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Autore: EleAB98    23/10/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo XVI – L'incastro Perfetto

 

«Si sono ritirati tutti all'ultimo. Temo di non avere scelta.»

Trattenni a stento uno sbuffo. Non mi andava proprio di partire per l'ennesimo servizio, tra l'altro inerente ad aspetti economici che non mi interessavano per nulla. Ma potevo forse tirarmi indietro?

Il lavoro prima di tutto, mi ero sempre detto negli ultimi tre anni. Ma quella regola cominciava a starmi davvero stretta. Perché l'unica cosa che volevo stringere forte era Benedetta, perdermi con lei sulle ali di un sogno.

«Malcom, mi stai ascoltando?» domandò Ryan, un bicchiere di plastica contenente caffè nella mano destra.

«Ovvio.» Tirai una boccata di fumo, quindi spensi la sigaretta nel portacenere. «Quanto hai detto che dovrei fermarmi lì?»

«Tre giorni. Potrai sopravvivere senza di lei, no?»

«Ah-ah», feci io, ricambiando il suo sorrisetto sardonico.

L'espressione di Ryan si fece tenera. «Come va con lei?»

Mi persi in un sorriso genuino. «Benedetta è una ragazza molto speciale. Anticonformista, per certi versi. È molto diversa dalle donne con cui ho sempre avuto a che fare. E la cosa mi piace. Ci frequentiamo solo da un mese, eppure mi sembra di conoscerla da sempre. Siamo... sempre più intimi.» Provai un'intensa fitta al basso ventre. Mi mancava già il suo timido tocco su di me. E tutti quei baci roventi che mi regalava.

Gli occhi di Ryan si illuminarono. «Queste sono parole grosse, Malcom. Sono molto felice per te.»

«Ti ringrazio molto. Spero soltanto di non rovinare tutto.»

«Perché dovresti?»

Mi voltai verso la macchinetta del caffè e iniziai a prepararmene un altro. La mattina impiegavo più del solito per carburare. «Alle volte vengo assalito dai soliti dubbi, tutto qui. Ancora non riesco a credere all'idea di essere tornato a coltivare quei desideri che per tanto tempo avevo chiuso in un cassetto. Avevo giurato a me stesso che non mi sarei più messo nei casini per una donna.» Premetti il tasto play e la bevanda fu pronta in un attimo. «E invece, eccomi qui. A desiderare che questa giornata finisca il più presto possibile per poterci rivedere.»

«Puoi anche chiamarla di tanto in tanto nel tuo ufficio, non credo sia peccato», asserì Ryan facendo spallucce. Bevve l'ultimo sorso di caffè e socchiuse gli occhi al mio preferisco evitare.

Ryan si agitò sulla sedia. «E perché mai? State o no insieme?»

Sospirai. Con calma presi a mescolare il caffè nero appena preparato. «Voglio proteggerla—»

«Da cosa, di preciso? Perché ti giuro, proprio non lo capisco.»

In quel momento, l'impulso di spararmi un'altra sigaretta tornò prepotente. «Non credo ci sia bisogno di dirti cosa facessi tutti i lunedì in quest'ufficio fino a qualche anno fa.» Chinai il capo. Ero certo che Ryan sapesse molto più di quanto volesse farmi credere.

Ryan fece un sorriso tirato. «Non sei più quel tipo di uomo», tuonò. «Quindi di cosa ti preoccupi? I tuoi colleghi potrebbero solo invidiarti ed essere felici per te, sapendo della tua storia con Benedetta.»

«È una cosa troppo recente. Credo sia meglio aspettare ancora.»

Ryan sollevò l'angolo della bocca, rassegnato. «Come vuoi tu. Ma assicurati che Benedetta la pensi allo stesso modo.»

Dopo quella sottospecie di avvertimento, si alzò con nonchalance dalla sedia e, come d'abitudine, sparì dal mio raggio d'azione.

E io rimasi solo soletto con i miei – tumultuosi – pensieri.

 

*

 

Verso le diciassette e trenta, decisi di soccombere alla tentazione e di avviarmi nello studio di Benedetta. A passi concitati, il cuore che batteva forte nel petto, percorsi l'intero corridoio senza incontrare anima viva. Provai, tutto d'un tratto, uno sgradevole sentore di fastidio, ma mi riebbi quasi subito. D'altronde, avevo o no qualcosa di molto importante da dirle?
Bussai alla porta, esitante.

«Come sta il mio giornalista preferito?» soffiò lei, a pochi centimetri dal mio viso non appena mi accolse nel suo ufficio, i palmi delle lunghe – morbide – e affusolate mani su di me.

Le presi il mento con decisione e la guidai verso le mie labbra, già desiderose di assaporare le sue. Soltanto qualche giorno prima – il sabato sera, per essere precisi –, eravamo andati al cinema per vedere un film di cui neanche ricordavo il titolo. Le mie attenzioni erano state tutte per Benedetta. Mai come quella sera, la sordida voglia di andare oltre mi aveva quasi annebbiato la mente. Ed effettivamente, appena usciti dal cinema...

«Adesso che ti vedo, non potrei stare meglio», asserii dopo averla baciata, cercando di scacciare quel ricordo. «Ma ho una cosa importante da dirti.»

Lei mi cinse le braccia al collo. Ce ne restammo così, abbracciati senza dire una parola per almeno un minuto buono, i corpi avvinghiati. Sentivo che l'attrazione era più forte che mai, ma soprattutto avvertivo una certa tensione in Benedetta, che si era irrigidita alle mie parole. Dopo avermi guardato con dolcezza e non meno desiderio, un velo di sincera preoccupazione pareva avesse del tutto offuscato quel barlume di gioia che l'aveva pervasa quando mi aveva trascinato su di sé. Mi adombrai a mia volta.

«Va tutto bene?» mi domandò, le mani sulla nuca a disegnare, di tanto in tanto, dei cerchi immaginari. Mi rilassai – ed eccitai – nel contempo. Benedetta riusciva a scaldarmi il cuore persino con un gesto semplice come quello, nonché a stupirmi anche solo con mezza parola.
A rassicurarmi con un dolcissimo sorriso. E a farmi ridere – tanto, per giunta. Da molti anni non ridevo con quella gioia autentica che ti avvolge e ti coinvolge con impeto e altrettanta delicatezza.
Da molti anni non mi sentivo così... vivo.
«Forse dovrei chiederlo a te. Però ti avverto, se continui ad accarezzarmi così ti giuro che non usciremo più da quest'ufficio.»

Benedetta avvampò e ridacchiò nello stesso momento. «Dai, dimmi cosa c'è.»

Sospirai. E Benedetta non aveva affatto smesso di allisciare la mia nuca a suon di carezze. «Devo partire domani stesso», ammisi, riluttante.
Di solito, prendere un treno o un aereo non mi spaventava affatto, anzi. Era un toccasana. Allontanarsi da casa, lasciarsi tutto alle spalle. Dimenticare in generale, anche se per poco – pochissimo, in verità.
Ma adesso mi scocciava. Tremendamente.

Benedetta si immobilizzò. «Si tratta di lavoro, giusto?»

«Ho un servizio importante, sì. E a quanto pare i miei colleghi si sono tirati indietro e quindi toccherebbe a me. Begli stronzi, eh?» commentai, strappandole un sorrisetto.

«Hai ragione, lo sono davvero. Ma sono anche sicura che farai un ottimo lavoro.»

Mi scostai da lei, quasi offeso. «Credevo che la mia partenza ti avrebbe scocciato da morire.»

Lei mi guardò con tenerezza. «Infatti mi scoccia. Non sai nemmeno quanto.»

«Be', non mi sembra...»

Benedetta sorrise persino di più, mostrando la sua dentatura perfetta. «Awww, il caro Malcom bisognoso di attenzioni ha bisogno di... attenzione?» mi schernì, sarcastica e probabilmente non meno orgogliosa di farmi quell'effetto.

L'attirai di nuovo verso di me, lo sguardo di fuoco. Essere costantemente desiderato da una donna che mi piaceva – anzi, ammaliava – era un aspetto di vitale importanza per me, e Benedetta lo aveva subito capito. Lo so, magari alle volte mi comportavo come un bambino cresciuto, ma non sopportavo proprio di essere ignorato. Avevo bisogno di contatto, forse perché di contatto non ce n'era stato troppo durante l'adolescenza. «Non scherzare troppo su questo, Ben», le dissi, conscio del fatto che odiasse con tutto il cuore quel soprannome che poteva benissimo associarsi a un nome maschile. Prima che potesse replicare, presi a mordicchiarle il lobo dell'orecchio, ma lei non mollò.

«N-non ti azzardare a chiamarmi c-così», biascicò, sospirando di piacere.

«Così come?» Continuai la mia opera e lei, finalmente, si arrese.

«Mi mancherai terribilmente», sussurrò, il respiro irregolare.

«Non ho sentito», soffiai, divertito.

«Ti vorrei sempre con me, ma non c'è bisogno che te lo dica.» Nel dirmi quelle parole, si scostò del tutto e mi guardò con profonda serietà.

«Io ho bisogno di sentirlo, invece», replicai, tornando a guardarla con dolcezza. E sentito imbarazzo. Non ammettevo facilmente questo genere di cose. Ma con lei ne sentivo la viva necessità.

«Lo so.» Mi baciò con tenerezza e io mi sciolsi – di nuovo.

«Dove ti ha spedito Ryan questa volta?» domandò poi, incuriosita.

«A Boston. Per tre giorni.»

Benedetta annuì, sollevata. «Dai, poteva andarci peggio.»

«Decisamente.» Le carezzai la schiena. «Mi mancherai.»

Lei sorrise ancora, gli occhi lucidi investiti da un guizzo di malinconia. E ritornò sulle mie labbra.

 

*

 

Non era stato proprio possibile rivederci dopo il lavoro, tantomeno il mattino dopo. Ci eravamo salutati calorosamente in ufficio trattenendo a stento la voglia di appartenerci, che tuttora non mi abbandonava. Mi sfregai il mento, perfettamente liscio come le guance altrettanto sbarbate. Forse, starle lontano per un paio di giorni mi avrebbe aiutato a schiarirmi un po' le idee. Non avevo avuto il tempo di farmi troppe domande, Benedetta mi aveva semplicemente travolto. Mi aveva travolto con la sua allegria, la sua spontaneità e, per certi versi, quella sensualità che nei momenti di più accesa confidenza trasudava dal suo sguardo – e che forse mi ero sempre rifiutato di vedere – accompagnata, però, da un'innata dolcezza, qualità che in una donna reputavo indispensabile.
Alla parola donna, trattenni a stento un gemito di frustrazione. Benedetta era sì una donna a tutti gli effetti, ma era anche molto – troppo – giovane rispetto a me. E il fatto che non avesse ancora provato il brivido delle tante esperienze che, al netto dei miei quarantatré anni, avevo chiaramente vissuto io, mi faceva quasi desistere dal proseguire la mia avventura con lei. Una splendida avventura, a dire la verità.
Quella sensazione di voler buttare tutto all'aria, però, durava soltanto pochi, pochissimi attimi. Mi bastava ripensare al nostro primo bacio e all'ultimo anno trascorso insieme per ritrovarmi a scuotere la testa come a dirmi: col cavolo che me la lascio scappare.
Proprio in virtù di questa mia riflessione, alle volte quasi mi sentivo un perfetto egoista, perché ora più che mai, dopo il nostro ultimo incontro, ero certo – più che certo – di una cosa: non l'avrei mai lasciata andare di mia sponte, a meno che non l'avesse voluto lei.
Avrei corso il rischio che un giorno potesse stancarsi di me. Avrei corso il rischio che un giorno potesse anche uscirsene con un "amo un'altra persona, e quella persona ha circa la mia età". Con lei – per lei –, avrei corso tutti i rischi del mondo.
E tutto perché allontanarmi da Benedetta sarebbe stato impensabile. Senza contare che nemmeno lei desiderava compiere una simile cazzata. Perché la più grossa cazzata del secolo – passatemi il termine – sarebbe stata proprio quella. Rinunciare alle nostre chiacchierate, soffocare una passione che cresceva ogni giorno di più.

Rinunciare a un... sentimento.

Sorrisi a quella parola, finalmente rilassato. E per tutto il resto del viaggio, me ne stetti accasciato sul sedile dell'aereo a immaginare il nostro prossimo momento insieme.

Senza farmi più alcuna domanda.

Come sempre, arrivai in perfetto orario a Boston City. E nemmeno la telefonata di Benedetta tardò ad arrivare. Erano appena scattate le quindici.

«Come ti senti?» mi domandò, ero appena uscito dall'aeroporto e stavo camminando su un marciapiede tenendo nella mano sinistra un piccolo borsone da viaggio, scorrendo tra fiumi di passanti che, a quanto pare, avevano fretta di andare chissà dove.

«Mm, non mi posso lamentare. Anche se volare per più di cinque ore ha i suoi effetti collaterali. Ho un mal di testa lancinante. Ma forse è solo perché ti ho pensata troppo.»

Quella frase strappò una risatina soffocata a Benedetta. «Ne hai sempre una per tutte tu, eh?»

«Ne ho sempre una per te», rimarcai, sornione.

«Dai, a parte gli scherzi... penso che un po' di riposo ti farà passare presto questo brutto mal di testa.»

«Lo spero proprio. Anche perché nel pomeriggio avrò già un mucchio di interviste da fare.»

«L'hotel è molto lontano dall'aeroporto?»

«In realtà no. Tempo dieci minuti e sono al Brown's House

«Okay. Allora torno alle mie scartoffie e ti lascio sistemare. Ci sentiamo più tardi.»

Avanzai a passo sicuro e svoltai sulla sinistra, attraversando sulle strisce pedonali. File di macchine popolavano la strada insieme a qualche ciclista che, in modo piuttosto avventato, faceva slalom tra le automobili.
«D'accordo. Allora buon lavoro... tesoro», le risposi, senza pensarci. Quel tesoro rimbombò nelle mie orecchie per più di un minuto buono, e mi resi subito conto che averlo pronunciato mi aveva reso felice.

Benedetta ricambiò con un fervore ancora maggiore. «Anche a te. Ti amo

E riattaccò seduta stante, quasi temesse di non ricevere risposta alcuna a quella profonda dichiarazione d'amore.

Proseguii diretto verso Beacon Hill Street, il cuore in tumulto per l'emozione e il disagio. Il viso che d'improvviso s'era contratto in una smorfia.

Effettivamente, i suoi sospetti non erano stati così infondati.
 

*

 

Per cercare di distrarmi, avevo deciso di fare una tappa al bar dell'albergo poco prima di lavorare. A stento ero riuscito a dormire un po'. La mia mente era ferma a quel "ti amo", alla dolcezza e alla passione con cui Benedetta l'aveva pronunciato. Certo, non era la prima volta che si concedeva simili slanci, ma non era nemmeno successo troppo spesso. Anzi, mi ricordavo benissimo che l'aveva pronunciato una prima volta proprio durante il soggiorno astigiano. In entrambe le occasioni, avevo percepito una forte emozione, come un groppo in gola che si era poi diramato in tutto il corpo provocandomi uno spasmo, un tremito che mi impediva di ricambiare quell'affermazione che da troppo tempo non sentivo – tantomeno asserivo.
Giocherellai con il bicchiere di  bourbon che avevo ordinato, l'altra mano a tamburellare sul tavolino circolare di ceramica. Ammiravo tantissimo il coraggio e la determinazione di Benedetta. E quelle caratteristiche me la facevano apprezzare ancora di più, anche se non di rado mi spaventavano. Io avevo perduto già da tempo la tipica vena ottimistica di quell'età, quell'energia che ti faceva credere che ogni cosa fosse possibile. Eppure, quando stavo con lei ero senza pensieri. Mi liberavo di tutto lo schifo che avevo accumulato negli anni e diventavo leggero come una piuma.
Mi scolai l'ultimo sorso di bourbon e scostai il bicchiere. Perlomeno mi era passato il mal di testa. Magra consolazione, pensai, tornando a guardare l'orologio. Riabbassai il polsino della camicia blu e posai la testa sul mio pugno, lo sguardo fisso sul tavolo.

Dopo qualche istante, una voce alle spalle mi fece sussultare.

«Ciao, Malcom.»

Mi voltai immediatamente. Non potevo credere che lei – proprio lei – alloggiasse nel mio stesso albergo. «Melanie... cosa ci fai qui?»

Che domanda scema.

Con un gesto calcolato, scostò i lunghi capelli biondi sul lato destro del viso, un grazioso tubino nero ad avvolgerle il corpo magro e slanciato. Naso dritto, occhi di un verde brillante. Labbra piene, carnose e ricoperte dal solito rossetto color malva.
Non era cambiata proprio per niente.

«Non mi aspettavo di vederti», rispose lei, trattenendo un sorriso. «Posso?» Controvoglia, accennai alla sedia vuota davanti a me e acconsentii con un semplice gesto della mano.

«Sei rimasto lo stesso bel tenebroso di allora», mi disse, incapace di trattenersi.

Io l'avevo guardata a malapena, ma questa volta mi feci coraggio e ricambiai lo sguardo con una certa freddezza. Senza che dicessi una parola, allungò la mano e la fece scorrere sul mio polso, quindi proseguì sul braccio. Mi scostai, di riflesso, e lei s'irrigidì. I tratti del suo volto si tinsero di sorpresa. «Ci siamo divertiti così tanto insieme... e adesso, per un semplice tocco, ti scandalizzi così?»

«In realtà non ci conosciamo per niente, Melanie.»

L'altra fece una smorfia sprezzante. «D'accordo. Partiamo dall'inizio, allora. Come stai?»

«Molto bene. Ma non mi hai ancora detto che ci fai qui. Vacanza di piacere? Lavoro?»

«Entrambi. Ho trovato un posto come segretaria presso lo studio legale di Boston. Il mio capo è proprio uno strafigo, tra l'altro.» Estrasse un pacchetto di sigarette dalla borsetta rossa abbinata al vestito dall'ampia scollatura e se ne accese una. Fece un piccola pausa e tirò una boccata. «Però non me lo scopo.» Mi fece l'occhiolino.

Scossi la testa, tra l'indignato e il divertito.

«Sono ancora innamorata di te. Ma non per questo non cerco di divertirmi di tanto in tanto.»

Feci spallucce. «Mi sembra giusto», replicai con nonchalance. Sinceramente, trovavo difficile credere alle sue parole, ma comunque non m'interessava.

Quell'affermazione parve ferirla un poco, ma proseguì comunque la sua arringa. «Non la penseresti così se ti dicessi che il mio capo è sposato. Anzi, no... sposatissimo

Sbarrai gli occhi. «Ci hai provato con uno sposato?»

Scrollò le spalle e gettò altro fumo. «Routine», si limitò a dire. «Quel damerino è fedelissimo alla moglie e non ha nessuna intenzione di tradirla, benché sia ormai sposato con lei da quasi sei anni. E mi ha persino consigliato caldamente di smettere di fumare. Nel tempo libero fa il mental coach.»

Inarcai le sopracciglia e trattenni a stento una risata. Da quando in qua il numero di anni poteva decretare la fine di una relazione, della passione e del sentimento che travolgeva due amanti?

«Ma io so che prima o poi cederà. Sono cento volte meglio di quella smorfiosa della moglie.»

Scossi la testa. Tempo addietro avevo ricevuto molte avance da donne sposate, ma io non avevo mai ceduto alle loro lusinghe – e nemmeno ne avevo fatte. Per me quelle donne erano semplicemente intoccabili.
«Trovi così improbabile che un uomo possa resisterti?» le chiesi, più incuriosito che sorpreso.

«A dire il vero sì. Perché nessuno mi ha mai detto no

Abbassai lo sguardo. Io, in effetti, non l'avevo mai fatto.

«C'è sempre una prima volta», borbottai. «Ma ti consiglierei di fare attenzione. Non sia mai che il tuo strafigo possa licenziarti.» Tornai alla carica e, nel frattempo, mi accesi anch'io una sigaretta. Mi sentivo nervoso e non capivo perché.

«Ah, non lo farà mai. Sono troppo irresistibile. Le mie attenzioni gli fanno un gran piacere, ne sono convinta. Lui non si libererà di me.»

Quel lui non mi sfuggì. Sembrava quasi che il sottotesto di quella frase fosse "lui, a differenza tua, non si libererà mai  di me." «Non pensi che potrebbe trovarsi facilmente un'altra assistente? Fossi in te, romperei le scatole a qualcun altro.»

Affilò lo sguardo, un sorriso malizioso a rischiararle il viso. «Tipo?»

Non le risposi. Conoscevo molto bene quel genere di sguardo. Mi aggrappai a quella sigaretta con tutte le forze e tornai a scrutare gli angoli del piano bar. Semplice carta da parati, atmosfera semi lugubre, tavolinetti abbelliti da una triste tovaglia marrone.

«Frequenti qualcuna?» se ne uscì lei dopo qualche minuto, riempiendo il silenzio.

Cosa te lo fa pensare? avrei voluto chiederle. «Sono riuscito a stare senza una donna per ben tre anni, a dispetto di quello che pensavi», dissi invece, senza rispondere direttamente alla domanda.

«Caspita. Deve esserti costato molto.»

«Non più di tanto, in realtà.»

«Questo significa che adesso ce n'è una?» mi chiese, arrivando al punto cruciale.

«Potrebbe esserci, sì.» Spensi la sigaretta e la accartocciai sul posacenere.

«Be', mi auguro almeno che questa donna riesca a soddisfarti ben più di quanto abbia mai fatto io», replicò, tagliente.

Quella frecciata – del tutto inaspettata – mi mise non poco a disagio. Io e Benedetta non eravamo ancora arrivati a quel punto. Certo, c'era stato qualche contatto leggermente più spinto nelle ultime settimane – soprattutto dopo quella volta al cinema, quando ci eravamo ritrovati spiaccicati sul sedile della macchina e la nostra prima volta ci era quasi parsa inevitabile –, ma non avevamo certo abbracciato la vera passione. Non completamente, almeno. Senza contare che con Benedetta non si sarebbe trattato soltanto di soddisfare la sete del corpo. Con lei sarebbe stato molto di più.
«Credo sia il momento di andare al lavoro», affermai, cercando di nascondere i miei sentimenti agli occhi di Melanie.

«La mia camera è la 404. Se avessi bisogno di compagnia, sai dove trovarmi. D'altronde, lei non verrebbe mai a saperlo...»

«Non mi interessa fare un altro giro, Melanie», replicai, gelido.

«Ma scopare ti è sempre piaciuto, però. E nessuna sa farlo meglio di me.»

«Il semplice scopare non c'entra», rimarcai, trattenendo a stento la rabbia.

«Ah, già», replicò, schifata quanto me. «Adesso sei un uomo virtuoso. Adesso fai l'amore. Come se ci fosse differenza tra le due cose.» Fece una risatina sarcastica. «Quando fino a qualche anno fa non esitavi a posizionarmi in tutti i modi sopra la scrivania del tuo ufficio scopando con me fino allo sfinimento. Per non parlare di tutte le volte che sei finito nel mio letto.»

Quelle parole mi provocarono quasi un dolore fisico. Mi sentii talmente vulnerabile che la mia voce uscì a stento. Immagini che adesso giudicavo assai terribili si accavallarono nella mente, soffocando la mia volontà di reagire a quell'attacco. Ma potevo forse dare torto a quella donna, alla mia scopata del lunedì? «Sei stata solo un diversivo», rimarcai, senza riuscire a dirle altro.
Mi sentivo davvero uno schifo.

«Vero. Ma sono stata l'unico diversivo che ti sei fottuto per quasi quattro anni di fila, tra le tue avventure da mille e una notte. Io ero la tua costante, quella che ti scopavi tutte le volte che ne avevi voglia. Quindi dovevo pur valere più delle altre, no?» Mi si avvicinò e, poco prima, andarsene, mi strinse la spalla sinistra. Provai una repulsione infinita. Verso me stesso, verso di lei. Verso tutto. «Buona giornata, Malcom.»

Non appena se ne andò, mi alzai di scatto dalla sedia e mi avviai di corsa nella stanza 201, il profumo di Melanie ancora addosso, nel punto esatto in cui mi aveva toccato.

Trattenni il fiato, schifato.
Dovevo assolutamente cambiarmi la camicia.

 

*

 

«Allora? Com'è andata?» La voce di Benedetta risuonava forte e chiara dall'altro capo della linea.

«Mi sei mancata», soffiai, tenero. Avevo gli occhi gonfi di lacrime.

«Anche tu mi sei mancato tanto. Per fortuna al lavoro è stata una giornata tranquilla.»

«Ne sono contento», affermai, la testa sul cuscino e le gambe incrociate ai piedi del letto. «Invece per me è stata... diciamo pure una lunga giornata.»

«Va tutto bene? La tua voce mi suona un po' strana.»

Mi passai stancamente una mano sui capelli. Non avevo neanche avuto la forza di svestirmi e di farmi una doccia. E Benedetta si era persino accorta che qualcosa non quadrava – ah, quanto mi conosceva! Dovevo senz'altro impegnarmi di più.
Potevo forse dirle che mi sentivo una merda? Potevo forse dirle che mi sentivo indegno del suo sentimento?
«Tutto bene, tesoro. Dico davvero.» Sospirai. «Mi sento un po' solo, tutto qui.»

«Anche io. Ma stiamo o no parlando al telefono per sopperire alla solitudine?»

Sorrisi. «Hai ragione. Benedetta io... ti ringrazio di avermi chiamato. Sono talmente stanco che probabilmente sarei caduto addormentato senza neanche augurarti la buonanotte.»

«Ma figurati, non me la sarei certo presa, anzi! L'importante è che tu stia bene.»

Sorrisi, amaro.
Mi sciolsi la cravatta e la gettai accanto a me. «A patto che stia bene anche tu, però.»

«Io sto bene se tu stai bene. E quindi sto benissimo.»

Questa volta sorrisi con gioia, rincuorato dal fatto che Benedetta tenesse così tanto a me, malgrado pensassi di meritare solo il peggio. Prima che il sonno avesse la meglio, conversammo per più di un'ora e mi lasciai cullare dal suono della sua voce fino alle ventitré e trenta.
Mi sentii rinascere.

 

*

 

Se prima era stato il ti amo a scombussolarmi, adesso mi sconvolgeva ben altro. Rivedere Melanie, richiamare di continuo quelle orribili parole, pensare al fatto che avesse solo ragione. Certo, si era proprio comportata da vipera – e la cosa triste è che non mi ero mai accorto di quell'aspetto del suo carattere –, ma potevo forse biasimarla?
Con Melanie avevo raggiunto dei livelli di confidenza – di tipo sessuale, certo – mai sperimentati con le altre donne. Forse il fatto che mi facesse da assistente acuiva il mio desiderio fisico verso di lei. O forse, mi piaceva semplicemente scoparla.
Quel bel termine, per la prima volta in vita mia, mi fece quasi venire il voltastomaco. Melanie aveva sempre fatto di tutto perché dessi libero sfogo alle normali perversioni che sussistevano in una relazione di solo sesso. Togliendo il fatto che lei – a quanto pareva – si fosse innamorata di me.
Scossi la testa. Quella donna adorava un altro Malcom. Benedetta era forse stata l'unica dopo Melissa ad aver conosciuto davvero il mio cuore, nonché tantissime sfaccettature del mio carattere. All'apparenza potevo sembrare un tipo facile, una persona che si entusiasmava facilmente e che scopava solo per il piacere di... scopare, appunto. E senza pensare ad altro.
Ma in verità, tutto quello che facevo era soltanto mirato allo scopo di riempire un vuoto che sapevo impossibile da colmare. In verità, avrei tanto voluto una persona che potesse capirmi, condividere il mio dolore. Ma nessuna delle donne con cui ero stato aveva acceso in me quella spasmodica voglia di confidarmi.
Con Benedetta, invece, era stato talmente naturale che delle volte, ripensandoci, ne rimanevo sbalordito. Le nottate a casa mia erano state la cosa più bella che mi fosse capitata negli ultimi anni. Invitarla da me dopo cena era stato così semplice... come respirare. E quanto parlavamo! Avremmo potuto scrivere un romanzo intero sulle nostre vicissitudini – soprattutto infantili.

Mi abbottonai la camicia bianca senza guardarmi allo specchio. Non avevo proprio avuto il coraggio di farlo, da quando Melanie si era rifatta di nuovo viva. Ma al netto di tutto, non avevo provato la benché minima attrazione per lei. E questo fu per me una svolta. Quella scossa mi aveva fatto capire che, che...
Sospirai, quindi estrassi il cellulare  dalla tasca. Sulle prime fui tentato di chiamare Benedetta, ma poi desistetti.
Composi un altro numero.

«Figlio mio, ma che piacere sentirti! Come stai?»

La voce di mia madre risuonò come una dolce carezza. Da un po' di tempo non la chiamavo, malgrado mi ripromettessi sempre di farlo più spesso. «Ciao, mamma. Come stai?

«Dimmelo tu, piuttosto. Come procede con il lavoro?»

«Benissimo», le risposi. «Mi trovo a Boston, domani sera prenderò il volo di ritorno.»

«Grandioso! Mi fa molto piacere. E... con il resto, invece?»

Quella domanda mi strappò un sorriso. Mia madre non si arrendeva mai. «Da qualche tempo sto frequentando una ragazza», confessai, senza filtri.

«Oddio, non sai quanto mi rende felice questa cosa! Dopo la storia di Megan, credevo che non volessi più sentir parlare di donne.»

«Infatti è stato così. Fino a quando non ho conosciuto Benedetta. Sai, io e Megan ci siamo rincontrati qualche tempo fa. Ci abbiamo riprovato, ma non è andata. Avevo proprio la testa altrove.»

«Su Benedetta, vorrai dire.»

Risi di cuore. «Sì, credo proprio di sì.

«E...?»

«Io penso di... io temo di essermi innamorato di lei, mamma. L'unico problema è che ha solo venticinque anni. E mi fa da segretaria da quasi un anno e mezzo.»

«Ma dai! E allora? Che vuoi che sia! Se sei felice e lei lo è allo stesso modo, che te ne importa della differenza d'età?»

Mi sfuggì un sorriso. Per mia madre era sempre tutto così semplice, senza fronzoli.

«Allora?» incalzò, quasi irritata dal mio silenzio. «Non dirmi che hai intenzione di farla finita!»

Sospirai. «Non lo so. Non mi sento molto degno di lei.»

«Malcom, non fare scherzi. Non devi pensare a quello che è stato. E non devi permettere che il passato condizioni la tua vita.»

«Lo so, è che...» Ripensai alle parole di Melanie e un'ondata di pura vergogna mi investì. «Senti, mamma, adesso devo andare. Ti aggiornerò presto, promesso», dissi, tagliando corto.

«Ci conto, eh! Un abbraccio, figlio mio.»

Ricambiai il saluto e riattaccai, quindi gettai il telefonino sul letto e corsi a farmi una doccia.

Malgrado le parole appena pronunciate, mi sentivo – ancora – terribilmente sporco.

 

*

 

Stava calando di nuovo la notte a Boston City. Le luci dei lampioni illuminavano il sentiero che stavo percorrendo a passo stanco. Trattenni la giacca di pelle sulla spalla destra e mi avviai verso il Brown's House. Per tutto il giorno, non avevo nemmeno trovato un momento per chiamare Benedetta, ma da una parte mi sentii sollevato. Dopo l'incontro con Melanie, avevo sì compreso di amarla sinceramente, ma dall'altro lato non riuscivo a farmene una ragione.
Perché proprio lei?
Perché non potevo provare quei sentimenti per una donna più vissuta, più smaliziata e ancor meno... dolce?

Ai piedi dell'albergo, entrai quasi trattenendo il fiato. Avevo una folle paura di incontrare di nuovo quella Melanie Brooks e ricordare tutti i dettagli di quell'incontro spiacevole. Feci di corsa le scale e salii diretto al primo piano. Proprio quando stavo per svoltare l'angolo, una voce che conoscevo molto bene mi fece fermare il cuore.

«Signor Stone, dove va con tutta quella fretta?»

Mi voltai e non mi trattenni dal sorridere. In realtà, quasi piansi di gioia. «Benedetta! Ma che ci fai qui?!»

Lei mi corse incontro e io, emozionato quanto lei, spalancai le braccia e di riflesso la accolsi con un bacio caldo e pieno di passione. Per circa cinque minuti, nessuno dei due pronunciò una parola. Eravamo troppo impegnati a baciarci, ad assaporare la nostra ritrovata unione. Quasi pareva che non ci vedessimo da ben più di due giorni. Alla fine mi staccai da lei. Ero senza fiato.

«Quando sei venuta?»

«Circa due ore fa. Ho chiesto al receptionist e mi ha detto che alloggi nella camera 201

«E tu? Dov'è che alloggi?»

Benedetta deviò la domanda. «Bianchi mi ha chiesto se io e te stavamo insieme», se ne uscì lei, il suo viso si tinse di una serietà che mi fece raggelare d'un colpo.

Ghignai, sprezzante. Ah, quel Bianchi, pensai. Il collega più ficcanaso e impertinente dell'ufficio. Occhi piccoli e cattivi, sguardo arcigno, bocca storta. Divorziato da tre anni.

«Ti ha detto proprio così?»

«Be', veramente ha usato parole ben più forti

Immaginai all'istante quale parola avesse usato per descrivere il nostro rapporto e avrei tanto voluto spaccare tutto.

«E tu?»

Benedetta scrollò le spalle. «Che cosa avrei dovuto dirgli? Ho negato, ecco tutto.»

Ancora una volta, mi sentii un verme.

«Malcom, io non ce la faccio più. Ho bisogno di... ho bisogno di sapere cosa c'è esattamente tra noi due.»
Mi guardò dritta negli occhi, e in quegli occhi vi lessi un grande dolore. Solo in quel momento mi resi conto di quanto le costasse nascondere agli altri la verità, qualunque essa fosse.

«Sto cercando di andarci piano, tutto qui.» Me ne uscii così, di getto e senza farmi troppi crucci. Ma la pensavo davvero così?

«Se andarci piano significa continuare a nasconderci agli occhi di tutti, temo di non aver capito niente.»

Si allontanò da me e mi rifilò un'occhiata triste e delusa.

«Benedetta, aspetta...»

«No. Scusa, ma adesso voglio stare un po' da sola.»

Scese le scale di corsa e... non la fermai. Le mie gambe non rispondevano ai comandi.

Sembrava incredibile, eppure era successo. L'atmosfera era cambiata completamente, e tutto in poco meno di dieci minuti. Per l'ennesima volta, chiamai Benedetta al cellulare. Imprecai, disperato. Dove poteva essere andata?

Setaccai tutto l'hotel in preda all'ansia – e alla pena per me stesso. Non riuscivo proprio a trovarla e pensavo che avrei passato la notte in bianco. Escludevo che se ne fosse andata vagando per chissà quali strade di Boston, era troppo responsabile per farlo. O almeno, volevo sperare che non si fosse spinta così oltre.
Quando, dopo una buona mezz'ora di ricerche, una delicata chioma bionda spuntò dalla fessura della finestra che dava sul terrazzo, ringraziai mentalmente il cielo e uscii subito fuori. Benedetta era proprio lì, il vaporoso vestito bluette che la rendeva bellissima e graziosa al tempo stesso, i capelli mossi dal vento. Una vista mozzafiato che comprendeva le luci della città e mille altri particolari che però sfumavano in confronto a Benedetta.

Mi avvicinai e la colsi di sorpresa, entrambe le mani a cingerle la vita. Inspirai con forza il suo profumo e fui così felice che lei non mi avesse scacciato, che fui quasi tentato di baciarla seduta stante.

«Perdonami per prima, sono stato un deficiente», le sussurrai, ancora scosso.

Lei si voltò verso di me. Non c'erano tracce di pianto sul suo viso, e ne fui sollevato. «Scusami tu, forse ho esagerato. È che mi sento insicura, capisci? Penso che potresti avere così tante donne migliori di m—»

«Shhh. Affatto. E non devi essere avere paura, perché io non voglio lasciarti. Adesso lo so. Però ti prego, non scappare più da me.»

«Vuoi che rimanga?» mi domandò lei, a un centimetro dalle mie labbra.

«Sì. Voglio che tu rimanga.» Le carezzai le guance, esitante. «Io ho bisogno di te, Benedetta», le dissi, con estrema convinzione.

Lei si fiondò sulle mie labbra con rinnovata passione. La strinsi forte e mi scappò qualche lacrima.

«Mal! Perché stai piangendo?» chiese dopo un po', sorridendo estasiata.

Le sorrisi anch'io e mi passai una mano sul viso. «Sono felice. Tutto qui.» Tornai sulle sue labbra e l'abbraccio si fece ben più saldo e profondo. Non passò molto tempo che ci ritrovammo in corridoio, nei pressi della mia stanza.
«Non mi hai ancora detto dove alloggi», mormorai, cercando di ritornare sulla Terra.

Lei continuò a baciarmi. «Al Brown's House. Camera 201.»

Mi staccai di colpo, gli occhi sbarrati. «Scusami tanto, ma credo di non aver capito. Dai, dimmi qual è la tua stanza così ti ci accompagno.»

«Hai capito benissimo. Voglio stare con te, Malcom. Io voglio te», rispose lei, tra l'imbarazzo e il cieco desiderio.

Senza chiedermi permesso, tornò ad abbracciarmi. Risposi al fuoco senza pensarci e, più eccitato e felice che mai, succhiai le sue labbra fino a consumare quasi le mie. Il desiderio mi stava facendo diventare pazzo. Mi stava ottenebrando del tutto la mente. E stava facendo scoppiare il mio cuore.
«Non dobbiamo farlo, se non sei convinta», ebbi la forza di dirle, una volta schiacciati contro la porta della mia stanza.

«È da quasi un anno e mezzo che aspetto questo momento, Malcom», soffiò lei, attirandomi più a sé. «E non ho nessuna intenzione di aspettare ancora. Che tu lo voglia o no.»

Quell'affermazione mi strappò una vivace risata. Tornai sulle sue labbra e, gettando ogni remora, aprii la porta della camera. Continuai ad accarezzarla con tutta la calma e la passione del mondo, tanto era forte il desiderio di scoprire il suo corpo, di ascoltare i suoi sospiri di piacere. Di diventare un tutt'uno con lei. Di scoprire cosa volesse dire sentirsi finalmente a casa.
Benedetta fece scorrere le mani sulla camicia violacea e io le strinsi i fianchi, scontrandomi con le balze del suo vestito. Passammo al setaccio ogni angolo del nostro corpo con una confidenza sempre maggiore continuando a baciarci, e con perfetta calma, privai Benedetta del suo vestito, lasciandolo ricadere sul pavimento. In intimo era più stupenda di quanto avessi mai immaginato.
Lei abbassò per un momento lo sguardo e io le accarezzai le braccia.
«Guardami», le dissi.

Lei obbedì, quindi prese coraggio e, di fronte al mio sorriso, mi privò della camicia. Il suo tocco delicato bruciava sulla mia pelle. Curiosa, emozionata, felice e... innamorata.
Tutte queste sensazioni si celavano in quel tocco, in quel timido e ardente abbraccio da cui non avrei mai voluto staccarmi.
La condussi sul letto e ci lasciammo avvolgere da una passione mascherata di tenerezza. Percorsi con studiata lentezza le gentili curve del suo seno, la linea dei fianchi; saggiai la morbidezza delle sue gambe, che stringevo e accarezzavo con meraviglia. E quando anch'io fui del tutto alla mercé di Benedetta, che con grazia mi privò dei pantaloni come del resto, attesi un po' – più di un po' – per lasciarmi andare a quella fusione che bramavo da settimane. «Perdonami per prima», soffiai ancora, mentre le lasciavo casti baci sul seno e intorno alle labbra. Benedetta sospirò e gemette nel contempo, stentava a tenere gli occhi aperti e continuava ad accarezzarmi sulla schiena come se non credesse a quel momento. In realtà, quel contatto non sembrava reale nemmeno a me. Forse perché mi sembrava tutto perfetto. Benedetta riaprì gli occhi, di nuovo fissi sul mio corpo nudo. Percorse gentilmente il profilo del mio torso con le dita, e un altro brivido mi corse lungo la schiena.

«So di non essere esattamente il principe azzurro che forse ti aspettavi da bambina», mormorai, poco prima di abbandonarmi alla passione. «Però...» lasciai cadere la frase nel vuoto.

«Io non credo al principe azzurro», mi disse. «E non ci ho mai creduto, nemmeno da bambina. Io credo solo nella forza dei sentimenti», spiegò, convinta. La sua voce tremava leggermente, e tutta quell'emozione si scaricò su di me.
I nostri corpi si toccarono di nuovo e ci sfuggì un lamento. Dopo averla baciata con dolcezza, lei mi prese il viso tra le mani e sussurrò: «Malcom, per me è... sì, insomma, io non ho mai...»

«Lo so. E ne sono davvero onorato», le risposi, il cuore che martellava nel petto, il corpo in tensione.

Benedetta sorrise e tornò su di me. E io su di lei. Finalmente uniti nel corpo, come nell'anima, presi a spingermi con estrema lentezza contro di lei, una cascata di baci e gemiti soffocati a contornare il tutto. Mi sentii in paradiso e, senza neanche accorgermene, accelerai progressivamente il ritmo. Tutto, intorno a me, riprese di vita e di colore. Tutto sembrava magia.
I miei pensieri più cupi si tramutarono in gemme preziose, l'angoscia e la tristezza in quel profondo sentimento che tutti si ostinano a chiamare Amore.

Sì, Amore. Quello che ti forma è ti trasforma. Quello che ti eleva e che, alle volte, uccide come fortifica. Poteva forse esistere un'emozione più potente di quella? Sicuramente no.
Sorrisi, felice, tra gemiti sempre più forti e sospiri profondi.

In quell'istante, lo capii chiaramente.

In quel momento come in altri, io e Benedetta eravamo la personificazione dell'amore.

Eravamo l'incastro perfetto.

   
 
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