Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: Eneri_Mess    25/10/2022    4 recensioni
Otto anni non sono una vita. Anche se il tempo separa le strade, non è detto che queste non si incrocino di nuovo. Quando però la persona che hai lasciato indietro non è più la stessa, i sensi di colpa sono l’unica radice reale a cui aggrapparsi.
----
«Perché sei tornato?»
Fissò quel ritaglio di realtà, come la fotografia di un ricordo sovrapposta a quello che sarebbe dovuto essere un tetto vuoto. Non lo era. Kacchan era seduto lì, con l’aria di qualcuno in attesa da un tempo indecifrabile, spoglio di emozioni se non di uno sguardo che aveva già deciso come la storia sarebbe andata avanti.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'In the middle of our life'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 6




 

I've got thick skin and an elastic heart
But your blade it might be too sharp
I'm like a rubber band until you pull too hard
I may snap and I move fast
But you won't see me fall apart
'Cause I've got an elastic heart

[Elastic Heart - Sia]






 

«Come sei diventato capo di questo posto?»

«Buongiorno anche a te, Kacchan…»

Deku era seduto sul pavimento del tetto, le gambe piegate e la testa appoggiata sulle ginocchia. Era impossibile non sentire arrivare Bakugou, come era allucinante aspettarsi delle buone maniere. Alzò appena la testa, lanciandogli un’occhiata che bastò a farlo pentire del proprio patto. 

Stessa ora, stesso tetto.

Con le ore - se di ore si poteva parlare - di sonno che aveva, era tanto se Izuku era riuscito a trascinarsi fin lassù. 

Non c’era modo di fare altrimenti. Avrebbe scommesso qualsiasi cosa che, se non si fosse presentato, Katsuki avrebbe ricominciato a fare il diavolo a quattro per Wasuno. Finché rimanevano sui tetti, e lui manteneva quel che aveva promesso, la gente del quartiere avrebbe avuto intatta la quiete quotidiana; poi, durante la giornata, lui avrebbe potuto lavorare senza l’Hero tra i piedi. Era un piccolo prezzo da pagare. 

Solo tre giorni… 

«Ohi. Cos’è quell’aspetto di merda?» 

Deku respirò alla massima capacità del proprio torace, raddrizzando la schiena. 

«Me lo hai già fatto notare ieri» si lasciò sfuggire dopo aver buttato fuori l’aria. Squadrò finalmente l’ex amico, assottigliando lo sguardo. 

Dire che fosse in forma era un eufemismo. Izuku aveva abbastanza insonnia da fare concorrenza a un adolescente parassita della notte, mentre Katsuki dava l’impressione di aver riposato bene e tanto. 

Deku inclinò la testa, senza smettere di fissarlo. Una curiosità infingarda gli pungolò il fondo della gola, ma la lasciò morire lì. Meno si interessava, meno i fantasmi del passato avrebbero preso vigore. 

«Quindi, riguardo la tua prima domanda… sicuro o vuoi ritrattare?»

«Rispondi e non ci girare intorno.» 

Forse avrei dovuto prenderla quell’aspirina prima di uscire… 

Izuku si issò in piedi, sentendo i muscoli tirare. Avrebbe dovuto andarci piano quel giorno col saltare e correre, anche se non dubitava che Kacchan lo avrebbe acchiappato al volo, al primo piede in fallo, deformazione professionale o meno. 

Si massaggiò una spalla, a disagio con i propri pensieri. Non sapeva cosa sarebbe stato peggio, se cadere nel vuoto e sfracellarsi sull’asfalto o farsi afferrare dall’Hero. 

«Dopo il funerale della mamma sono andato a stare da alcuni parenti» iniziò, mentre stirava le braccia per un po’ di stretching. Un modo come un altro per tenersi occupato e sopportare meglio quello scivolo nei ricordi.

Li aveva rivissuti nella sua mente così tante volte che ormai sembravano appartenere a qualcun altro. Finché non si soffermava sulle emozioni, ma si limitava alla semplice realtà dei fatti, sarebbe stato come parlare di un violento, quanto inevitabile terremoto. Qualcosa che faceva tremare la memoria, ma non più le ossa, l’animo, il cuore. 

Era passato

«Non li conoscevo molto, erano dei suoi cugini alla lontana, ma i parenti più prossimi che avevo. In fondo, eravamo sempre stati solo io e la mamma. Tutt’ora non ho idea di dove sia mio padre.» 

Sciolse un po’ il collo, chiudendo gli occhi e lasciando che quei ricordi rotolassero dentro di lui come biglie. Scelse accuratamente di togliere dal mucchio quelli dove si trovava Kacchan. Solo un’ora e poi li avrebbe fatti ricadere tutti nel buio, dov’era il loro posto.

«Dicevo. Andai a stare da questi parenti. Ci misero una settimana a ricordarsi il mio nome» sorrise, come se fosse stata una battuta buffa, ma a Bakugou non sfuggì la freddezza con cui il suo sguardo restò impenetrabile. «Avevano - hanno? - due figli, ma non abbiamo mai stretto alcun legame. Non ero molto… in vena? Come dire, non fu un gran periodo per i miei rapporti sociali.»

E tu te ne eri appena andato per l’ultima volta. 

«Onestamente, non ricordo moltissimo di quei mesi. Finii il liceo perché i professori e il preside furono comprensivi» si strinse nelle spalle e riprese gli allungamenti, per poi rialzare gli occhi su Bakugou, Lo osservò in cerca di qualche reazione, ma gli restituì soltanto un’attenzione fin troppo inflessibile. «Faresti bene a fare un po’ di stretching anche tu, magari eviti di essere rigido come ieri.»

«Non dirmi cosa fare» gli ricordò caustico. «Va avanti.»

Deku insistette nel fissarlo, infischiandosene del broncio infantile in cui strinse le labbra e corrugò la fronte. Ma di nuovo, qualsiasi intenzione di ribattere morì sul nascere. 

Non dare adito a implicazioni non necessarie. 

«Impiegai l’estate a studiare come un matto per passare il test di ingresso di una qualsiasi facoltà. Non lo volevo, ma la mamma qualche volta mi parlava dell’università e del vedermi laureato… Penso fosse il suo modo di darmi una prospettiva diverso rispetto… al resto.»

Al mio stupido sogno

Quando si accorse della propria nota sospesa e di come il viso della madre fosse sfuggito alle sue restrizioni, galleggiandogli in mente, prese un respiro profondo, dedicandosi a stirare le dita delle mani. 

«Alla fine fu solo una faticaccia per-»

«Deku. Taglia corto.»

Izuku lo fissò, questa volta corrugando la fronte e perdendo qualsiasi parvenza di cordialità. 

«Se vuoi sentire la storia, è questa.»

Bakugou gli si avvicinò. Di istinto, Deku avrebbe voluto ritrarsi, avere quel margine che gli garantisse una fuga rapida ed evitare di essere intossicato dalla presenza opprimente di Kacchan. Si controllò e restò fermo dov’era, alzando il mento. 

«Me l’hai chiesta tu.»

«Queste cose le so da me. Quindi taglia e va avanti

Le dita di Izuku si strinsero a pugno, per poi sciogliersi di colpo, tremanti. Niente emozioni, si ripeté. 

«Ti sei premurato di fare ricerche su di me?» 

Un guizzo all’angolo dell’occhio gli diede ragione. Mascherare il ruggito di rabbia che avvertì nascergli dalle viscere gli costò tutto l’aplomb imparato nel tempo. 

«Cinque anni di silenzio… anzi, anche tutti e otto, direi…» 

Izuku inchiodò lo sguardo di Katsuki con il proprio. Controllati. Controllati. Controllati. 

«Otto anni di silenzio e in poco più di dieci giorni pensi di poter ribaltare le cose successe? Di sapere cos’è successo?»

Si odiò per aver lasciato spillare il proprio risentimento. Lo caricò della più fredda e impenetrabile indifferenza. Fece quel passo indietro, ma non col desiderio di scappare. Ci tenne a rimarcare la distanza, il pozzo, il precipizio su cui Bakugou si trovava. Non c’era alcun ponte che avrebbe potuto usare per attraversarlo. 

Sull’altra sponda, però, Katsuki non sembrò né impressionato né preoccupato. Continuò a tenere lo sguardo su di lui, come se gli fosse bastato quello per mantenere la posizione. Non era importante che fosse di vantaggio o meno. Era questione di esserci. La sua figura non irradiava altro. 

Ora sono qui, parve dire. 

Deku avrebbe voluto così tanto cedere a quel sentimento più scuro e denso della pece e sputarglielo addosso. 

«Sentiamo, da dove vuoi che racconti la mia storia?» 

«Un tuo ex compagno di università ha spiattellato che spacciavi. Parti da lì. Perché?»

Le spalle di Izuku si tesero, ma di nuovo, dopo un lungo respiro, senza interrompere il contatto visivo, si quietò. 

«Guadagnetela la risposta.»

Scattò.

Quando Deku saltò dal cornicione, focalizzando il punto di arrivo, non c’era più nulla. 

La sua mente si svuotò. Il suo corpo fece altrettanto. Stanchezza, pesantezza, torpore, sofferenza. Nel profondo, intorno a lui, esisteva soltanto un confine fisico, come una linea complessa e chiusa, che evitava di far coincidere il mondo esterno con quello che aveva dentro. 

Niente ebbe più consistenza. Paura, brivido, rabbia, nostalgia, preoccupazioni. In quell’attimo che coincise per caso con un battito di cuore o uno sbattere di ciglia, Izuku cessò di esistere. E per la sua mente stanca, troppo stanca, fu una panacea inestimabile. 

La gravità fu la prima nemica, ma era un’avversaria con cui aveva imparato a giocare. L’impatto col cemento del tetto sottostante fu la schicchera che riavviò il suo cervello. 

Veloce. Veloce. Veloce. 

Non si guardò indietro per sapere che Bakugou stava incombendo su di lui. Se le sue dita lo sfiorarono, non se ne accorse. Era già al bordo successivo, pronto a ripetere il volo, quando l’istinto abbracciò un’idea diversa. 

Smorzò di colpo lo slancio, roteò su se stesso - così rapido che il viso dell’eroe non fu che un’immagine residua e distorta - e compì un salvo diverso, parallelo al palazzo, in caduta. La memoria fu essenziale e guidò quella manovra eversiva, facendolo aggrappare alla grondaia la frazione di secondo che servì a direzionare le gambe e il corpo per infilarsi nel ballatoio dell’ultimo piano dello stabile. 

Non si fermò, ma la sua mente tornò ulteriormente presente quando sentì Bakugou imprecare, ancora sul tetto. Deku corse lungo tutto il corridoio di porte di ingresso fino all’angolo e saltò sul parapetto, occhieggiando quello del palazzo vicino. Strinse i denti, avvertendo la morsa ai polpacci, ma saltò. 

La luce del sole, già tenue di suo, fu schermata da un’ombra. Izuku si accorse di Katsuki sopra di sé, intento anche lui in uno slancio in caduta nella stessa direzione. 

Il concetto di morte era un argomento che Deku aveva assaporato e vagliato, mentalmente e fisicamente, più di una volta. Lo spaventava. Gli dava quella pelle d’oca, quel martellante Non ancora che, in un modo o nell’altro, lo tirava fuori dalle situazioni. 

In quel frangente, il sussurro della fine suggerì che lui e Bakugou si sarebbero urtarti malissimo poco prima dell’approdo. Se il cozzare avesse fatto mancare loro il bordo di quel secondo ballatoio, avrebbero compiuto una caduta di dodici piani. 

Eppure, Deku strinse i denti, corroborato da un senso di sfida che gli si riversò nelle vene come doping. 

Lo schianto tra corpi, e subito dopo con la ringhiera, fu doloroso e confuso. Lasciando le redini all’intuito e all’abitudine, Izuku attutì come riuscì l’impatto e lo scontro con Katsuki. Rotolarono sul pavimento del pianerottolo in una massa incasinata, ma Deku tenne presente ogni parte di sé, lì dove si trovò a colpire quella fortezza di muscoli nervosi che era l’eroe.

In piedi. In piedi. In piedi

Registrando dolori sparsi, futuri lividi, ma non così gravi, Izuku si svincolò da quel corpo che avrebbe ustionato le sue difese se avesse esitato. C’erano ombre di memorie obliate che ricordavano ancora cosa significasse avercelo vicino. 

Neanche la vide la balaustra che separava il ballatoio dallo strapiombo sulla strada. Ci saltò sopra, soltanto vagamente conscio che non fosse la migliore delle basi, ma si lanciò comunque, visualizzando prima nella mente, e poi con gli occhi, il basso tetto limitrofo. Avrebbe potuto percorrere Wasuno bendato. Non era quello il problema. 

Il problema fu continuare a sminuire la stanchezza e chiedere al proprio fisico di più.

Strinse i denti. 

Atterrò. 

Rotolò e- 

«Preso.» 

Deku si ritrovò a sbattere sul piastrellato. Le ossa delle braccia vibrarono dolorosamente per aver attutito all’ultimo la caduta. Bakugou gli era sopra, ansante e vittorioso. O così lo immaginò. Quando Izuku voltò la testa per fissarlo, non vide alcun trionfo nel suo sguardo. 

«Allora…» Katsuki si mosse, sedendosi senza riguardi sulla sua schiena e provocandogli un gemito involontario. «Dove diavolo eravamo rimasti?»

Deku ingoiò. Cos’era cambiato?

Nulla. Bakugou era ancora un ammasso di arroganza, capace di spadroneggiare in ogni situazione. Era ancora quel ragazzino straordinario e cattivo. 

Lui, al contrario, continuava a finire nella polvere. 

«La prima volta che ho provato della droga non è stata una mia scelta, però si è rivelata piacevole.»

Riprese col proprio copione, monocorde, anche se azzerare la frustrazione non si rivelò facile. Non vide la reazione di Bakugou, ma ne percepì la rigidezza e il respiro attraverso i denti serrati. 

«Spiegati.»

«Ero a una festa dell’università. Forse qualcuno mi ha visto poco a mio agio e ha pensato di farmi un favore infilandomi qualcosa nel bicchiere, tutto qui. Non ho ricordi lucidi, anzi, non ho proprio ricordi, qualche frammento e poi il risveglio.»

«Quale merda dovrebbe essere la parte piacevole, Deku!?»

«Quella dove il mio cervello si è spento e tutto ha perso di peso.»

La morte della mamma… I miei fallimenti… I miei sogni…

Tu, Kacchan. 

Tu. 

Katsuki non replicò e Izuku non perse tempo a voltarsi. Non gli interessava leggere il giudizio nei suoi occhi. 

«Vuoi il resto della storia o ti basta questo?» chiese quando quel silenzio si fece troppo lungo. 

«Va avanti.» 

«Allora alzati. Mi stai facendo male.»

Non ci sperò davvero, non con ancora le scene chiare di quando erano bambini e Bakugou non aveva mai dato retta a nessuna delle sue richieste. Eppure, gli si tolse di dosso davvero, superandolo di qualche passo e obbligando Deku a rialzarsi osservandogli la schiena. Un tempo una vista fin troppo famigliare. 

L’Hero aveva la testa voltata di profilo, ma non lo stava guardando, se non con la coda dell’occhio. Quel tanto che gli fosse utile ad accorgersi dei suoi movimenti repentini. 

Izuku avrebbe davvero voluto buttarsi in un altro scatto di pura adrenalina, ma la fatica e la tensione nel suo corpo avevano superato la soglia di attenzione. 

«Per farla breve» riprese, optando per chiudere quel teatrino il prima possibile, e nel mentre cercare di sciogliere i muscoli con qualche lento movimento. «Sono risalito a chi stava dietro al giro delle feste dell’università e sono diventato un cliente diretto. All’inizio consumavo e basta, cercavo di limitarmi e tenere quelle caramelle per i momenti davvero no.» 

Sul suo viso si aprì qualcosa che nelle intenzioni sarebbe dovuto essere un sorriso, ma la piega non rifletté nulla che non sembrasse uscito da uno schianto diretto con una verità crudele. 

«Però mentirei se dicessi che sentivo ancora qualcosa per cui valesse la pena provarci. Non avevo nulla da perdere.» 

La quiete di Wasuno assorbì le sue parole quanto fecero le spalle rigide di Bakugou. L’Hero si voltò a guardarlo in faccia e c’era una durezza a margine dei suoi occhi che Izuku riuscì a trovare tediosa, quasi fastidiosa. Il resto di lui non sembrò discostarsi dal suo costante e impenetrabile stato di malumore rabbioso.  

«Per un po’ sono entrato nel giro come corriere» riprese, guardando altrove e contando quante biglie di ricordi ancora mancassero da snocciolare. «Dovevo solo portare la roba, piccole quantità, nulla di che. Avere dei soldi mi evitava le lamentele dei parenti sul mio mantenimento e non si sono mai interessati della fonte. In più, sembrava che la mia faccia anonima e cordiale piacesse. Deku poi è stato un soprannome facile da usare. Anche se non è durata molto.»

Izuku si mosse, avvicinandosi al bordo del tetto. Iniziò a valutare dove saltare, mentre osservava pezzi della propria memoria, decidendo la narrazione, estirpando ancora una volta qualsiasi sentimentalismo inutile. 

«Poi, un giorno qualsiasi, uno dei miei senpai si mise nei guai» continuò, individuando dove scendere. Si arrampicò sul cornicione e iniziò a stimare il salto. L’aria era tiepida, indice del caldo che stava aumentando lentamente, ma Izuku non registrò nulla. Era così stanco. Sfibrato. 

Vide Bakugou salire nello spazio di fianco a lui e rimasero così, fermi, fianco a fianco, ma con quella voragine a separarli. 

Per un attimo, Izuku si dimenticò di cosa stessero parlando. Lasciò che un sospiro del vento gli accarezzasse la faccia. 

«Sai…» si umettò le labbra secche, perso a fissare il cielo sempre uguale. «Dopotutto, Wasuno è solo il lato sbagliato del paradiso.» 

Avvertì gli occhi di Katsuki su di sé e fu come un’onda calda. Gli fece pensare per un attimo a quanto volesse soltanto sgusciare a letto e abbandonarsi all’oblio. Ma la giornata era appena iniziata. 

«Il resto della città…» ricominciò, con un gesto vago che incluse tutto. «Il fermento che la anima, i cuori pulsanti che la vivono, le menti che la colorano ogni giorno… qui non arrivano. Qui c’è quella pace che troveresti in una casa lasciata vuota. E va bene così.»

Sorrise, di nuovo, e fu pieno di niente, come le macerie che da anni aveva dentro. 

«Forse, se fossi nei tuoi panni… questo sarebbe da definire il lato giusto dell’inferno, vero? Punti di vista, immagino…»

Fletté le gambe e saltò.

Non fu nulla di particolare, ma la vibrazione che attraversò ogni sua cellula quando atterrò gli restituì la chiave della realtà e del suo posto nel mondo. 

«Deku-» 

«Ero arrivato al punto in cui uno dei miei senpai si è trovato nei guai» lo anticipò Izuku, camminando per non stare fermo e non lasciare scoperti punti fragili. Si concentrò per trovare dove saltare, costringendo l’eroe a seguirlo per ascoltarlo.

«Mise il piede in due scarpe con i suoi fornitori e se la vide brutta. Non era un mio amico, non penso che lo sia qualcuno che ti ficca nei guai… ma io finii coinvolto in quella diatriba e forse avrei proprio avuto bisogno di un eroe» ironizzò con un sorrisetto cattivo, per poi scegliere il nuovo punto di slancio che lo avrebbe portato su una scaletta antincendio. 

«Ne uscii con diversi lividi, molti piunti, piccole ustioni, un braccio rotto… e una casa nuova.» 

Saltò prima di sentire cosa Bakugou avesse da dire. 

L’atterraggio fu molto più rumoroso dei precedenti e l’intera struttura in metallo tremò. Deku si mosse per svicolare nell’ennesimo ballatoio, percorrerlo, trovare l’appiglio giusto e risalire sul tetto. Tutto con l’Hero a seguirlo a breve distanza. Il sole era sempre più bruciante e il sudore iniziò a rendergli le mani scivolose. 

«Per farla breve, l’organizzazione di cui faceva parte il mio senpai venne a riprenderselo. Non si aspettavano di trovare me insieme a una mezza dozzina di tirapiedi dell’altra banda a terra. Non che io fossi molto in piedi, ma ero rimasto l’unico cosciente.»

«Li hai stesi tu?» 

Deku scelse di prendere quella lieve inflessione sorpresa di Bakugou con orgoglio. Si strinse nelle spalle. 

«Non avevo fatto altro che quello che facevo di solito: sopravvivere. Sono cresciuto con te che mi picchiavi, qualcosa mi hai insegnato.»

Smettila con le frecciatine, si disse. Per quanto dal sapore piacevole in bocca, rischiavano di essere una lama a doppio taglio. 

«In definitiva, per rispondere alla tua domanda, sono diventato il capo di Wasuno perché ho fatto una buona impressione. Anche se capo non è il termine giusto. È stato un colloquio fuori programma, ma è andato bene. Buona parte dei miei problemi si sono risolti così.»

L’altra metà l’avevo seppellita e lì tornerà a stare presto. 

«A chi hai fatto una buona impressione?» ringhiò Bakugou e si piazzò di nuovo di fronte a lui, sbarrandogli la strada. 

«Un uomo. Alto circa così, capelli scuri, corporatura nella media di chi si allena e-»

«Non prendermi per il culo!»

«Te l’ho detto che sarei stato onesto, ma per una domanda al giorno, che implica un argomento al giorno. Fammela domani questa, se ci tieni.»

La mano di Bakugou scattò per afferrarlo, ma Deku reagì nello stesso momento. Sembrò quasi una dimostrazione di arti marziali di fronte a una platea. Furono coordinati, precisi, soprattutto reattivi. Katsuki non si fece sorprendere e cambiò presa, ma lo stesso fece Izuku, riuscendo a svicolare. Si misero entrambi in posizione, distanti due passi, pronti, le dita nervose nel caso dello scatto di uno o dell’altro. 

E in silenzio. Che fu più logorante dell’attesa. 

«Io non ti ho insegnato proprio niente» sibilò l’eroe, caustico. 

Izuku sbatté le palpebre, confuso, ricollegando con un secondo di ritardo la frase alla propria battuta. 

«Essere tuo amico implicava temerti. Pensi che i nostri compagni delle medie ti seguissero perché ti ammiravano? Eri quello prepotente, Kacchan. Gli altri avevano capito che il servilismo era la carta migliore da giocare con te.» 

Deku ignorò il petto che gli si stava chiudendo in una morsa, nell’ultimo tentativo di arginare lo straripare di emozioni che sarebbero dovute marcire sul fondo. 

«Come io ero un perdente e nessuno aveva voglia di starmi intorno, così quelli che ti si avvicinavano ammiravano la tua aura e volevano stare nella scia del vincente.»

«Allora perché tu continuavi a seguirmi!?»

I palmi di Bakugou brillarono e Deku spostò il peso, preparandosi all’impatto. Cambiò idea all’ultimo, perché non sarebbe finita come ogni volta che Kacchan lo aveva aggredito

Si voltò. Sentì appena il calore raggiungergli la nuca, ma la forza con cui caricò lo scatto lo allontanò in tempo. 

Non si guardò indietro, solo avanti, raggiungendo il bordo del palazzo per l'ennesima volta. 

«Deku!» 

È troppo tardi

E fu troppo tardi per ascoltare anche i limiti del suo fisico. 

Lo slancio risultò imperfetto, i polpacci contratti non lo aiutarono. La traiettoria sballò fin da subito e Izuku immaginò velocemente cosa lo potesse aspettare sotto, senza tuttavia osare occhieggiare giù. Se fosse stato fortunato, si sarebbe schiantato sul tettuccio di una macchina.  

Se, al contrario, fosse stato sfortunato, la mano della persona da cui stava cercando di tenere le distanze lo avrebbe afferrato. 

Il palmo di Bakugou era caldo di deflagrazione e gli si serrò sul polso. L’Hero stava compiendo una parabola per aria, ma corresse la traiettoria con una seconda esplosione, quando il peso di Izuku si unì al suo, spingendoli entrambi oltre il cornicione del tetto vicino. 

Per la terza volta, un sonoro e doloroso - quanto voluto - impatto tolse il fiato a Deku. Sbatté la schiena e una scarica gli attraversò i nervi, irrigidendolo per un istante, prima di lasciargli liberare un gemito. Quando tentò di muoversi, avvertì ancora la presa ferrea di Katsuki sul braccio. L’Hero era atterrato quasi avesse fatto solo un semplice balzo, accovacciandosi vicino per sovrastarlo di nuovo. 

«Riprendi fiato, merDeku. E poi rispondimi.» 

Izuku serrò la mascella, pervaso dalla propria impotenza. 

Non sei più così. Non sei più così. Non sei più così. 

Per quanto se lo gridasse, era come se tutta la propria frustrazione fosse confinata in una stanza con le pareti in vetro antirumore. Non riusciva a sentirla, ma la vedeva dibattersi. 

«Tu avevi molte cose che io non possedevo!» urlò Deku, abbandonando ogni freno, ogni esitazione. «Eri la persona più vicina che conoscevo al sogno che volevo realizzare!»

Volevi sentirti dire questo? Ti basta?

Vattene, Kacchan. Vattene. 

Cercò di svincolarsi, ma Bakugou serrò la presa. 

Deku aveva annaspato nei propri incubi per molto tempo. Alla fine, erano diventati parte di lui. Avevano preso forme familiari, per ricordargli anche da sveglio quanti uncini avesse il passato, ma insegnandoli anche a sopportare il dolore. Eppure, in quel momento, tutto ciò che riusciva a sentire era solo uno strappo. 

«Io ero inutile! Come mi hai sempre ripetuto! Ma è proprio perché sono così… inutile e senza quirk… che riuscivo a vedere sia il tuo lato più odioso che quello incredibile!»

Se dopo otto anni era giunto il momento di annegare nei fallimenti, Izuku lo fece vomitandoli fuori. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per tornare a respirare. Una volta che avesse messo in mano a Katsuki quella massa informe di risentimento, forse non l’avrebbe più sentita come un dolore pulsante tra petto e gola. 

Tuttavia, ancora una volta, la realtà non fu gentile. 

Nulla cambiò. 



 

Hello, hello
Anybody out there?
'Cause I don't hear a sound
Alone, alone
I don't really know where the world is
But I miss it now

[Echo - Jason Walker]

 


* * *



 

«Lo sai che se c’è qualche casino che ti da noia puoi lasciarlo gestire a me, vero?» sospirò l’uomo, trafficando col kit di primo soccorso. «Questa sera sei molto distratto.»

«Non preoccuparti. È colpa del caldo.» 

«Mpfh… non ti do torto. La gente diventa più molesta e irritante con queste temperature. Anche tu non scherzi. Ci hai rimediato un pugno in faccia… ma credo che l’altro ancora non ricordi il proprio nome. Sembravi un gatto messo all’angolo.»

La breve risata dell’uomo, liscia come seta, spezzò l’atmosfera. Izuku mise su un muso lungo, fissando il proprio interlocutore. 

«Questo ti darà fastidio.» 

«Non sono un bambino…»

Ma dirlo non servì ad arginare la smorfia nel sentire il disinfettante sul taglio al labbro. Durò solo un istante e poi fluì via con tutto il resto. Izuku si distrasse, fissando un punto senza significato dell’immenso locale.

La musica era assordante, ma lì dove si trovavano arrivava come un rumore di sottofondo, insieme alle grida degli avventori. 

«Ah, Gin, silenziosa e discreta come sempre. Grazie.»

Deku riportò la propria attenzione sull’uomo e quindi sulla donna appena arrivata con un involto in mano. Si scambiarono un brevissimo sguardo e si dissero più di quello che avrebbero potuto mettere a parole, ma lei non si trattenne. Con un cenno del capo si congedò, lasciandoli di nuovo soli. 

«Questo eviterà che ti si gonfi troppo.»

Izuku accettò il ghiaccio istantaneo avvolto in un tovagliolo di stoffa. Se lo premette sulla bocca e, dopo un brivido iniziale, si rilassò, lasciandosi andare contro la spalliera del divano.  

«Sei esausto. Riesci a dormire?»

Con le dita libere, Deku si sprimacciò gli occhi, prendendo un po’ di tempo. 

«Preferirei di più, ma l’estate non è la mia stagione.»

«Non la risposta che mi aspetterei da qualcuno nato nel cuore di questo periodo. Sei più tipo da mezze stagioni, eh? Peccato che non esistano più.»

Si scambiarono uno sguardo, prima di scoppiare a ridere, anche se Deku sentì la ferita tirare con fastidio. 

«Parlo proprio con un vecchio ormai, vero?»

«A me va bene così.» 

«Tu sei troppo buono, Deku.» 

Izuku non replicò. Di nuovo, restò a fissare qualcosa di indefinito, lasciando che il rumore riempisse la sua mente, con la speranza di mettere a tacere i sussurri che, come spifferi, sfuggivano al suo controllo. 

«Daisuke… ti ricordi quando mi hai trovato?»

L’uomo abbassò il drink che stava sorseggiando per osservarlo stupito. 

«Certo. Macchiasti il mio completo migliore.»

Entrambi risero. 

«Perché mi hai portato qui? Perché… mi hai dato questa possibilità?»

«È un giro contorto per chiedermi cosa ho visto in te?»

Izuku abbassò lo sguardo, scostando l’involto freddo dal labbro per osservare il sangue che aveva sporcato la stoffa. Non confermò, né ritrattò la domanda. Daisuke si mise più comodo con un sorrisetto che dava l’idea di essere stato scolpito molto tempo prima. 

«La prima cosa che ho pensato è stata, se ricordo, Questo ragazzino deve avere un quirk niente male per averli stesi tutti così. Ma mi bastò una seconda occhiata per capire la situazione.» 

Mandò giù un ultimo sorso, abbandonando poi il bicchiere sul tavolino. Si prese un momento per riflettere, ma dalla sua espressione, se uno fosse stato attento, si sarebbe capito che sapeva già cosa dire. 

«Durante il nostro primo colloquio mi hai lasciato con un pensiero martellante. Non comprendevo perché avessi lottato così strenuamente per restare vivo e per aiutare l’idiota che ti aveva messo nei guai. E a guardare com’eri ridotto, contusioni a parte, sembravi qualcuno a cui non importava di respirare ancora. Chiunque altro, alla prima occasione, sarebbe scappato o si sarebbe arreso. Tu no.» 

La pausa fu appoggiata per dare tempo alle parole di scendere a fondo. 

«Hai capito cosa ho trovato in te quella notte, Deku?» Assottigliò lo sguardo. «Del potenziale.»

Daisuke accavallò le gambe, corrugando la fronte nell’inseguire un pensiero. 

«Anzi, permetti la correzione: ho visto la forza di restare in piedi nonostante tutto.»

Izuku non replicò. Si sforzò di mantenersi calmo, di mettere a tacere il nervosismo che gli si stava arrampicando dentro. Lottò con se stesso, si passò la mano tra i capelli umidi di sudore, per poi prendersi il braccio all’altezza del polso. 

Lì dove Bakugou lo aveva stretto per salvarlo

Era un pessimo uso di parole, considerando quanto la presenza dell’ex amico lo stesse spingendo in un metaforico mare aperto, lontano dalla riva che si era conquistato a fatica. 

«Hai dei ripensamenti, Deku?» 

«… no» fu troppo blando per suonare convincente, così si ripremette il tovagliolo freddo contro il labbro, in cerca di qualcosa che lo smuovesse. «Sono solo stanco. È un periodo intenso.» 

«È normale. Questo posto ha iniziato a ingranare davvero solo negli ultimi mesi e, a proposito di questo, vorrei discutere con te l’ampliamento del personale. Ho qualche persona fidata che potrebbe aiutarti e levarti le beghe noiose dalla lista delle cose da fare.» 

Izuku abbozzò un sorriso. 

«Sarebbe fantastico. Gin non batte ciglio, ma so che è stanca anche lei nello stare dietro a tutto.»

Daisuke annuì, i suoi occhi chiari si ammorbidirono. 

«State facendo un gran lavoro, entrambi. Il vostro impegno non passerà inosservato. Perfino Akane dovrà tapparsi la bocca.» 

Le spalle di Deku si irrigidirono, ma minimizzò nell’allungarsi a recuperare il proprio drink abbandonato sul tavolino. L’alcool bruciò i margini della ferita; tuttavia ogni stimolo, per quanto sofferente, era meglio dell’ascoltare gli echi tra le rovine dove i ricordi di Katsuki si muovevano.  

«Deku.»

Izuku alzò l’attenzione sull’uomo, che si curvò verso di lui. Era serio nello sguardo, ma non gli negò una nota più mite, con una punta di qualcosa che il più giovane faticò davvero a riconoscere. 

«Non so cosa ti stia tormentando, ma se per rassicurarti dovrò ripeterti quanta strada tu abbia fatto e quanti sono i traguardi che hai raggiunto, lo farò.» 

Deku tentò di non arrossire come un quindicenne, ma avvertì lo stesso le orecchie e il collo scaldarsi. 

«D-Davvero, non è necessario…»

«Continui a migliorare negli affari e le tue idee sono sempre molto apprezzate. Hai domato Wasuno e l’hai reso un quartiere così tranquillo che neanche gli eroi ci mettono più piede. Questo Ren lo tiene da conto.»

Izuku ingoiò un groppo amaro. 

Diglielo.

Digli di Kacchan

Le parole si rifiutarono di risalire dal fondo della gola. 

«Quel giorno che ti trovai, ti feci una singola proposta. Di seguirmi.» 

Daisuke allargò le braccia e i suoi palmi indicarono metaforicamente quello che li circondava. 

«Darti un posto in cui stare e la sicurezza di non dover dipendere da chi ti riteneva un peso erano soltanto la base da cui ricominciare. Il minimo. La scommessa è stata farti conferire il titolo di Comandante. E tu, Deku, hai preso tutto quello che ti ho dato e lo hai trasformato ulteriormente in altre possibilità. Sei andato oltre ogni mia aspettativa. Ma non ho mai avuto dubbi che tu potessi farcela.»

«… grazie.»

«Di cosa, Deku?» 

Digli di Kacchan.

Digli di Kacchan.

Digli di Kacchan.

«Faccio chiamare Gin, è meglio se per stasera vai a riposare. La prossima settimana vediamo di ritagliarci un po’ di tempo per parlare e staccare.»  

Izuku si morse l’interno della guancia, ma assentì, restando a capo chino per non guardarlo. Immobile così, si accorse della mano di Daisuke che si allungò ad appoggiare qualcosa sul tavolino. Una bustina con tre piccole pasticche di un verde tenue, pastello. 

«Spero che il colore ti piaccia. Saranno meglio di un antidolorifico. Farai dei sogni grandiosi.» 

Deku accettò senza dire una parola e se le mise in tasca. 



 

I'm out on the edge
and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes
I pretend I'm alright
But it's never enough

'Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
Shadow, shadow
Is the only friend that I have

[Echo - Jason Walker]




 

To be continued.



 

Grazie per aver letto! Questo capitolo mi ha fatto pensare abbastanza in fase di correzione… e non escludo che in futuro lo rivedrò ancora, in vista di impaginare il tutto e rilegare la fanfic (queste mie manie inutili). 

Anche qui tornano pezzetti del manga qui e lì, rivisitati in un’altra chiave. Oltre alla spiegazione del titolo! Immagino quella scena a colori, a saper disegnare…! 

Torna in scena anche Daisuke. Non lo dice, ma ha circa 37 anni e non ho ancora deciso il suo segno zodiacale, ma penso che potrebbe essere di questo periodo qui. 

Qui trovate la playlist aggiornata a oggi!  

Alla prossima!

Nene

 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Eneri_Mess