Capitolo quinto
Tutti dicevano "pazza"
E avevano ragione
Più mi dicono male e più mi va bene
Fortuna che io sono fatta così
Mi han lanciata su una buona stella
Fortuna che
Che se cado lo stesso vivo bene lo stesso
Vado bene così
Più gira male e più mi va bene
Più gira male e più mi va bene
Più dite male e più mi va bene
Va bene, va bene, va bene così!
(“Fortuna” – Emma)
Nicomaco, dunque, si era
preso l’impegno di andare a parlare con Jacopo al posto di Lorenzo, per
rendersi utile al giovane Medici dopo tanti mesi di latitanza. Questa volta non aveva neanche provato a convincere
Pirro a rimanere ad attenderlo in carrozza e, così, sia lui sia il suo sfrontato
servitore si ritrovarono nel salotto di Pazzi e Nicomaco iniziò a riferire ciò
che aveva saputo da Lorenzo (sempre sperando che Pirro non si mettesse in mente
di intervenire anche lui nel momento più inappropriato!).
“I Vescovi della
Toscana hanno ascoltato la richiesta di Lorenzo, si sono riuniti in una corte
con poteri propri e hanno ordinato la riapertura delle chiese” annunciò.
“Adesso la gente di Firenze può di nuovo ricevere i sacramenti.”
“Ma questa è una
bellissima notizia!” esclamò Antonio, raggiante.
Jacopo, invece,
restava rigido e manteneva la solita espressione severa sul volto.
“Sì, ma il Papa si è
infuriato” spiegò Nicomaco. “I Vescovi hanno anche scritto una lettera a Papa
Sisto comunicandogli la loro decisione e minacciando di riunirsi in un Collegio
apposito per scomunicare lui stesso.”
“Ma il Papa non può
essere scomunicato!” fece Antonio, sbalordito.
“In effetti è proprio
quello che ha detto anche lui” replicò Nicomaco. “Don Carlo, il cugino di
Lorenzo che era stato imprigionato a Roma, è stato liberato ed è riuscito in
qualche modo a fuggire dagli sgherri di Riario che volevano ucciderlo. È giunto
proprio questa mattina a Firenze, stremato, e ha avvertito Lorenzo che Papa
Sisto ha chiesto l’aiuto delle truppe del Re Ferrante di Napoli, affinché si
uniscano all’esercito di Girolamo Riario e marcino contro Firenze.”
A quelle parole Jacopo
si rabbuiò ancora di più e, istintivamente, strinse a sé Antonio come per
proteggerlo. Adesso si rendeva ancora più conto di quali terribili eventi
avesse messo in moto accettando i piani del Papa come uno stolto cazzone qualsiasi, senza farsi neanche una domanda, senza
chiedersi come mai Papa Sisto IV avrebbe dovuto volere che lui governasse
Firenze al posto dei Medici. Avrebbe dovuto capire che il pontefice mirava a
ben altro… ma era stato presuntuoso, accecato dall’odio per i Medici e dalla
convinzione di essere stato incaricato da Dio stesso di guidare la città.
Invece, a quanto pareva, Dio non c’entrava proprio niente e dietro tutto quanto
c’era sempre stato l’ambizioso e avido Sisto IV! Ora stava per scoppiare una
guerra e lui provava una profonda angoscia per le sorti della sua Firenze e per
l’incolumità del suo Antonio.
Ad ogni modo non
poteva lasciarsi vincere dal pessimismo e dai sensi di colpa… insomma, il suo
valoroso antenato Pazzino de’ Pazzi si sarebbe vergognato di lui! Così si fece
animo e cercò di incoraggiare anche il suo dolce ragazzino.
“La guerra è sempre
una cosa terribile” affermò. “Tuttavia sono convinto che una Firenze unita sarà
più forte e saprà difendersi da qualsiasi invasore. E comunque non è ancora
detto che Re Ferrante decida di unirsi all’esercito di Riario, potrebbe anche
scegliere di stare dalla parte di Firenze o di rimanere neutrale come ha fatto
fino ad ora.”
In quel momento si
udì una certa confusione all’ingresso e, poco dopo, un servitore entrò nel
salone annunciando un arrivo quanto mai inaspettato.
“Messer Pazzi, è
appena giunto il Priore Spinelli e chiede di conferire con voi con urgenza”
disse.
Nicomaco, sentendo
quel nome, si allarmò: al Consiglio dei Priori, Spinelli non era sembrato
esattamente un amico dei Medici…
“Ma cosa ci viene a
fare qui? Messer Pazzi, non sarà amico vostro, vero?” domandò.
“In realtà lo conosco
appena, l’ho visto qualche volta al Consiglio dei Priori ma non ho mai parlato
personalmente con lui. E adesso vorrebbe vedermi in privato?” continuò,
rivolgendosi al servo.
“Sì, signore. Dice di
avere delle notizie importantissime per voi, che non possono aspettare” rispose
l’uomo. “L’ho fatto accomodare nel vostro studio, devo mandarlo via?”
“No, digli che lo
raggiungerò subito, ma che non ho molto tempo da dedicargli” rispose.
Il servo obbedì e
uscì dal salone.
“Non credo che
dovreste parlare con lui, Messer Pazzi” suggerì Nicomaco, preoccupato. “L’avete
visto al Consiglio dei Priori, lui e il suo amico Ardinghelli sono oppositori
di Lorenzo.”
“Gli dedicherò solo
pochi minuti e voi potete venire con me, Messer Nicomaco, così vi renderete
conto da solo del fatto che non sono assolutamente suo amico e che non ho alcun
accordo con la sua parte” replicò Pazzi, uscendo anche lui dal salone per
dirigersi verso il suo studio privato. Nicomaco lo seguì, tranquillizzato,
mentre Pirro non si fidava proprio per niente di quel tale Spinelli e,
ovviamente, propose ad Antonio di ascoltare di nascosto quello che l’uomo era
venuto a dire!
“Antonio, dovremmo
cercare di ascoltare tutto ciò che Spinelli dirà a Messer Pazzi!” disse, da
impunito qual era.
Antonio era perplesso.
Origliare non era un problema per lui da molto tempo, aveva dovuto farlo più di
una volta per scoprire i piani dei congiurati e sventare qualsiasi pericolo e in
realtà nemmeno lui si fidava davvero di Giacomo Spinelli, che si era
apertamente messo contro Lorenzo alla riunione dei Priori. E se davvero avesse
tentato di convincere Messer Pazzi a passare dalla sua parte, a tradire i
Medici? Erano in molti, a Firenze, a credere che Jacopo Pazzi, in fondo in
fondo, non avesse veramente sposato la causa dei Medici e che si limitasse a
rimanere in disparte, senza più cercare di danneggiarli ma sicuramente nemmeno
di aiutarli. Spinelli poteva rivelarsi un nuovo Salviati che avrebbe spinto
Messer Pazzi sulla strada sbagliata?
“Hai ragione, Pirro,
nemmeno io mi fido di Messer Spinelli e credo che dovremo ascoltare la sua
conversazione con Messer Pazzi!” disse dunque Antonio.
I due giovani si
mossero silenziosamente verso lo studio di Jacopo. Le porte erano socchiuse e
le voci si udivano chiaramente. Ad Antonio si strinse il cuore. Quel momento
gli ricordava fin troppo le tante volte in cui, ascoltando dietro una porta,
era venuto a conoscenza di piani e trame spaventosi… quante volte si era
sentito gelare il sangue sentendo il suo
Messer Pazzi pronunciare parole di odio e di minaccia verso i suoi amici!
Era possibile che niente fosse cambiato e che lui dovesse, ancora e sempre,
preoccuparsi per le decisioni dell’uomo che amava?
“Messer Ardinghelli è
venuto a sapere che papa Sisto IV ha ottenuto ciò che chiedeva al Regno di
Napoli” stava dicendo Spinelli. “Un esercito guidato da Alfonso II, figlio di
Re Ferrante, si sta per unire a quello di Riario e poi marceranno insieme contro
Firenze.”
“La cosa mi preoccupa
molto, ma non vedo come potrei fermare questi eserciti. Perché siete venuto da
me, Messer Spinelli? Avreste dovuto chiedere al Gonfaloniere di convocare una
riunione urgente del Consiglio dei Priori e avvertire tutti” replicò Pazzi,
senza scomporsi.
“Invece siete proprio
voi che potete fermare questa guerra prima che inizi” insisté il Priore.
“Perché avete appoggiato la proposta di Lorenzo de’ Medici al Consiglio? So che
non siete suo amico. Se vi foste opposto, la vostra famiglia si sarebbe
schierata con voi e anche altri Priori vi avrebbero seguito.”
“Continuo a non
capire perché siate venuto qui e perché abbiate voluto parlarmi, Messere”
ribatté Jacopo con un tono duro e freddo. Se Antonio era stato visitato dai fantasmi delle congiure precedenti,
anche a Pazzi sembrava di rivivere quei momenti che risvegliavano in lui tanti
rimorsi. Se allora non avesse ascoltato Salviati, Montesecco e Riario…
Ma adesso era ancora
in tempo per non ascoltare Spinelli!
“Messer Ardinghelli è
andato dal Gonfaloniere per chiedergli di convocare al più presto il Consiglio
dei Priori per discutere di questi nuovi e terribili sviluppi. Non abbiamo
speranze contro gli eserciti uniti dello Stato Pontificio, di Riario e di
Napoli e nessuno verrà in nostro soccorso. Voi dovete assolutamente unirvi a
noi per contrastare le idee pericolose di Lorenzo de’ Medici, dovete votare
contro di lui e insieme lo costringeremo a chiedere perdono a Papa Sisto”
spiegò Spinelli. “Forse siamo ancora in tempo, forse il pontefice accetterà le
scuse e ritirerà gli eserciti.”
“Lorenzo non
presenterà mai le sue scuse a Papa Sisto e non sarò certo io a chiederglielo!”
esclamò Jacopo, quasi oltraggiato al solo pensiero. “Voi e il vostro amico
Ardinghelli siete talmente pavidi da volere che Firenze si umili davanti al
pontefice e al suo avido nipote? E’ questa la vostra devozione alla nostra
città? Credete veramente che Sisto IV si accontenterà delle scuse di Lorenzo?
Siete degli illusi, o degli sciocchi. Il suo piano è sempre stato quello di
mettere Firenze nelle mani di suo nipote Riario e non fermerà gli eserciti a
nessun costo!”
Spinelli sembrava
offeso dalla risposta di Pazzi.
“È così che la
pensate, adesso? Però non sembravate tanto ostile a Papa Sisto nei mesi scorsi…
sapete, corre voce che sapevate tutto della congiura e che avete lasciato che
avvenisse” insinuò.
“Eravate assente da
Firenze, Messer Spinelli? Perché tutti coloro che erano nella Cattedrale, quel
giorno, videro me e mio nipote Francesco affrontare e uccidere i sicari che
stavano per eliminare i fratelli Medici” ribatté Jacopo, glaciale nel tono e
nello sguardo. “Qualsiasi errore abbia fatto in passato, riponendo la mia
fiducia in persone che non lo meritavano, non ho intenzione di ripeterlo né ora
né mai. Lorenzo de’ Medici avrà il mio totale appoggio in questa guerra contro
i nemici di Firenze, perché solo restando uniti, a dispetto delle rivalità
familiari, potremo sconfiggere gli eserciti invasori. Piuttosto, potremo
contare veramente sull’unione dell’intera Firenze? O voi e Ardinghelli, per non
perdere i vostri privilegi, sareste disposti a vendervi a Papa Sisto?”
Spinelli era
esterrefatto. Non era proprio quella la reazione che si aspettava da Pazzi,
anzi, a dirla tutta era convinto che l’uomo sarebbe stato ben felice di avere
l’occasione per opporsi nuovamente ai Medici. E adesso invece faceva
insinuazioni su di lui? Avrebbe potuto denunciarlo al Consiglio dei Priori come
traditore?
“Messer Pazzi, non
intendevo affatto questo e lo sapete bene. Nessuno di noi vuole che Firenze
cada in mano a Riario, ma se il solo modo di difenderla è chiedere perdono al
Papa…” ritentò, abbassando di molto la cresta.
“Il solo modo di
difendere Firenze è mostrare un fronte unito contro tutti i nemici e non
lasciarsi spaventare” dichiarò Jacopo, sentendo scorrere nelle vene il sangue
impavido dell’antenato Pazzino… “E adesso, Messer Spinelli, potete anche
lasciare la mia casa. Io non ho altro da dirvi.”
A quelle parole, Antonio
e Pirro si affrettarono ad allontanarsi dalla loro posizione e ritornare nel
salone, per non essere sorpresi ad origliare. Antonio era orgoglioso e felice
che, questa volta, il suo Messer Pazzi si
fosse comportato da vero eroe e avesse fatto la scelta più giusta e coraggiosa;
anche Nicomaco, a dirla tutta, si era trovato ad ammirare il sangue freddo e la
forza morale di Jacopo che aveva tenuto testa a Spinelli invece di scegliere la
via più facile. Dal canto suo, Pirro era disgustato da Spinelli che aveva
cercato di traviare Jacopo e di mettere
i Priori contro i Medici e si trattenne a fatica dallo sputargli in faccia tutto
quello che pensava di lui… però, se lo avesse fatto, si sarebbe tradito e
avrebbe messo nei guai il suo padrone! Nicomaco si congratulò con Jacopo e alla
fine si congedò da lui e da Antonio, salutandoli calorosamente… mentre Spinelli
se ne dovette andare dalla villa di Pazzi con la coda tra le gambe.
Quella notte, stringendo Antonio a sé nel letto,
Jacopo sentiva di aver finalmente iniziato a prendere la giusta direzione. Non
poteva assolversi per il male che aveva causato, ma questo poteva essere un
primo passo verso la risoluzione di ciò che aveva contribuito a fare. Baciò il suo ragazzino sempre più appassionatamente, lo
accarezzò con tenerezza e amore, incollandosi a lui per sentire che era davvero
lì, che non gli sarebbe mai accaduto nulla di male. Sentì che Antonio lo
accoglieva docilmente, donandosi a lui con la consueta timida dolcezza e
insieme si persero in un universo di tenerezza e amore, un mondo in cui
esistevano soltanto loro due e non c’erano guerre, faide, ambizioni e rivalità.
Alla fine rimasero stretti come se fossero un unico essere, desiderando solo
dimenticare tutto il male attorno a loro. Jacopo si sentiva finalmente più
sereno: il giovane corpo caldo e tenero del ragazzo era la sua oasi di pace e
niente e nessuno avrebbe mai più potuto separarlo dal suo preziosissimo
tesoro.
Le cose, però, erano
destinate a peggiorare nonostante gli sforzi di tutti…
Trascorsero più di tre mesi e, purtroppo,
furono i presagi di sventura di quegli uccellacci
di Ardinghelli e Spinelli ad avere ragione: le truppe dello Stato Pontificio e
quelle di Riario si erano unite ad un esercito guidato da Alfonso II, figlio
del Re di Napoli, e avanzavano sempre di più verso Firenze. La città cercava di
difendersi con truppe mercenarie, ma fino a quel momento aveva avuto la peggio
e solo grazie alla strenua difesa dei soldati Riario non era ancora entrato a
Firenze da vincitore. Com’è ovvio, la situazione in città era drammatica, il
popolo aveva paura, era sempre più povero e, come se non bastasse (e secondo
l’immortale detto mai ‘na gioia), anche
il vaiolo aveva iniziato a diffondersi tra i feriti e i senzatetto che venivano
curati nel Convento di San Marco.
L’unico motivo per cui Firenze non era ancora
caduta era una sorta di impasse tra
Riario e il Principe Alfonso II: Riario avrebbe voluto che Alfonso desse a lui
il comando delle operazioni per marciare spedito verso la città, ma il Principe
non aveva intenzione di farsi comandare da un raccomandato qualsiasi e aveva deciso di attendere per sferrare
l’attacco decisivo alle truppe fiorentine.
Insomma, quei due andavano d’accordo come
Bugo e Morgan al Festival di Sanremo!
E proprio di questo stavano parlando Lorenzo,
Giuliano e il loro amico Tommaso Peruzzi quel giorno, recandosi al Consiglio
dei Priori (ovviamente non di Bugo e Morgan, ma del disaccordo tra Riario e
Alfonso di Napoli!).
“Lorenzo, credo che l’evidente dissidio tra
Riario e Alfonso II sia un vantaggio per Firenze e anche per la nostra
posizione” disse Giuliano. “Dovresti far notare questa loro debolezza ai Priori
per convincerli che questo è il momento migliore per attaccare i loro eserciti
rafforzando le nostre truppe.”
“Era ciò che pensavo anch’io, Giuliano, ma il
popolo di Firenze sta già pagando un prezzo altissimo… come possiamo pretendere
che accettino di mandare i loro figli, mariti, fratelli contro un esercito così
potente e ben organizzato?” Lorenzo era molto combattuto, perché alla fine
tutto ciò che voleva era che Firenze fosse libera e che coloro che avevano
organizzato la congiura pagassero, ma sentiva che non era del tutto giusto far
combattere ad altri le sue battaglie. “Farò comunque la proposta al Consiglio
dei Priori di rafforzare l’esercito di Guiscardi con gli uomini a difesa delle
mura di Firenze.”
“Ho sentito dire che Riario vorrebbe che suo
zio, il Papa, sottomettesse il Principe Alfonso al suo comando, così da poter
attaccare subito con tutte le truppe, ma pare che il Papa non sia d’accordo,
altrimenti avrebbe già dato l’ordine” intervenne Tommaso Peruzzi, con una buona
dose di ottimismo.
“Ecco, lo vedi? Anche questo potrebbe essere
un buon argomento per convincere i Priori” insisté Giuliano. “Nemmeno il Papa
appoggia Riario fino in fondo!”
“Voglio far notare ai Priori che non c’è
momento migliore di questo se vogliamo avere la meglio sugli eserciti che ci
minacciano” approvò Lorenzo. “Ci sono tre eserciti, è vero, ma non sono uniti,
anzi ognuno persegue i propri scopi, mentre le nostre truppe vogliono lottare
per Firenze, perché la città sia libera e non sotto un giogo straniero.”
I tre amici entrarono così nel Palazzo dei
Priori con aspettative ottimistiche per quella riunione. Si erano appena
seduti, però, quando Giuliano dette una lieve gomitata al fratello per attirare
la sua attenzione.
“Lorenzo, ma… ma perché Jacopo non è
presente? Questo è un incontro importantissimo, non poteva non sapere quanto
sarebbe stata fondamentale la sua presenza!” mormorò, insospettito. “Ecco, lo
sapevo, non avremmo mai dovuto fidarci di quello stolto caz…”
“Fai silenzio, adesso, Giuliano. Francesco e
Guglielmo sono comunque presenti, forse Jacopo ha avuto un imprevisto… in
effetti, non c’è nemmeno Antonio. Temo che possa essere accaduto qualcosa, ma
non penso a un tradimento” replicò Lorenzo, sicuro. “E poi penso che i voti a
nostro favore saranno sufficienti anche in assenza di Jacopo.”
Lorenzo, così, presentò la sua proposta di rafforzare
l’esercito del mercenario Guiscardi con gli uomini che erano a difesa delle
mura di Firenze, sottolineando il fatto che quello era un momento favorevole,
visto che Riario e Alfonso di Napoli erano in disaccordo su come e quando
sferrare l’attacco. Nonostante la sicurezza delle sue parole, il giovane Medici
si aspettava l’obiezione di Ardinghelli, che in fin dei conti se ne fregava di
chi governasse Firenze, Riario, il Papa, il Re di Napoli o il Re d’Inghilterra,
bastava che potesse continuare a guadagnare con i suoi commerci… una persona
molto simile a tanti politici di oggi, insomma.
“I nostri uomini ci servono sulle mura per
proteggere la città” obiettò infatti Ardinghelli. “Perché non possiamo pagare
altre truppe mercenarie?”
“Perché le casse della città sono vuote”
spiegò Lorenzo, “e non abbiamo denaro per pagare altri mercenari.”
“Siete disposto a versare il sangue dei
mercenari per non perdere Firenze, ma non quello dei vostri figli, Messer
Ardinghelli?” domandò allora Tommaso Peruzzi.
Ardinghelli, tuttavia, non si scompose. Era
talmente sicuro di sé da non lasciarsi impensierire dalla domanda di Peruzzi.
“Bene, dunque. Se la libertà è davvero tanto
preziosa, mettiamola subito in pratica: chiedo ai Priori di votare riguardo
alla proposta fatta da Messer Medici. O forse non siamo liberi di esprimere il
nostro voto?” disse l’uomo, rivolgendo uno sguardo di sfida a Lorenzo.
“Sono d’accordo. Allora, chi è a favore della
proposta di Lorenzo de’ Medici?” chiese il Gonfaloniere.
Purtroppo, ben poche mani si alzarono: i
fratelli Medici, ovviamente, Tommaso Peruzzi, Francesco e Guglielmo Pazzi, Luca
degli Albizzi, Messer Nicomaco… e pochi altri.
La maggioranza, dunque, votò contro la
proposta di rafforzare l’esercito con gli uomini a difesa delle mura di Firenze
e il Gonfaloniere dovette respingerla. Lorenzo e Giuliano si scambiarono uno
sguardo deluso, mentre Francesco Pazzi si guardava intorno e sembrava
incredulo.
La riunione era conclusa e i Priori si
stavano preparando per tornare alle loro case. Francesco, Guglielmo e Tommaso
si avvicinarono per parlare con i fratelli Medici e Francesco, in particolare,
aveva uno sguardo cupo e preoccupato e condusse gli amici fuori dal Palazzo dei
Priori per parlare con più calma di quello che era appena accaduto e della
ragione dell’assenza di Jacopo Pazzi. Lorenzo era innervosito: era convinto
che, se ci fosse stato anche Jacopo, sarebbe stato capace di convincere un
maggior numero di Priori a sostenere la sua proposta… magari tirando in ballo
anche Pazzino de’ Pazzi ma, insomma, il fine giustifica i mezzi, no?
“Mio zio Jacopo non ha alcuna intenzione di
mettervi in difficoltà e sono certo che lui per primo sarà addoloratissimo
quando saprà che i Priori hanno votato contro la tua proposta, Lorenzo” disse
Francesco.
“Ma allora perché non è venuto qui oggi?
Avrei avuto molto bisogno del suo sostegno in questa votazione” fece Lorenzo,
con una certa impazienza.
Questa volta fu Guglielmo a rispondere.
“Beh, non volevamo che vi preoccupaste, ma…
ecco, Antonio non sta bene. Sono giorni che ha una brutta tosse e ieri notte ha
iniziato ad avere anche la febbre” rivelò agli amici. “Il dottore ha detto che
si tratta di una malattia ai polmoni, forse dovuta a un colpo di freddo, e lo
sta curando con pozioni, sciroppi e, soprattutto, tanto riposo a letto. Lo zio
non ha voluto lasciarlo solo.”
Le parole di Guglielmo furono accolte da un
silenzio glaciale. Ovviamente erano tutti preoccupati per le condizioni di
Antonio, ma Lorenzo capiva anche di aver perso un’occasione importante e che,
forse, Firenze sarebbe potuta cadere nelle mani degli invasori perché la sua
proposta era stata respinta.
“Voglio andare a parlare subito con Jacopo”
dichiarò il giovane Medici con decisione. “Forse potremo convincere il
Gonfaloniere a riunire una seconda volta il Consiglio dei Priori e ad
effettuare una seconda votazione… questa volta in presenza di tutti! Jacopo non
può sottrarsi al suo dovere, nemmeno per Antonio, ne va della libertà di
Firenze.”
Con queste parole, Lorenzo si avviò in fretta
verso Palazzo Medici per prendere il suo cavallo e recarsi il prima possibile
alla villa di Jacopo. Era molto contrariato.
Fine capitolo quinto