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Autore: epices    24/11/2022    19 recensioni
La storia inizia con il ritorno di Fersen su suolo francese dopo la guerra americana, ma gli eventi non saranno quelli noti, anche perchè il bel Conte non tornerà da solo.
“E l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava”. (L. Pirandello)
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A stare fermo ad aspettare gli si intirizzivano le dita nonostante cercasse di trattenerle il più possibile nell'antro caldo delle maniche della giacca. Provò allora a sfregarle e, dopo aver chiuso le mani a coppa attorno alla bocca per ammorbidirle con il calore del fiato, l'uomo biondo seduto a cavallo di una botte - una di quelle che i tavernieri accatastavano dritte appena fuori dal locale in attesa di essere nuovamente riempite - cavò di tasca le carte, allargò bene le gambe per disporre dello spazio sufficiente ed iniziò a mescolarle vigorosamente. Tagliò il mazzo più volte - cinque per l'esattezza, come d'abitudine, una per ciascun giocatore presente in quelle serate trascorse a tracciare una linea tra il nuovo e l'antico - e iniziò a stenderle sul piano di legno umido in un solitario improvvisato.
L'ampia vetrata della taverna alle sue spalle lasciava filtrare la luce calda delle lampade ad olio, più che sufficiente per rischiarare la mano che gli era toccata e ampiamente in grado di fargli desiderare di varcare la porta dietro di sé. Ma l'accordo era di incontrarsi lì fuori.

Sgranchì il collo intorpidito mentre valutava quali mosse intraprendere, dividendo l'attenzione tra il gioco appena iniziato e la strada di fronte, sperando che l'altro arrivasse in fretta.
La notte era così limpida che intuiva perfettamente il punto in cui le stelle sfumavano nelle luci della città a nord-ovest, al riparo da quei refoli d'aria fredda che invece gli si infiltravano continuamente attraverso il colletto lì dove il fiume James era già quasi oceano e spandevano nella sera quel sentore vago, a tratti pungente, di sale e di pesce di cui erano intrise le sue giornate giù al porto.
Ormai aveva imparato a riconoscere lo stato delle maree e avrebbe potuto indovinare, con minimo scarto, gli orari di variazione del livello delle onde fiutando l'aria che risultava più umida e salmastra quando il vento spingeva l'oceano dentro la baia di Chesapeake, contrastando la discesa di acqua dolce dagli Appalachi.
Un'espressione soddisfatta per la combinazione di figure creata in poche mosse rese più chiari gli occhi azzurri - ancora quelli di un ragazzo - e stava congratulandosi mentalmente per la sua abilità di giocatore quando dal vicolo più lontano vide spuntare finalmente una figura avvolta in un pastrano rosso.
Scosse il capo sorridendo, chiedendosi per l'ennesima volta da quando gli aveva visto indossare abiti civili, come mai potesse un uomo abbigliarsi con colori tanto sgargianti, nonostante nelle vene gli scorresse sangue caldo, cotto dal sole del sud.
Più la figura si avvicinava più gli risultava familiare l'andatura sciolta dell'uomo bruno tra quelle degli ultimi nottambuli che a tasche vuote si dirigevano verso casa. Quando se lo ritrovò a portata di braccio, si scambiarono una poderosa pacca sulla spalla, trasudante quell'amicizia che nasce nelle condizioni estreme e rimane sempre lì, sopita per non importa quanto ma sempre pronta a riaffiorare intatta.

“Come ti va Miguel?”- l'uomo bruno smorzò il mozzicone di sigaro contro il legno umido della botte mentre lanciava un'occhiata furba alle carte stese tra le gambe dell'altro. Non si vedevano da parecchio, i due, divertendosi a definirsi anelli vicini ma non contigui della stessa catena.

“Non sarebbe quello il mio nome...”- sbuffò il biondo con la voce più vecchia di lui, arrochita anzitempo dal fumo e ancora ricca di lettere arrotate, spie impietose della sua provenienza.

“Per me sì...lo sai che con la tua lingua ho sempre avuto problemi. Allora, come ti va?”

“Bene...piuttosto bene”- un pensiero segreto e fino ad allora completamente estraneo piegò le labbra screpolate dal sale e dal freddo in un sorriso leggero.

“Vedo...stai studiando come spillare soldi a qualcuno?”- indicò le carte, l'uomo bruno, con un cenno del mento e con l'allegria che gli accendeva gli occhi più scuri dei capelli e accompagnava un ghigno scaltro responsabile della piega assunta dalle sopracciglia folte e perfettamente tratteggiate, analoga a quella delle ali di un merlo in volo.

L'altro rise mentre radunava il mazzo e lo infilava in tasca.

“Sono finiti quei tempi. Il lavoro non manca giù al porto...e nemmeno i guadagni”- stavolta fu il suo turno di un ghigno eloquente e di una strizzata d'occhio oltremodo esplicita.

“Quando si può ripartire?”

“Non appena le condizioni del mare lo consentiranno. La stagione delle grandi tempeste sull'Atlantico non è conclusa...”- rabbrividì, il francese, mentre alzava il colletto fino alle orecchie.

“...c'è una nave alla fonda ad Hampton Roads che sta ultimando il carico per partire non appena sarà possibile farlo”

L'altro annuì aggrottando la fronte ampia e levigata, mascherando l'apprensione sotto il tono olivastro della pelle.

“Dovrai farmi sapere per tempo...senza di lui è più complicato per me...”

“Lo so ma credo sarà ancora per poco. Ormai avrà concluso e non appena si potranno sfruttare gli Alisei si imbarcherà per tornare”

L'uomo bruno emise un fischio stupito e compiaciuto.

“E tutte queste cose le hai imparate giù al porto?”

Scrollò le spalle, il biondo, e sorrise, fiero.

“Sì...la Compagnia si sta ingrandendo e ci sono buone possibilità, anche per uno senza arte né parte come me”

“Quindi riesci a sapere anche dove arriva?”- abbassò la voce, il moro, tentando di soddisfare una curiosità che lo pungolava da anni.

L'amico negò a gesti e a parole.

“Solo in quale porto arriva...sempre lo stesso. Per noi il viaggio finisce lì...questi erano gli accordi” Annuì il moro, un po' deluso, gettando distrattamente lo sguardo all'interno della taverna sempre meno affollata.

“Forse ci saprà dire qualcosa in più al rientro... ”

“Forse. Chissà che impressione gli ha fatto la Francia...”- sul volto del biondo si allargò una smorfia indefinibile che non sfuggì all'altro.

“Nessun rimpianto?”

“No...non c'era più niente per me laggiù...”- e con il capo indicò in direzione del porto, dell'oceano, dell'Europa.

“...ma Louis mi tiene informato della situazione...gli avevo chiesto di farlo quando è tornato indietro...vorrei sapere cosa ne sarà del mio Paese”- dietro il tono deciso, sbandierato con baldanza, c'era impressa un'involontaria nostalgia che entrambi finsero di non cogliere.

“Scrive anche a me ogni tanto...Le Roi”- si guardarono di sottecchi ed entrambi si persero in una risata sommessa, ricordando frammenti di giornate trascorse a non pensare al tanto temuto e agognato domani.

“E che ti dice il re?”- indagò il biondo cercando di soffocare l'ilarità.

“Che è impegnato con un fornaio, qualunque cosa voglia dire...”

L'altro lo scrutò allibito, inarcando dapprima un sopracciglio, poi entrambi.

“Ma che diavolo significa?!?” - sogghignò smodatamente finché un 'intuizione improvvisa parve chiarirgli la questione - Ti ha scritto in inglese o in francese?”

“Un po' di entrambi...”- il moro scrollò le spalle; non riteneva poi così importante capire ogni singola parola se nell'insieme gli facevano comunque comprendere il senso del discorso.

“Allora sarà fornai-a, fornai-a...”- scandì bene le sillabe, il biondo, avvicinando il volto alla faccia dell'amico per fargli percepire la differenza - “...ma come fate a capirvi?!?”

“Sarà come dici...”- l'altro non parve particolarmente interessato alla faccenda che liquidò rapidamente, distratto e attratto da una folata di aria calda sul viso, sopraggiunta all'improvviso quando uno degli ultimi avventori uscì dalla taverna barcollando.

Si stava facendo incantare dal richiamo delle luci oltre i vetri, lui, abituato a climi più miti e notti tiepide.

“Hai tempo per una birra? Offro io”- l'uomo bruno rivolse all'interno della taverna lo stesso sguardo avido che l'altro gli aveva visto tante volte sul viso nelle licenze estemporanee quando, per dimenticare la caducità della loro esistenza, si affrettavano alla ricerca di un amplesso rapido ma sufficientemente soddisfacente da poter far dimenticare l'eventualità che potesse essere l'ultimo.

“Solo per una...vorrei tonare sobrio”- il biondo abbassò lo sguardo, imbarazzato e intimamente frastornato da ciò che aveva saputo solo il giorno prima.

“Sobrio?!? Sobrio?!? La Compagnia delle Indie ti sta rovinando, amico! Lascia che ci pensi io a riportarti sulla retta via!” - rise sguaiatamente, il moro, passando un braccio attorno alle spalle dell'altro, tirandoselo contro con malagrazia.

E l'altro che si lasciò sbilanciare ma non travolgere, sorrise grattandosi la fronte.

“Tess è incinta...”

L'uomo dal pastrano rosso lo lasciò all'istante, si allontanò di un passo e, con le mani sui fianchi, scrutò l'amico da capo a piedi con un ghigno sornione.

“Tess? Quella Tess? Quella che mi hai soffiato da sotto il naso?!?”

“Non è andata proprio così...”- tentò di giustificarsi il biondo ma entrambi ridevano ben consapevoli su chi si fossero da subito concentrate le attenzioni della bella figlia del locandiere a cui avevano riempito le tasche con la loro diaria di soldati.

“E bravo Miguel! Anche in guerra eri il miglior cecchino del battaglione! Altro che mira allenata ad impallinare le lepri!

“Stupido! E smettila di chiamarmi così...davvero. Almeno il mio nome lo voglio conservare. In fin dei conti se non fossi francese non sarei mai arrivato qui e non avrei...ciò che ho adesso”- l'uomo biondo, scendendo con un balzo dalla botte, lanciò un'ultima occhiata ad est. Negli occhi un uragano di riccioli rossi rovesciato sul suo petto e nella mente un po' del suo Paese, disteso oltre il mare, dove, considerata l'ora ormai tarda, l'alba non avrebbe dovuto essere troppo lontana.

***

Voglio baciarti! Fino a domattina...”

E ancora le ha tra le sue le labbra di lei quando la luce lattiginosa del giorno bussa all'abbaino insieme a grosse gocce di pioggia che smorzano il crepitio residuo del fuoco.

E' un bussare discreto fatto per non turbare gli amanti, che ricama ombre nuove allungando le ciglia nell'attimo in cui la vede chiudere gli occhi ed abbandonare il capo all'indietro per arrendersi ancora ed accogliere la sferzata di piacere, l'ennesima, di quelle ore senza sonno. E adesso che non lo vede più quel lembo di cielo azzurro in cui vola libero da tutta la notte, non può far altro che spingersi più a fondo per raggiungerla di nuovo, là dove i pensieri si annullano e rimane soltanto, fortissima, la sensazione dei corpi impressi uno sull'altro, accentuata dalla stretta possente delle mani candide che non vogliono sciogliere l'abbraccio, come se ci fossero altre distanze da coprire, come se essere uno nell'altra non fosse ancora abbastanza.

Ti amo

Un'altra volta

Quanto gliel'ha ripetuto

Quante volte se lo sono detti, vicinissimi, cercandosi piano per assaporare ogni tocco, solcando la pelle con mani sempre più ingorde e labbra impazienti di sapori proibiti.

Ti amo

Gliel'ha detto guardandola da sotto in su quando le sue parole buttate lì quasi per caso l'hanno fatto tremare, di timore e desiderio, e ha dovuto sedersi su quel muretto sotto la finestra stringendola appena sui fianchi per cercare di tenere a bada la voglia di lei, mai sopita fino in fondo e risvegliata dalla sfumatura profonda di blu che una brama sempre più difficile da contenere ha usato per tingerle gli occhi. Non è stata difficile da riconoscere, è la stessa che lui ha sentito montare impetuosa accingendosi a travolgere ogni cosa, un'altra volta.
E' stata quella a togliergli davvero il fiato, ancora più del profumo lieve, unico e consueto insieme, di cui la sua pelle è intrisa da sempre e di cui è finalmente libero di ubriacarsi senza remore.

Ha sospirato, rassegnato a non farcela, ma tentando di appigliarsi ad una volontà certa che lei gli ha detto di condividere.

“Non voglio sbagliare niente Oscar...non più...”- ha mormorato con la fronte poggiata al suo petto ché forse non vedendoli quegli occhi che lo chiamano può resistere ancora un po' e comprendere se lei davvero è disposta a rimettere tutto sul piatto, subito, senza indugi. Se non è l'euforia di sapere che ora il suo cuore gli appartiene ad offuscargli la realtà delle cose.

“Non lo farai...”- l'ha sentita affermare decisa mentre le sue mani gli scivolavano sul collo e poi sotto le mandibole per indurlo a rialzare la testa.

“...non l'hai mai fatto...”

Allora ha chiuso gli occhi per non mostrarle le iridi umide, impiastricciate di quei giorni in cui si era sentito un ladro, dove l'unica goccia di orgoglio era stata la certezza di aver rinunciato alla propria vita con lei, per lei. A quello si era aggrappato quando aveva compreso che la morte lo teneva a debita distanza pur mostrandogli quotidianamente quanto potessero mutare le priorità di un'esistenza in bilico, di cui lei non faceva più parte.
Era arrivato ad essere fiero del suo coraggio salvo poi aver dovuto considerare che si era trattato solo di vanagloria se paragonato a quello di lei, alla sua caparbietà, allo spirito indomito con cui aveva affrontato l'impensabile.

E quella certezza era divenuta ancora più lampante qualche ora prima quando lei, stesa di fronte a lui, al caldo di una notte che avrebbe dovuto essere di sole parole, si era spogliata di ogni reticenza.
Lo aveva fatto perché lui glielo aveva chiesto, con frenesia di sapere e timore di farle male.

Parlami di lei...

Parlami di te, con lei...

Si era spogliata frugando tra momenti che aveva conservato gelosamente per lei sola, custoditi con cura quasi fossero stati riposti per poter essere consegnati a lui e a lui soltanto, in quella vita o forse in un'altra.
Lo aveva fatto con dolcezza e passione, indurendo la voce solo alla fine quando non c'era più gioia da condividere ma solo l'epilogo che già conosceva.

Era certo non sarebbe mai riuscito a darsi pace per averla lasciata sola dopo aver dimenticato tutto ciò che erano ed erano stati.
La prudenza, i ruoli, l'onore...tenerla tra le braccia senza alcun limite gli aveva fatto scordare ogni cosa come mai gli era successo in quelle poche occasioni in cui non aveva potuto non cedere al desiderio di scoperta di un corpo giovane ma adulto.
E poi c'erano state le sue convinzioni di allora, alimentate da parole tese e sconnesse, che non gli avevano consentito di guardare indietro senza rabbia verso se stesso e, in parte, forse anche verso di lei.

Quella notte...Oscar...credevo...”

Ma lei lo ha zittito di nuovo scuotendo il capo risoluta, prima di intervenire con un tono più adatto ad un ufficiale adirato piuttosto che ad una donna che si accinge a fare l'amore e affondando un po' le dita nella sua pelle quasi con quella pressione potesse trasferire anche a lui l'ardore che sentiva scorrerle nelle vene.

“No, no André...non lo devi pensare! Non lo devi mai più pensare! Ero così turbata che solo dopo ho compreso esattamente ciò che intendevi...c'eri tu con me...in ogni istante...”

Ha dovuto deglutire, lei, per tenere salda la voce, ricordando che la guerra avrebbe potuto portarglielo via con quella convinzione addosso, senza aver conosciuto davvero il suo cuore.

Ti amo

Era stata lei a dirlo, fiera e appassionata tanto da fargliele vedere offuscate le onde dorate che le lambivano il viso in quel modo nuovo di cui ancora non le aveva chiesto nulla ma del quale era certo ci fosse qualcosa da dire.
Ha raggiunto la forcina che sapeva essere là, nascosta dietro l'orecchio, togliendola delicatamente ed appoggiandola sul muretto, accanto alla coscia, perché pur essendo indubbiamente bellissima, era della sua Oscar che aveva una nostalgia struggente, quella il cui ricordo lo aveva accompagnato sempre e alla quale avrebbe dedicato anche la morte. Quella in grado di ricoprirgli d'oro il cuscino con ciocche lunghe e scomposte, da attorcigliare tra le dita.

“Sono un inutile impiccio queste forcine...”- ha sorriso continuando ad immergere le mani per liberarla da ciò che era certo per lei fosse solo un fastidio.

“...perché...?”

“Lascia stare, non importa...”

Si è stupito del suo tono adirato e dei gesti quasi rabbiosi con cui anche lei ha tuffato le dita tra i capelli per cancellare la stupidità del suo tentativo. Ha rischiato di non comprendere nulla, di nuovo e ora vuole solo far affiorare tutto ciò che fa di lei se stessa: la donna colonnello a capo delle guardie reali.
Quella che guida un reggimento ma che lui ha visto correre scalza sulla spiaggia; che potrebbe vestirsi di diamanti e invece indossa un vecchio capo sdrucito.
Quella capace di ferire a morte e di amare da morire.

“...aiutami a toglierle tutte...”

Impegnare le mani non gli ha impedito di sentirle tremare, un po' di più ad ogni ciocca che tornava a rivestirle le spalle tanto da doversi fermare un istante con l'ultima forcina tra le dita. Allora è intervenuta lei con una delicatezza inusuale ma che lui sa esistere da sempre sotto l'atteggiamento rigido e marziale, afferrandola e lasciandola cadere, prima di portarle alle labbra, quelle mani, e baciare la linea sottile sull'indice sinistro, visibile ormai solo a chi sapeva esattamente dove cercare.

“Non c'è più niente da sbagliare André...”

Ti amo

Gliel'ha ripetuto sfilando dalle asole i piccoli bottoni di madreperla, talmente candidi da risultare invisibili sulla stoffa dello stesso colore e poi andando a cercare sotto la seta un calore mai dimenticato. Ma si è interrotto subito, impreparato alla consistenza che ha avvertito sotto le dita, il volto ebbro di stupore.

“Oscar...”

Lei ha alzato le spalle ad indicare di non farci caso, che anche quello è parte delle cose da dimenticare. Ma lui non è riuscito ad essere indifferente allo splendore di quell'immagine inconsueta. Ha accompagnato la camicia lungo le braccia, lasciandola scivolare a terra per poterla ammirare, incredulo. Ben conscio che lei non è mai stata avvezza a complimenti galanti, ha sperato lo capisse dal suo sguardo quanto la trovasse bella, al di là di ogni immaginazione. Ha cercato di trasmetterle tutta la meraviglia impossessatasi dei palpiti del suo cuore attraverso i movimenti delle mani che hanno preso a percorrerla lungo la vita, sulle stecche rigide celate tra la fodera e il tessuto e poi sul bordo dove un semplice nastro di pizzo bianco sembrava quasi fondersi con la pelle altrettanto nivea del seno, coinvolgendola in un ricamo delicato.
E ha iniziato a comprendere.

“Lo sai che non è necessario, vero?”- l'ha guardata serio, con un'intensità che faceva quasi male.

Lei ha annuito in silenzio. Certo che lo sapeva, forse lo aveva sempre saputo.
Poi lo ha visto abbassare gli occhi e sorridere, rapito. Non è riuscito a trattenere una carezza lieve, in punta di dita, sulla piccola chiazza color caffè che imbratta la grana fine di una pelle impastata col latte, appena sopra l'incavo tra i seni.

“Non l'ho mai dimenticata...”

Non ha compreso, lei, all'inizio ma quando lo ha visto sparire e ricomparire sotto il suo pollice, quel punto scuro, si è sentita vibrare di un'emozione nuova, di intimo compiacimento, all'idea che anche in quel modo ha vissuto nei suoi pensieri.

“Anche questo è un inutile impiccio...”- ha cominciato a sciogliere i lacci, tirando stizzita quando il groviglio perfetto creato da Marie si è opposto ai suoi intenti.

“Lascia, ti aiuto io...”- le ha preso dolcemente le mani, lui, allontanandole e iniziando a sbrogliare l'intreccio di seta.

“Non guardarmi così...ho solo più pazienza di te...”- si è opposto con un ghigno divertito allo sguardo sorpreso e un po' torvo di lei che ha lasciato cadere ogni possibile replica sospirando di sollievo quando l'indumento è finito a terra poco distante dalla camicia.
E a terra è finito anche un foglio ripiegato, dagli angoli ingialliti, evidentemente celato sotto la seta.

Non ha avuto bisogno di chiederle cosa fosse né perché se lo fosse portata appresso.

Ti amo

Gliel'ha ripetuto prima di raccoglierla tra le labbra quella piccola goccia di caffè, trattenendo il fiato davanti a lei, radiosa come non la ricordava, forse appena più morbida, nuda fino alla vita.

Ti amo

L'ha ripetuto sulla sua pelle, ancora e ancora, aggrappandosi a lei, stringendola e facendola inarcare come un ramo giovane quando le ha posato un bacio sull'ombelico sotto il quale ora sa nascondersi la culla di una vita che non ha potuto conoscere. E per un istante, ad occhi chiusi, l'ha immaginata di nuovo la danza inaspettata di un corpo minuscolo e di sensazioni immense, da tastare con le mani e le labbra, tra sorrisi e baci sulla pelle tesa fino ad arrivare alla bocca umida e schiusa, in attesa della sua.

Ti amo

L'ha detto lei che ha compreso e si è chinata per raccogliere le labbra che in solitudine ha immaginato fare quello stesso percorso e di cui ha sentito di non poter più fare a meno.
Poi hanno annullato ogni spazio e accantonato ogni parola in quella notte che li ha visti nutrirsi d'amore, cibarsi di desiderio, saziarsi di una passione incontrollabile nel tentativo di placare un languore spietato che più hanno soddisfatto, più li ha lasciati affamati.

Hanno scoperto quanto impagabile può essere l'indugiare lento uno nell'altra, sfatti d'amore, molli d'appagamento, ascoltando il piacere abbandonarli piano; quanta pace può dare lo sfiorarsi le labbra senza fretta, lasciando scemare gli ultimi brividi per prepararsi ad accoglierne altri; quanto può essere struggente cullare insieme il ricordo di un dolore, baciando via il sapore delle lacrime che sgorgano per così tanti motivi da non sapere neanche dire quali sono.

E ora che la notte ha appena abbandonato il cielo, l'alba li trova ancora insieme e schiarisce sorrisi complici come un tempo e colpevoli come mai per essersi rubati vicendevolmente ore di riposo.

“Credo sia ora di iniziare a prepararsi...”- ci prova, Oscar, beandosi del peso di lui ancora addosso, a ritrovare un po' di rigore.

“Ti accompagno a Palazzo...”- anche lui ci prova nonostante il ritmo del cuore di lei sotto l'orecchio e il ticchettio della pioggia diano vita ad una melodia ipnotica che pare impossibile smettere di ascoltare.

“Non è necessario...”- no, non lo è. Lo sa anche lui ma è così difficile, ora, pensare di lasciarla andare. Se vuole tentare di essere razionale bisogna che si scosti da lei perché le dita leggere che gli scorrono sulla schiena lo allontanano da ogni pensiero logico. Si sistema al suo fianco tenendosi sollevato su un gomito per continuare a guardarla, lei che si stringe addosso il lenzuolo che sa di loro solo per contrastare un improvviso brivido di freddo ma si offre al suo sguardo morbida e scomposta, in un'intimità nuova che gli fa torcere il cuore.

“Oggi ho intenzione di scrivere un rapporto disciplinare a carico del mio comandante. Non voglio che Alain rischi la galera ogni volta che lo incontra...”

Lei annuisce e attende il resto che intuisce esserci nelle parole sospese.

“Anzi Oscar, vorrei chiederti un favore se ti è possibile...”

“Se si tratta di quel farabutto di d' Harcourt chiedimi tutto quello che vuoi!”

Sorride, André, di quell'ardore che conosce e che ora sa essere lo stesso di quando ama. E sapere di essere il solo a sapere che è lo stesso di quando ama, lo costringe a concentrarsi su una piega del lenzuolo sgualcito, che le ricopre le gambe.

“Ecco...vorrei chiederti di avallare le mie dichiarazioni. Credo che il tutto acquisirebbe un peso maggiore, agli occhi di Bouillé, se fosse supportato anche da te”

“Io sottoscriverò ogni tua riga. Scrivi pure ciò che ritieni giusto, con le parole sei sempre stato molto più bravo e diplomatico di me...”

Lui sorride, ironico, rincorrendo un pensiero improvviso, perso in un ricordo che lei ignora.

“Già...forse è davvero così. In fin dei conti tuo padre mi rivolge ancora la parola...”

“Cosa c'entra mio padre?”- è sorpresa e anche un po' allarmata pur non comprendendone il motivo. Lui solleva lo sguardo e le parla dritto negli occhi.

“Gli ho scritto prima di partire per l'America. Volevo ringraziarlo per ciò che ha fatto per me e salutarlo”

“Non ne sapevo niente”- affila lo sguardo, Oscar, improvvisamente all'erta.

“Beh...non mi stupisce, conoscendolo”

“Cosa gli hai scritto?”- qualcosa di indefinibile le si insinua nell'animo al ricordo di frasi lontane e di parole ostinatamente evitate.

“La verità...”

“Quale verità André?” - ora è veramente sbigottita perché se è come pensa...

“L'unica possibile...”

Me ne vado perché sono innamorato di Vostra figlia. Non riesco più a stare lontano da lei e, da uomo a uomo, credo non ci sia bisogno di altre spiegazioni...

Non lo sa perché quelle parole gli fossero uscite di getto, come se raccontare qualcosa di diverso fosse un insulto all'intelligenza dell'uomo che gli aveva donato un tetto e un'istruzione.
Forse perché solo a lui si era permesso di mostrare i propri tormenti di padre.
A lui, semplice scudiero, in quella stagione che salutava i suoi vent'anni, come se non fosse solo uno scudiero. Non aveva mai scordato il tono greve e il sospiro preoccupato che avevano accompagnato le sue parole. “
Forse sto invecchiando André”- gli aveva detto mentre osservava la figura fulgida della figlia allontanarsi al galoppo, diretta alla testa della parata che avrebbe accompagnato i Principi Reali nella loro prima visita a Parigi. “Inizio a pensare che questo incarico potrebbe essere troppo pericoloso per lei...
Non era mai riuscito a spiegarsi perché solo con lui si permettesse certi discorsi, come se avesse il potere di fare qualcosa oltre a quello di starle vicino.

“Che non ero la persona più indicata a proteggerti visti i miei sentimenti per te che avrebbero continuamente messo a rischio il tuo decoro e la tua incolumità...”- e ora è felice di averglielo detto perché, adesso che sa, vuole essere lui quello su cui caricare colpe e improperi ché con lei accanto può sopportare ogni cosa.

“Non mi ha mai detto niente...né mi ha mai chiesto niente...”- affonda nei ricordi, lei, cercando un indizio dietro il gelo di quello sguardo che talvolta le era parso ammorbidirsi inspiegabilmente.

“Te l'ho detto...lui non affronterebbe mai certi discorsi...non con te”

Lei gli afferra una mano e la tiene stretta, vuole che capisca

“Non mi ha mai chiesto niente...ma se fosse stato un maschio, avrebbe voluto nominarlo suo erede...”

Ora è lui quello sbigottito ma lei annuisce.

“Sì..tuo figlio...erede del suo casato”

“Ma come...?”

“Non lo so...ne avremmo parlato a tempo debito mi aveva detto. Poi quel tempo non è mai arrivato”

Le sfiora una guancia, lui, per togliere la patina amara scesa all'improvviso a spegnere le stelle nei suoi occhi.

“Avresti preso la decisione migliore, non ho dubbi...”

Le annuisce, incerta, chiedendosi se davvero sarebbe stato così.
Poi è un altro scroscio improvviso che si abbatte sull'abbaino a richiamarli al presente.

“Sta piovendo forte Oscar, non ti lascio tornare sola...”

“Impiegheresti troppo tempo...”

“Oggi ho chiesto di avere il turno pomeridiano. Non ho dimenticato i balli di corte ai quali partecipavo al seguito del Comandante delle Guardie Reali e ho immaginato che la notte sarebbe stata lunga...

“E lo è stata?”- finge un tono indagatore, lei, imponendosi un contegno.

“Non abbastanza...”- è intenso lo sguardo che si scambiano, arriva a fondo, laggiù dove ora sanno che corpo e anima possono incendiarsi a vicenda, accendersi e brillare avvinghiati e dove sentono nascere un altro fuoco al cui calore ammaliante è impossibile sottrarsi in una fredda mattina di pioggia.

“Ma accompagnarti la allungherebbe...”

“Ti ho detto che non ce n'è bisogno...”

“Lo so, però...”

“...ho lasciato a Girodel il turno del mattino...”

 

Stranamente non è lei la prima a svegliarsi, ore dopo.
Riesce ad aprire gli occhi solo grazie a tocchi delicati che tentano di strapparla al sonno esercitando un richiamo sempre più difficile da ignorare.

“Non vorrei svegliarti ma è ora di andare...”- è il timbro profondo di André, vicinissimo, che accompagna i suoi baci sulla pelle nuda della spalla e del collo.

Lei sospira; vorrebbe farsi cullare ancora un po' dal mormorio fine della pioggia che ha sostituito gli scrosci violenti del primo albeggiare ma se il dovere chiama, non è lecito indugiare.
Si volta verso di lui, arruffata di sonno, e si stupisce di quanto siano vividi e brillanti i suoi occhi in quella luce così pallida.

“E' molto tardi?”

“Non troppo...abbiamo tutto il tempo...”

Trasale al fragore di un tuono in lontananza che giunge come un mormorio contrariato e nella mente ancora annebbiata risuona come un rimprovero sommesso, una minaccia imprevedibile alla stregua di una burrasca quando il cielo è sereno fino all'orizzonte.
E' una sensazione confusa e sgradevole che la fa tornare completamente a se stessa e la induce a togliergli il fiato con un bacio denso di tutti quelli che non sono mai stati, ora perduti per sempre.

“Credimi Oscar, non c'è altro che vorrei fare oggi ma se non scendiamo da questo letto credo che nessuno potrà toglierci un richiamo, almeno a me, per mancata presa di servizio”- sono parole soffiate tra labbra che ancora si sfiorano e lei sa che ha ragione. Sorride, annuendo e avvertendo contro la guancia il velo appena ruvido su quella di lui.

“Comincia tu, io non devo radermi”

Segue il rumore dei suoi movimenti nella stanzetta attigua adibita a locale da bagno; attraverso la porta socchiusa lo sente versare acqua nel catino e preparare il rasoio.

“André?”- lo chiama, assorta, con il mento poggiato sulle ginocchia piegate e strette al petto

“Dimmi”- lui non si distrae e inizia a seguire con la lama il profilo del mento riflesso nello specchio.

“Immagino che adesso il dottore e suo nipote torneranno in America”

“Non subito. La stagione non è ancora quella più adatta a sfruttare le correnti che spingono le navi verso l'America del Nord. Perché me lo chiedi?”

I pensieri le si affollano nella mente ma ancora non riesce di infilarli nell'ordine giusto.

“Vorrei parlare con Simmons...”

“Certo...posso chiederti per quale motivo?”- si arresta, colpito dal tono assorto, e spalanca la porta per cogliere ogni traccia d'inquietudine. Anche lei solleva il capo, portando gli occhi dritti in quelli di lui.

“Ho delle cose da raccontarti...”
 

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