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Autore: Darty    13/11/2022    13 recensioni
“Tutti gli amori felici si somigliano; ogni amore infelice è invece difficile a modo suo. In casa De Jarjayes tutto era sottosopra” (e spero che L.S. non se ne abbia a male)
Oscar ed Andrè e la loro “storia terrena” appartengono a Riyoko Ikeda ed un po’ anche a Tadao Nagahama e Osamu Dezaki. Questa fanfiction non ha scopo di lucro, ma terapeutico sì...
I versi di David Bowie sono solo suoi: dell’immortale Duca Bianco.
Si incomincia con il Cavaliere Nero. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fluff, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Somewhere, someone's calling me
And when the chips are down
I'm just a travelling man
Maybe it's just a trick of the mind, but
Somewhere there's a morning sky
Bluer than her eyes
Somewhere there's an ocean
Innocent and wild

 
(David Bowie, Move on)
 
https://www.youtube.com/watch?v=2Xd-u77rNho
 
 
 
 
 
 
“Finalmente il cielo, con le sue ventate e le sue burrasche, appoggiava il suo impegno.  …  il suo spirito si rallegrava con una soddisfazione immensa”[1]
 
 
Fu il vento lieve che le sfiorava i capelli a destarla, infine.
 
André che non aveva smesso di tenerla stretta fra le sue braccia, le sorrideva, mentre lei apriva gli occhi, debole ma ormai completamente sveglia. Erano entrambe seduti e davanti a lei riconobbe il Conte Leopoldo, in piedi, affaccendato a regolar qualcosa con una funicella.
 
Come ti senti?”, le chiese André, che dietro il sorriso nascondeva l’angoscia per la salute di Oscar.
Dal canto suo, lei temeva che si trattasse solo di un sogno, di un bel sogno nel quale André era sano e salvo accanto a lei.
 
Le sembrava di galleggiare, ma non sentiva il rumore dell’acqua.
 
Percepì un soffio d’aria calda, avrebbe voluto alzare il capo, ma la testa le girava.
 
André le bagnò le labbra con una spugna intrisa d’acqua fresca.
 
Oh André, sei proprio tu? Stai bene?” sussurrò con un filo di voce, stringendosi di più a lui.
 
“Sì, e siamo in salvo Oscar, stiamo in rotta verso Tenedo!”, rispose André alzandole appena il mento per accarezzarle le labbra con un bacio.
 
Un raggio di sole le aveva fatto richiudere subito gli occhi, appena li aveva riaperti, con il mento ancora sollevato, al termine di quel lieve bacio.
 
Aveva intravisto qualcosa sopra le loro teste.
 
Non erano vele.
 
“Se oggi il vento ci assiste ci arriveremo domani, Colonnello”, li interruppe Leopoldo.
 
Ma cosa …?” chiese Oscar.
 
Però prima del tramonto dovremo prendere terra e domani percorrere a piedi l’ultimo tratto”.
 
Un ricordo le sovvenne. Quattro anni prima. Aerostate Révelliom. Giardini di Versailles. La Regina ed il Re ed una folla di cortigiani avevano applaudito estasiati Joseph-Michel e Jacques-Étienne Montgolfier, che avevano fatto volare in cielo, con una cesta appesa ad un pallone, tre povere creature, un gallo, un’oca ed una pecora, facendole fortunatamente tornare a terra sane e salve.
 
Quel giorno, al comando dei soldati della Guardia Reale, aveva faticato a mantenere l’ordine.
 
Una cesta. Un pallone. Il cielo.
 
Si sforzò di nuovo di alzare la testa.
 
Le nuvole. Un pallone.
 
Enorme, di un celeste cinerino.
 
Si alzò appena, cercando di sporgere la testa fuori, fuori dalla … cesta.
 
Nuvole sopra e sotto, e fra le nuvole al di sotto, a precipizio, il mare.
 
Si rimise seduta, guardò un po’ stranita André.
 
André piegò il braccio destro portando la mano a massaggiarsi la nuca, trattenendo una risata.
 
“Se ora ci fosse qui mia nonna, le mestolate sarebbero tutte per me”.
 
E finalmente rise anche lei.
 
E Leopoldo pensò che quella risata argentina, tanto inconsueta per un colonnello, fosse proprio la risata di una donna innamorata.
 
Una lacrima solcò una guancia. Una sola. Colpa del vento e del sole si disse. Ma Leopoldo sapeva che non era così.
 
* * *
 
Poco prima del tramonto presero lentamente terra, approfittando di una radura, nascosta dal mare da una bassa collina.
 
Senza la fornace ed il mantice che alla partenza da Istanbul lo aveva riempito d’aria calda, il pallone, ormai sgonfio, era divenuto inservibile.
 
Leopoldo e André avevano tagliato le funi che lo legavano alla grande cesta di vimini e ne avevano ripiegato la mussola leggerissima.
 
André, con pochi abili gesti, aveva acceso un focherello sul quale Leopoldo aveva abbrustolito qualche fetta sottile di formaggio.
 
Mangiate, Colonnello”, le disse, porgendole una fetta di pane sul quale si stava sciogliendo il formaggio. “Domani ci aspetta una lunga marcia a piedi, per raggiungere Tenedo”.
 
Chiamatemi Oscar, Conte. Vi dobbiamo la salvezza”, rispose lei, allungando la mano.
 
Sul polso, il livido violaceo dei lacci era ancora evidente.
 
“Da quello che ho saputo, vi sareste salvati da soli voi due, ho solo accelerato gli eventi”, rispose quello, distogliendo lo sguardo dal polso della donna e poi: “Chiamatemi Leopoldo”.
 
Vi sarò per sempre debitore, Leopoldo”, mormorò André, mentre dopo avere ravvivato il fuoco, si sedeva accanto ad Oscar, intrecciando la sua mano destra con quella sinistra di Oscar.
 
Suvvia! Raccontatemi di Versailles, raccontatemi della Regina Maria Antonietta”, esclamò Leopoldo, frugando nella sua bisaccia, e versando ai commensali un po’ di vino da una fiaschetta.
 
Dopo una notte tranquilla, i primi raggi di sole svegliarono Oscar. Nonostante il fuoco si fosse spento, il tepore del corpo di André, che l’aveva avvolta nel suo stesso mantello e dormiva ancora profondamente, accanto a lei, l’aveva tenuta al caldo.
 
Si alzò, divincolandosi con un po’ di dispiacere da quell’abbraccio, cercando di non svegliarlo.
 
Quando fu in piedi, si mise ad osservarlo. Sembrava sereno, mentre dormiva. Il volto disteso, nonostante le tribolazioni degli ultimi giorni. I capelli neri, che alle prime luci dell’alba sembravano tingersi di un caldo castano, gli ricadevano sulla fronte e sulle spalle. Non si era potuto ancora radere. Prima di allora, solo quando l’aveva riscattato dai pirati, l’aveva visto con la barba lunga di giorni. Quel giorno l’aveva baciato per la prima volta. Aveva baciato un uomo per la prima volta. “Ti amo!”, bisbigliò.
 
Un fruscio la distolse dai suoi pensieri.
 
Il Conte Leopoldo stava tornando dalla boscaglia ai margini della radura, reggendo fra le braccia un po’ di legna secca per riaccendere il fuoco.
 
Oscar gli si fece incontro.
 
Già in piedi, Colonnello Oscar?”
 
Lei annuì. “Non mi è mai piaciuto dormire molto, a differenza sua”, rispose, piegando le labbra in un sorriso e volgendo il capo in direzione di André.
 
Lo amate molto, si vede.
 
Oscar arrossì un poco “Lo amo più della mia stessa vita.
 
Anche lui darebbe la sua vita per voi. Lo ha quasi fatto …”
 
Oscar abbassò gli occhi.
 
Sedetevi un po’ con me”, le disse Leopoldo, indicandole più in là una pietra larga e piatta, mentre lui si inginocchiava a terra per accendere il fuoco, distante da André, per non disturbarlo.
 
“Siete sposati da molto, Oscar?”
 
“Non vi ha raccontato nulla, André?”
 
“Ieri non aveva occhi e pensieri che per voi, ma la notte che vi intossicaste nel mio laboratorio, mi confessò che voi siete sua moglie.”
 
Non rispose subito, Oscar. Scrutò il Conte, che le dava le spalle, intento a sfregare fra loro due schegge di quarzite. I suoi capelli erano più chiari di quelli di Fersen, constatò.
 
“Da quasi vent’anni.”
 
Una scintilla e poi a seguire altre scintille attecchirono sulla corteccia e sulle foglie secche. Il Conte ammonticchiò qualche rametto. Il fuoco iniziò a crepitare.
 
Non l’avrei detto …”, esclamò Leopoldo, facendo leva con le mani sulle ginocchia mentre si rimetteva in piedi. Girandosi verso Oscar la fissò intensamente, l’acquamarina nel blu “… ma ci sono riuscito ad accendere il fuoco”. Si pulì le mani sfregandole sui pantaloni “Si capisce che vi amate da sempre”, aggiunse sorridendole.
 
E voi, Leopoldo, avete una moglie che vi aspetta?”
 
Scosse la testa, Leopoldo. Con le dita iniziò a tirarsi i polsini di pizzo, che un tempo erano stati bianchi.
 
No, ma una volta sono stato innamorato. Tanti anni fa.”
 
Non domandò altro Oscar. Non era nella sua natura essere indiscreta. Non avrebbe insistito oltre.
 
Leopoldo si avvicinò al fuoco per scaldarsi le mani.
 
“Vado a prendere un po’ d’acqua. Ho trovato una sorgente qui vicino nel bosco.”
 
Quando tornò, pochi minuti dopo, la trovò ancora lì, intenta a rigirare le braci con un rametto.
 
Versò l’acqua in una gavetta e la mise sul fuoco.
 
Lei non c’è più”, disse inaspettatamente. “Mi sono addormentato stringendola fra le mie braccia e quando mi sono svegliato, il mattino dopo, lei non c’era più.
 
Oscar si girò di scatto, per cercare André, che dormiva ancora profondamente.
 
L’ho cercata ovunque, ho chiesto a chiunque, ho frugato fra le sue cose per cercare un indizio, non ho risparmiato denari, risorse, alleanze ed amicizie, ma non è servito a nulla.”
 
Deve esserci una spiegazione Leopoldo, forse …”
 
Credete che non ci abbia pensato, Oscar? Che non abbia pensato che la colpa fosse mia, dei nemici che da una vita mi inseguono?”
 
“Vorrei potervi aiutare Leopoldo, come voi avete aiutato noi…”
 
L’acqua traboccò dalla gavetta ed un fumo denso si alzò.
 
Con uno straccio, Leopoldo levò l’acqua dal fuoco. Rovistò nella bisaccia fino a trovare un sacchetto di tela grezza e versò una generosa dose di minute foglie di tè nell’acqua bollente.
 
“Sono passati dieci anni, Oscar, dieci lunghi anni, ma ogni giorno mentre all’alba mi sveglio, io la cerco accanto a me.”
 
Oscar allungò una mano per cercare quella del Conte. Non l’avrebbe mai fatto prima: un militare, un uomo, non si lascia sopraffare dalla commozione.
 
“Rinuncerei a tutto, al mio passato ed al mio futuro, se potessi rivederla, solo un istante, per sapere che è viva ed è felice.”
 
“Lei, lei come si chiamava, come si chiama …?”
 
Poi una voce, calda, bassa ed allegra li fece girare.
 
Che magnifica giornata!” li salutò Andrè, stirandosi le braccia, mentre le veniva incontro per baciarla sulla fronte.
 
“Giusto in tempo per il tè, amico mio!”
 
Dopo una colazione frugale si misero in marcia. Più volte i due uomini avevano insistito per fermarsi, perché lei, ancora debole, potesse fare una sosta. Ma Oscar era stata irremovibile. “Avremo tempo di riposarci a bordo della nave” aveva insistito.
 
In realtà marciare le serviva per scacciare i cattivi pensieri.
 
I cattivi pensieri avevano fatto la loro tana nella reggia e nei giardini di Versailles, a Palais Royal e alla Bastille, avevano indossato le vesti e le parrucche incipriate del Duca d’Orleans e del Duca di Germain e danzavano il minuetto tra una folla di cortigiani.
 
I cattivi pensieri la riportavano alla visione che l’aveva atterrita al mercato di Rodi, la trascinavano nei vicoli stretti di Parigi, soffocandola con il fumo dei cannoni, l’odore acre della polvere da sparo e l’afrore umido della Senna.
 
Agitavano al vento uno ḥijāb azzurro ed una divisa blu. Sporca di sangue.
 
Finalmente, mentre il sole a picco scaldava i viaggiatori ed annullava le ombre, raggiunsero Geyikli. Mischiandosi fra la folla di mercanti e viaggiatori comprarono un passaggio in galea fino all’isola di Tenedo.
 
Presto ne avvistarono la fortezza e velocemente sbarcarono.
 
La Santo Stefano se ne stava lì, imponente e quieta.
 
Qui, da Tenedo, gli achei fecero rotta su Troia” ricordò improvvisamente André.
 
E Achille uccise Tenete che voleva impedirlo … eppure sua madre Teti l’aveva avvertito, di non ucciderlo …”, rispose Leopoldo.
 
Bene amici miei, è ora che io vi lasci”, proseguì quasi sospirando.
 
Rovistò ancora nella sua sacca. Che sembrava una cornucopia. Ne trasse con cautela un involto di tela spessa che ne conteneva un altro di velluto morbido e rosso e scuro.
 
Questo è per voi”, disse, porgendole il fagotto.
 
Oscar, sorpresa, lo aprì. Il Guarneri se ne stava lì, lucido ed antico.
 
Non posso accettare, Conte.
 
Si che potete, vi servirà, per scacciare i cattivi pensieri.”
 
Oscar sgranò gli occhi, meravigliata.
 
Io non posso suonarlo più. Da me non si fa suonare più …”
 
Non so come potremo mai sdebitarci, per tutto quello che avete fatto per noi, Conte … e senza una ragione”, intervenne André.
 
Però dovrete suonarlo, suonarlo spesso, solo questo vi chiedo. E questo è per voi”, continuò Leopoldo, ignorando la domanda di André, “Che preferite la lettura alla musica. Vi chiedo solo di non separarvene mai e no…non apritelo adesso, apritelo quando sarete tornati a Parigi” e detto questo porse ad André un pacchetto avvolto in una carta ruvida e blu come la notte.
 
Chiuse gli occhi, accennò un inchino, e di scatto girò le spalle, allontanandosi.
 
Ci rivedremo un giorno. Io ne sono sicuro”, lo salutò André.
 
Leopoldo si fermò. Non si girò. Ma gli rispose.
 
“C’è sempre una ragione, André.”
 
“E lei, Oscar, si chiamava Hermione.”
 
Restarono così a guardare la figura alta e sottile del Conte Denis di Saint Germain o forse di Leopoldo Giorgio Rákóczi che si faceva via via più piccola. L’Oriente, l’Oriente più profondo era la sua meta, aveva loro confidato.
 
“Hermione?” domandò André, mentre la stringeva a sè.
 
“Hermione è la donna di cui il Conte era innamorato…”
 
Ma dalla Santo Stefano qualcuno già li aveva scorti. Arrancando sul molo, Goerso gli veniva incontro.
 
 
“La scienza, come la poesia, si sa che sta ad un passo dalla follia
 
Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana.
 
 

[1] Naturalmente…:”Il giro del mondo in ottanta giorni”, Jules Verne.
  
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