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Autore: Darty    01/11/2022    14 recensioni
“Tutti gli amori felici si somigliano; ogni amore infelice è invece difficile a modo suo. In casa De Jarjayes tutto era sottosopra” (e spero che L.S. non se ne abbia a male)
Oscar ed Andrè e la loro “storia terrena” appartengono a Riyoko Ikeda ed un po’ anche a Tadao Nagahama e Osamu Dezaki. Questa fanfiction non ha scopo di lucro, ma terapeutico sì...
I versi di David Bowie sono solo suoi: dell’immortale Duca Bianco.
Si incomincia con il Cavaliere Nero. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fluff, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Since I started to feel
If there’s nothing to hide me
Then you’ve never seen me hanging naked and wired
Somebody lied, I say it’s hip
To be alive


Now your smile is spreading thin
Seems you’re trying not to lose
Since I’m not supposed to grin
All you’ve got to do is win


(David Bowie, Win)
 
https://www.youtube.com/watch?v=3_GvJoEI93I
 
 
 
“…amare significa  soffrire, che l'unico modo per non soffrire è non amare, che nei casi in cui non  puoi fare a meno di amare sei destinato a soccombere.” Oriana Fallaci, Un Uomo.
 
***
Volete dunque partire, Leopoldo?”
 
“Nulla mi trattiene qui, a parte la vostra generosa amicizia, da cui chiedo umilmente congedo”, rispose il Conte Leopoldo Giorgio Rákóczi, la bella voce baritonale ridotta suo malgrado ad un sussurro.
 
L’abito di seta pesante, nera e cangiante, esaltava il pallore dell’ospite.
 
E lei, Conte?”
 
Lei non c’è più” rispose in un soffio Leopoldo. Le iridi color acqua marina perse nel nero delle pupille che pian piano le avevano ingoiate.
 
Solo questo avete da dirmi? Lei non c’è più?”
 
Piegò le dita, lunghe e agili da violinista, tirando il merletto bianco dei polsini.
 
La Valide Sultana conosceva il significato celato di quel gesto inconsapevole: vergogna, rimorso. Decise di insistere.
 
Mio figlio ha tredici consorti. Ne ha già sepolta una. Oltre a qualche favorita ed innumerevoli concubine”. Si fermò ansante, il petto scosso da un attacco di tosse secca.
 
Il Conte allungò una mano, per darle conforto. Un gesto contrario al protocollo, ma erano soli.
 
Ciò nonostante, ne ha amato, e sempre amerà, una sola. Per lei e per la figlia che portava in grembo ha rischiato la sua vita”, proseguì la Sultana, il sospiro affannoso.
 
Il Conte conosceva la storia. La seconda consorte del Sultano era stata la sua concubina quando ancora viveva confinato nella gabbia durata, sotto il regno del fratellastro Mustafà. Una grave violazione delle regole dell’Harem, per il quale poteva essere giustiziato, assieme alla donna amata. Ma non aveva esitato ad organizzarne la fuga perché fosse condotta in salvo, quando lei era rimasta incinta e dopo la sua ascesa al trono l’aveva sposata ed aveva fatto in modo di adottare la sua stessa figlia, la più adorata fra le sue figlie. Ma tutto questo nulla aveva a che vedere con lui, si disse.
 
“Non comprendete? Ma capisco anche questo: ora io posso vedere le cose più chiaramente, come mai le ho viste prima, in piena luce, anche le più nascoste. E’ il dono che accompagna la consapevolezza di una morte incombente.”
 
Scrutò per un attimo il Conte, che sembrava perso in pensieri lontani. Era bello, nonostante l’incarnato pallido.
 
Ma quello si riscosse, all’udire la parola “morte”.
 
“Cosa dite, mia Sultana? Allah è giusto! Avete davanti a Voi una vita ancora lunga e prospera!”
 
“Non so cosa mi stupisca di più. Se la parola Allah pronunciata da un ateo, qual voi siete, o il vostro vaticinio sulla durata della mia vita”, rispose quasi divertita la vecchia Sultana, le labbra esangui piegate in un sorriso lieve, che ringiovaniva il volto, nonostante esaltasse le rughe sottili intorno alla bocca.
 
Intendo dire che mio figlio aveva un dovere, garantire una discendenza”, proseguì la Sultana, con il fiato corto, “rinvigorire il sangue, perpetuare la stirpe. Ha amato una sola donna, ma ha saputo mettere da parte i suoi sentimenti per la ragion di stato. Voi avete lo stesso dovere.”
 
Il Conte la fulminò con lo sguardo. Cosa credeva di sapere la Sultana? Poi pensò al suo respiro affannoso, cacciò indietro il suo disappunto e le rispose.
 
“Quale malanno vi affligge, Mia Signora?”
 
La vecchiaia”, mentì lei.
 
Leopoldo la guardò dubbioso, ma pensò che non fosse il caso di insistere, non ancora. Decise di essere sincero, almeno lui.
 
Sono trascorsi dieci anni”, continuò Leopoldo, chinando il capo, “Ma per me non è passato nemmeno un giorno.
 
Fuggire non è mai una soluzione, Conte. Credete di trovare un nuovo amore in lidi lontani? Di poterla dimenticare perché non scruterete lo stesso cielo nelle notti solitarie? Non ci riuscirete mai, non la dimenticherete mai, ma potreste amare un’altra donna, non allo stesso modo o con la stessa intensità … ma se questa donna vi amasse, potrebbe donarvi un figlio ed un poco di quiete. E per questo non è necessario fuggire.”
 
“Oh, io lo so che non la dimenticherò mai. Ma so anche che non potrò amare nessun’altra mai e che nessuna donna merita di essere condannata ad amarmi senza essere riamata, riamata almeno un poco …”.
 
Decise di cambiare strategia, la Sultana. “Voi non volete davvero partire. Il suo corpo non è stato mai ritrovato”. Insistette la Sultana, facendo leva su quel senso di impotente rimorso che, sapeva, tormentava il Conte. “Potrebbe essere viva, priva di memoria o prigioniera, e potreste ancora ritrovarla. Ma se partite, che ne sarà di lei?”
 
“Non c’è villaggio o eremo che non abbia visitato, tribù o gente che non abbia interrogato”, sospirò il Conte. “Non c’è dirupo che non abbia perlustrato o corso d’acqua che non abbia guadato, accontentandomi del sollievo per non averla trovata …
 
“Ma voi avete dei doveri Leopoldo!”, replicò la Sultana, trattenendo un colpo di tosse, cercando di far leva sulla vergogna e sull’orgoglio. “Dovete perpetrare la stirpe dei Saint Germain. Dovete essere degno di vostro padre!”.
 
Lo fissò assorta. Indugiò con lo sguardo su di lui, mentre attendeva una risposta: gli occhi, le sopracciglia, la fronte, nuovamente gli occhi. La linea perfetta del naso. Raramente aveva visto un uomo così bello. Anzi mai. Ne ammirò la bocca ed il pomo d’Adamo, mentre lui deglutiva, prima di riprendere a parlare.
 
“Degno di mio padre? Che per avere una discendenza disonorò una donna che non gli apparteneva?” chiosò il Conte, aggrottando la fronte. “La stirpe finisce con me, mia Signora”, mormorò alzando le spalle rassegnato.” Non avrei cuore di condannare quel figlio che comunque non avrò mai. I Massoni mi hanno trovato, vorranno vendicarsi.”
 
“Cosa state dicendo … cosa mi avete nascosto?” rispose la Sultana adirata, infrangendo l’incantesimo che l’aveva ammaliata.
 
Ed il Conte gli confidò gli avvenimenti degli ultimi giorni.
 
Terminato il racconto, lo sguardo della Sultana si illuminò. “Seguitemi!”, gli ordinò.
 
* * *
 
Il Kızlar Ağasi stava fissando Oscar, che a sua volta con lo sguardo lo sfidava, con la schiena ben protetta dal muro alle sue spalle. Il suo collo bianco e gli occhi blu si intonavano con il blu ed il bianco delle ceramiche di Kütahya che rivestivano la parete, la lama del coltello luccicava, mentre con entrambe le mani lo impugnava saldamente davanti a sé.
 
Il telo di lino che la copriva, malamente arrangiato con un nodo sul davanti, le avrebbe impedito i movimenti, Oscar ne era consapevole. Forse non avrebbe avuto scelta.
 
Con la coda dell’occhio intravide, con sollievo, che l’ancella che aveva colpito si era ripresa.
 
Tre eunuchi neri l’accerchiarono. Scartò il primo, che cercò di aggredirla da destra. Con un balzo lo evitò e con un fendente lo ferì alla spalla. Gli altri due si fecero più vicini. Oscar si abbassò di scatto sfuggendogli agilmente e rubò la sciabola al primo, che ancora riverso a terra si lamentava per il dolore. Il coltello, serrato fra i denti, le fece sanguinare le labbra.
 
Indietreggiò. Ora alle spalle aveva una fontana rotonda. Si era fatto silenzio nella sala delle concubine, che intimorite si stringevano fra loro nell’angolo più lontano.
 
Si percepivano solo il gorgóglio argentino dell’acqua ed il respiro ansante degli assalitori. Alzò lo sguardo in alto.
 
Brandiva la sciabola Oscar, ora puntando l’uno, ora l’altro. Mentre altri eunuchi stavano accorrendo trafelati.
 
Il Kızlar Ağasi li fermò con un cenno e quelli si arrestarono di scatto.
 
Oscar indietreggiò ancora, salendo sul bordo della fontana.
 
Il Kızlar Ağasi parlò.
 
Arrendetevi. Non avete scampo. Avete ferito uno dei miei uomini. Ma intercederò per voi perché non siate giustiziata.”
 
Oscar piegò appena il capo, fissando lo sguardo sui propri piedi scalzi e sulle gambe nude fino al ginocchio, mentre scuoteva la testa.
 
Mostrare appena una caviglia era un gesto molto audace a Versailles, rifletté. “Ti amo André”, mormorò, “con tutto il mio cuore”.
 
Gettò a terra la sciabola. Il fragore dell’acciaio sul marmo risuonò nella sala.
 
Il Kızlar Ağasi sorrise sadicamente soddisfatto.
 
Sciolse il nodo, Oscar.
 
Il Kizlar Agasì sgranò gli occhi.
 
Con uno slancio, Oscar balzò in alto, afferrando il cerchio del pesante lampadario che sovrastava la fontana e facendolo ondeggiare atterrò con forza su di lui, trascinandolo prono a terra, il coltello alla sua gola.
 
“Siete sicuro che sia io, a non avere scampo?”
 
Ma aveva osato troppo. Aveva sottovalutato qualcuno. L’ancella che aveva tramortito si era avvicinata di soppiatto alle sue spalle.
 
Fece appena in tempo a domandarsi perché percepiva così forte il profumo dell’incenso che quella la colpì violentemente alla testa, con un bruciatore d’argento.
 
Mentre perdeva i sensi, sentì la sua risata. Stridula.
 
Si rialzò rassettandosi le vesti, il Kizlar Agasì, furioso, gli occhi iniettati di sangue.
 
Indugiò sul corpo esanime, bianco ed indifeso di Oscar.
 
Si passò la lingua sulle labbra. Vide il sangue su quelle della prigioniera. Sentì i morsi della fame, dopotutto il muezzin aveva già invitato i fedeli alla preghiera del ṣalāt al-ẓuhr.
 
 “Legatela. Quando riprenderà i sensi, preparatela per stanotte.”
 
“La affido a te” comandò poi all’ancella, consegnandole un sacchetto di tela nera che aveva tratto da sotto le pieghe del suo mantello. “Quando si sveglierà, costringila a bere l’infuso di queste erbe. Abbonda. Che non possa nuocere al Sultano, stanotte. Assicurati che i miei ordini siano eseguiti e sarai ricompensata.”
 
* * *
 
 
Per tutto il tempo André non aveva smesso di tormentarsi per Oscar. Nemmeno per un momento.
 
All’alba, mentre stringeva il suo patto suicida con l’ammiraglio Cezayirli Gazi Hasan Pascià, aveva sentito il muezzin salmodiare con voce possente il suo invito alla preghiera.
 
Qualche ora dopo, l’aveva sentito una seconda volta e poi una guardia gli aveva portato una scodella con un po’ d’acqua e del pane raffermo.
 
Fu mentre era seduto sforzandosi di mangiare qualcosa, giusto per mantenersi in forze, che sentì in bocca il sapore ferroso del sangue. Ma non ne trovò traccia.
 
Gli parve che lei lo chiamasse. Percepì quanto il suo amore fosse corrisposto ed il cuore ebbe un sussulto di gioia. La sua Oscar era viva.
 
Si alzò in piedi, di scatto.
 
Poi gli parve di precipitare in un baratro e per un attimo i suoi occhi non videro più luce. Cadde in ginocchio. Dovette appoggiare le mani al muro freddo ed umido della cella per riuscire barcollante a rialzarsi.
 
“Cosa ti è successo, amore mio?”.
 
Il rumore dello sferragliare delle chiavi nella serratura e la voce possente di Hasan lo fecero tornare in sé.
 
Hasan Pascià stringeva nel pugno un rotolo di carta ingiallita: la planimetria del Gran Serraglio.
 
“La vostra…padrona sarà visitata dal Sultano. Dovrebbe accadere stanotte.”
 
André deglutì e si portò la mano alla fronte, ricacciando indietro l’angoscia.
 
Il corteo che la scorterà nella Camera privata che attualmente il Sultano predilige, appartenuta ad Ahmet III, dovrà attraversare la corte delle concubine e le stanze dei corpi di guardia fino all’anticamera delle maioliche. Voi invece vi sarete introdotto nascosto in una cassa di forniture, in una stanza di servizio, adiacente alla sala da pranzo. La sala da pranzo …”, continuò Hasan, indicandone con il dito l’ubicazione sulla planimetria che aveva dispiegato sul muro, davanti a sé “… comunica con la Camera privata, ma voi troverete la porta comunicante saldamente chiusa; sarà inutile che tentiate di forzarla. Inoltre, la vostra padrona vi sarà condotta solo dopo che il Sultano sarà già entrato.”
 
André si sforzò di memorizzare ogni dettaglio della planimetria. Il palazzo del Gran Serraglio era un labirinto, erano necessario potersi orientare, nel caso in cui fossero riusciti a fuggire … perché non poteva fidarsi della parola di Hasan Pascià. Non poteva concedersi di morire, se Oscar non fosse stata in salvo, al sicuro.
 
Il Sultano arriverà dopo, attraverso la Sala Imperiale. Come sua abitudine si attarderà in biblioteca e poi si farà scortare da un drappello di eunuchi bianchi. Tra gli eunuchi bianchi ho degli uomini fidati e due di loro faranno in modo di fare parte della scorta. Ma il Sultano preferisce restare da solo con le sue amanti, perciò li congederà. Ma prima di andarsene, uno di loro farà in modo di togliere di nascosto il blocco alla porta comunicante con la sala da pranzo. Finora è tutto chiaro?”
 
André annuì, cercando di nascondere l’attenzione con la quale cercava di mandare a mente percorsi e vie d’uscita, domandandosi perché l’Ammiraglio avesse voluto esporgli il suo piano con tale dovizia di informazioni.
 
Si diede una risposta: arroganza, presunzione.
 
“Voi resterete dietro la porta della sala comunicante.  Non dovrete muovere un muscolo finché non faranno entrare nella Camera privata anche il corteo con la vostra padrona. Quando il corteo uscirà ed il Sultano resterà solo con lei, allora potrete prepararvi ad agire. Ma prima dovrete attendere il mio segnale.”
 
“Come potete pensate che possa attendere?” sibilò André.
 
“Suvvia, consorti e concubine sono liete di giacere con il Sultano. Se ne contendono i favori, sperando di generare un figlio che più degli altri possa incontrare i suoi favori e succedergli. E’ un grande onore, anche per una nobile francese!”
 
“Non era questo il nostro patto!”
 
“Uhm, siete davvero un uomo innamorato, o molto geloso…”
 
“Non osate ...”
 
“Tranquillizzatevi…il mio segnale arriverà presto, prima che avvenga l’irreparabile, giusto il tempo che possa raggiungervi con le mie guardie, senza ingenerare troppi sospetti … avvertito dalla mia rete di spie, giungerò in armi, salvatore della vita del Sultano e dell’alleanza!
 
“Quale sarà il segnale?”
 
“Il bubolare di un gufo. Lo sentirete ripetuto, forte e chiaro. Allora farete irruzione e potrete salvare la vostra gentil pulzella”, proseguì ridendo Hasan “strappandola dalle braccia del mio Sultano. Siete un uomo forte, non avrete difficoltà a sopraffarlo, nemmeno a mani nude, ma avrete con voi una pistola, con un solo colpo in canna e lo ferirete di striscio. Diciamo …”, esitò Hasan picchiettando il suo indice destro sulla bocca “…. “Diciamo al braccio destro”.
 
“E poi? domandò André, sbirciando un’ultima volta la mappa, mentre Hasan l’arrotolava con cura.
 
“E poi farò irruzione anch’io, seguito dalle mie guardie …. confido che due di loro basteranno per uccidervi”.
 
André restò in silenzio, intuendo che l’ammiraglio non aveva finito. Si mise a fissare la catena che avvinceva la sua caviglia destra ai ceppi, poi si allontanò da Hasan Pascià, indietreggiando verso l’inferriata per cercare uno spicchio di sole, alto nel cielo. “Quanto mancherà al tramonto?”, si domandò.
 
“Ditemi: come preferireste morire? Sgozzato da una sciabola o con il cuore trafitto da un colpo di pistola?”
 
Non aveva senso rispondere a quella domanda. Quella domanda non esigeva risposta.
 
“Voi manterrete la vostra parola? La condurrete in salvo?”
 
“Si, se voi vi atterrete ai miei ordini. Contravvenite ad una sola delle mie istruzioni, entrate un attimo prima in quella stanza o ferite più gravemente il Sultano, e lei morirà con voi!
 
André si allontanò dal sole.
 
Si avvicinò all’ammiraglio.
 
Quello istintivamente fece un passo indietro, e mentre André lo sovrastava, eretto in tutta la sua statura, e lo fissava, dritto negli occhi, dall’alto in basso, udì la sua risposta.
 
Un colpo di pistola. Dritto al cuore”.
* * *
 
Quando si era risvegliata, dolorante e con i polsi di nuovo avvinti dai lacci, lo sconforto l’aveva sopraffatta. Anche le caviglie erano legate.
 
Non era servito a nulla quel tentativo stolto di liberarsi. “Cosa pensavo di fare?”, si disse; se anche fosse riuscita ad uscire da quella corte, fuggire poi dall’harem, un labirinto sorvegliato da stuoli di eunuchi, sarebbe stato impossibile, anche prendendone in ostaggio il capo, a tacere del corpo di guardia esterno, ben addestrato e numeroso, che nella loro precedente visita avevano osservato.
 
La loro precedente visita.
 
André, cosa ne era stato di André? Quel pensiero la tormentava assai più della prigionia e se giacere col Sultano fosse servito a salvarlo, non avrebbe esitato a farlo.  
 
Che dovesse sfruttare le sue arti femminili? “Quali?” si ritrovò a pensare.
 
Con André ci avrebbero scherzato sopra, lui che non smetteva mai di ripeterle che era bella, qualunque abito avesse indossato, senza cipria e belletti, solo con lo scintillio delle sue iridi. Anche con i capelli corti. Chiuse gli occhi pensando ai baci lievi di André sul suo collo libero dai ricci, quando aveva finito di tagliarle i capelli.
 
L’ancella che aveva ferito e che sul mento portava il livido del colpo che aveva ricevuto l’aveva costretta a bere un intruglio tiepido ed amaro. Aveva cercato di non ingoiarlo, finché non l’avevano quasi soffocata.
 
Tossiva ancora, mentre cadeva in uno strano stato di incoscienza; non poteva muoversi, non poteva parlare, la sua vista era offuscata, ma percepiva tutto: suoni, odori, e soprattutto le mani delle ancelle su di lei.
 
Avevano sciolto i lacci e le avevano unto le ferite con un unguento. L’avevano lavata, profumata ed agghindata. Come un burattino l’avevano manipolata, senza che lei potesse reagire.
 
Un corsetto azzurro ricamato e bordato di broccato dorato le tratteneva appena il seno, lasciando scoperto l’ombelico. Due drappi di seta le cingevano i fianchi. Il primo di seta bianca, leggera e morbida e sopra un telo di seta più pesante a righe azzurre, bianche e dorate. Alla caviglia sinistra un monile d’oro, che aveva percepito gelido sulla sua pelle. Sul capo sentì la consistenza di un piccolo turbante, che i bordi decorati da monili di metallo tenevano saldo sulla testa.
 
Odore di bergamotto e resina nelle sue narici.
 
Non era riuscita a mordere le dita che le avevano pitturato le labbra. Non riusciva a muovere un muscolo.
 
Lacrime di frustrazione percorsero le sue guance.
 
Udì il muezzin che invitava di nuovo i fedeli alla preghiera (era notte ormai?) mentre la adagiavano di peso su una portantina.
 
* * *
 
Era nascosto in quella sala da almeno mezz’ora ormai. La cassa che lo nascondeva era stata portata in una stanza di servizio della sala da pranzo adiacente alla Camera privata del Sultano, così come aveva detto Hasan Pascià. Ora se ne stava con l’orecchio appoggiato alla porta comunicante, cercando di percepire ogni minimo rumore, massaggiandosi la spalla dolorante a causa dei sobbalzi del carro nel tragitto tra la prigione ed il Gran Serraglio.
 
Poco prima aveva dischiuso un piccolo fazzoletto di lino.
 
Aveva annusato il lieve profumo di rose e lavanda dei capelli di Oscar, mentre baciava la ciocca che le aveva rubato quel giorno in cui lei aveva deciso di tagliarsi i capelli, l’unico vezzo della sua Oscar.
 
Aveva un piano. Non avrebbe permesso che il Sultano posasse le sue luride mani su di lei, avrebbe agito in fretta; appena il Sultano fosse rimasto solo con lei, avrebbe fatto irruzione subito, senza aspettare il segnale. Lo avrebbe immobilizzato in qualche modo, senza ferirlo e senza usare la pistola, poi avrebbe nascosto Oscar nella sala da pranzo e quando Hasan fosse entrato con le guardie gli avrebbe sparato.
 
Dritto al cuore.
 
Aveva un solo colpo in canna, ma non l’avrebbe mancato.
 
Sapeva di non potersi fidare di Hasan. Lo aveva capito guardandolo dritto negli occhi. Non avrebbe condotto in salvo la sua Oscar, era una testimone troppo scomoda.
 
Confidava che le guardie non lo uccidessero subito e che il Sultano avrebbe ascoltato la sua verità.
 
Se anche lo avessero ucciso, il Gran visir avrebbe aperto un’inchiesta e forse Oscar avrebbe avuto una possibilità. Forse Leopoldo Giorgio Rákóczi l’avrebbe aiutata.
 
Certo, se fossero stati fortunati avrebbero potuto tentare di scappare … e fu mentre cercava di scaldarsi il cuore con quella flebile speranza che udì il Sultano entrare nella sua Camera privata.
 
Lo sentì parlare in una lingua sconosciuta. Sentì il rumore dell’acqua con il quale lo stavano lavando. Sentì scattare la serratura della porta comunicante ed istintivamente fece un passo indietro. Poi riaccostò l’orecchio alla porta e udì un paio di ordini secchi, il rumore di tacchi che si allontanavano, di una porta che si richiudeva e poco dopo quello di una porta che si apriva.
 
Lo scalpicciò di passi lievi e poi di passi più pesanti. Qualcosa che veniva poggiato a terra. Lo scricchiolio del legno. Sussurrati bisbigli.
 
C’era Oscar, la sua Oscar, al di là di quella porta?
 
Il Sultano parlò di nuovo. Nessuno rispose.
 
Perché Oscar restava in silenzio? Era forse imbavagliata o drogata?
 
Sentì di nuovo lo scricchiolio del legno, passi pesanti seguiti da passi lievi che lasciavano la stanza. Una porta che si richiudeva. Attese che si allontanassero un poco, mentre nella Camera del Sultano calava il silenzio.
 
Appoggiò la mano sulla maniglia della porta, pronto all’azione. Troppo concentrato su quello che accadeva dall’altra parte non si accorse di qualcuno che entrava di soppiatto nella sala, sorprendendolo alle spalle.
 
 
* * *
 
Distesa supina sulla portantina, con la schiena appena sollevata da morbidi cuscini, Oscar non riusciva a capacitarsi della sua immobilità. Gli occhi sgranati a cercare di mettere a fuoco i dettagli quando la vista a tratti si offuscava, tutti i sensi tesi a cogliere una qualsiasi occasione, nonostante la luce fioca dei doppieri che accompagnavano il corteo.
 
Le avevano fatto bere di nuovo quell’intruglio ed ora anche respirare le costava uno sforzo di volontà.
 
Per ordine della Valide Sultana. Fermatevi!”
 
Un vecchio eunuco nero, accompagnato da due guardiani più giovani, aveva intercettato il corteo che stava conducendo la nuova concubina nelle stanze private del Sultano.
 
Il Kızlar Ağası, aveva protestato, poi il vecchio eunuco si era spostato, rivelando alla vista la Valide Sultana.
 
E’ questa la nuova schiava che avete comprato per mio figlio?”, domandò la Sultana, avvicinandosi alla portantina, mentre l’anziano eunuco le faceva più luce avvicinando un candeliere.
 
Le accarezzò la guancia con la mano, pallida e sottile, le sottili vene azzurre in rilievo. La guancia era fredda, troppo. Se ne crucciò. Vide il petto ansante, che si sollevava con respiri troppo rapidi e corti, le pupille dilatate.
 
Come vi chiamate?” le chiese in turco e poi in francese, ma non ottenne risposta. Solo un rapido movimento degli occhi.
 
Questa donna è stata forse drogata?” domandò al Capo degli eunuchi.
 
Sarebbe stato un pericolo per il Sultano”, balbettò l’interpellato.
 
E voi fareste giacere con mio figlio una donna pericolosa?
 
Il Kızlar Ağasi, colto in fallo, incominciò vistosamente a sudare.
 
Che questa donna sia condotta nei miei appartamenti. Che sia una delle favorite a fare compagnia a mio figlio stanotte”, comandò all’eunuco che l’aveva scortata.
 
E poi, rivolta al drappello delle guardie rimaste: “il Kızlar Agasi è in arresto. Conducetelo nelle segrete!
 
* * *
 
  … André appoggiò la mano sulla maniglia della porta. Poi qualcuno entrò di soppiatto nella stanza, sorprendendolo alle spalle.
 
Leopoldo Rákóczi gli aveva messo una mano sulla bocca per impedirgli di protestare.
 
Una risata argentina risuonò dall’altra parte.
 
Non era Oscar.
 
La vostra donna non è lì, è in salvo”, lo rassicurò Leopoldo.  
 
André, incapace di proferir parola, annuì, mentre due lacrime silenziose ne solcavano le guance per il sollievo.
 
Ma ora dobbiamo andare via di qui. Nemmeno io sono autorizzato a frequentare queste stanze e fra poco credo che Hasan Pascià cercherà vendetta”.
 
Il bubolare ripetuto di un gufo risuonò nel silenzio della notte.
 
Avevano già imboccato un passaggio segreto che conduceva direttamente agli appartamenti della Valide, quando sentirono il fragore di un’irruzione, le grida di disappunto del Sultano Abdül Hamid e quella che sembra un’infinita serie di scuse da parte di Hasan Pascià.
 
Attraverso una grata nascosta, la Valide vide l’ombra di Leopoldo, seguita da quella di un altro uomo, che attraverso il passaggio segreto stava tornando da lei.
 
Quasi si mise a ridere la Valide, pensando a quante regole stava infrangendo. Ben due uomini, occidentali e sicuramenti integri, che frequentavano l’harem ed i suoi appartamenti, a notte fonda per di più. La sicurezza di una morte imminente ha i suoi vantaggi, ragionò.
 
Si spostò di qualche passo e scostando la tenda del grande baldacchino sul quale era stata adagiata, si mise ad osservare preoccupata la donna che aveva salvato.
 
In quel momento i suoi eunuchi più fidati stavano torturando il Kızlar Ağasi, per conoscere i retroscena dell’intrigo e quale droga fosse stata somministrata alla donna.
 
Era ancora paralizzata. Cercava invano di parlare e piangeva lacrime silenziose. Avrebbero dovuto essere di sollievo, invece erano di disperazione.
 
Confidò che l’ombra che seguiva Leopoldo avrebbe rimediato almeno a quello. Poi restava da cercare un antidoto.
 
Quando l’ombra si palesò di fronte a lei, alla luce tremula delle candele, pensò che la poca vita rimasta le stesse regalando inattese meraviglie.
 
Quella mattina aveva ammirato Leopoldo, pensando di non avere mai visto un uomo più bello.
 
Dovette ricredersi.
 
Il suo nuovo ospite era malconcio e ferito, ma ogni fibra del suo corpo emanava forza.
 
I capelli folti e neri, per quanto arruffati, parevano morbidi come seta; avrebbe voluto affondarci le dita.
 
Il volto dalle proporzioni perfette, la barba fitta lunga di un paio di giorni, il naso diritto, le labbra carnose e due sorprendenti occhi, grandi e più verdi dello smeraldo che sfoggiava al centro del suo diadema, avrebbero potuto incantare una strega, ammaliare una sovrana.
 
Si fissarono negli occhi per un istante, che fu solo un istante, ma alla vecchia Sultana parve infinito.
 
“Vi prego, lei dov’è?” chiese in un soffio.
 
La voce bassa e profonda, ma gentile, le risuonò nelle viscere.
 
Indicò il baldacchino dietro di lei.
 
Mentre lui si precipitava al capezzale della donna, si ritrovò ad ammirarne i muscoli della schiena, attraverso la camicia strappata, nel punto preciso in cui …
 
Arrossì’, rimpiangendo di non essere più giovane, da troppi lustri ormai.
 
André si inginocchiò e prese la mano sinistra di Oscar fra le sue. Il polso recava ancora le tracce dei lacci che l’avevano avvinta. La pelle era gelida e si accorse che non riusciva a muovere un muscolo, nemmeno le labbra, e che respirava a fatica. Solo le palpebre si abbassarono per un istante e gli occhi si bagnarono di lacrime.
 
Oscar, amore mio, cosa ti hanno fatto?”
 
Leopoldo si avvicinò, appoggiando una mano sulla sua spalla.
 
E’ stata drogata, è paralizzata. Probabilmente fra poco ore l’effetto svanirà, ma stiamo cercando di scoprire quale sostanza le sia stata somministrata”.
 
Le strinse più forte la mano fra le sue. Poi si alzò, le tolse il turbante e le accomodò i capelli dietro le orecchie, baciandole la fronte.
 
Era angosciato. Ma si sforzò di non darlo a vedere.
 
Si accomodò sul bordo del letto, racchiuse di nuovo la sua mano sinistra fra le sue, cercando di scaldarla, e le parlò.
 
Ti ricordi, Oscar, quel gioco che facevamo da piccoli? Un battito di ciglia per dire sì e due per dire no? Tre per dire non so.”
 
Un battito di ciglia.
 
Puoi vedermi?” Un battito di ciglia.
 
Riesci a respirare?” Un battito di ciglia.
 
Hai dolore?” Due battiti di ciglia.
 
Ti hanno fatto del male?” Due battiti di ciglia.
 
Ti hanno somministrato una droga che ti ha paralizzato”. Lo disse con tranquillità, senza celare il sollievo per le risposte già ricevute ma dissimulando la preoccupazione per le risposte alle domande che ancora doveva formulare.
 
Ti hanno fatto bere qualcosa?” Un battito di ciglia.
 
Sai cosa fosse?” Due battiti di ciglia.
 
Era amaro?” Un battito di ciglia.
 
Era un liquido chiaro?” Tre battiti di ciglia, non lo sapeva.
 
Quanto tempo è passato? Meno di un’ora?
 
Nessuna risposta. Le pupille di Oscar parvero ingrandirsi ancora di più.
 
La domanda era sbagliata? André ci riflette un poco su.
 
Si voltò cercando il conforto di Leopoldo e della Valide.
 
Le sorrise, cercando di rassicurarla, e riformulò la domanda.
 
Ti hanno fatto bere la droga più di una volta?” Un battito di ciglia.
 
Il terrore esplose negli occhi di André.
 
La Valide uscì furiosa dalla stanza.
 
Lo sguardo di Oscar si velò. Aveva sonno, tanto sonno. Ma si sentiva felice. Le sue mani erano gelide, così avevano detto. Ma il suo cuore le teneva caldo. Un dolce tepore la pervadeva, ora che André era lì con lei. Lui stava bene, quello solo contava. Chiuse gli occhi e si mise a sognare.
 
“Non addormentarti Oscar…ti prego resta qui con me ...”
 
“Amico mio, non vi crucciate. Si risveglierà. Come l’altra volta.”
 
L’altra volta sapevate di cosa si trattasse, Conte”, rispose sconsolato André. “Non sono stato in grado di proteggerla, né allora, né ora.”
 
Beh, direi che attirate guai e nemici come mosche. Mi fate concorrenza”, celiò il Conte, cercando di distrarre il francese.
 
“Dunque, lei non è né Jules, né Julie, ma Oscar… nientedimeno che il Conte Oscar François de Jarjayes, Colonnello delle Guardie Reali di Sua Maestà il Re di Francia!”
 
Andre annuì distrattamente, senza levare lo sguardo da Oscar, che dormiva profondamente. Sembrava serena.
 
“Non credo che il colonnello vorrebbe risvegliarsi vestita ancora da odalisca e comunque sarebbe saggio andarcene prima che sorga il sole. La Valide è potente, ma non so per quanto ancora potrà proteggerci. E fuori di qui, se necessario, potremmo farla visitare dal mio medico, non ho molta fiducia dei medici di corte…”
 
André non voleva lasciarla. Allungò una mano sulla coperta che l'avvolgeva e la rimboccò meglio sulle spalle.
 
Leopoldo fece un cenno a due ancelle che accorsero sollecite.
 
“Rivestitela con un lungo caffettano, pesante, che le tenga ben caldo.”
 
Poi, rivolto ad André: “Venite con me, amico mio, lasciamo fare alle donne. Voi dovete mangiare qualcosa. Se conosco la Sultana fra poco sapremo quale droga hanno fatto bere alla vostra Oscar.
 
Davanti ad un the caldo e speziato, Leopoldo raccontò ad André come avesse scoperto dell’intrigo dell’ammiraglio e del suo patto con il capo degli eunuchi neri.
 
“Quando ha appreso da me della vostra visita alla ricerca del lume perpetuo, la Valide si è domandata se la misteriosa donna bionda che il Capo degli eunuchi aveva portato in dono all’harem non fosse la stessa persona. La Valide ha una rete di spie, all’interno ed all’esterno dell’harem e non ci ha messo molto a sapere che era stato l’ammiraglio Cezayirli Gazi Hasan Pascià a cederla al Kızlar Ağası.”
 
André udì un lamento, si alzò di scatto e tornò da Oscar.  Le ancelle l’avevano spogliata e rivestita, ma una di loro si sforzava, invano, di toglierle la cavigliera che le cingeva stretta la caviglia sinistra, perché il fermaglio si era rotto.
 
André le prese delicatamente il piede fra le mani. Pensò a quando erano bambini, a quanto lei soffrisse il solletico ai piedi. Quanto era bella quando rideva, chiedendogli di smetterla. Da quanto tempo non ridevano più come allora?
 
Giurò a se stesso che non solo l’avrebbe sempre amata, che non solo l’avrebbe resa felice, ma che l’avrebbe fatta ridere.
 
Accarezzò il piede, poi afferrò il fermaglio con le dita e lo spezzò, liberandole la caviglia.
 
Leopoldo, che aveva osservato ogni gesto, si ricordò di un giorno di primavera.
 
André le prese di nuovo una mano fra le sue, e gli sembrò che un po’ di calore le scorresse di nuovo sottopelle. Le pose un tenero bacio sulle labbra, ancora dipinte di rosso. Percepì un taglio su quelle labbra e si accigliò. Intrise nell’acqua una pezzuola e le terse la bocca, poi le pulì il volto dal trucco rimasto. Come lei avrebbe voluto che lui facesse.
 
Leopoldo deglutì, ricaccio indietro la nostalgia, afferrò una panca bassa, l'avvicinò al letto, fece cenno ad André di sedersi accanto a lui, e continuò.
 
“Cezayirli Gazi Hasan Pascià si vanta della sua rete di spie, ma qualcuna fa il doppio gioco a favore della Valide. Non è stato difficile scoprire che il compagno moro della misteriosa bionda era stato inviato in una missione suicida qui al Gran Serraglio. Il resto lo conoscete.”
 
Che ne sarà del Capo degli eunuchi e dell’Ammiraglio?” chiese André.
 
La punizione per avere messo a repentaglio la vita del Sultano è la morte. Ma se conosco la Sultana, ammesso che sia ancora vivo, il Kızlar Ağası semplicemente sparirà. Quanto all’ammiraglio, lui è troppo potente anche per la Sultana. Se fosse lei a governare, questo impero non avrebbe rivali, ma ha avuto la sventura di nascere donna…”, si interruppe esitante , “come la vostra Oscar.”
 
Quando la Valide tornò, parve loro che minuscole gocce di sangue avessero macchiato l’orlo della veste. Nelle mani stringeva un’ampolla.
 
Ho l’antidoto”, esclamò ansante.
 
Oscar si sarebbe ricordata, come in un sogno, del Conte Leopoldo che abbracciava con affetto un’anziana donna con una lunga treccia di capelli bianchi, sui quali brillava uno smeraldo, verde quasi quanto gli occhi di André.
 
Si sarebbe ricordata di André, del suo profumo di buono e del suo pomo d’Adamo che sfiorava con le labbra, ora che finalmente riusciva di nuovo a muoverle. La stringeva avvolta in una coperta, mentre camminava veloce tenendola in braccio.
 
Si sarebbe ricordata della sua barba che le pizzicava la pelle mentre si stringeva con le braccia al suo collo.
 
Si sarebbe ricordata del Conte Leopoldo che per fare luce lungo un interminabile corridoio reggeva una lanterna ad olio (una semplice lanterna ad olio!).
 
E si sarebbe ricordata dell’alba luminosa di quel giorno nuovo, quando salirono sopra alle nuvole, in direzione di Tenedo.
 
“Finalmente il cielo,  con le sue ventate e le sue burrasche,  appoggiava il suo impegno.  …  il suo spirito si rallegrava con una soddisfazione immensa”(1)
 
(1) opera ed autore al prossimo capitolo. Tanto googlando si trova…
 
 
  
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