittima, tra l'altro –, sarebbe stato difficile andare avanti senza di lei. Forse impossibile. «La mia fama mi precede, purtroppo. Sono stato con molte donne da quando... da quando Melissa è morta. Ho cercato in tutti i modi di sentirmi di nuovo vivo senza riuscirci. Perché in realtà morivo ogni giorno di più. Volevo fare il duro, comportarmi da perfetto menefreghista, da sex symbol dei poveri... volevo semplicemente alleviare il mio dolore fisico, anche soltanto per un po'. Così mi sono trasformato in un uomo tremendamente superficiale. In una sottospecie di casanova che in verità avrebbe soltanto voluto trovare un po' di pace.» Sputai quelle parole facendo sì e no una misera pausa. Non andavo fiero di quell'aspetto della mia vita, e se lo avevo omesso a Benedetta era stato soltanto perché non avrei mai sopportato di perdere la sua stima. E ora, da bravo scemo, stavo persino rischiando di perdere il suo sentimento.

Benedetta mi sollevò la testa. La guardai e non la guardai. Mi vergognavo troppo. Ma il sorriso dolce che mi rifilò fu come un balsamo per il mio cuore, ancora frastornato da tutto quanto. «Il passato è passato», mi disse, mostrandosi tranquilla. «Sei più uomo di quanto credi, Malcom. E sono contenta che tu mi abbia fatto questa confidenza. Perché anche quelle esperienze, tanto negative quanto dolorose, ti hanno reso la persona speciale che sei oggi. Io sono orgogliosa dell'uomo che sei.»
Senza aggiungere altro, mi strinse in un abbraccio.

Rimasi senza fiato. In quel momento sarei stato in grado persino di lasciarmi andare, di piangere come se non ci fosse un domani. Benedetta non mi aveva riservato la faccia schifata che mi sarei aspettato. Mi aveva elogiato ancora una volta. Mi aveva fatto capire che non mi avrebbe lasciato in balia di me stesso. Inspirai il profumo dei suoi capelli e mi accucciai al suo collo, mente lei continuava a passarmi le dita sulla schiena. Riuscii a calmare il battito furioso del mio cuore, che si era tanto agitato alla prospettiva di perdere colei che stava diventando il mio punto di riferimento.

Tornò a guardarmi. Proprio in quel momento, compresi quanto lei fosse sempre stata importante. Fin dall'inizio, da quando avevo incrociato il suo sguardo, un timido barlume di speranza si era fatto strada in ogni angolo del mio corpo. E adesso, quella speranza si faceva sempre più forte. Riuscire a viverci ma, allo stesso tempo, cercare di proteggerla dai miei stessi sbagli, sarebbe stato il mio scopo primario. Benedetta si avvicinò alle mie labbra. Un bacio languido, dolce e sensuale insieme mi stordì quasi. Quella ragazza aveva un potere impressionante su di me.

«È stato anche per questo che non ho voluto spingermi troppo oltre con i colleghi e mantenere il riserbo su di noi», le confessai, ormai del tutto calmo. «Non sei la donna di turno e farò qualsiasi cosa per preservare la tua immagine. A costo di starti lontano per giorni interi.»

«Ti prego, non dirlo», soffiò lei. «Piuttosto, non ti devi preoccupare per me. Anche se il tuo passato dovesse influire sul tuo presente, a me non importa. Desidero solo che tu sia felice. Non cambierò mai idea su di te. Nessuno potrebbe convincermi a desistere. Nemmeno tu.»

«Farò comunque il possibile perché tu non venga coinvolta in conversazioni  o situazioni scomode. Non me lo perdonerei.» Come non mi perdono tante altre cose, pensai.

«Invece devi perdonarti, Malcom», rispose lei, come se mi avesse letto nella mente. «Devi fare pace con il passato. Non ti sei mai davvero arreso, ed è questo l'importante. Il resto è secondario. Il come hai affrontato il dolore della perdita non ti rende una persona indegna. Ti rende solo un uomo imperfetto nella tua perfezione.»

Mi accarezzò il torace con tenerezza e altrettanto desiderio. Provai un'intensa scarica di adrenalina e mi staccai giusto in tempo, prendendola di nuovo per mano. «Grazie di tutto», mi ritrovai a dirle, a cuor leggero.

«Per cosa?»

«Per tutto», ribadii. «Per non avermi giudicato ma solo ascoltato, per avermi confortato... per non avermi dato un sonoro schiaffo quando hai scoperto che ero andato a letto con Megan... so che me lo sarei meritato.»

«Effettivamente, uno schiaffo te lo saresti meritato. Ma poco fa.»

Increspai la fronte. «Ti riferisci forse a—»

«No. Quelle altre donne non c'entrano.»

Strabuzzai gli occhi, sempre più confuso.

«Tu non sei affatto il sex symbol dei poveri, mi sono spiegata? Tu sei... tu sei sexy e basta», mi rivelò, abbassando la voce di colpo.

«Scusami, ma non credo di aver sentito bene», risposi io, trattenendo a stento un sorriso. Avevo capito benissimo.

«Ho semplicemente detto che sei... che sei un bell'uomo», ribatté Benedetta, sulle sue. Si vedeva che anche lei si stava trattenendo dal ridere.

«Non mi pare che tu abbia detto così...»

«E no, questa volta non te lo ripeterò una seconda volta!»

«Guarda che sei in debito con me», le feci notare, stando allo scherzo. «Non troppo tempo fa, proprio nei dintorni di questo parco, ti ho ripetuto quella cosa per ben tre volte.»

Benedetta si voltò di nuovo verso di me, quindi arrestò il passo. Si avvicinò al mio viso. «Mi ricordo molto bene di quella cosa», rispose. «Però... non ti ripeterò quello che ho detto!» esclamò, facendomi una linguaccia. Prese a correre e, da perfetta pestifera, mi fece venire un fiatone allucinante. Quasi senza accorgercene, ci ritrovammo spiaccicati sullo sportello della mia macchina. Le nostre labbra ripresero a cercarsi, i corpi a studiarsi appena, desiderosi più che mai di scoprirsi. Di conoscersi. Le arpionai con dolcezza la coscia seminuda e la sollevai quel poco che bastava a scontrarsi con la mia. Benedetta percepì il mio forte desiderio e si lasciò sfuggire un gemito. 

Sussultai. La donna misteriosa. Quel suono così dolce, melodioso... era suo! Ed era, di conseguenza, anche di Benedetta. Apparteneva solo a lei e, al tempo stesso, a due entità che avevo creduto ben distinte ma che, invece, non potevano essere separate in alcun modo. Continuai ad accarezzarla, ancora frastornato. Quel lamento mi aveva fatto impazzire. Quel flebile lamento raccoglieva tutto quello che avevo vissuto negli ultimi mesi. Le telefonate anonime, la progressiva vicinanza con Benedetta, le sensazioni che ormai da qualche tempo stavo provando. Le sfiorai delicatamente la pelle nuda e scesi lungo il polpaccio, quindi risalii lungo la coscia. Presi a solleticarla perché ridesse. E perché si staccasse da me prima che potessi completamente perdere il senno. Lei, però, non sembrava soffrisse il solletico, anzi. 

Maledizione, mi ritrovai a pensare. Benedetta non diede segni di cedimento. Continuò a baciarmi e a sostenermi per le spalle, come se non volesse lasciarmi andare.

«Benedetta», mormorai, con voce strozzata.

«Cosa c'è?» biascicò, senza smettere di baciarmi.

«Speravo tanto soffrissi il solletico», replicai schivando a malincuore un suo bacio, ancora non del tutto lucido.

Si scostò di colpo dal mio viso, le guance in fiamme. «E perché?»

Smisi di stringerla, ma non per questo mi allontanai. «Perché... Perché mi fai perdere la testa. Contenta?»

Lei ridacchiò. «Credevo che la cosa non ti disturbasse.»

«Non mi disturba, infatti.» E non disturba neanche lui, pensai mio malgrado guardandomi di sfuggita il cavallo dei pantaloni. Sopportavo a malapena tutta l'eccitazione che avevo in corpo. «Ma credo che per oggi abbiamo fatto abbastanza, non credi?»

Benedetta comprese al volo, ma non mollò. «Nemmeno un ultimo bacio prima di andarcene?»

Finsi di pensarci su. «Potrei anche accontentarti, senonché... devi ancora ripetermi una cosa molto importante», ritrattai, malizioso.

Benedetta ricambiò il sorriso. «E se io non mi ricordassi più di quella cosa?»

La guardai stralunato. L'orgoglio che nascondeva era impressionante. Proprio come il tuo ego, intervenne una vocina interiore. «Allora niente bacio.»

Lei fece spallucce. «Ne farò a meno. Anche perché tra pochi minuti dovrò baciare l'uomo più sexy che io abbia mai conosciuto.»

Ridacchiai, scuotendo la testa. Per l'ennesima volta, rimasi inebetito di fronte alla sua attitudine. «Spero di conoscere presto il mio rivale, allora», ripresi, lasciandola definitivamente andare.

Ci intrufolammo in macchina e, poco prima, di partire, mi richiamò. «Dico davvero, Malcom. Nessuno è sexy quanto te.»

Senza darmi il tempo di rispondere, mi catturò con un dolce bacio. Come al solito, tutto il resto scomparve.
 

*

 

La stradina percorsa era quasi deserta. Erano ormai le undici passate e i lampioni illuminavano la carreggiata e i lati della stessa, lasciando intravedere qualche persona che percorreva il marciapiede con o senza compagnia. Molte insegne di negozi erano quasi illeggibili, dato che nessuno si premurava di sistemarne l'impianto luce. Numerose casupole – tutte uguali, tra l'altro – si affacciavano sulla strada e davano quasi l'impressione di non essere per nulla popolate. Quella parte del quartiere metteva non poca tristezza, ma per fortuna non ero da solo. Mi spiaceva non poco che Benedetta abitasse in quella zona piuttosto angusta, ma non aveva potuto permettersi di meglio. Mi ripromisi di aiutarla a cambiare aria non appena avesse maturato un po' più di esperienza in redazione. 

«Bene, siamo arrivati.» Con un sospiro, mi slacciai la cintura e parcheggiai di fronte a un portoncino metallico.

«Ti ringrazio per la splendida serata», disse Benedetta con un sorriso.

Le diedi un tenero buffetto sulla guancia. «Non c'è di che.»

«Senti, Malcom... c'è una cosa che mi frulla per la testa da un po'», mi disse, torcendosi le mani.

«Dimmi. Sai che puoi parlarmi di tutto, no?»

Annuì. «Mi piacerebbe tanto farti vedere la mia stanza.»

Spalancai gli occhi. «La tua stanza? Ascolta, non so se è il cas—»

«Ti prego. Soltanto qualche minuto. Non ti tratterrò più del necessario.»

Sospirai. A quello sguardo implorante non sapevo dire di no. «D'accordo, hai vinto tu», le risposi, poco convinto. Dopo tutte le sensazioni che mi avevano investito soltanto pochi minuti prima, non mi sentivo poi troppo sicuro di poter varcare la porta di casa sua fingendo di non provare attrazione, men che meno della sua stanza. All'unisono, ci avviammo verso il portone e cercai di non agitarmi troppo. Quello di Benedetta era un passo importante, o almeno così lo giudicavo io. Per una qualsiasi persona, la propria stanza era il luogo più intimo e confortevole cui potesse mai rifugiarsi, quel posto nel quale sentirsi perfettamente al sicuro e a proprio agio. E Benedetta voleva mostrarmi il suo porto sicuro.

«Per di qua», mi disse, salendo la prima rampa di scale.

L'odore stantio ci avvolse all'istante. No, quel corridoio non era decisamente accogliente. Giunti davanti alla porta del secondo piano, Benedetta estrasse le chiavi di casa dalla borsetta di strass rosata abbinata al suo vestito bianco a fiori. Appena entrammo, percepii un profumo delicato che mi rinfrancò. Aromi essenziali, borbottai nella mia testa. 

La casa era molto ordinata. Il soggiorno ospitava un piccolo divano in pelle bianca ornato, ai piedi, da un grande tappeto a righe bianche e rosse, una scrivania antica e una sedia abbinata, una libreria semivuota e qualche quadro sparso qua e là. Le pareti verde acqua trasmettevano tranquillità. In sé, l'ambiente era accogliente e sereno. «Hai fatto proprio un bel lavoro», commentai, impressionato. «Spero che almeno qui ti trovi a tuo agio.»

«Non mi posso lamentare», rispose lei, felice. «Dai, vieni.»

Mi fece strada verso la camera e, non appena accese la luce vi entrai, rimasi ancora più sorpreso. Le pareti erano totalmente ricoperte da poster sui rocker più famosi di tutti i tempi. Tra tutti spiccava il grande Jimi Hendrix. Sulla scrivania c'erano alcuni tomi che presumevo fossero inerenti al suo corso di studio, assieme a un laptop e a un paio di statue Swarovsky della Disney. Nell'angolo della stanza, sistemati accanto a un grande e morbido pouf azzurro, c'era uno zaino da viaggio e un altro più piccolo, che probabilmente aveva portato con sé all'università. Il letto singolo, perfettamente intonso, ospitava un paio di cuscinetti quadrati raffiguranti altri musicisti –  se non erro doveva trattarsi dei Porcupine Tree – e una leggera trapunta violacea. Un piccolo stereo sostava sul mobiletto accanto al letto, assieme a una miriade di CD e musicassette. Sorrisi. Quella stanzetta rispecchiava Benedetta in tutto e per tutto. «Ma è meravigliosa», mormorai, ancora senza parole.

«Ho provato a dare un tocco personale», rispose lei, arrossendo un poco.

«E che tocco!» commentai, impressionato. Sfiorai qualche poster affisso alla parete e mi sfuggì un sorriso. Avevo fatto la stessa identica cosa al mio appartamento in affitto, quando ero ancora uno studentello alle prese con i primi sballottamenti. Mi era servito per sentirmi meno solo e, soprattutto, a non dimenticare chi fossi.

«Speravo tanto ti piacesse.» Benedetta si sedette sul letto e mi invitò a raggiungerla, un genuino sorriso a rischiararle il volto.

Esitai per un momento.

«Dai!» ribatté lei. «Non mordo mica. Voglio farti vedere una cosa.»

Sorrisi appena. Trovarmi da solo con lei, per giunta nella sua stanza, mi faceva uno strano effetto. Accolsi la sua richiesta e l'attrazione ritornò, più forte di prima. Per un momento, mi chiesi come sarebbe stato fare l'amore con lei. Trascorrere insieme tutta la nottata senza compiangermi, in perfetta solitudine, nel mio appartamento. Scacciai quel pensiero e mi concentrai su di lei, che stava estraendo un grosso raccoglitore da un cassettone accanto al letto. «Ecco qui», disse. Ci soffiò su e un leggero alone di polvere volò sopra le nostre teste. Aprì l'album e mi mostrò un paio di fotografie. «Questa ero io a cinque anni», esordì. «Mia madre mi aveva appena fatto il bagno e stata tentando, invano, di acconciarmi i capelli.» Ridacchiò. «Inutile dire che non ci è riuscita.»

Rimasi con lo sguardo fisso sulla foto, sorridendo divertito. Benedetta era ritratta in accappatoio e stava facendo una smorfia che giudicai molto buffa, i ricciolini ribelli che le ricadevano sulla fronte, il nasino all'insù. In una parola: adorabile. «Eri una bambina bellissima», le dissi, sincero. Non sapevo perché avesse deciso di mostrarmi parte della sua infanzia, ma ne fui onorato. «Questa foto ve l'ha scattata tuo padre?»

«Sì.» Sfogliò un'altra pagina. «Questi sono i miei genitori appena sposati.» Li guardai nel dettaglio. Sorridevano entrambi, estasiati. Benedetta somigliava davvero tanto al papà, ma aveva anche qualcosa della madre. La forma allungata del viso l'aveva certamente ereditata da lei, come la fronte ampia e i capelli ricci. Ma gli occhi verdi e il sorriso erano proprio uguali a quelli del padre.

Tutt'a un tratto, mi ritrovai ad afferrare quell'album di fotografie e lo sfogliai quasi tutto, commentando con Benedetta le numerose istantanee che lo popolavano. In quasi tutte, il suo sorriso contagioso la faceva da padrone. Che si trovasse all'asilo, a scuola o in qualsiasi altro posto, aveva sempre sorriso alla vita. Proprio come me.

Il ricordo della nostra infanzia ci commosse. Continuavamo a guardare quelle foto e non riuscivamo a non ridere di gusto in alcuni momenti, come a rimpiangere i tempi andati. Trascorsi la mezz'ora più emozionante degli ultimi anni.

Benedetta richiuse l'album e lo mise da parte. Mi strinse forte le mani. «Ho voluto farti vedere questa parte di me perché sentivo il bisogno di condividerla con una persona speciale, e quella persona non potevi che essere tu. Ci tenevo tanto, e finalmente ho trovato il coraggio di farlo. Ogni volta che sono con te, sento un'emozione così intensa. Un'emozione che mi esplode nel petto e che non mi fa più ragionare.»

Quelle parole mi fecero quasi venire il magone. Ultimamente, stavo provando le stesse cose per lei. Ma non riuscivo ancora a dirglielo.

«E adesso... la mia paura più grande è che tutto questo possa finire», riprese, incupendosi in volto.

Scossi sonoramente la testa. «Non finirà. La nostra avventura è appena cominciata.» Le accarezzai le nocche. «Sono senza parole, Benedetta. Sei una continua scoperta. E mi hai regalato una splendida emozione.»

Lei mi sorrise, scacciando la sorda preoccupazione che regnava nei suoi occhi. «Spero possano essercene tante altre. E che magari... un bel giorno potremmo riempire anche noi il nostro album di fotografie», azzardò, spostando lo sguardo sulle nostre mani intrecciate. «So che magari è un po' presto, però—»

«Shh... Non dire niente.»

Le sollevai il mento con gentilezza e tornai ad assaggiare le sue labbra, senza paura. Ancora una volta, tutto il resto passò in secondo piano.

   
 
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