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Autore: Guido    02/11/2022    2 recensioni
Il 1 settembre 1998, Harry, Ron e Neville si presentano al Ministero, per iniziare l'addestramento come Auror. Nessuno dei tre ne è entusiasta, Harry meno degli altri, e l'accoglienza che ricevono è glaciale. Ma sotto la guida di un supervisore inflessibile, nella caccia agli ultimi Mangiamorte, come nel tentativo di risolvere vecchi casi della prima guerra (tra cui l'omicidio dei nonni Evans), il Ragazzo Sopravvissuto riscopre la propria vocazione. In più, una figura misteriosa gli affida un libro di magia altrettanto misterioso, promettendogli poteri sconosciuti... Prima di quattro fic in programma, racconta gli anni 1998-2007, dal primo giorno di Harry all'Ufficio degli Auror fino a quando (gli amici ormai passati ad altre carriere) ne diventa il Direttore.
Genere: Angst, Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Vari personaggi | Coppie: Hannah/Neville, Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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LEGGI, DECRETI E VESTITI

Leggi, decreti e vestiti


Ringraziamenti:
Scusatemi, contavo di poter aggiornare molto prima, ma il mio tempo libero è stato risucchiato da una serie di impegni di scrittura di altro genere, poi ci si è messo anche il lavoro... Però eccomi qua, stavolta non intendo sparire per anni. Giuro.
GYHoggy2020: Sono perfettamente d'accordo con te per quanto riguarda Neville, secondo me ha potenzialità che non sono state sfruttate abbastanza; mi piace pensare che, se a undici anni aveva il coraggio di opporsi agli amici, nel frattempo lo abbia sviluppato in qualcosa di meno, ehm, fallimentare lì per lì! Su Robards direi che scoprirai qualche dettaglio in più proprio in questo capitolo, quindi non anticipo nulla. Ma solo dopo il cap. 9 i contorni del personaggio saranno più chiari.
Sai, non ci avevo pensato ma hai ragione, il rapporto tra Harry e Kingsley ricalca molto da vicino quello con Silente con i relativi problemi, però un tantino in peggio, perché entrambe le parti sono a corto di fiducia e pazienza. Sappiamo tutti che Harry non finirà licenziato e Kingsley non si beccherà un'Avada, tuttavia non so davvero se, come e fino a che punto riuscrranno a sbrogliar la matassa. Un po' per volta, suppongo.
Considerato che Ron e Neville non proseguiranno, forse dovrò trovare un modo per scioglierli dai Giuramenti... mumble mumble, ci devo pensare. O magari si resta sempre Auror anche se “in sonno”? Come alternativa non è male.
Troverò spazio anche per i “problemi sessuali”, dopotutto sono pur sempre tre adolescenti... Ecco, da questo punto di vista non sappiamo proprio nulla sul conto di Neville, immagino che mi dovrò inventare qualcosa. Si accettano consigli.
fenris: Grazie mille dell'apprezzamento, lo ricambio di cuore.
E adesso la parte “archeologica”, i ringraziamenti che datano alla fase di stesura.
Nulla batte Pally l'impavida, nulla la frena nella meticolosa e sempre graditissima revisione... e nulla batte l'ignavia di Joe, a suo modo altrettanto stimolante giacché riconquistarne l'attenzione è una vera sfida. Li ringrazio ogni volta, ma non li ringrazierò mai abbastanza.
A questo giro, la citazione introduttiva è dedicata alle burocrazie di ogni epoca, Paese o Mondo Magico.


«Non ho detto che si trattava di una matita rossa, ed è per questo che ha tracciato segni tanto neri. Ho detto che si trattava di una matita relativamente rossa, o che somigliava a una matita rossa, rispetto a quanto sosteneva Wotton, e cioè che si trattava di una matita blu; ed è proprio per tale motivo che faceva segni così neri.»

[G.K. Chesterton, I paradossi del signor Pond – Pond il Pantalone]



L'indomani, alla riunione del mattino, Harry parlò.
Lo fece proprio alla fine, dopo l'ultimo intervento, quando Robards stava per chiudere.
«Scusate» disse, alzando istintivamente la mano come a scuola, «ditemi se ho capito il quadro generale. Stiamo ancora inseguendo quattro o cinque Mangiamorte, non di più: gli altri sappiamo che sono morti o ad Azkaban. Giusto?»
«Giusto» confermò il Direttore, che per una volta sembrava incuriosito anziché infastidito.
«A parte qualche branco di Dissennatori qua e là, sembra che ci siamo liberati anche delle Creature Oscure.» Tranne che a Deviant Alley, aggiunse tra sé e sé. «Ci resta tutta la rete dei simpatizzanti e fiancheggiatori di Voldemort, quelli che – senza essere affatto sotto Imperius, precisiamo... – lo hanno aiutato a rafforzarsi e a prendere il controllo del Ministero. Giusto?»
«Sì» rispose Robards, ancora tranquillo. «Ma dove vuoi arrivare?»
«Avrei due domande, signore.»
«Non rivolgerti a me, Harry, ma a tutti quanti. Forza, sentiamo queste due domande.» Il luccichio nei suoi occhi sembrava perfino divertito.
«Ehm... d'accordo, grazie. La prima è: qual è il nostro piano? Insomma, voglio dire... finora non mi è sembrato di vedere qualcosa di... di coordinato, ecco.»
«E per un'ottima ragione, credimi. I nostri soggetti si dividono in due categorie: quelli in fuga e quelli che tengono la testa bassa. I primi non sono in grado di coordinarsi, dobbiamo cercarli e stanarli uno per uno; quindi, tutto il coordinamento che serve è questo che vedi in riunione. Gli altri... Williamson, vuoi spiegarglielo tu? Immagino che interessi anche alla tua recluta.»
Neville, che aveva l'aria distratta, ricevette una gomitata dal suo supervisore, che tuttavia proseguì il discorso senza esitazione. «In realtà, è molto semplice. Quelli che non sono già scappati sperano di cavarsela evitando di dare nell'occhio... ma, diversamente dagli altri, potrebbero coordinarsi. Anche solo per organizzare una fuga di gruppo. Quindi, pure noi cerchiamo di non dare nell'occhio, di preparare i nostri casi...»
«Per questo non abbiamo ancora arrestato nessuno, all'interno del Ministero?» lo interruppe Ron. Tutti gli sguardi furono su di lui e arrossì. «Scusate» borbottò «me l'ha detto mio padre.»
«In realtà non è esatto» commentò la Stuart, tranquillamente. «Dolores Umbridge, ad esempio, è sotto processo e un po' tutto l'organigramma di quella... vergognosa Commissione sta rischiando grosso.»
«Ma per quanto riguarda la maggior parte dei dipendenti ministeriali che ha collaborato alle politiche di O' Tusoe,» riprese Williamson, «vale la regola di prima: appurare le responsabilità individuali senza metterli tutti in allarme.»
Harry avrebbe voluto chiedergli: Giusto per sapere... qua dentro, in quest'Ufficio, chi ha accertato la responsabilità di chi?!
Ma la domanda rimase a ustionargli la punta della lingua e la riunione si concluse senza ulteriori sorprese.
Forse, dopotutto, stava imparando a controllarsi. Giusto un pochino.
Però non era del tutto sicuro che fosse un bene.

Benché non fosse poi così frequentata, l'Accademia di Magisprudenza occupava un edificio enorme, ben mimetizzato nel quartiere di Chelsea. Harry continuava a trovare strano quel sovrapporsi di realtà magica e Babbana, così tipico di Londra: usciva dalla metropolitana come tutti gli altri, ma entrava in un posto che, a parte lui, forse vedevano soltanto Ron e Neville. Con il Paiolo Magico e Diagon Alley ci era abituato; vivere così la vita di tutti i giorni, però, era un'altra faccenda...
«Pare che i Babbani la scambino per la villa di un miliardario russo» commentò Neville, al suo fianco, ammirando le colonne doriche e il grande frontone neoclassico su cui campeggiava l'iscrizione “Cupidae Legum Iuventuti”.
«Non so come siano le ville dei miliardari russi» ribatté Ron, «ma di sicuro sembra un posto grandioso. Dite che ci sarà anche una mensa, o per il pranzo ci dovremo arrangiare?»
Una bella domanda, in effetti, tanto più che si trovavano in una zona sconosciuta della città. Forse avrebbero fatto meglio a prendere l'abitudine di pranzare al sacco; Kreacher ne sarebbe stato indubbiamente entusiasta.
«Potremmo semplicemente Materializzarci a casa» osservò Neville.
Materializzazione. Già. Un'altra cosa a cui si doveva abituare: spostarsi da qui a lì non era più un problema. Proteste delle sue budella a parte.
«Credo che Kreacher non abbia preparato nulla: gli ho detto di non aspettarci.»
Ron espresse un certo disappunto, ma, sempre discutendo sul pranzo, presero comunque a salire lo scalone di ingresso.
L'atrio dell'edificio era gigantesco - soffitti e pareti affrescati con soggetti che Harry non sapeva riconoscere - ma non si vedeva anima viva. Dovettero percorrerlo fino in fondo, per trovare una sorta di guardiola e una strega di mezza età, con un vistoso porro sul naso, che li indirizzò alla loro aula... e non furono indicazioni semplici da seguire.
«Ha detto di svoltare a sinistra prima o dopo i ritratti degli Stregoni Capo?» sbuffò Ron alla decima rampa di scale.
«A me sembrava “tirare dritto oltre i ritratti degli Stregoni Capo”» obiettò Harry. «Potremmo chiedere a loro, però. Scusate...»
Pessima idea: i ritratti parlavano soltanto in latino o in uno strano gergo che sembrava francese. Tirarono dritto e, dopo un altro quarto d'ora tra corridoi e ambulacri, trovarono finalmente l'aula Dupondii, dove un vistoso cartello a caratteri color carminio annunciava il corso di “C. Crawley – Introduzione generale al Diritto Magico”.
«A quanto pare» notò Neville «siamo in anticipo.»
«Così pare.» Il luogo era ancora pressoché deserto: sembrava che gli altri studenti stessero appena cominciando ad arrivare.
Per sicurezza, comunque, si tennero ben stretto il Facies Nebula e scelsero posti verso la metà dell'aula.
Un po' per volta, quel grande rettangolo vuoto cominciò a popolarsi; alla fine, Harry stimò che dovesse esserci un centinaio di persone circa, anche se l'aula ne avrebbe potuto contenere tranquillamente il doppio.
Da un lato, si sentiva un po' tornato a scuola; dall'altro, era tutto diverso. Niente Case, niente uniforme di Hogwarts – anzi, un mucchio di uniformi diverse per i vari uffici del Ministero, oppure sgargianti abiti civili – e zero possibilità di stringere amicizia. Non con il Facies Nebula, non con tutti gli altri impegni... Insomma, c'era un che di strano, quasi di stonato.
Infine, Caractacus Crawley fece il proprio ingresso. Harry, però, sul momento non lo capì: visti i titoli dei suoi libri, si era aspettato un vecchio bacucco con la parrucca e scambiò quel tipo disinvolto, al massimo quarantenne e abbigliato in modo informale, per uno studente ritardatario. Almeno finché non salì alla cattedra: a quel punto, si diede dell'idiota per non aver notato che, al suo arrivo, il brusio era calato di colpo.
Crawley estrasse dalla borsa di cuoio tre o quattro volumoni dall'aria molto minacciosa, li stette ad osservare per un secondo o due, quindi si raddrizzò e, con un sorriso, attaccò a parlare.
Tutti gli studenti, intorno a lui, sembravano già pronti a prendere appunti; Harry si affrettò a tirar fuori piuma e pergamena. Il gesto familiare non fece che accrescere il senso di spaesamento, ma si sforzò di seguire.
«Buongiorno, signore e signori. Come ogni anno - ma qualcuno di voi per il secondo o terzo anno di fila... – benvenuti al corso che l'Accademia di Magisprudenza destina, in modo particolare sebbene non esclusivo, ai nuovi dipendenti del Ministero della Magia. Mi fa molto piacere annunciare che si sono uniti a noi anche i giovani Auror: a quanto pare, il Ministro Shacklebolt si è convinto che abbiano bisogno di qualche dritta in più su come distinguere i buoni dai cattivi.» Le risate suonarono un po' forzate. «Non vedo i nostri giovani eroi... ma forse è meglio così: non gradisco le distrazioni nella mia aula. Quindi, signori Weasley, Paciock e Potter, se siete qua travestiti, ottima idea, avete la mia espressa approvazione; se invece non ci siete, be'...» Fece spallucce. Qualcuno ridacchiò.
Harry guardò la sua penna, dubitando che potesse servirgli, visto il tenore del discorso. Ma nessuno degli altri accennava a riporla.
Crawley riprese: «Il corso, come sapete, ha preso il nome di Introduzione generale al Diritto Magico: vi spiego il perché, così capirete qualcosa dei suoi obiettivi e del metodo che seguiremo.
Tutti voi, a Hogwarts, avete già imparato molto sulle leggi che regolano l'uso della magia, però sempre all'interno di altri corsi, in particolare Difesa contro le Arti Oscure. Probabilmente sapreste recitarmi a memoria un bell'elenco di Maledizioni illegali, magari anche con le relative pene. E va benissimo, intendiamoci. Ma se con ciò pensate di conoscere il diritto magico, vi sbagliate di grosso: nonostante queste nozioni sparse – anzi, proprio perché sono solo nozioni sparse – vi serve un'introduzione generale.
“Generale”, badate bene, in due sensi: da un lato, non entreremo troppo nel dettaglio delle materie particolari, che ciascuno di voi approfondirà, anche sul piano giuridico, presso l'Ufficio cui è addetto; dall'altro, quel che imparerete qui vi servirà a dare senso alle diecimila leggi e leggine con cui dovrete destreggiarvi, nonché a risolvere – per quanto possibile, s'intende – i mille dubbi che vi verranno in mente quando dovrete interpretarle e applicarle.
Il termine “diritto” presenta tre accezioni ben distinte: anzitutto, e tra un momento capirete perché io preferisca cominciare da questa, diritto soggettivo, ossia ciò che spetta a ciascuno, ciò che è giusto che Tizio abbia e che, se gli viene negato, può ottenere tramite l'intervento dell'autorità. Quindi, l'accezione forse più comune: diritto oggettivo, la congerie sterminata delle leggi e leggine. Infine, quello che sostanzialmente studierete qui: la scienza giuridica, ossia il metodo che vi permette di riconoscere o, secondo alcuni, di creare un ordine in quella stessa congerie. Un ordine che, anche se non tutti sono d'accordo, per me è improntato soprattutto alla definizione precisa e, quindi, alla miglior tutela dei diritti soggettivi. Un autore Babbano ha scritto: Legum omnes servi sumus, ut liberi esse possimus.» Il latino provocò un certo scalpore, che Crawley ignorò. «Mi trovo perfettamente d'accordo: lo scopo ultimo della sottomissione alle leggi, per quanto ciò possa sembrare paradossale, è proprio la sicurezza della libertà individuale. Vorrei aggiungere, però, che tutte e tre le accezioni del termine “diritto” sono accomunate da una connotazione emotiva favorevole. Questo non è affatto casuale: gli esseri umani non vogliono semplicemente essere liberi o sicuri, vogliono agire sentendosi nel giusto. Ricordatevelo bene e ricordatevelo sempre, perché perfino i Mangiamorte avevano una loro idea di giustizia.» Stavolta si fermò e attese che i borbotti si placassero.
«Il corso sarà diviso in due parti. Nella prima, sperando di rendervi più facile lo studio, cercherò di riassumere almeno i punti principali del testo da cui partiremo, cioè il Compendio storico-sistematico... ma vi avverto in anticipo che gli appunti delle lezioni non vi basteranno e che dovrete mandare a memoria un bel po' di nozioni libresche. Tuttavia, secondo me è del tutto inutile che mi spiattelliate la data esatta del Decreto Vattelapesca, o le sue esatte parole, se non riuscite a padroneggiare gli elementi essenziali della scienza giuridica: il metodo e i princìpi. A questi dedicheremo la seconda parte del corso e, ve lo dico fin da ora, a quel punto ogni lezione vi vedrà coinvolti in esercitazioni pratiche; solo se mi dimostrerete di sapervela cavare alla prova dei fatti sarete ammessi all'esame. Chiaro?» Qualche testa annuì, ma i più sembravano completamente persi. Crawley fece una smorfia, come se non si fosse aspettato nulla di meglio.
«Quando parlo di “metodo”, intendo, in buona sostanza, quella che per i profani è l'arte del cavillo. Conoscete anche voi, no, il pregiudizio nei confronti degli avvocati? Difendono i peggiori criminali, si rigirano le parole come vogliono... Ebbene, vi piaccia o meno» - strinse le labbra - «dovrete imparare l'arte del cavillo, che poi è la capacità di mettere in luce tutti i possibili significati di un testo, o i risvolti di una situazione di fatto, perché la prima impressione può perfino essere giusta (e non è detto, badate bene, non è affatto detto!), ma da sola non basta: alla verità, alla giustizia, si arriva soltanto alla fine. Alla fine di che, mi chiederete? Di un percorso e di un lavoro che il popolo bove – quelli che “Ma certo che è colpevole, lo sanno tutti!” - non immagina nemmeno. E se non siete disposti ad accettare, almeno per un momento e come ipotesi, che “quel che sanno tutti” in realtà sia sbagliato, che il peggiore dei colpevoli sia innocente e che gli stessi fatti si possano vedere in modi molto diversi... be', sarò franco: non credo che supererete il corso. Non importa se non farete mai gli avvocati: dovrete essere in grado di farlo, se non altro perché tocca proprio ai dipendenti del Ministero difendere la posizione del loro Ufficio – e anche il loro stesso operato – quando sorgono contestazioni davanti al Wizengamot. La scelta su come impiegare quel che imparerete qui sarà vostra e soltanto vostra; io esigo semplicemente che lo impariate.
Lo stesso discorso vale per i princìpi, che sono poi il fondamento del sistema. Io non pretendo che li condividiate, che rispecchino il vostro sentimento di giustizia: mi basta che dimostriate di capirne la logica e di saperci lavorare. Anzi, vi preannuncio che chiederò a qualcuno di voi di sostenere tesi contrarie a questi princìpi, per esempio l'inutilità dello Statuto di Segretezza...»
«Come?!» esclamò qualcuno due o tre file più avanti.
«Qualcuno resta scioccato un anno sì e l'altro pure. E dire che abbiamo appena avuto un governo contrario allo Statuto... Sì?» aggiunse Crawley, indicando una mano scattata su come una molla.
«O' Tusoe non era un vero Ministro della Magia!» sparò il proprietario della mano, tutto d'un fiato.
«Interessante» commentò il professore; e perfino a quella distanza Harry Potter gli notò un luccichio pericoloso negli occhi. «Qualcuno sa dirmi come distinguiamo i Ministri veri da quelli falsi? E, tra parentesi, se quello di O' Tusoe non era un governo... allora cos'era
Cadde un silenzio generale.
«Purtroppo, signore e signori, non possiamo affrontare la questione direttamente, almeno non adesso: a troppi di voi mancano troppe nozioni. Innanzitutto, nozioni storiche, visto che Hogwarts non si decide a mandare in pensione Rüf. Quindi, per prima cosa, preparatevi a far fondere le vostre piume scrivendo tutto quello che non avreste mai voluto sapere sulla nascita del governo e della legge dei Maghi.»

Tre ore e mezzo dopo, quando infine nella grande aula cadde il silenzio, si vide che Crawley non aveva esagerato: più di una penna fumava per davvero.
Harry si massaggiò il crampo al braccio, cercando di riprendersi da quella tempesta di nozioni e concetti. Vaghe reminiscenze di Storia della Magia gli si affollavano in testa, ricomparendo da recessi del cervello che neanche sapeva di possedere... e intuiva per la prima volta la vastità del danno che sei anni di non-insegnamento della materia gli avevano arrecato.
«Ma quindi,» stava chiedendo Neville a qualcuno davanti a loro, «hai scritto anche tu così? Il Ministro potrebbe tuttora essere eletto...?»
«“Per acclamationem”» confermò l'altro. «Quando il Wizengamot offre la carica a qualcuno in tempo di emergenza - o nomina un Ministro provvisorio, come ha fatto con Shacklebolt - di solito lo sceglie tramite votazione formale, ma può farne a meno se i membri della Corte si alzano ad acclamare un solo nome.»
«Tutti?» chiese Ron, dubbioso.
«Io ho scritto “l'unanimità morale”» intervenne Harry, che a sua volta era rimasto molto colpito da quella strana idea. «Chissà che vuol dire...»
«Significa “a occhio, più o meno tutti”» rispose lo studente sconosciuto, con un sorriso. «Eri a Corvonero anche tu? Non mi pare di averti mai visto prima...»
«Uh, ah, io... no, Grifondoro. Ma ho lasciato prima dei M.A.G.O.»
«Veramente? Sembri bravo a prendere appunti.»
«Ah... grazie» rispose, sbalordito di poter essere scambiato per un Corvonero.
Intorno a loro, l'aula si stava svuotando e il loro interlocutore chiese: «Voi tre siete insieme?»
«Sì» rispose Neville, notando l'imbarazzo crescente di Harry.
«Buona idea, aiuta a tenere il passo con lo studio, sapete. O così dicono.» Abbassò gli occhi, improvvisamente vergognoso. «Io sto ripetendo il corso...»
«Ma se si vede lontano un miglio che sei un secchione fatto e finito!» proruppe Ron.
«Ehm... grazie, ma non basta. Soprattutto non quando devi anche lavorare sul campo con le Creature Magiche.»
A quel punto, sembrò che volesse chieder loro di che Ufficio fossero... e che se ne dimenticasse un attimo dopo.
Un effetto in più del Facies Nebula, si disse Harry, o forse del fatto che non vedere bene le espressioni degli interlocutori scoraggiava molto la comunicazione: in entrambi i casi, un punto per Hermione e il suo Incantesimo. Si ripromise di dirglielo, alla prima occasione.
Scambiarono ancora qualche battuta con il tizio e lo salutarono; indi, il trio in incognito – appurato con disappunto che l'Accademia non forniva servizio mensa - si mise senza indugio alla ricerca di un pranzo.

Una delle cose positive che Harry stava scoprendo della vita londinese era la facilità di trovare posti dove mangiare. Anche se non proprio economici: forse sarebbe dovuto andare a cambiare qualche Galeone in più...
In effetti, gli sembrava che un Galeone dovesse valere molto più di cinque sterline circa, anche solo per l'oro che conteneva. Ma, dopotutto, non poteva dire di saper nulla di queste faccende.
Comunque, gustarono un pranzo molto gradevole in un ristorantino indiano nemmeno troppo distante dall'Accademia e Ron smise di brontolare sull'ingiustizia rappresentata dalla mancanza di una mensa. Non che avesse tutti i torti, beninteso: sarebbe stato più pratico.
Mentre aspettavano il dolce, a Harry tornò in mente la proposta di Grassley. Sperava di riuscire a passare dal negozio più tardi, magari una volta uscito dal lavoro; ma si rese conto di non sapere l'orario. Gli venne anche il dubbio che non rispondere a quel biglietto potesse essere considerato maleducazione.
«Uhm... Neville?»
«Sì? Dimmi.»
«Credi che dovrei rispondere a Grassley per dirgli che passerò da lui verso sera? Pensavo di farlo e basta, ma... non so, mi sembra un tipo formale.»
«Se ben ricordo, si è firmato con Esq., no? Non lo fa quasi più nessuno, ma significa senz'altro che aspetta una risposta scritta e anche... come dire... una di quelle dove firmi con tutti i tuoi titoli.»
«Titoli, io?! Ma non ne ho!»
«Be'» osservò l'amico, soprappensiero, mentre Ron attaccava il dolce senza pietà, «se fossi già un Auror a pieno titolo, potresti usare la W....»
«Come i membri del Wizengamot? E che c'entra con me?!»
«Sì, è la stessa W., ma non sta per Wizengamot, sta per Warlock, il mago esperto di duelli e combattimenti. Il titolo spetta a tutti i membri della Corte, ma oggi lo usa solo lo Stregone Capo.»
Harry non ebbe neppure il tempo di commiserarsi per la propria ignoranza in materia di etichetta magica, che Neville si batté una manata sulla fronte. «Che scemo che sono! Certo che hai un titolo! Nientemeno che l'Ordine di Merlino, Prima Classe! Altro che W.!»
Così, stando attenti a non farsi notare dai Babbani, elaborarono una breve risposta dove Harry chiedeva se potesse passare verso sera, purché non diventasse troppo tardi per il signor Grassley, e si firmava “Harry James Potter (O.M., 1 Cl.)”.
“Harry James”. Non aveva usato quasi mai il secondo nome, ma gli piaceva come suonava.
Anche “Harry J. Potter” poteva andare, ora che ci pensava. O perfino “H.J. Potter”, perché no?
Qualunque cosa, pur di non chiamarsi “Harry Potter”.
Nessuno dei tre aveva un gufo dietro, naturalmente: Leotordo aveva seguito Ron a Grimmauld Place, ma Harry non aveva ancora sostituito Edvige e Neville, dopo Oscar, diceva di aver chiuso del tutto con gli animali. Peraltro, il gufetto sovreccitato sembrava poco adatto a recapitare una lettera formale e, comunque, Materializzandosi a casa, anche solo per il tempo di spedirla, Harry avrebbe sovreccitato pure Kreacher... Dopo una breve discussione, entrarono in un vicoletto in ombra e si Smaterializzarono.
L'Ufficio postale di Diagon Alley, molto più grande di quello di Hogsmeade, gli noleggiò un gufo espresso, con tanto di uniforme, per sei Zellini appena; Harry, però, non poté fare a meno di pensare che stava spendendo più di quanto non avesse mai fatto in vita sua.
Esattamente, quanto dovrei guadagnare al mese?
Si accorse di non ricordarlo.
Forse sarebbe stato meglio rileggere il contratto, alla prima occasione...
Rimuginò sulle vaghe, eppur pressanti preoccupazioni economiche mentre si affrettavano verso il Ministero; dello stipendio, per quanto si sforzasse, rammentava solo che gli era sembrata una cifra ridicola. Forse avrebbe fatto meglio anche a controllare il livello del suo forziere... Quella Firebolt non era stata una grande idea, probabilmente, e con i problemi che aveva con i folletti... Oh, giusto, la notifica!
Se ne ricordò proprio mentre entravano in ascensore; si scusò con gli amici e si diresse – chiedendo indicazioni un paio di volte lungo la strada – all'Ufficio per le Relazioni con i Folletti. Infine, si trovò dinanzi a uno sportello di accoglienza al pubblico e a un mago dall'aria molto, molto svogliata.
«Dica» biascicò quello, senza neanche guardarlo.
«Ehm... buongiorno, io... dovrei ritirare un documento...»
«Che genere di documento?»
«Uhm... boh, una richiesta di risarcimento, credo...»
Improvvisamente, l'impiegato parve attentissimo: lo squadrò bene in faccia... e scomparve nel retro, senza dirgli, o lasciare a lui il tempo di dire, una sola parola.
Ma che diavolo succede?!
«Stupeficium
Schivò d'istinto, gettandosi a terra e rotolando su sé stesso, ancor prima di aver capito da dove provenisse l'attacco.
Tre maghi. Entrati dietro di lui, sembrava. Pronti ad attaccare. Di nuovo.
Tre contro uno, alle spalle, senza preavviso?!
Questi sono Mangiamorte!

Balzò in piedi proprio mentre altri tre Schiantesimi saettavano verso terra; li colse alla sprovvista e gli bastò un attimo.
Spedì il primo per aria con un bel Levicorpus.
Pietrificò il secondo.
Il terzo urlò: «Ministero della Magia! Ti dichiaro in arresto!»
«Ma vaffanculo!» gli urlò d'istinto, mentre parava una Maledizione particolarmente brutta. «Io sono un Auror!»
«Sì, e io sono Babbity Rabbity!»
«Chi?!» domandò, parando un nuovo attacco e schivando la fattura che il primo attaccante, in qualche modo, era comunque riuscito a scagliargli contro.
«Mi pigli per il culo? Confringo
Harry si chinò e il banco dello sportello alle sue spalle fece una gran brutta fine. «Impedimenta
Bloccato. Cazzo. Non si poteva permettere Incantesimi verbali.
E adesso erano di nuovo tre contro uno.
Il terzo, che doveva essere il capo, gli intimò: «Non opporre resistenza e non ti faremo alcun male. Subirai un regolare processo.»
«Processo?!» sbottò, sul punto di mettersi a ridere. «Oh, come no, me lo immagino...» Il primo – forse impaziente, forse incazzato per la magra rimediata – tentò un attacco... e di colpo gli furono addosso tutti insieme.
Parò, schivò, si gettò di lato... e rispose.
«Expelliarmus
L'Incantesimo di Disarmo li colse completamente alla sprovvista: tre bacchette gli volarono in mano.
«Molto bene» commentò, con un po' di fiatone. «Adesso, quasi quasi, direi che io arresto voi... credo che sia il mio lavoro, in effetti. Non ne sono del tutto sicuro...»
«Il tuo lavoro!» La sconfitta non aveva fatto sparire il disprezzo dalla voce del capo. «Pensavamo fossi una spia della Skeeter, ragazzino, ma duelli troppo bene: devi essere un Mangiamorte.»
«Un Mangiamorte io?! Ma non vedi chi...»
E a quel punto capì.
Oh porca puttana...
Si batté una manata sulla fronte e lasciò cadere il Facies Nebula.
Tre paia di occhi lo fissarono esterrefatte.
Di colpo, si sentì preda di un profondo imbarazzo.
«Ehm...» borbottò «scusate, mi sono dimenticato... sapete, è un Incantesimo che uso là fuori per non essere... sì, insomma, per non essere riconosciuto... Sono appena rientrato dalla pausa pranzo e mi sono scordato di levarlo.»
Il capo sbatté le palpebre un paio di volte, come se ancora non credesse ai suoi occhi. «Quindi... tu sei veramente Harry Potter?»
«In persona. Sono qui per...»
«Jones!» urlò l'altro, a pieni polmoni.
L'impiegato di prima riapparve tremebondo, tra i resti contorti di quello che era stato il suo sportello. «S-sì?»
«Prima di far scattare l'Allarme Uno, pezzo di imbecille, per caso hai chiesto nome e cognome...?»
«Nome e cognome?!» Pareva che quel tipetto un po' ingobbito non l'avesse ancora riconosciuto. «Qualcuno di palesemente camuffato viene a ritirare la notifica del signor Potter, può solo essere un intruso.»
Harry tossicchiò. «Ehm... forse potrei essere... me stesso
Finalmente, Jones lo mise a fuoco... e sgranò gli occhi. Ma un momento dopo tornò alla carica: «E chi mi assicura che non sia un intruso sotto Polisucco, eh?!»
«Senta...!»
«Aspettate un momento» intervenne un altro dei tre. «Il vero Harry Potter lavora al Ministero, giusto?»
«Giusto» convennero tutti.
«Allora verifichiamo gli Incantesimi Segnapresenze: se è entrato per davvero, lo hanno marcato di sicuro.»
Harry aggiunse gli Incantesimi Segnapresenze alla lista di cose che non sapeva del suo nuovo lavoro. Ma evitò di dirlo a voce alta.
Uno dei tre si allontanò per controllare i registri o qualunque altra cosa andasse controllata; la tensione si allentò leggermente, ma restavano tutti in guardia. Jones bofonchiava qualcosa del tipo “Non si è mai abbastanza sicuri” e “Ci vanno di mezzo le mie chiappe, non so se mi spiego”.
«Uhm...» disse, cercando di rompere il silenzio, «quindi voialtri, a conti fatti, chi sareste?»
«Squadra Speciale Magica» rispose il capo. «C'è un allarme predisposto casomai qualcuno tentasse di procurarsi informazioni su Harry Potter... per ovvie ragioni.»
«Già... ovvie.» Non sapeva che pensare di tutta quella faccenda: da un lato gli faceva in qualche modo piacere, dall'altro... «Dite un po': attaccate sempre alle spalle, senza preavviso e tre contro uno?»
Il suo compare arrossì, ma il capo non fece una piega. «Il Ministero è ancora zona di guerra.»
«...Eh?!»
Quello si strinse nelle spalle. «Non è una decisione mia. Shacklebolt dice che, finché non avremo preso l'ultimo Mangiamorte, ci sarà sempre la possibilità che si intrufolino qua dentro in cerca di vendetta. E quindi, in particolare, di informazioni su Potter.»
«Non fa una grinza» dovette riconoscere il diretto interessato, dopo un momento di riflessione.
Proprio in quella, rientrò il terzo membro della Squadra Speciale Magica, che confermò che “Harry James Potter (Ufficio degli Auror – In addestramento)” era effettivamente entrato al Ministero una ventina di minuti prima.
«Bene» commentò il signor Jones. «Adesso come verifichiamo se questo qui è davvero il signor Potter?»
Si fissarono tutti per un momento.
«Proviamo con le domande standard» osservò il capo. «Numero di matricola?»
«Ah...» E chi cazzo se lo ricorda a memoria?!
Le dita tornarono a stringersi sulle bacchette; ma, proprio in quella, un aereoplanino di carta rosso planò tra i capelli di Harry.
«Che...?!»
Gli altri si fissarono di nuovo.
Lo prese e stava per esclamare che, se riceveva promemoria interni, doveva essere il vero Harry Potter, quando lo stramaledetto aggeggio prese fuoco.
Mentre lo lasciava cadere con uno strillo di sorpresa, la voce di Gawain Robards rimbombò per mezzo Ministero: «Cervello di Troll, dove sei andato a rimbambirti dalle seghe?! Porta subito il tuo culo inutile in Ufficio, cacchetta di elfo domestico, dico a te! Vieni qua all'istante, o ti spedisco a pulir cessi alla Manutenzione Magica!»
Lo Stril-promemoria tagliò la testa all'Ippogrifo: Harry ricevette l'atto che era venuto a ritirare, tante scuse, vivi complimenti per la bravura in duello e l'assicurazione di Jenkins, il capopattuglia della Squadra Speciale, che avrebbe inoltrato al suo Ufficio copia del proprio rapporto, “così Robards vedrà che non conti balle!”.

Venti minuti dopo, stava ancora cercando di convincere il proprio supervisore di essere davvero riuscito a tener testa a ben tre membri della Squadra Speciale Magica - anzi, a batterli pure, sissignore, signore! - quando Jenkins tenne fede alla parola data: un aereoplanino entrò nel Q.G. e raggiunse un Gawain Robards che inalberava un'espressione tra lo scettico e il disgustato.
Questi lo spiegò, lesse... e il cipiglio restò del tutto invariato.
«Di' un po', quanto gli hai dato perché ti facesse un favore simile? E l'hai pagato in Galeoni o in pompini?»
Harry estrasse la bacchetta molto prima di pensare... ma Robards gli puntava già la propria contro la gola.
«Estrai in fretta» rilevò freddamente. «Però sei un libro aperto, quel che vuoi fare si capisce con un secolo di anticipo.» Ghignò. «Allora, ragazzino... hai deciso di farmi divertire? O ti dai una calmata?»
Tutt'intorno a loro, gli Auror li guardavano, ma in tralice, facendo finta di niente.
Ron e Neville sembravano pronti ad accorrere in suo aiuto, costasse quel che costasse.
Fu questo a farlo tornare in sé. Mai più... mai più nessuno dovrà rischiare per me, mai più.
Abbassò la bacchetta, ma di poco. «Mi bastano le Sue scuse, signore.»
«Le mie...?!» Il tono pareva sinceramente incredulo.
«Ha sentito bene. Signore
«Scòrdatele» fu la risposta secca. «In quanto tuo Direttore e supervisore, sono legalmente autorizzato a insultarti come mi pare e piace.»
«Eh?!»
«E mi piace pure parecchio.»
Harry cominciò a vedere rosso; quasi non sentì Gawain Robards che proseguiva.
«Sei troppo sensibile alle provocazioni, ragazzino. Cresci, non sei più a Hogwarts. Un Auror non se lo può permettere. Ti potresti trovare in una situazione in cui hanno preso in ostaggio tua madre... ah no, tu no, è vero.»
Davanti ai suoi occhi, il rosso divenne nero.
Vide a malapena un lampo giallo-verde; non fece in tempo a sentire il boato che scosse tutto il Ministero, perché si afflosciò subito a terra.

Si risvegliò dopo sei minuti. O così gli dissero in seguito: lì per lì, aveva perso del tutto il senso del tempo e dello spazio.
«Non ci vedo...» disse rauco, un accenno di paura nella voce.
«Harry! Harry, siamo qui con te!»
«Ron?» Girò la testa verso la voce. «Dove sei? Non ti vedo...»
Una mano familiare strinse la sua... e, in qualche modo, gli fece da ancora.
Un po' per volta, il mondo intorno a lui smise di sembrare un caleidoscopio rosso, verde e nero; contorni, oggetti e persone cominciarono a riapparire.
Gawain Robards era chino su di lui, il viso preoccupato. «Come ti senti? Ricordi quel che è successo?»
La domanda scatenò un assalto di memorie che gli strappò un gemito.
«Ascolta...» proseguì il Direttore. «Ho detto che ho il diritto di insultarti ed è vero... ma quello su tua madre è stato un errore, solo un errore. Non volevo. Mi dispiace.»
«Cos'è successo?» biascicò, incapace di metabolizzare quelle che sembravano quasi scuse.
«Un fenomeno molto raro» intervenne una figura che non seppe associare ad un nome. «Hai presente le magie accidentali da bambini? Ecco, qualcosa di simile.. ma stavolta avevi in mano la bacchetta.»
«In pratica,» lo interruppe Robards, «la tua rabbia non si è semplicemente incanalata nella bacchetta, è come... entrata in risonanza, ecco.»
Di nuovo la voce di prima. «Rabbia, magia, nucleo della bacchetta... è come se si fossero rinforzati a vicenda finché... be', tutto quel potere doveva esplodere, in qualche modo.»
«Riesci ad alzarti, Harry?» gli chiese Neville, visibilmente in ansia.
Le mani pronte ad aiutarlo non mancavano davvero, ma fece comunque fatica: si sentiva debolissimo. Guardandosi intorno, vide quelli che sembravano i segni di una tremenda esplosione: scrivanie mezze distrutte, pareti annerite, pergamene dall'aria traumatizzata che volavano a zig-zag...
«Ma... sono stato io?» domandò, incredulo.
Lo misero a sedere e lo imbottirono di Pozioni tonificanti: gli spiegarono che la spossatezza che sentiva era dovuta alla magia del suo corpo che cercava di rigenerarsi, che era come se avesse consumato in un colpo solo quella che avrebbe usato nel giro di un anno o giù di lì... Gli spiegarono, in effetti, molto più di quanto riuscisse a seguire, soprattutto in quello stato. Ma, dopo una mezz'oretta, si sentì meglio. Ancora debole, ma... meglio.
Senza troppi indugi, Robards gli piazzò davanti un faldone alto, senza esagerare, una iarda buona. «Il tuo primo fascicolo.»
«Il mio...?»
«Be', non è esattamente un fascicolo» si corresse l'altro. «Meno male che ci sono gli Incantesimi di Compressione, sennò sai quanto spazio ci vorrebbe? In effetti, sono...» Gettò un'occhiata alla copertina. «Ah, pensavo peggio. Sono seicentonovantadue casi.»
«Eh?!»
«Tutti i casi irrisolti dall'inizio della scorsa guerra ad oggi, tutte le morti dovute alla magia che non siamo mai riusciti a spiegare come incidenti né ad attribuire ad un assassino. Non mi aspetto che ci riesca tu, sia chiaro. Ma, appunto perché non rischi di far danni, puoi cominciare con questi. Imparare a consultare un fascicolo, a studiare un rapporto, a formulare ipotesi... e chissà, magari sei un genio e riesci a incastrare un Mangiamorte che l'ha fatta franca per vent'anni.»
«Scusate» interloquì una voce acuta, facendoli sobbalzare.
La stessa elfa del giorno prima avanzò decisa verso di lui, gli cacciò in mano un rotolo di pergamena e gli disse: «Twiggy è tanto dispiaciuta, Harry Potter, signore.». Scosse la testa e si Smaterializzò, senza fargli firmare nulla.
«Ma...?!»
«Notifica magica tramite elfo ministeriale?! Apri subito quel rotolo: solo per le cose più importanti in assoluto non ti chiedono la firma.»
«Ah... grazie, signore.» Sentendosi di colpo il cuore a mille, ruppe il sigillo di ceralacca nera e svolse la pergamena.
La lesse. Si accigliò. La rilesse.
«Ebbene?»
«Uhm... signore, che significa “sub poena indignationis”?»
«Cosa?! Kingsley si è permesso di mandarti un'indignatio senza dire nulla a me?!»
«Ehm...» Non aveva idea di come il Direttore sapesse che il mittente era Kingsley, in prima battuta, e ci capiva anche meno di prima.
«Entro quanto dice che devi essere lì?»
«Dieci minuti... mi devo preoccupare, signore?»
«Facciamo così» ribatté Robards, con un'espressione molto determinata. «Io vengo con te e, strada facendo, ti spiego due o tre cosette. Per esempio, come usare quest'indignatio per pulirti il culo.»
La risata di Harry, pur sollevata, ebbe un che di isterico.

Harry James Potter si affacciò nell'Ufficio del Ministro giusto il tempo di dire “Scusa, ora non posso, ciao” e lasciar entrare Gawain Robards.
Dopodiché, fuggì senza vergogna, alla massima velocità consentitagli da un corpo ancora stanco.
Alle sue spalle echeggiavano urla furibonde.
Tornò al Q.G., al tavolino da lavoro dove lo attendeva quella mostruosità.
«Posta personale sul lavoro, Potter?» Il Vice-Direttore dal nome impossibile lo squadrava a braccia conserte.
«Uhm... signora?»
Senza parlare, gli additò un gufetto appollaiato in cima al monumentale faldone.
«Ah... mi scusi, io...»
«Non è la morte di nessuno, ma non farlo più» tagliò corto la Stuart. «Qui si lavora.»
Era Grassley, che gli assicurava che, quella sera, contava comunque di trattenersi in negozio fino alle dieci passate, per controllare la contabilità e il magazzino. “Pertanto, signor Potter, La prego di sentirsi liberissimo di passare dopo cena, con Suo comodo: non mi arrecherà alcun disturbo”.
Scarabocchiò due righe di ringraziamento e rispedì il gufetto al padrone. Poi gli venne in mente che a Jenkins doveva un grazie ben più sentito.
«Uhm... signora?»
La Stuart lo fissò, accigliata. «Sì, Harry?»
«Come faccio a creare uno di quegli aereoplanini che volano tra gli Uffici?»
«Non lo fai» fu la risposta brusca. «Nessuno dei tuoi compiti prevede la creazione di promemoria inter-Uffici. Quando sarà il momento, il tuo supervisore te lo insegnerà. E pensavo di essere stata chiara sulle comunicazioni personali sul posto di lavoro.»
«Ehm... sì, signora, certo.»
Rassegnato, aprì la mostruosità. Era piena di cartelline impilate, dovevano essere i suoi seicento e rotti casi.
Non aveva la minima idea di cosa dovesse fare.
Notò che la copertina interna del faldone conteneva un indice dei fascicoli in ordine cronologico. Quello in cima doveva essere il più vecchio. Controllò e... sì, corrispondeva.
Tanto vale che mi metta a leggere, si disse con un sospiro, mentre lo apriva.

Due ore dopo, era appena all'ottavo fascicolo, la testa gli scoppiava per lo sforzo di capire cosa fosse importante e cosa no, ma soprattutto si sentiva il morale sotto i tacchi.
Tutti questi morti... e non siamo riusciti a fare un cazzo. Né proteggerli prima, né incastrare gli assassini dopo.
I fascicoli erano tutti piuttosto smilzi: contenevano i rapporti della scena del crimine, cosette come l'interrogatorio dei vicini e ben poco altro.
Come se non ci avessimo neanche provato.
E fu pressappoco quel che disse a Robards, quando finalmente rispuntò.
Il Direttore lo stupì in positivo, perché, invece di prendersela, si prese la briga di spiegargli che, al tempo della prima guerra, nei fascicoli si inserivano solo gli elementi di prova; tutto il resto – analisi, appunti, ipotesi... - era disperso qua e là.
«Vedi, nessuno si fidava più di nessuno, quindi la gestione collegiale – la regola di trattare i casi alla riunione del mattino – era stata molto allentata. Di fatto, ogni Auror lavorava su questo o quel caso, teneva per sé i propri appunti e condivideva con gli altri quel che riteneva di condividere... I fascicoli restano sempre qui a disposizione di tutti, capisci? Meglio che contenessero solo le prove già raccolte e non le ipotesi di lavoro.»
«Ma allora dove...?»
Robards scosse il capo. «Bella domanda. Qualcosa, senz'altro, si troverà nei verbali delle riunioni del mattino.» Indicò vagamente un punto alla sua sinistra. «Il grosso del lavoro, però, è sicuramente rimasto negli appunti personali dell'Auror responsabile di ciascun caso... e non è detto che li abbiamo qui. Sai, in genere li portavano sempre con sé... e molti sono morti.» Restò in silenzio per un momento. «Fossi in te, Harry, comincerei a lavorare su quello che c'è, a farmi un'idea mia...» «Ma, signore... che idea vuole che mi faccia?! Voglio dire... qui ho i nomi delle vittime, va bene, qualche informazione personale, magari anche le cause del decesso... però...!»
«Secondo te perché non abbiamo mai incastrato nessuno per questi omicidi? Comunque, anche così, puoi fare qualcosa: per esempio, prendere nota del modo in cui è stata uccisa ciascuna vittima, se prima è stata torturata... cose così.» Lo disse con tanta tranquillità che Harry rabbrividì visibilmente. «Gli assassini tendono ad agire nella stessa maniera, quindi, se emerge un modus operandi costante, tu puoi raggruppare quei tali fascicoli e ipotizzare che si tratti sempre dello stesso signor X.»
«Capito, signore. Grazie.» Fece per tornare al suo tavolino, ma gli tornò in mente una faccenda importante. «Uhm... alla fine che voleva il Ministro?»
Gawain Robards lo fissò. «Credo che lo scoprirai domani: sei di nuovo convocato nel suo ufficio per le due del pomeriggio. Niente “sub poena indignationis” stavolta, sia chiaro. A me, però, ha detto di dirti tre cose: primo, con i travestimenti hai proprio il cervello di un Troll; secondo, solo un idiota si getta a testa bassa in uno scontro con tre membri della Squadra Speciale Magica...»
«Ehi! Mi hanno attaccato alle spalle!»
«Terzo» proseguì il Direttore con un'occhiataccia «vuole farti i complimenti per come li hai sconfitti. Bada bene, io non sono d'accordo... signorino Expelliarmus.» Fece un verso sprezzante. «E adesso torna al lavoro.»

Capitò al quindicesimo fascicolo, quando ormai pendeva appunti sul bordo inferiore della pergamena.
«Signore?»
Robards grugnì, senza neppure alzare gli occhi da quel che stava leggendo.
«Uhm... avrei un'idea. Per un caso.»
«Hm?» Il suo supervisore inarco un sopracciglio con aria scettica.
«Qui il San Mungo scrive che la Maledizione deve aver dato più o meno la sensazione di un colpo di frusta, ma con lesioni agli organi interni... eccetera eccetera. Io conosco questa Maledizione, signore: era la specialità di Dolohov.»
Negli occhi del Direttore si accese una scintilla di vago interesse. «Dolohov, eh? Bene... per prima cosa prendi nota e scrivi anche il perché di quest'idea. Poi controlla che non sia stata già scartata in passato.»
«Ehm... e come controllo, signore, se qui dentro non c'è niente?!»
Robards lo fissò con un ghigno perfido. «Ovvio: devi leggere i verbali delle riunioni del mattino e soprattutto cercare – pregando di aver fortuna – gli appunti dell'Auror responsabile. A quanto pare, è giunto il momento di insegnarti a fare le ricerche in archivio... Prendi appunti, perché te lo spiegherò una volta sola.»
Quasi tre ore dopo, un Harry Potter estenuato, ma trionfante, riemerse dalla polvere di pergamene dimenticate: aveva rintracciato sia i verbali sia gli appunti; nessuno, in quei mesi tra il '76 e il '77, parlava di Antonin Dolohov come del possibile autore del triplice omicidio di Babbani, ma il suo nome compariva nel gruppo di quattro Mangiamorte che una vecchia strega, allora ritenuta poco credibile, aveva visto passare accanto a casa sua, un cinque miglia più in là, quella sera stessa.
Robards prima lo stette ad ascoltare; poi volle controllare che avesse effettivamente guardato tutti i documenti («Ma sì, signore, ho fatto come mi ha detto, sono partito dal numero di protocollo e...»); infine gli chiese chi fossero gli altri tre Mangiamorte.
«Uhm... Walden Macnair, Rabastan Lestrange e Damocles Selwyn, signore.»
«Selwyn? Ma pensa... uno di quelli che stiamo ancora cercando. Prepara un rapporto per la riunione di domani.»
«Ah...»
«Non restare lì a bocca aperta, devi semplicemente mettere in ordine i tuoi appunti, impararli per bene e riferire ai colleghi domattina. Ah, un'altra cosa... anzi, no, due.»
«Signore?»
«Primo, arrivate di nuovo in Ufficio ringrulliti dalle Pozioni per il doposbronza e vi pelo il culo a pedate. Secondo, decisamente hai ragione: bisogna inserire nei vecchi fascicoli le informazioni che mancano, anzi, è una vergogna che non sia stato fatto prima. Ma si vede che quest'incombenza aspettava una recluta volenterosa... indovina di chi sto parlando?»
«Ehm...»
«Esatto. Quindi, da domani fino a nuovo ordine, tu estrarrai copia degli appunti personali degli Auror responsabili – tutte le copie che ti serviranno – e le distribuirai tra i vari fascicoli; per le riunioni del mattino credo che basterà un indice dei riferimenti con un riassunto delle ipotesi formulate. Congratulazioni, Harry: potresti perfino aver risolto il tuo primo caso. Di sicuro, però, hai appena scoperto che, in questo mestiere, il successo porta una montagna di lavoro in più.»
«Uh...»
«Sì, infatti. Ora vai a casa. E aspetta il sabato sera per darti alla pazza gioia, chiaro? Su... sparisci.»
«Uhm... sì, signore. Certo. Grazie. Buona serata.»
«Sei ancora qui?»

Ron e Neville arrivarono poco dopo di lui, mentre era sotto la doccia. Lasciò scorrere via tutto il peso della giornata e scese a cena sentendosi infinitamente meglio. Scese le scale fischiettando... il che si rivelò una pessima idea, perché scatenò le ire funeste del ritratto della madre di Sirius. Scappò in cucina, inseguito dagli insulti e determinato a trovare un modo per liberarsi di quella vecchiaccia malefica.
Trovò gli amici già a tavola, con Kreacher che finiva di impiattare gli antipasti.
«Ah, siete arrivati.»
«Il padrone ha appetito?» si informò l'elfo.
Gli sorrise. «Anche se non ne avessi, Kreacher, i tuoi manicaretti resusciterebbero i morti.»
Cominciò ad assaggiare un vol-au-vent e chiese: «Allora, a voi com'è andata oggi?»
Neville soffocò una risata e Ron rispose: «Dovremmo chiederlo noi a te, scusa! Tre contro uno?! Veramente?!»
Il dettagliato resoconto della battaglia – perché i suoi amici insistevano che se i combattenti erano più di tre si doveva parlare di battaglia – occupò buona parte del pasto e fu seguito dalla misteriosa convocazione di Kingsley. Harry apprese così che la clausola “sub poena indignationis” era un modo per Maledire chi non si fosse presentato nel luogo e ora stabiliti, «ma non avevo idea che fosse così facile cavarsela... che bastasse farsi vedere mezzo secondo!» concluse Ron.
Per il resto, avevano avuto esperienze piuttosto simili con il lavoro d'ufficio: Neville era stato messo a riordinare nientemeno che un anno di contabilità e si chiedeva se non l'avessero incasinato apposta per lui, perché sembrava davvero troppo a soqquadro; invece, a Ron era toccato in sorte un faldone di rapporti sulle Creature Oscure, che doveva analizzare a caccia di correlazioni, un po' come Robards aveva detto di fare a Harry.
Finito il gelato alla fragola di Kreacher, che ricevette elogi addirittura più abbondanti delle porzioni, Harry annunciò: «Io devo andare da Grassley. Qualcuno ha voglia di fare due passi?»
«Non stasera, grazie» declinò Neville. «Credo che mi metterò a sistemare gli appunti di Crawley integrandoli con il testo.»
«Ma il corso è appena cominciato!» protestò Ron, con un'espressione incredula.
«Appunto. Hai sentito Crawley, no? Ha parlato quasi a mitraglia, ci ha fatto fumare le penne, scommetto che terrà questo ritmo per tutto il corso... ma ci ha già detto che non basterà. Quindi, secondo me è meglio portarsi avanti.»
C'era probabilmente del vero nella tesi di Neville, ma a Harry, in quel momento, sembrava che la lezione risalisse a due o tre vite precedenti... «Be', ti lascio lavorare allora. Ron, tu che fai?»
Sul volto del suo migliore amico si dipinse uno strano conflitto, ma durò solo un attimo.
«Uhm... no, grazie, Harry. Mi sento un po' stanco...»
«Nessun problema. A più tardi, non dovrei metterci troppo.»

La Materializzazione continuava a non piacere né a lui né alle sue budella; però non poteva certo contestarne rapidità ed efficacia.
Aveva scelto di evitare Il Paiolo Magico e di arrivare proprio davanti alla Gringott, confidando nel Facies Nebula e nell'ora per evitare gli importuni. Tra una cosa e l'altra, ancora non era riuscito a leggere quella famosa richiesta di risarcimento. Chissà se doveva preoccuparsi? Sperava che Kingsley volesse parlare di questo. Altrimenti... mah, forse avrebbe potuto chiedere un consiglio a Crawley. Di certo non conosceva altri avvocati.
Raggiunse il negozio di Grassley immerso – ma senza troppa preoccupazione – in questi pensieri e notò con piacere che la luce era ancora accesa. Bussò due volte.
«Avanti, è aperto!»
Esitò un momento, senza un motivo preciso; poi spinse la porta ed entrò.
«Buonasera, signor Potter, è un piacere rivederLa.» Grassley gli sorrideva dal bancone, dove sembrava intento ad aggiornare tre o quattro registri. «Può darmi solo cinque minuti? Ho quasi finito il controllo del magazzino. Si senta libero di accomodarsi o di curiosare tra la merce, come preferisce.»
«Grazie, signor Grassley, faccia con comodo» rispose, prendendo posto su una sedia.
Provava più di una punta di curiosità riguardo a quell'incontro, a cosa potesse mai volere lo stravagante vecchietto da lui; ma cinque minuti non avrebbero fatto chissà che differenza. Anzi, in fin dei conti apprezzava quel momento di tregua in una giornata tanto intensa.
Osservò, con un certo interesse, che il controllo del magazzino, secondo il metodo Grassley, aveva l'aria di consistere nello spedire taccuini e penne nel retro, supponeva a prendere nota delle consistenze dei singoli prodotti, e poi nel trascriverne i risultati su questo o quello dei libroni squadernati davanti al mago. Si chiese pigramente perché mai le penne non potessero compiere anche quest'ultimo passaggio.
Comunque stessero le cose, il lavoro fu sbrigato rapidamente e subito Grassley, uscito dal bancone, gli venne incontro. «Mi perdoni se sono stato così scortese da farLa attendere... ma sa com'è con queste Penne Prendiappunti, non puoi lasciarle sole un attimo che scrivono quel che vogliono!»
«Ehm... confesso che non lo sapevo, ma... non c'è problema, davvero.»
«Ah? Be', immagino che nella Sua professione si usino poco... Comunque, veniamo a noi. Prima di tutto, ha riflettuto sulla mia proposta?»
«Sì, signor Grassley. Anzi, per prima cosa La devo ringraziare: se non fosse stato per Lei, non avrei mai saputo dei Tre Giuramenti. Ho sentito... un potere, durante la cerimonia, non so come dire...»
Il vecchio aggrottò le sopracciglia cespugliose. «Mi sta dicendo che non si sono limitati alla solita goccia di sangue?»
«Macché!» esclamò Harry, ancora indignato al ricordo. «Quel verme di Robards – chiedo scusa – ma mi deve aver spillato un mezzo gallone: pensi che c'era proprio un globo di sangue ed è diventato luminoso...»
Grassley sorrise, chiaramente compiaciuto. «Hai capito Gawain... Signor Potter, mi creda, dovrebbe ringraziare il Suo supervisore.»
«Eh? Per cosa, mi scusi?!»
«Sa, non si può dire che io e Robards siamo in confidenza, però è uno dei pochi che mi stia a sentire, quando mi lascio prendere dai ricordi... e a quanto pare deve avermi dato retta. Signor Potter, credo di poter affermare con certezza che Le è toccato l'onore di essere il primo Auror in sessant'anni, come minimo, a disporre dei pieni poteri dell'uniforme da battaglia.»
«Sul serio?!»
«Sì, stando a quel che mi dice. Il globo si è poi aperto...?»
«Esatto, è stata come... una pioggia di gocce di luce. Bellissima.»
«E ha sentito un brivido? Forte?»
«Sì.»
«Non ci sono dubbi, allora. Mi creda, Robards magari non sarà stato gentile, però Le ha fatto un grosso favore.»
«Ah.» Non sapeva bene cosa pensarne, ma di certo non moriva dalla voglia di ringraziarlo. «Non ne avevo davvero idea.»
«Oh, neanch'io avrei immaginato che potesse fare una cosa del genere. Vede, una sola goccia è sufficiente per i Tre Giuramenti... e finora avrei giurato che, per lui, fossero l'unica parte davvero importante del rituale.»
Ciascuno dei due rifletté in silenzio, per qualche secondo, sulle stranezze di Gawain Robards; poi Grassley, come riscuotendosi, riprese a parlare.
«Chiedo scusa, signor Potter... Temo di non aver capito se abbia deciso di accettare la mia offerta.»
«Non Gliel'ho detto? Sì. Sì, dopo aver sentito quello strano potere ho deciso di sì. Io non conosco per niente la magia del sangue, ma con le Arti Oscure, ahimè, ho una certa esperienza... e questo non è un potere Oscuro.»
Il vecchio sarto sembrava quasi commosso. «Non ha idea, signor Potter, di quanto sia bello per me sentirLe dire una cosa del genere... Sa, io sono l'ultimo.» Accennò con la mano al negozio che li circondava. «I Grassley hanno studiato i vestiti come gli Olivander hanno studiato le bacchette; siamo sempre stati grandi esperti nella magia del sangue proprio per gli usi e le applicazioni in sartoria. Però, io non ho figli. Non ho neanche mai trovato un apprendista che potesse portare avanti la tradizione, l'attività... e sa perché? Proprio per questo pregiudizio verso la magia del sangue: avevano tutti paura di essere coinvolti in qualcosa di Oscuro.» Scosse la testa. «Certo, le ultime due guerre non hanno aiutato...»
«Mi dispiace» rispose Harry, sincero. «C'è qualcosa che posso fare...?»
«Forse sì, signor Potter. Ma intanto, vediamo di pensare alle Sue uniformi ordinarie.»
«Ehm... Le serve molto sangue? Perché dopo il salasso di Robards ho avuto bisogno di una Pozione e non so...»
«Oh, non si preoccupi!» esclamò il sarto, quasi giulivo. «A parità di poteri, badi bene, per quattro uniformi ordinarie mi basta la metà del sangue.» Sorrise e, per un momento, Harry si stupì di non vedere canini da Vampiro. «Vogliamo procedere?»

Di lì a poco, Harry uscì, un po' traballante ma non molto indebolito, portando con sé quattro normalissime vesti da mago nere, che avrebbe indossato “sotto i mantelli che già aveva o anche senza”.
Si sentiva un po' perplesso: dalla lettera, sembrava che Grassley gli volesse parlare a prescindere dalla faccenda dei vestiti, ma alla fine non l'aveva fatto, non aveva accennato a nessun altro argomento.
Che fosse stato solo un trucco per convincerlo ad andare lì? Non sembrava il tipo...
Gli era parso poco gentile interpellarlo direttamente in proposito, però forse sarebbe stato meglio. Magari avrebbe potuto mandargli due righe l'indomani, chiedergli se si fosse dimenticato... sì, così poteva andare.
Certo che gli serviva un altro gufo.
Il cuore gli si fece piccolo. La perdita di Edvige faceva ancora male.
Rientrò a casa sentendosi molto malinconico... tanto che inciampò nel portaombrelli a zampa di troll, scatenando la tregenda dei ritratti.
«E che cazzo!» gridò a sua volta in quella cacofonia di strida varie, la malinconia bell'e dimenticata. «Ci sarà pure il modo di liberarsi almeno di quest'affare!»
Dalla cucina emerse Ron, che lo salutò con la mano e prese a Schiantare, con silenziosa efficienza, tutti quegli sprechi di vernice. Liberarsi della signora Black fu, come al solito, particolarmente difficoltoso; Harry non si sarebbe affatto stupito di scoprire che era l'animaccia nera di tutta l'Oscura brigata, che senza di lei gli altri ritratti sarebbero sbiaditi come pallide ombre...
Liberarsi della vecchiaccia. Priorità assoluta.
Alla fine l'ebbero vinta e, un po' ansanti per lo sforzo, si voltarono a guardarsi in faccia. Harry trasalì. Ron sembrava pallidissimo.
«Ah... tutto bene?»
Sempre senza parlare, l'amico sorrise e gli fece cenno di seguirlo in cucina. Buona idea, si disse procedendo in punta di piedi, non era proprio il caso di rischiare che la baraonda ricominciasse daccapo.
«Neville?» chiese, non vedendolo una volta che furono arrivati.
«Di sopra, da qualche parte. Ancora a studiare, credo.» Alzò le spalle. «Gli ho detto che non me la sentivo.» Un attimo di silenzio. «Quella Stuart è stata veramente stronza oggi, sai? Anche con te, intendo...»
C'era qualcosa di innaturale, di forzato nelle frasi di Ron. Come se gli uscissero con le pinze, o dovesse metterle insieme con uno sforzo sensibile. «Dico sul serio... ti senti bene? C'è qualcosa che non va? A parte la Stuart, voglio dire.»
Per un momento, lo vide in preda allo stesso, strano conflitto di prima; ma poi qualcosa cedette e Ron, con un sospiro, pronunciò una parola soltanto: «Ginger.»
«Ah.»
«Continuo a pensarci.»
«Uhm...»
«Non in quel senso!» si affrettò a precisare l'amico, l'aria improvvisamente sconvolta. «Solo che... Sembrava tutto così vero. Come ha fatto a... a insinuarsi tanto a fondo nella mia testa?»
«Uh... non lo so.» Aveva un'idea, in realtà. Non si sarebbe mai fidato di Tom Riddle o di un suo Horcrux, ma su una cosa doveva dargli credito: nessuno sapeva individuare e sfruttare come lui le debolezze delle persone. Quindi, se tanto gli dava tanto, Ron era così vulnerabile perché pensava sempre di non avere niente e di non valere niente. Ma era il caso di dirglielo?
«Lo hai pensato anche tu, vero?»
«Eh?! Che cosa?»
«Lo sai.»
«No che non lo so!»
«Sì, insomma... Se per lui è stato così facile, allora forse...» Lo fissò con un'espressione disperata. «Harry, come faccio a sapere se mi piacciono davvero le donne?»
«Eh?!» Lo fissò come si fissa un alieno apparso all'improvviso. «Ron...»
«Dico sul serio!» insistette l'amico, quasi urlando.
Si trattenne a viva forza dall'urlargli di rimando “Ma sei scemo?!”; inspirò profondamente e gli rispose: «Per entrare tanto bene nella tua testa, quel porco ha dovuto fingere di essere una donna. Una donna, Ron!»
«Sì, ma... non può essere stato così bravo con quell'illusione, no? Quindi magari, boh...»
«Quanto a illusioni...» Gli venne un'illuminazione. «Le Veela! Anche le Veela ti hanno fatto quell'effetto, ricordi? E quelle sono donne!»
Ron scosse il capo, più incupito che mai. «Le Veela non sono donne, Harry. Sono mostri sanguinari che ti divorano vivo e non te la danno nemmeno!»
Viva le priorità... «D'accordo. Però sembrano donne e non sono uomini» scandì con notevole enfasi.
«Uhm...»
«Oh, senti...» iniziò spazientito; poi ebbe una seconda illuminazione. «L'Horcrux!»
Ron lo fissò. «Che c'entra l'Horcrux, adesso?»
«Non ti ha solo fatto vedere quello che temevi, vero? Ti ha promesso qualcosa, qualcosa che desideravi davvero. E che cos'era, sentiamo? Una riga di maschioni nudi tutti per te?»
L'amico sussultò come se l'avesse schiaffeggiato. «No.» Proseguì quasi in un sussurro, il viso del tutto esangue: «Tu eri morto. Hermione era mia, veramente mia. E il fatto che ti avessi ucciso io non aveva... non aveva importanza.»
Harry si diede mentalmente dell'idiota, a più riprese, per non averlo intuito.
Ron sembrava sul punto di spararsi un colpo in testa. «Sono un debole, Harry, sono sempre stato un debole. Posso essere pure finocchio, a 'sto punto... cosa cambierebbe?»
«Che cazzo c'entra? E poi, stammi a sentire.» Si alzò in piedi e, imitando consapevolmente la signora Weasley, mise le mani sui fianchi. «Tu non sei un debole. Non lo sei mai stato. Un debole non sarebbe mai scappato, perché non sarebbe nemmeno partito! E soprattutto non sarebbe mai tornato.» Gli afferrò il mento e lo costrinse a guardarlo dritto negli occhi. «Tu sei il mio migliore amico, Ron. Ci sei sempre stato. E io so che ci sarai sempre. Ma vorrei che lo sapessi anche tu.» Lo lasciò andare e cercò di stemperare la tensione con un sorriso. «Comunque, non avrei mai pensato di dire una cosa simile, ma... puoi fidarti dell'Horcrux
A Ron sfuggì uno sbuffo di risa. «Come?!»
«Ci pensavo poco fa. Riddle capiva sempre... non so, forse dipendeva dalla Legilimanzia, ma sapeva sempre due cose di una persona: tutto quello che temeva e quello che veramente, veramente desiderava. Quindi sì, direi proprio che ti puoi fidare dell'Horcrux.»
Lentamente, Ron cominciò a rilassarsi, il colorito a riaffiorare sulle sue guance. Lasciarono trascorrere in silenzio un minuto buono, perché adesso il silenzio non pesava.
«Sono stato un idiota, vero?» gli chiese infine l'amico, con un sorriso fragile.
«Hai vissuto un'esperienza bruttissima. Magari, al posto tuo, mi sarei fatto anche più problemi di te.» Era sincero, ma un po' gli veniva da ridere: Cazzo, io ho avuto dentro l'anima di un altro uomo! Come la mettiamo, eh?!
«Grazie, Harry. Davvero. Di tutto.»
«Era il minimo.» Si alzò. «Ti va una partitina a scacchi? Ho bisogno di rilassarmi un po', prima di andare a dormire.»
«Volentieri. Ah, poi che voleva Grassley?»
«Andiamo in salotto, che ti racconto...»


Note:
Riguardo alla scena iniziale, si sarà capito che Harry sospetta una qualcerta inerzia del Ministero in genere, ma del proprio Ufficio in particolare, nell'opera di liquidazione del passato regime. Non è questa la sede per stabilire se o fino a che punto abbia ragione; dirò solo che le risposte che gli vengono date sottintendono, ma anche sottolineano, che ha ancora molto da imparare. Però fa le domande giuste: per questo nessuno gli dà addosso.
L'Accademia di Magisprudenza è una mia invenzione, quindi l'ho voluta arricchire di richiami classici. Lo stile dorico ha un che di austero o perfino di marziale, nella tradizione architettonica (per citare un esempio londinese, in Blenheim Palace il suo impiego vuol essere un richiamo alle glorie militari di Lord Marlborough): i fondatori ritenevano che il diritto, il culto della giustizia, esigesse un livello equiparabile di austerità e disciplina, anzitutto interiore. Cupidae legum iuventuti è un dativo di vantaggio con cui l'imperatore Giustiniano ha identificato i destinatari del manuale di introduzione allo studio del diritto, da lui promulgato con forza di legge, le Institutiones; e sempre a Giustiniano rimanda il nome dell'aula Dupondii, “gente da due soldi”, che, almeno fino alla sua riforma universitaria, era il nomignolo spregiativo delle matricole giuridiche (nutro più di qualche dubbio sul fatto che, nella prassi, sia davvero riuscito ad imporsi il nuovo appellativo, pur da lui legislativamente prescritto, di Iustiniani novi). Legum omnes servi sumus..., infine, è una nota citazione di Cicerone, Pro Cluentio, 146. Va da sé che quest'insieme di riferimenti, trasposto nel Potterverso, sottintende che la cultura classica unisse, almeno un tempo, Maghi e Babbani; ma ne avevo già dato un saggio nel primo capitolo, con il riferimento di Grassley alla camicia di Nesso. I ritratti degli Stregoni Capo, invece, sono un mio omaggio al palazzo della Cassazione romana, un corridoio del quale funge appunto da galleria dei ritratti di Primi Presidenti e Procuratori Generali. Questi quadri qui, però, parlano solo lingue da giuristi, quindi latinorum o Law-French, per servirvi.
Un dettaglio che si è delineato nella discussione con Pally: Crawley non è particolarmente interessato a sapere se gli allievi siano presenti in aula o no perché il programma non fa differenza tra frequentanti e non frequentanti, quindi l'Accademia non registra le presenze. Lo fa il Ministero, mediante appositi Incantesimi, ma solo per i suoi dipendenti che la frequentano e allo scopo, ovviamente, di controllare che non bighellonino in quello che dovrebbe essere orario di ufficio, per loro. Quindi, in teoria anche i nostri tre eroi sarebbero liberi di non frequentare, ma in pratica nessuno li ha informati – e, abituati a Hogwarts, non ci hanno pensato - perché nessuno ha voglia di vederli fallire gli esami per effetto di un eccesso di impegni lavorativi, fin troppo prevedibile, che li distoglierebbe dallo studio.
Che O' Tusoe in genere non venga considerato un vero Ministro è un'informazione di Pottermore, elenco dei Ministri della Magia. Si noterà che il professor Crawley ama sollecitare i propri studenti a impegnare le proprie facoltà intellettuali anche su temi scottanti.
Che la W sul capello dei membri del Wizengamot stia per
Warlock anziché per il nome della Corte stessa è una mia congettura, ma mi sembra ragionevole pensare che, almeno in passato, essi portassero tutti questo titolo onorifico, dal momento che lo Stregone Capo è il Chief Warlock e, se c'è un Chief... Esq., invece, è un semplice Esquire, ma rinvia a sua volta ad un registro di comunicazione decisamente formale. Che essere O.M. implichi e superi l'essere W. (nel senso di Warlock senza appartenenza al Wizengamot) è un'altra mia congettura, ma mi sembra che valga a suffragarla il fatto che l'Ordine di Merlino si trovi al vertice nella scala delle onorificenze. Almeno di quelle nazionali.
Babbity Rabbity è la protagonista di una delle Fiabe di Beda il Bardo; ovviamente a Harry il suo nome non dice nulla.
Si sarà capito l'accaduto, credo: l'impiegato, messo in allerta dall'accenno al contenuto dell'atto in giacenza, si è accorto che Harry usava un Incantesimo per camuffarsi ed è saltato alle conclusioni. Su certe cose è molto zelante, se non altro
ad parandum culum. La Squadra Speciale Magica è in gamba – infatti bisogna usare Incantesimi non verbali per avere una possibilità - ma in questo caso commette l'errore di sottovalutare l'avversario pensando di incastrare una spia della Skeeter; la bravura di Harry, dal canto suo, credo che non abbia bisogno di essere giustificata.
Il fatto che la guerra sia ufficialmente finita con la Battaglia di Hogwarts, ma il Ministero resti zona di guerra, è una delle mille contraddizioni rese necessarie dal fatto che, anche al di là dei proclami ufficiali, effettivamente i Mangiamorte non esistono più come forza organizzata, ma il pericolo esiste ancora... e Kingsley è convinto che al Ministero sia massimo.
Robards dice la pura verità: l'insulto stile sergente Hartman fa parte delle sue prerogative giuridiche. Il problema riemergerà, tranquilli... Harry vi sembra uno che subisce? Si chiama Potter, non Fantozzer.
Sembra che gli episodi di magia involontaria, legati a emozioni molto forti, siano caratteristici dei maghi bambini, prima di Hogwarts; ma considerato l'episodio di zia Marge, e anche il fatto che, se Harry si altera quando ha in mano la bacchetta, tende a farne scaturire scintille (v. un esempio nel suo colloquio con i Dursley ne
I Doni della Morte), ho supposto che un accesso di collera veramente eccezionale, anziché essere incanalato e controllato dalla bacchetta, potesse entrare in risonanza con il nucleo, attivare questa sorta di essere semisenziente, come se il suo padrone fosse minacciato da un pericolo mortale; con il risultato di una mutua amplificazione.
Che succede a Harry? Una sorta di esplosione magica.
Secondo me – mia personale congettura – l'organismo di un mago richiede un equilibrio tra energia magica ed energia fisica. Ciascuna delle due può essere usata per alimentare l'altra, anche se credo che il processo normale vada dal fisico al magico, il che spiegherebbe anche perché a Hogwarts nessuno accusi particolari problemi di linea nonostante i pasti luculliani. L'energia magica a disposizione di Harry, che già è un mago più potente della media, viene improvvisamente bruciata in un colpo solo; come in una sorta di shock, tutte le sue energie fisiche si ritrovano assorbite, anzi, divorate dall'esigenza di rigenerare quelle magiche. Le Pozioni, in questo caso, agevolano il processo agendo come catalizzatori in una reazione chimica; altre se ne potrebbero usare in senso inverso, per aumentare le energie fisiche attingendo alle magiche, ma – sempre a mio avviso - con il rischio di gravi effetti collaterali nel tempo.
Oltre allo scopo didattico, ovviamente l'assegnazione di Harry ai casi irrisolti è sia una sottile punizione per le sue accuse neanche troppo implicite, sia una dimostrazione pratica di quanti problemi, in concreto, e quanti ostacoli ponga ogni singolo caso. La ricerca di archivio gli prende tre ore più perché è la sua prima che per una vera difficoltà... ma ha effettivamente trovato tutto.
Selwyn è un Mangiamorte che vediamo tormentare Xenophilius Lovegood nel cap. 21 de
I Doni della Morte; non viene menzionato nel corso della Battaglia e il nome che ho scelto per lui allude proprio alla precarietà della sua sorte.
La clausola
sub poena indignationis, che viene apposta ad un ordine di convocazione - il quale perciò, nella prassi, prende il nome di indignatio – minaccia di potenti Maledizioni il destinatario che non si presenta nel luogo e nell'ora fissati... ma non quello che alza i tacchi mezzo secondo dopo. Atti del genere non richiedono firme per ricevuta, la certezza della notifica è assicurata dalla magia dell'elfo notificatore, che suggella e innesca l'indignatio: per questo Twiggy è così dispiaciuta.
Perché nessuno ha fatto la connessione con Dolohov? Perché, prima di Hermione, non so quanti fossero sopravvissuti a quella sua particolare Maledizione e lo avessero identificato come il suo autore: forse nessuno.
Harry, in realtà, come Auror dovrà usare le Penne Prendiappunti anche troppo spesso; ma quel momento non è ancora giunto.

  
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