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Autore: lithnim222000    02/11/2022    0 recensioni
[Prompt #Gene]
-MEDICO! SERVE UN MEDICO!
[Prompt #Vadoma]
La giornata di Vadoma non stava andando bene.
[Prompt #Olivia]
Accucciata a terra, Olivia guardò con il cuore in gola i piedi davanti ai suoi occhi muoversi avanti e indietro sulle assi del pavimento.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROMPT #Olivia

[Campo Giove, aprile]
  • Un paio di converse blu
  • Un abbraccio
  • Un gioco da tavolo

Accucciata a terra, Olivia guardò con il cuore in gola i piedi davanti ai suoi occhi muoversi avanti e indietro sulle assi del pavimento. Uno zaino sdrucito venne gettato in un angolo con un verso di sollievo. La ragazza restò immobile, cercando di respirare piano per fare meno rumore possibile.
I piedi fecero per dirigersi verso il bagno ma, in corrispondenza dell’attaccapanni sulla parete, si fermarono. Ancora un istante, e si voltarono verso il lettino.
Olivia nascose la testa fra le mani quando li sentì avvicinarsi. Lasciare la propria giacca in bella vista sull’attaccapanni era stata una pessima idea.
-Olivia?- da sopra il lettino, la voce morbida e calma di Gene chiamò il suo nome –Va tutto bene?
Lei tirò su con il naso.
-Sì?- pigolò. La consapevolezza di quanto ridicola dovesse sembrare la situazione le fece bruciare le guance come fuoco –Ero venuta per...pensavo che tu fossi fuori.
-Ti serviva un posto tranquillo?
-...Sì.
Il ragazzo si spostò a destra per deporre lo zaino contro la parete.
-Posso venire lì con te?
Olivia strizzò forte gli occhi, sentendo una nuova ondata di lacrime bollenti premerle dietro le palpebre.
-Sì, per favore.- le scappò detto, con un tono di supplica che l’avrebbe fatta morire di vergogna, se l’avesse sentita chiunque altro che Gene.
Il ragazzo non fece una piega. Dopo un istante Olivia lo sentì chinarsi e gattonarle accanto con un leggero sbuffare. Ancora un attimo, e due braccia ferme e gentili la avvolsero, tirandola con delicatezza contro un petto caldo. Il mento del ragazzo le si posò sulla testa, permettendole di nascondere il viso nell’incavo del suo collo, sul bavero del maglione. La sua barba le fece il solletico contro la fronte.
-Ehi, cherie.- il suo tono era dolce e basso come solo quello di Gene sapeva essere –Ehi. È tutto a posto, si risolverà tutto.
-Lo so.- Olivia gli si rannicchiò contro. Cercò di ricordarsi come aveva fatto a vivere per diciassette anni della sua vita senza conoscere Eugene Delaune, ma non gli venne in mente niente –Lo so, lo so che andrà tutto bene. De-devo solo...sono so-solo u-un po’...
-Un po’ triste, eh?- il ragazzo rise piano. Olivia avvertì la vibrazione contro la propria guancia –Okay, Livi. Non c’è problema. Puoi restare finché ti va.
-Tu...tu hai da fare?
-Non ti preoccupare di questo. Adesso voglio farti compagnia, se a te sta bene.
-…P-puoi raccontarmi una s-storia?
Eugene rise di nuovo. Quel suono così leggero e rassicurante stava facendo magie per sciogliere il nodo di ansia e paura che si era coagulato nella gola di Olivia e la ragazza, che aveva pronunciato quella richiesta in fretta, sentendosi quasi una criminale, lasciò andare il respiro che stava trattenendo.
-Ma certo, cherie. Vecchia o nuova?
-Nuova, se c-ce l’hai.
-Mm-m. Beh, c’è questo audiolibro che ho ascoltato da poco, si chiama Il visconte dimezzato. È divertente, senti un po’…
Olivia si asciugò il viso, si mise comoda contro di lui e ascoltò la sua voce tranquilla narrare delle vicissitudini del visconte Medardo di Terralba, del suo piccolo nipote e della furba contadina Pamela. Gene parlava con facilità, passando a tratti al suo francese strascicato quando percepiva che l’attenzione della ragazza diminuiva. Olivia ridacchiava e gli faceva il verso con un perfetto accento parigino, finché il ragazzo non riprendeva la storia in inglese, imitando le voci dei personaggi.
Per quando Eugene arrivò alla parte finale, il sole fuori era calato del tutto e la schiena di Olivia aveva smesso di contrarsi per i singhiozzi. Seduta fianco a fianco con l’amico, la testa appoggiata sulla sua spalla nella posizione in cui si erano sistemati a metà racconto, stette a sentire assorta della partenza per mare del dottor Trelawney.
-Avrebbe dovuto portare con sé il nipote del conte.- commentò, quando la storia fu terminata.
-Può darsi.
-Così quel ragazzino è rimasto completamente da solo. Tu non credi che sarebbe stato meglio?
Eugene alzò le spalle.
-È una storia, Livi. Noi possiamo solo ascoltare come va. Ma niente ti vieta di cambiare il finale nella tua testa.
-Penso che lo farò. Mi piace l’idea di un viaggio sull’oceano.
-Già, dev’essere niente male.- il ragazzo si stiracchiò con uno scricchiolio d’ossa ben poco rassicurante e poi nascose uno sbadiglio dietro il palmo della mano -Che ore si sono fatte?
Olivia si guardò l’orologio da polso.
-Sono le otto e mezza.
-Mm.- lui annuì, pensieroso. La ragazza lo guardò, intuendo cosa gli passasse per la testa.
-Qual è l’impegno urgentissimo che ti ho impedito di svolgere?- domandò, con divertimento misto a un certo senso di colpa.
Lui alzò gli occhi al cielo e le sorrise.
-Beh, avrei dovuto filtrare la tintura madre di achillea e dividerla in dosi. Ma non importa, lo farò stanotte.
-Perciò continui con il tuo spaccio clandestino di rimedi tradizionali?
-Non sono più pericolosi dei medicinali regolari, e funzionano meglio perché non curano solo i sintomi, ma agiscono su tutto il corpo.- lui fece spallucce –Ma, soprattutto, la metà delle ragazze di Nuova Roma continua a chiedermi la tintura contro la dismenorrea. E non ho assolutamente intenzione di inimicarmi una legione di donne in sindrome premestruale.
-Quindi cosa ti sei inventato, stavolta?
-Per non farmi sequestrare i barattoli li ho nascosti sotto le assi del pavimento e poi ci ho spinto sopra l’armadio, così la cavità non fa rumore quando ci si cammina.
Una risatina incredula sfuggì dalle labbra di Olivia – un po’ per l’assurdità della situazione, un po’ per l’espressione orgogliosa con cui Eugene le aveva comunicato quella trovata.
-Un vero genio del crimine.
-Il faut ce qu’il faut, cherie*.- l’amico ammiccò, marcando di proposito l’accento della Louisiana nel suo francese dialettale. Poi tornò serio -Puoi aiutarmi a tirarli fuori, se vuoi.
-Mi stai chiedendo di diventare tua complice?
-Solo se non ti crea problemi. So che ci tieni a non metterti dalla parte sbagliata delle regole.- quando la vide esitare, si allungò e le toccò il braccio, cercando di tirarla fuori dai suoi pensieri -Ehi, io non ti giudico, cherie. Non devi farlo, se non vuoi.
-Beh…in effetti, è un po’ fuori dalla mia zona di comfort.- la ragazza si aggiustò imbarazzata i polsini del maglione. Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che parlare in quel modo fosse un po’ ridicolo. Ma gliel’aveva suggerito la psicologa, e la aiutava a farsi capire -Ma lo voglio fare.
-Ah sì?
-Ma sì. Non è niente di male.
-Ne sei proprio certa? È un passo importante. Vuoi davvero macchiare così la tua immacolata fedina penale? Compromettere la tua futura carriera tra i ranghi della legione? Tradire la gloria di Roma stessa?
Ad Olivia ci volle un attimo per capire che Eugene la stava prendendo in giro. Quando lo realizzò, sgranò gli occhi e gli assestò un pugno sulla spalla.
-Ehi, che fai, sfotti?
Lui rise, massaggiandosi il pugno colpito.
-Scusa, non ho resistito. Ma sono contento se mi aiuti. E poi sta’ tranquilla, non ci faremo beccare. Massimiano stasera è fuori servizio e Tracy, la figlia di Trivia che lo sostituisce, è una di quelle che compra la mia tintura. Allora, usciamo da qui?
Olivia annuì. Si mise in ginocchio e scivolò fuori da sotto il lettino. Alzarsi in piedi dopo tutto quel tempo là sotto le fece uno strano effetto, come se fosse stata Alice che usciva dallo specchio, o Wendy che tornava dall’Isola-che-non-c’è al pesante mondo degli adulti. Sospirò e scosse la testa, rassegnandosi: aveva passato l’età in cui le era concesso costruire fortini di cuscini e dormirci dentro finché le pareva.
Eugene strisciò fuori a sua volta e accettò la mano che la ragazza gli tese per alzarsi. Insieme sprangarono le tapparelle, poi Olivia spinse di lato l’armadio mentre Eugene lo teneva chiuso per evitare che quello che c’era dentro rovinasse a terra. Il ragazzo si inginocchiò a spostare le assi, rivelando un incavo oscuro sotto il pavimento in cui giare di vetro piene di soluzione alcolica rilucevano leggermente. Gliele passò una per una e Olivia le ammucchiò sulla scrivania scalcinata, spostando di lato una pila di cartelle cliniche. Poi il ragazzo tirò fuori anche un paio di cassette piene di flaconi scuri, con tappo contagocce.
Olivia guardò quell’infinità di boccette, poi la faccia stanca di Eugene. Pensò che la sua famiglia, credendola nei quartieri della legione, doveva già aver cenato, e che se fosse tornata a casa per dormire…beh, in quel caso avrebbe dovuto di nuovo fare i conti con Rubus.
-Ti aiuto a riempirle.- decise.
Eugene posò la giara che stava osservando in controluce e piegò la testa.
-Te ne sarei grato, ma ci vorrà parecchio. Quando le avrò vendute, però, posso darti una quota del ricavato.
-No, no, non voglio niente.- sapeva benissimo che Eugene usava quei soldi per comprarsi i libri, ma non era così priva di tatto da puntualizzarlo ad alta voce. Invece, gli mostrò un sorriso furbo –Non posso mica farmi trovare con del denaro illegale.
La faccenda, in effetti, si rivelò abbastanza lunga. C’erano da spremere bene le parti delle piante che erano rimaste a macerare nell’alcool, metterle a scolare sopra un secchio che Eugene si era portato dietro per l’occorrenza, poi filtrare la tintura per due volte con dei grossi imbuti e della carta filtrante. Ma la parte più tediosa fu confezionare le bottigliette. Erano così piccole che, per evitare di versare fuori il contenuto, si doveva riempirle con un misurino apposito, e poi avvitare i tappi il più stretti possibile. Siccome di misurini Gene ne aveva soltanto uno, si diedero il cambio nei due incarichi finché Olivia non ebbe le dita indolenzite e gli occhi rossi a furia di strizzarli sotto la luce gialla della lampadina.
-Dei dell’Olimpo, com’è possibile che ti fai dare solo tre denarii d’argento per tutto questo?- chiese, esasperata, dopo la centoventesima bottiglietta. Eugene ridacchiò davanti alla sua espressione sconvolta.
-È un prezzo onesto. Solo perché vendo medicinali non vuol dire che devo specularci sopra come il resto dell’industria farmaceutica.
-Beh, però è una faticaccia. Secondo me sarebbe onesto anche alzare a cinque denarii. Non sarai un’industria farmaceutica, ma non sei nemmeno un operaio messicano.
-Vuoi che ti racconti un’altra storia per passare il tempo?
-No, tranquillo. Per oggi, direi che hai già dato. È la terza volta in un mese che mi ospiti qui in ambulatorio, prima o poi dovrò iniziare a pagarti l’affitto.
-Non è stato un mese facile, eh?
-Già. Prima Vadoma che esce di testa, e poi…- la ragazza scosse la testa e serrò la mascella. Le parole successive le sfuggirono dalla bocca con asprezza –Poi, quegli idioti dei miei fratelli. Cazzo, con questa storia della promozione di Juniperus a centurione, Rubus sta impazzendo.
Le sopracciglia di Eugene si sollevarono per la sorpresa.
-Promuovono Juniperus a centurione della terza? Quando?
-La cerimonia ufficiale è tra quindici giorni. Ma gliel’hanno già comunicato in via ufficiosa, e lui ha accettato.- storse la bocca –Mio padre è al settimo cielo. Mamma un po’ meno…sotto sotto, credo sperasse che Juni decidesse di continuare gli studi, invece di fare carriera nella legione. Ma non glielo dirà mai. Vuole sostenerlo. Anche se è chiaro che Juniperus lo fa solo per papà.
-E Rubus invece la sta prendendo male.
-Figurati. Lui odia l’esercito almeno quanto papà lo ama. E Juni è il suo fratello preferito. Si sente tradito.
-Tu che cosa ne pensi?
Olivia sbuffò forte dal naso. Posò con poca grazia la bottiglietta che aveva in mano.
-Ho provato a parlare con Juni, ma non mi ha ascoltato. Ma se vuole fottersi il futuro per far piacere a nostro padre, sono affari suoi. E se papà è così egoista da lasciarglielo fare, questo riguarda solo la sua coscienza.- storse la bocca -Ma se Rubus prova ancora a sfogare la sua rabbia su di me, è la volta buona che lo pesto.
Anche Eugene mise da parte quello che stava facendo e si sedette a gambe incrociate, lo sguardo attento.
-Che cosa è successo?
La ragazza incrociò strettamente le braccia al petto, sentendo riaffiorare il nervosismo che era riuscita a calmare nelle ultime ore.
-Era iniziata come una bella giornata…
 
-Ah! Beccati questa!
Olivia guardò con aria rassegnata mentre Jordan improvvisava un’improbabile danza tribale, sventolando sopra la testa l’ultimo bastoncino rosso dello shangai, che aveva appena estratto dalla struttura pericolante. La sua bocca era tirata nel suo sorriso gigante: quel sorriso che gli riduceva gli occhi, già a mandorla, in due strette fessure e che era capace di rasserenare l’umore di Olivia anche meglio di una tazza di tisana calda.
–Chi è un campione? Chi è un campione? Te l’ho detto, non puoi battere un cinese a shangai.
-Sei stato bravo.- Olivia trattenne la voglia di ridere dietro una maschera di sussiego –Ma io non canterei vittoria troppo presto. Il nero è ancora in gioco. E ribadisco che lo shangai l’hanno inventato gli europei.
Il ragazzo si sedette di nuovo accanto a lei sul divano, aggiustando il mazzetto di bastoncini che costituiva il suo punteggio.
-Non è quello che diceva nonno Tao.
-Oh, allora. Che cos’è la storia per permettersi di contraddire nonno Tao?- stavolta la ragazza si lasciò scappare un sorriso. Poi zittì Jordan con un gesto della mano –Adesso lasciami concentrare.
Sapeva che lui non lo avrebbe fatto. L’espressione innocente di Jordan dichiarava le sue cattive intenzioni a chiunque avesse occhi per vedere – e gli occhi di Olivia, in particolare, erano molto abili nell’osservare il ragazzo. Perciò non si stupì affatto quando, proprio mentre sfilava con dita leggere il bastoncino nero dal fondo della precaria costruzione, uno scossone improvviso fece tremare il tavolo.
-Jodi!
-È un terremoto, Liv! Efesto è su di giri!
-Ma quale terremoto! E poi, di ‘Efesto’ potrai parlare al tuo campo greco. Qui abbiamo…
-…Vulcano, lo so, lo so. Sta di fatto che, purtroppo, la sua volontà divina ti ha fatto perdere.- il ragazzo spalancò le braccia e la illuminò di nuovo con il suo sorriso, che stavolta univa alla solita spensieratezza un che di compiaciuto. Olivia non riusciva mai a tenere il broncio di fronte a quel sorriso, e non ce la fece nemmeno stavolta: suo malgrado, anche gli angoli della sua bocca si sollevarono.
-Sei uno sporco baro!
Lui la pungolò nel fianco con l’indice.
-Però mi ami.
-Non è vero.
-Oh, andiamo…lo dici? Per favore?
-Mi hai appena sabotato, no che non lo dico!
-Falsa accusa, nego tutto. Sei tu che non sei fortunata nel gioco. Ma si dà il caso che tu sia molto, molto fortunata in…
Lo sbattere improvviso e violento della porta d’ingresso li fece sobbalzare entrambi. Un istante più tardi, Rubus entrò di gran carriera nel salotto, senza degnarli di uno sguardo. Puntava dritto verso il camino acceso, con un paio di converse blu strette in mano e uno sguardo da pazzo negli occhi azzurri.
 -Ehi, Rubus, belle scarpe.- osservò distrattamente Jordan, con la solita spontaneità. Olivia gli assestò un colpo sul braccio, ma era troppo tardi: Rubus si voltò nella loro direzione e li fulminò entrambi con un’occhiata letale quanto le saette di Zeus.
-Lui che diavolo ci fa qui?- sbraitò ferocemente, rivolto ad Olivia.
Lei desiderò potersi fare piccola piccola e scomparire. Rubus in preda ad una delle sue crisi di rabbia era una delle cose che la annichiliva di più. Non sapeva mai cosa fare per aiutarlo, e non sapeva cosa fare per evitare di venire inghiottita dalla sua furia.
Raddrizzò le spalle e prese un respiro profondo, tentando coraggiosamente di rispondere con calma.
-L’ho invitato io.
-E per quale cazzo di motivo?
-Beh, è il mio ragazzo, avrò pure il diritto di…
Rubus lanciò le scarpe contro il muro. Il tonfo risuonò con violenza, facendola sussultare.
-Ora parli come quello stronzo di papà? ‘Fanculo i tuoi diritti, Liv, non me ne frega un cazzo. Mandalo via.
-Ehi, non parlarle così.- Jordan si alzò in piedi. Appariva calmo, ma la sua voce si era fatta graffiante e, anche se il ragazzo non stava parlando con lei, Olivia rabbrividì.
-È mia sorella, le parlo come mi pare e piace.
-Io invece credo che dovresti calmarti.
-Altrimenti? Che fai, greco, mi lanci un paio dei tuoi insulti?- Rubus ormai stava parlando a ruota libera. Aggirò il divano e si avvicinò a grandi passi. Jordan non retrocedette e il ragazzo gli si fece sotto, così vicino che gli sarebbe bastata una testata per rompergli il naso. Olivia si rese conto che sarebbe finita male se non faceva qualcosa subito.
Si mise in mezzo e spinse Rubus indietro.
-Prova a toccarlo e ti faccio il culo.- lo minacciò, anche se la voce le tremava. Poi si voltò verso Jordan e lo afferrò per un braccio.
-Esci.
Lui abbassò il viso per guardarla, gli occhi sgranati e feriti.
-Cosa? Sul serio?
-Ho detto che te ne devi andare.- Olivia lo trascinò verso l’ingresso. Jordan la seguì senza protestare fino al corridoio, ma appena furono fuori dalla stanza e dalla vista di Rubus, le afferrò una mano. La guardò con aria di preghiera.
-Livi, per favore. Non voglio lasciarti da sola con lui.
‘Neanche io voglio rimanere da sola con lui’ pensò Olivia.
-Non essere drammatico. È solo Rubus, non mi farà niente.- disse, invece. Jordan non cambiò espressione.
-Non ho paura che ti ferisca. Tu puoi tenergli testa.- dichiarò, con quella fiducia che riscaldava sempre il cuore della ragazza –Ma nessuno dovrebbe farsi trattare come lui tratta te quando è arrabbiato.
Olivia deglutì e dovette fare uno sforzo per non scoppiare a piangere. ‘Non adesso’ disse a se stessa ‘non ancora, devi tenere duro.’
Strinse forte le dita di Jordan fra le sue. Si alzò in punta di piedi e lo baciò sulle labbra.
-Ti amo.- gli disse, guardandolo negli occhi –E lo capisco, che sei preoccupato. Ma Rubus è mio fratello e tu devi lasciare che me ne occupi io.
La faccia di Jordan era tesa e contratta, le sue sopracciglia corrugate in un’espressione dura che lo faceva assomigliare ai ritratti di suo padre Momo, che Olivia aveva visto in un manuale sul pantheon greco.
-Lo faccio, se me lo chiedi. Ma non mi piace per niente, cazzo.
-Neanche a me.- Olivia si sporse oltre la sua spalla e aprì la porta d’ingresso –Scusami se ti mando via così.
-Potresti non farlo.
-Jodi…
Lui scosse bruscamente una mano aria.
-Okay, d’accordo. È tuo fratello. Però è proprio uno stronzo, Liv, fattelo dire.- uscì sul vialetto –Vado all’arena. Sarò lì per un po’. Me lo fai sapere, se hai bisogno di me? Per favore. Non farti problemi, okay?
-Va bene. Più tardi ti chiamo.
-Terrò vicino il cellulare.
Lei annuì in fretta.
-Adesso vai, però.
E chiuse la porta.
 
-E lo hai chiamato?
Olivia sbuffò. Giocherellava con un flacone vuoto, facendolo rotolare avanti e indietro sotto il palmo della mano.
-Beh, prima ho dovuto impedire a Rubus di bruciare nel camino quel paio di converse. Erano le preferite di Juniperus. Sarebbe finita molto male.
Eugene sgranò gli occhi.
-Merde.- imprecò -Sul serio ha cercato di bruciarle?
-Ho dovuto prenderle al volo mentre le lanciava nel fuoco.- la ragazza scrollò le spalle –Comunque, alla fine si è calmato. E io ho chiamato Jordan.
Fece una pausa, e fu grata a Eugene per il silenzio discreto con cui attese che fosse pronta a parlare.
-Abbiamo parlato di quello che era successo. Lui…ha detto che forse mi farebbe bene allontanarmi da casa per un po’. E mi ha chiesto se voglio passare l’estate con lui al Campo Mezzosangue.
Eugene piegò la testa.
-Vuoi dire, questa estate?
-Sì. Lui torna là appena finiti gli esami, quindi a metà luglio. Rimarrà fino all’inizio di settembre.
-Oh. Beh…è una bella notizia. Era da tanto che volevi vedere il campo greco.
Olivia prese la bottiglietta vuota e provò a farla girare come una trottola.
-Non sono certa di andare, in realtà.
Gli gettò un’occhiata rapida. Eugene aveva la faccia di chi si stia trattenendo con tutte le sue forze dal parlare.
-Mm.- disse soltanto, in tono neutro.
-È che non vorrei…non voglio farlo per scappare dalla mia famiglia. Questo è un periodo difficile per noi. Rubus è un sacco sotto stress, e anche Juni, anche se fa finta di no.
-Mm.
-Non voglio andarmene quando hanno bisogno di me. È vero, sono pesanti e a volte mi sento oppressa ma…beh, sono la loro sorella. È mio compito esserci per loro.
-…Mm.
La ragazza lo guardò, esasperata.
-Solo ‘mm’? Non hai nient’altro da dire?
Eugene si grattò la nuca.
-Livi, è la tua vita, non la mia. Non ho il diritto di sparare giudizi.
-Però io ci tengo al tuo parere.
Il ragazzo sospirò.
-Forse però stavolta non ti piacerà sentirlo.
Olivia abbassò lo sguardo al pavimento. Quelle parole non promettevano bene.
-Tu dimmelo lo stesso.- insisté però, cocciuta.
-Okay.- Eugene alzò le spalle –Beh, io penso…che non è la tua presenza che potrà fare la differenza.
Aveva ragione, si rese conto Olivia. L’idea non le piaceva per niente.
-Ma se tu ti fai sempre in quattro per tutti!
-Io lo faccio per me stesso.- corresse con pazienza il ragazzo, senza prendersela per il suo tono brusco -Perché aiutare gli altri è quello che mi fa stare bene. Ma non ho la pretesa di essere la persona che li aggiusta. La storia di ognuno è molto più complessa di quanto io, o tu, possiamo anche solo capire. Non potremo mai risolverla.- fece una pausa e si sporse per stringerle piano una mano –Lo so che ci tieni alla tua famiglia, cherie. È una bella cosa. Ma ho l’impressione che tu…che tu, a volte, viva la tua vita in funzione della loro.
La ragazza ritrasse le dita dalle sue e si tirò le ginocchia al petto, stringendole forte con le braccia.
-Non è così. Ti sbagli.
Eugene alzò le mani aperte.
-Ti dico soltanto quello che penso. Giudica tu se è vero o no.
-Io non pretendo di fare la differenza. Io voglio solo aiutarli.
-Sì, però per farlo sacrificheresti una cosa di cui ti importa moltissimo. Scusami se insisto, cherie.- le rivolse uno sguardo di scuse –Ma è da quasi un anno che tu e Jordan fate piani per visitare il campo mezzosangue insieme. E ora vuoi rinunciarci perché Rubus fa i capricci?
-Non sta…
-Voleva lanciare le scarpe di Juniperus nel camino.
Lei saltò in piedi con un verso di irritazione.
-Okay, d’accordo. Rubus non è un modello di maturità.- ribatté, gesticolando -Ma non è che questo mi giustifichi ad abbandonarlo.
-Livi, ha vent’anni, è un adulto. Andartene per un mese e mezzo non è abbandonarlo. È vivere la tua vita, e lasciargli vivere la sua.- puntualizzò con calma Eugene -Io me ne sono andato da casa a sedici anni per venire qui. Ma mia madre e mia nonna non hanno pensato nemmeno per un secondo che le stessi abbandonando. Mi hanno aiutato a preparare le mie cose, siamo andati a in città a prenderci un gelato insieme, e poi mi hanno accompagnato al treno per dirmi buona fortuna. E tutto questo anche se mia madre non era per niente d’accordo sul fatto che venissi a Nuova Roma.
-Okay, quindi tu hai una famiglia perfetta. Buon per te!
-Non era questo che volevo dire.
-E cosa, allora?
-Che ad un certo punto bisogna andarsene. Prendere una decisione per se stessi e costruire qualcosa da soli, o con le persone che abbiamo scelto. È normale, ed è bello. Anche se all’inizio fa paura.
Olivia si strinse le braccia attorno al torso. Si sentiva come se le parole di Gene la stessero spingendo in un angolo, mettendole di fronte l’assurdità dei suoi ragionamenti. Non era una sensazione facile da sopportare.
-Perché adesso parli di paura?
Eugene le sorrise. Sul suo viso c’era quella dolce, tenera determinazione che, dopo cinque anni che conosceva il giovane medico, Olivia aveva imparato a temere e stimare in parti uguali.
-Dimmi la verità, Livi. Sei davvero così convinta che la tua famiglia non possa fare a meno di te? O sei tu che non vuoi lasciarli, perché se lo fai dovrai avventurarti in qualcosa di del tutto nuovo?
La ragazza premette la fronte sulle proprie ginocchia e scoppiò di nuovo a piangere.
 
Erano le tre del mattino quando Eugene e Olivia uscirono finalmente dall’ambulatorio. Le stelle brillavano bianche su Nuova Roma, come diamanti intessuti in una coltre di velluto. Faceva freddo, per una sera di primavera.
-Vieni a dormire ai quartieri della legione?- Eugene si strinse nel suo vecchio cappotto, affondando il mento nel bavero. Olivia annuì.
-Sì. Non sto più in piedi, non ce la faccio a camminare fino in città.
Tra i due pianti che si era fatta e il lavoro infinito di chiusura dei flaconi, sentiva la testa pulsare come se le stessero scavando un cratere dietro gli occhi. Gene la prese a braccetto – più per riscaldarsi, sospettò Olivia, che per confortare lei – e si incamminò con lei verso il dormitorio della quarta coorte.
-Mi dispiace averti fatto piangere.
-Ti ho chiesto io di dirmi come la pensavi.
-È vero, ma il rancore non è sempre razionale. Sei sicura che non ce l’hai con me?
Che diamine aveva fatto per meritarsi un amico così? Olivia gli strinse il braccio e gli appoggiò la testa su una spalla, facendoli sbandare appena.
-No, Gene.- mugugnò, incapace di tradurre in parole l’ondata di affetto e gratitudine che l’aveva invasa–Non ce l’ho con te.
Il medico ricambiò la stretta. Olivia percepì che stava sorridendo.
-Okay, Liv.
E se ne andarono, camminando vicini come sanno fare gli amici più stretti.
 
 
 
 


 
 
Traduzione:
*”Si fa quello che si deve fare”
 
   
 
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