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Autore: AndyWin24    05/12/2022    6 recensioni
Una mattina Merlino trova per puro caso un vecchio libro di fiabe e, incuriosito, si mette a sfogliarlo. Così facendo, però, scatena involontariamente un potente sortilegio che colpisce Camelot e i suoi abitanti, trasformandoli nei personaggi delle storie narrate. Scoprirà ben presto che per far tornare tutto com’era prima esiste solo un modo: dare ad ognuno di loro il proprio lieto fine.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merlino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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… Gwenderella
 
   Merlino aprì gli occhi lentamente e si guardò intorno.
   “Ehi? Hai ascoltato almeno una parola di quello che ho detto?” chiese Artù lievemente infastidito.
   Si trovavano nelle stanze da letto reali. Il servitore era in piedi di fronte al tavolo dove era poggiato il giovane cavaliere.
   “Allora? Hai capito?”
   “N-no… scusate. Mi sono distratto per un istante… Di cosa stavate parlando?”
   Artù sbuffò e scosse la testa spazientito.
   “Merlino, concentrati! Il ballo è domani e dobbiamo assicurarci che sia tutto pronto.”
   “Il… ballo?”
   “Sì, esatto, il ballo. Hai presente quella festa in cui c’è la musica e le persone si divertono muovendosi a ritmo?”
   “So cos’è un ballo. Soltanto, non sapevo che a voi piaceste questo genere di intrattenimento.”
   “Ma che stupidaggini vai blaterando?! Ho sempre amato danzare. Non c’è passatempo migliore.” ribatté Artù corrucciato “Proprio per questo, ti stavo dicendo che dobbiamo accertarci che l’organizzazione sia a buon punto. Mio padre vuole fare bella figura con gli ospiti e non credo gradirà neanche un dettaglio fuori posto.”
   “Vostro padre?” chiese Merlino, confuso. Da quel che ricordava, Uther era morto da diversi anni.
   “Sì, mio padre. Il re.” spiegò Artù, stupito da quella domanda “Certo che oggi sei proprio strano. Intendo, più del solito.”
   “Vi chiedo scusa. Non ho dormito bene…”
   “Beh, non importa quanto tu sia riposato. Abbiamo dei preparativi da ultimare. Sarà meglio che ci mettiamo subito a lavoro.”
 
***
 
   “Tu!” esclamò Artù, indicando un servitore “Sposta quel tavolo verso sinistra! Tu, invece, togli il tappetto! Ci manca solo che qualcuno inciampi e si faccia male nel bel mezzo della serata!”
   Il principe stava impartendo un ordine dopo l’altro, nel tentativo di assicurarsi che ogni cosa fosse al posto giusto prima del grande evento previsto per l’indomani. Merlino, intanto, osservava da vicino il via vai della servitù, mentre rimuginava sulla conversazione avuta con Grimm, lo spirito del libro delle fiabe. Non poteva ancora credere all’ingenuità che aveva commesso. Avrebbe dovuto fare più attenzione e non leggere quella maledetta frase. In quel momento, con ogni probabilità, sarebbe sempre stato impegnato con qualche incarico affidatogli da Artù, però sicuramente non avrebbe dovuto avere a che fare con quello stupido ballo. Inoltre, non aveva affatto capito come funzionasse la storia del “lieto fine”. Secondo il tipo verde, era suo compito aiutare qualcuno a trovarlo. Ma chi? E in che modo? Per questo, non aveva ancora una risposta.
   “Principe Artù?”
   Un ragazzo si avvicinò al giovane Pendragon con riverenza, inchinandosi.
   “Sì, George, cosa vuoi?”
   “Lady Catrina di Tregore e le sue figlie sono arrivate ed attendono di essere ricevute.”
   “Cosa?!” disse Artù, sussultando “E perché non le hai fatte entrare? Forza, sbrigati! Accompagnale qui, subito!”
   “Sì, mio signore!” disse George, congedandosi in fretta.
   “Come mai avete reagito in quel modo?” chiese Merlino, accigliato.
   “Stai scherzando, vero?”
   “No…”
   Artù sbatté le braccia sui fianchi. Poi, con uno strattone lo spinse in un angolo piuttosto appartato.
   “Lady Catrina è una cara amica di mio padre. Sono anni che lui insiste affinché sposi una delle sue figlie.”
   “E voi volete assecondarlo?”
   “Certo che no! Ma non posso far finta di niente e trattarle come se fossero delle persone qualunque. Tra l’altro, saranno nostre ospiti per un po’ di tempo qui, a Camelot. Devo fare del mio meglio per farle sentire completamente a proprio agio.”
   “Sono sicura che ci riuscirai.” intervenne una voce alle sue spalle.
   Una donna distinta fece la sua comparsa nella grande sala, seguita da due giovani ragazze.
   “Lady Catrina! Che piacere avervi qui con noi.” disse Artù, avvicinandosi a lei e baciandole la mano.
   “Troppo gentile. In questo, sei identico a tuo padre. A tal proposito, dov’è? Mi piacerebbe salutarlo.”
   “Purtroppo, non si trova nel castello, al momento. Mi scuso per lui, ma sono sicuro che si farà perdonare al più presto.”
   “Oh, non temere. Ne sono certa. Nel frattempo, posso avere il piacere di presentarti le mie figlie?” chiese Catrina, indicando le due dame al suo fianco.
   “Certamente.”
   “La maggiore, Vivian.” disse e, al contempo, la ragazza più vicina alla donna fece un profondo inchino, facendo oscillare la sua chioma biondo chiaro.
   “E la minore, Sophia.”
   Stavolta fu l’altra ad inchinarsi. Il vestito giallo ondeggiò con una grazia che a Merlino risultò quasi eccessiva e sgradevole.
   “Molto lieto.” disse Artù, facendo il baciamano ad entrambe “Posso notare che la bellezza delle donne della famiglia Tregore non è solo una diceria.”
   Vivian e Sophia risero compiaciute, mentre Catrina annuì con riconoscenza.
   “Sei un vero galantuomo, Artù. Anche in questo caso, non è solo frutto delle dicerie. Me ne compiaccio.”
   “Bene.” disse Artù, un po’ in imbarazzo per il complimento ma anche perché non sapeva come continuare la conversazione “A questo punto, sarei onorato di avervi con me a pranzo. La cucina della nostra cuoca è famosa in tutto il regno.”
   “Ti ringrazio per l’invito, Artù. Ovviamente, accettiamo con piacere, nella speranza che tuo padre si unisca a noi.”
   “Beh, come vi ho detto, il re è via dal castello e difficilmente tornerà prima di un altro paio di giorni. Ma non temete, in sua vece mi occuperò io di non farvi mancare nul…”
   Dal corridoio adiacente alla sala si sentì un forte rumore che riecheggiò per diversi attimi. Poi, dal portone, entrò in gran fretta una ragazza con un’enorme anfora di bronzo. Merlino ebbe quasi un tonfo al cuore nel vederla.
   “Per l’amor del cielo, fa’ più attenzione!” esclamò Catrina con severità “Quel cimelio vale una fortuna!”
   “Vi chiedo scusa!” ribatté la giovane mentre trascinava a fatica l’oggetto.
   “Cosa succede?” chiese Artù confuso.
   “Oh, devi scusarla. Lei è Gwenderella, la figlia del mio defunto marito.” spiegò la donna, mentre scuoteva la testa contrariata “Purtroppo, non posso dire che abbia una buona disciplina. Mi scuso per i suoi modi rozzi e poco consoni al luogo in cui ci troviamo.”
   “No, non serve scusarsi.” ribatté Artù “Non è successo niente di male. Se avessi saputo che trasportavate un oggetto così pesante, avrei mandato il mio servitore a prenderlo.”
   Merlino fece una smorfia di malcontento senza che nessuno se ne accorgesse, ma Gwenderella lo intravide con la coda dell’occhio ed accentuò un sorriso, che il giovane servo ricambiò.
   “Se non sono indiscreto, posso chiedere come mai avete portato con voi un tale fardello?”
   “Parlate dell’anfora o della ragazza?” chiese Catrina con un sorriso ironico e sprezzante “Lasciamo stare. In realtà, il motivo è semplice, mio caro. Questo è un dono per l’ospitalità e per la squisita gentilezza che tu e tuo padre ci state dimostrando. Lo ha realizzato il miglior artigiano di Mercia. Spero che ti piaccia.”
   Artù annuì con un po’ di rigidità.
   “Certo. E’… uno splendido regalo. Vi ringrazio. Lo farò sistemare immediatamente in un posto più appropriato alla sua… bellezza.” disse, facendo segno prima a George e poi a Merlino di avvicinarsi “Tu, George, occupati di spostare l’anfora nella stanza da letto di mio padre. Tu, invece, Merlino, scorta le nostre ospiti nei loro alloggi. Sarà stato un viaggio lungo e faticoso ed è meglio che possano riposare quanto prima.”
   I due annuirono all’unisono. Così, mentre l’uno si affrettava a chiedere aiuto ad altri tre servi per tentare l’impresa di spostare il colossale ornamento, l’altro fece strada alle quattro dame.
   “A più tardi, Artù.” si congedò Catrina, avviandosi per il lungo corridoio. A ruota la seguirono prima Vivian e poi Sophia, che spintonò Gwenderella proprio mentre le passava a fianco, facendola cadere. Nessuno tranne Merlino sembrava essersene accorto, dato il gran trambusto e il via vai generale.
   “Tutto bene?” le chiese, aiutandola a rialzarsi.
   “Sì, grazie.” rispose la ragazza.
   “Allora, Merlino!” esclamò Lady Catrina esagitata, appena tornata sui suoi passi “Ci fai strada o dobbiamo trovare le nostre camere da sole?!”
   “Arrivo subito!”
 
***
 
   Giunta nella propria stanza, Gwenderella si poggiò a sedere sul grande letto al centro della camera. Un brivido la percorse per tutta la schiena, tanto era morbido e riposante.
   “Gwen!” urlò Vivian, mentre entrava dalla porta, seguita da sua sorella minore.
   “Sì, cosa c’è?”
   La ragazza lanciò sul letto un mucchio di vestiti che aveva tra le braccia.
   “Datti da fare! Voglio che ci sistemi questi abiti per il ballo di domani.”
   Gwenderella sgranò gli occhi.
   “Ma… sono troppi.” ribatté, mettendosi a controllarli uno ad uno “Non riuscirò mai ad ultimarli in tempo per domani. Non potreste dirmi almeno quali di questi indosserete? Così farò più in fretta.”
   La maggiore delle Tregore le si avvicinò con irruenza e le mollò uno schiaffo.
   “Come osi metterci pressione?! Ha ragione nostra madre, sei proprio una sfacciata!”
   “Già!” convenne l’altra sorella “Non capisco perché continuiamo a sopportarti dopo tutto questo tempo! Se fosse stato per noi, staresti in strada a chiedere l’elemosina, che non è meno di quello che meriti!”
   “Lascia stare, Sophia.” continuò Vivian “È inutile parlare con lei. È solo un’ingrata! Invece di essere riconoscente a noi e a nostra madre per averla accolta nella famiglia, ci sdegna in questo modo così spudorato!”
   Gwenderella, con le lacrime agli occhi e la guancia rossa e dolorante, si affrettò a scusarsi.
   “Mi… mi dispiace. Non preoccupatevi, riuscirò a sistemare i vostri abiti in tempo per domani sera.”
   “Lo spero!” esclamò la sorellastra spazientita.
   Sophia, intanto, afferrò una veste color violetto e se la mise davanti per specchiarsi.
   “E che non ti venga in mente di venire anche tu.” disse, mentre ammirava il suo riflesso.
   “Ma…” obiettò Gwenderella “Il principe Artù ci ha invitate tutte e quattro! È stato molto gentile e non voglio fargli un torto con la mia assenza!”
   “Quello che pensa il principe non sono affari che ti riguardano!” l’ammonì Vivian “Non credere che ti abbia dedicato nemmeno il minimo pensiero! Men che meno in presenza della mia incredibile bellezza.”
   “E della mia.” aggiunse Sophia di spalle “Sei patetica se pensi che a qualcuno possa importare di te!”
   Poi, le due sorelle scoppiarono a ridere e la maggiore puntò un dito davanti al viso di Gwenderella.
   “Non osare presentarti al ballo di domani sera! Altrimenti, io e Sophia faremo in modo che tu finisca sul serio per strada. Piuttosto, pensa ad aggiustare questi vestiti! Il tuo compito è quello di essere una serva! Non sei una di noi! Non sei e non sarai mai una Tregore!”
   Su quelle parole, Vivian e Sophia lasciarono la stanza. Una volta chiusa la porta, Gwenderella scoppiò a piangere. Era da molti anni che subiva quelle angherie, ma diventava sempre più difficile riuscire a sopportarle. Dopo la morte del padre, neo sposo della vedova Tregore, lei era stata costretta a continuare a vivere nella magione della matrigna, nonostante non corresse buon sangue tra le due. Rimasta sola al mondo, era l’unica scelta logica da fare in quel momento, specialmente dato che aveva perso anche la madre in tenera età. Però, col passare del tempo, rimpiangeva di averlo fatto. Il trattamento che aveva subito era bastato a farle perdere ogni genere di ambizione, a scapito del bene delle sorellastre. A quel punto della sua vita, la cosa migliore da fare sarebbe stata andarsene via e liberarsi da quel giogo una volta per tutte. Però, le mancava il coraggio per prendere quella così giusta eppure così difficile decisione.
   “Anf…” sospirò, alzando le spalle.
   Con una buona forza di volontà, prese un vestito dal mucchio ed iniziò a rammendarlo, proprio come le aveva ordinato Vivian.
 
***
 
   Merlino aspettò che le due dame appena uscite dalla stanza entrassero nelle rispettive camere. Poi, girò l’angolo e si avvicinò all’alloggio di Gwenderella. La porta era rimasta socchiusa, così diede un’occhiata all’interno. La ragazza piangeva disperatamente, mentre, con ago e filo, cuciva le maniche di un vestito color giallognolo. A quel punto, al giovane mago fu chiaro qual era il lieto fine che doveva trovare.
   “Non ti preoccupare, Gwen. Ci penso io ad aiutarti.”
 
***
 
   Il giorno seguente tutti nel castello erano in fermento per il grande evento della serata. Molte famiglie nobiliari avevano fatto il possibile per essere presenti al grande ballo organizzato dai Pendragon. Anche se di fatto era una semplice festa come tante altre, si era sparsa la voce che re Uther lo aveva indetto con l’unico scopo di trovare una moglie a suo figlio, il principe Artù.
   Mentre l’intera servitù era impegnata a far sì che fosse tutto in ordine, Merlino si era defilato dai suoi doveri per compiere qualcosa di molto più importante. Ora che aveva compreso cosa fare per tentare di rompere il sortilegio che lui stesso aveva involontariamente scatenato, era concentrato unicamente sul suo obiettivo. Non aveva dormito per tutta la notte, ma era riuscito ad escogitare un piano piuttosto buono, a suo dire, che avrebbe permesso a Gwen di liberarsi dalle grinfie della famiglia Tregore una volta per tutte. Così, ad un certo punto del pomeriggio, s’incamminò verso un ripostiglio delle scope, con un fagotto in mano. Una volta dentro, chiuse gli occhi e sospirò intensamente.
   ““Miht dagena, bepecce me. Adeaglie bisne gast min freondum ond min feondum”.”
   Il corpo di Merlino cominciò a mutare. Il ragazzo riusciva perfettamente a sentire come lo scorrere degli anni avesse effetto su di lui sia internamente che esternamente. Dopo alcuni interminabili minuti, l’incantesimo lanciato concluse la sua trasformazione.
   “Non mi ci abituerò mai…” commentò a bassa voce mentre osservava le sue mani rugose. Nonostante la magia dell’invecchiamento richiedesse un grande sforzo in termini di potere, lui ormai, dopo le svariate volte che l’aveva usato, non ne avvertiva più gli effetti stancanti. Tuttavia, in quel momento aveva in tutto e per tutto ottant’anni, quindi sentiva comunque addosso il peso dell’età avanzata e degli acciacchi che ne derivavano. In ogni caso, continuò col suo piano e srotolò il fagotto che aveva con sé, tirando fuori un vestito lungo ed azzurrino. Sgranò gli occhi quando lo osservò con più attenzione.
   “Ma è un vestito da donna!” esclamò a voce non più così bassa. Il suo scopo iniziale era di nascondere il suo reale aspetto ed apparire come un uomo anziano, però la veste che aveva “preso in prestito” dai lavatoi reali non era adatta a quel piano. Non sarebbe di certo passato inosservato con quel vestito addosso. Dopo averci pensato un po’ su, però, trovò una soluzione per porre rimedio a quell’errore. Sfortunatamente, non era affatto di suo gradimento…
 
***
 
   La porta della camera di Gwenderella si aprì silenziosamente e Merlino varcò la soglia. Aveva atteso più di un’ora che la ragazza terminasse di rammendare gli ultimi capi per le sorelle e che quest’ultime andassero da lei per prenderne uno ciascuno, prima di indossarli e recarsi finalmente al ballo.
   “Chi siete?!” domandò Gwenderella, sobbalzando mentre era seduta sul grande letto a piangere.
   “Non temere, mia cara fanciulla, sono solo un’amica che viene in tuo aiuto.” rispose il giovane mago con una voce fintamente acuta, mentre strascicava a fatica in avanti il largo e sbrilluccicante vestito di colore azzurro. Per evitare che il suo piano andasse a monte, oltre all’incantesimo d’invecchiamento aveva dovuto utilizzare anche una magia illusoria per mutare il suo aspetto da uomo a donna. Aveva già usato in passato, poco tempo prima a dire il vero, una combinazione simile, quando proprio Ginevra si trovava sotto il controllo di Morgana e lui era stato costretto a diventare “la Dolma”.
   “Io… io non vi conosco. Vi prego, andate via!”
   “Stai tranquilla, ragazza. Non vengo con cattive intenzioni. Ti prego, permettimi di dimostrartelo.”
   Gwenderella lo fissò con uno sguardo agitato e confuso al tempo stesso.
   “In che modo?”
   Merlino si avvicinò al mucchio di vestiti che poggiavano sul letto e ne afferrò uno.
   ““Gewent wīfsċrūd”!”
   L’abito cambiò improvvisamente aspetto, diventando uno splendido vestito celestino.
   “Siete una strega!” esclamò la ragazza impaurita.
   “Posseggo la magia, sì.” confermò Merlino “Ma non intendo usarla per fare del male né a te né a nessun altro.”
   “E allora perché avete fatto questo?”
   “Perché voglio donartelo, sperando che lo indosserai al grande ballo di stasera.”
   Gwenderella abbassò gli occhi in imbarazzo.
   “Io… non posso andarci…”
   Merlino scosse il capo.
   “Non solo puoi, ma devi farlo. Sono a conoscenza dei problemi che hai con la tua famiglia e sono qui per permetterti di risolverli una volta per tutte. Ma questo accadrà solo e soltanto se andrai a quel ballo.”
   “Non vi capisco. Come fate a sapere della mia vita? E perché dovrei fidarmi di voi?”
   Merlino sospirò.
   “Mi piacerebbe che avessimo più tempo, cosicché possa spiegarti tutti i motivi che mi spingono ad aiutarti, ma non abbiamo questo lusso. L’unica cosa che puoi fare è chiederti se dentro il tuo cuore credi che io sia una buona persona che vuole darti una mano o una cattiva che ha intenzione di farti del male. Allora? Cosa mi rispondi?”
   Gwenderella si asciugò le lacrime che ancora colavano dagli occhi e si schiarì la voce.
   “Non avete l’aspetto di qualcuno che vuole farmi del male. Perciò, ascolterò ciò che volete dirmi.”
   “Bene.” disse Merlino con un sorriso mentre le porgeva il vestito che aveva ancora in mano “Allora prendi questo ed indossalo. Poi, recati al piano di sotto e partecipa alla festa che si svolgerà tra poco.”
   Gwenderella prese l’abito celestino e lo guardò sorridendo.
   “È bellissimo. Però, temo ciò che mi accadrebbe se la mia matrigna o le mie sorellastre mi vedessero.”
   “Non temere.” ““Macap grīman”!”
   Sul letto comparì un oggetto che avrebbe aiutato Gwenderella a celare la sua identità. Lei lo osservò con un altro sorriso.
   “Grazie. Non avrei mai creduto che qualcuno si sarebbe prodigato così tanto per me. Vi sono debitrice.”
   “Niente affatto. Mi basta sapere che farai quello che ti ho detto. Il resto verrà da sé. Ne sono sicura. Adesso però sbrigati, altrimenti arriverai in ritardo. Ricorda, l’incantesimo che ho lanciato durerà solo poche ore, poi svanirà.”
   “Poche ore? Quanto, esattamente?”
   Merlino ci pensò su, osservando fuori dalla finestra.
   “Fino a mezzanotte. Per quel tempo, dovrai già essere tornata nel tuo alloggio, altrimenti gli altri scopriranno chi sei.”
   La giovane annuì e fece per andare a cambiarsi, poi però si voltò di nuovo verso Merlino.
   “Mio padre aveva proprio ragione. Fin da quando ero piccola mi raccontava una storia su come una dolce e simpatica fata vegliasse su di me, specialmente nei momenti più bui. Voglio credere che siate voi quella fata e chiamarvi come lui la chiamava sempre. Quindi, grazie di cuore, “Fata Madrina”.”
   Merlino sorrise incoraggiante ed annuì, prendendo al volo l’occasione di farsi più credibile ai suoi occhi.
   “Non c’è di che… Gwenderella.”
 
***
 
   “Che bella festa, Artù! Veramente incantevole, non che ne avessi alcun dubbio.”
   Il giovane Pendragon annuì con un largo e forzato sorriso.
   “Vi ringrazio, Bayard, per le vostre parole. Sono contento che sia di vostro gradimento.”
   Il grande ballo era iniziato da poco più di un’ora e già ad Artù cominciava a venire il mal di testa. In quel breve lasso di tempo aveva parlato con un’innumerevole quantità di persone che non avevano altro da dire se non congratularsi con lui per l’evento, senza di fatto aver avuto modo di parteciparvi per più di qualche minuto. Inoltre, era stato approcciato da un gran numero di dame che lo avevano lusingato con le loro attenzioni e con delle infinite chiacchiere. Alcune erano arrivate al punto di chiedergli sfacciatamente di appartarsi per “parlare” con più calma, ma lui aveva declinato con discrezione e garbo l’invito, adducendo che la sua mancata presenza al ballo avrebbe potuto offendere qualche invitato.
   “Anfff!” sospirò deluso. Per come la vedeva, avrebbe volentieri chiesto a qualche giovane nobildonna di ballare con lui, però non riusciva a trovarne una che lo interessasse. Di certo apprezzava molto le doti raffinate e di buon gusto di dame come lady Mithian o lady Elena, però sentiva di non provare per loro altro che del semplice rispetto. Molto probabilmente, continuando di quel passo, rischiava di rimanere tutta la serata in disparte ad osservare gli altri che si divertivano alla sua festa. Questo, almeno, fu il suo pensiero finché non la vide entrare. Dal portone d’ingresso della sala, fece d’improvviso la sua comparsa una giovane ragazza che attirò completamente la sua attenzione. Non sapeva dire in quel momento se fosse attratto da lei per le sue movenze aggraziate, per i suoi sinuosi lineamenti del corpo, contornati da una veste color cielo, o se fosse rimasto incantato dagli occhi così vivaci, ma anche misteriosi, nascosti dietro quella maschera in tinta con l’abito.
   “Allora? Cosa mi rispondete?”
   “Vi chiedo di perdonarmi, Bayard, ma devo… andare…”
   Così dicendo, si allontanò dal suo interlocutore per raggiungere la splendida ragazza che era appena entrata.
   “Scusatemi.” iniziò Artù, un po’ impacciato per l’emozione “Mi concedereste l’onore del vostro primo ballo?”
   La giovane lo fissò per un breve attimo, poi gli sorrise colpita.
   “Ne sarei lieta, con tutto il mio cuore.”
 
***
 
   “Dovevi vederla, Merlino! Era stupenda! Non mi sono mai divertito così tanto in tutta la mia vita!”
   La festa era stata un successo e tutti gli invitati erano rimasti piacevolmente colpiti dalla sua riuscita. Le pretendenti che si erano presentate con l’intento di fare bella figura con il principe, però, non ne erano rimaste altrettanto soddisfatte. Solo una, infatti, aveva fatto breccia nel cuore del giovane Pendragon.
   “Sì, ho capito.” ribatté Merlino stanco, ma appagato “Me l’avete ripetuto per ben tre volte. E poi, ogni servitore del castello non parla d’altro stamattina.”
   “Bene, perché è stato bellissimo. Lei era bellissima…”
   “E come si chiama questa ragazza così “bellissima”?” chiese Merlino con falsa curiosità. Nonostante gli avesse detto il contrario, lo aveva visto ballare con Gwenderella. Del resto, quello era il suo piano fin dall’inizio. Dato che la Camelot in cui si trovava era sì una versione fiabesca di quella vera, ma pur sempre intrecciata con l’originale, aveva sperato che i sentimenti reciproci di Artù e Gwen fossero la chiave per arrivare al lieto fine di quella storia.
   “Non lo so, purtroppo.”
   Il servitore sobbalzò di colpo.
   “Come non lo sapete?! Ci avete ballato per ore e non sapete quale sia il suo nome?!”
   “Beh, ero talmente attratto da lei che ho dimenticato di chiederglielo. Però, non temere, sto per scoprirlo.”
   “In che modo? Se posso chiedervi.”
   Artù si alzò dal letto ed aprì l’armadio. Da lì prese una scarpetta lucente come il cristallo.
   “Non vi ci vedo con queste scarpe indosso, mi dispiace.” commentò Merlino confuso, ma in parte anche divertito.
   “No! Idiota!” ribatté il principe, sventolandogli la calzatura davanti alla faccia “Questa è caduta alla principessa con cui ho danzato ieri sera.”
   “Quindi non sapete il suo nome, ma sapete che è una principessa?”
   “No. È solo che, proprio perché non so il nome, gliene ho dato uno io… provvisorio, almeno finché non scopro quello vero…”
   “Ah!” esclamò Merlino sempre più frastornato “Ma come ha fatto questa “Principessa” a perdere la sua scarpa?”
   Artù fece spallucce.
   “Nel bel mezzo di un ballo, ad un certo punto ha osservato fuori dalla finestra, dopodiché è corsa via, senza dirmi niente.”
   “Così? Su due piedi?”
   “Sì, è quello che ho detto. Mentre andava via, le si è sfilata questa scarpetta ed io l’ho raccolta.”
   Merlino si portò una mano alla bocca. Forse aveva capito quel che era successo: Gwenderella si era accorta che era arrivata la mezzanotte ed era fuggita per evitare di essere riconosciuta dagli altri invitati. Era stata una vera sfortuna, ma non capiva ancora una cosa.
   “A che vi serve quella scarpetta, comunque?”
   “Mi fa piacere che tu l’abbia chiesto.” rispose Artù sorridendo “Ho invitato tutte le dame che hanno presenziato ieri sera a presentarsi al mio cospetto questa mattina.”
   “Ah, credo di aver capito. Volete vedere se riuscite a riconoscere tra di loro colei con cui avete danzato. Dico bene?”
   “No, ti sbagli. Voglio provare questa scarpetta su ognuna di loro e vedere a chi calza meglio. In questo modo scoprirò chi è la mia principessa.”
   Così dicendo, Artù spalancò la porta della stanza ed uscì di fretta. Merlino restò qualche attimo a fissare la soglia con uno sguardo misto tra stupore e rabbia.
   “Comincio ad odiare queste fiabe. Sono a dir poco senza senso.”
   “Merlino!” urlò il principe da lontano “Sbrigati! Mi serve anche il tuo aiuto!”
   Il servo sbuffò vistosamente. Poi, con grande forza d’animo, lo seguì.
 
***
 
   Dopo un’intera mattinata e parte del primo pomeriggio, il principe ed il suo servitore rientrarono nelle stanze reali, ognuno di umore completamente diverso dall’altro.
   “Ah, che bello l’amore!” esclamò Artù con un lungo sospiro “Sapevo che avrei trovato la mia principessa! Non avevo alcun dubbio!”
   Merlino lo guardò storto, con un’espressione indecifrabile.
   “Siete sicuro che fosse Lady Vivian la dama con cui avete ballato ieri sera?”
   “Certo! Non hai visto che la scarpetta le calzava alla perfezione? Ed è stata l’unica a cui andava bene!”
   “E… non so… non credete che abbiate bisogno di qualche… prova più concreta di una scarpetta prima di affermarlo con tanta sicurezza?”
   Merlino era sconvolto. Tra tutte le fanciulle che si erano presentate, Vivian si era rivelata essere la proprietaria della scarpetta, anche se lui sapeva per certo che era Gwen la ragazza con cui Artù aveva danzato. Tra l’altro, lei non si era neanche fatta vedere, probabilmente per paura di essere scoperta dalle sorellastre.
   “Perché sei così scettico, Merlino?” chiese Artù come se lo stesse accusando “Sembra che non ti vada bene che io abbia trovato qualcuno così speciale. Cosa c’è? Non vuoi che io sia felice?”
   Il servo lo fissò negli occhi, cercando nell’altro qualcosa che lo identificasse come l’amico che conosceva ormai da tempo. Quando si rese conto di non riuscire a vederlo con chiarezza…
   “Siete una testa di fagiolo!” sbottò Merlino urlando. Con un gesto secco, strappò dalle mani dell’altro la calzatura di cristallo e la lanciò contro il muro, frantumandola in mille pezzi “Non posso credere che abbiate chiesto in sposa Vivian solo per via di una stupida scarpetta! Non vi riconosco più!”
   Artù lo guardò a dir poco stupito dopo quella sfuriata.
   “Che ti prende, Merlino? Non mi hai mai mancato di rispetto in questo modo. Non è da te. Per questa volta chiuderò un occhio, ma non ti azzardare a rifarlo mai più. Intesi?”
   “No, che non siamo intesi! Cosa prende a voi? Non a me! Avete sempre fatto le scelte importanti col vostro cuore! Adesso, invece, vi ritrovate a scegliere la vostra futura sposa in base al suo piede! Tralasciando il fatto che è stato disgustoso ed anche poco igienico che abbiate provato personalmente se la scarpetta calzasse ad ogni dama del regno, non vi siete accorto che eravate anche incredibilmente ridicolo! Invece di un principe, mi sembravate un buffone di corte! Tornate in voi prima che sia troppo tardi e che vi accorgiate di aver fatto una scelta che rimpiangerete per sempre!”
   Artù stava per replicare qualcosa, con uno sguardo perso nelle parole appena piombategli addosso, quando qualcuno bussò alla porta.
   Toc-toc!
   “… Avanti.”
   George entrò repentinamente nella camera.
   “Mio signore, c’è bisogno di voi nel salone! Sembra che ci sia da dare alcune disposizioni alla servitù riguardo alla cerimonia.”
   “Va…va bene, arrivo subito.” disse il principe, avviandosi immantinente. Merlino, non sapendo cosa fare dato che non aveva ricevuto istruzioni in merito, lo seguì. Durante il breve tragitto, Artù fece attenzione a non incrociare lo sguardo del servo neanche una volta. Sembrava che fosse in uno stato di assoluta riflessione, come se non capisse qualcosa e cercasse in tutti i modi di afferrarla. Poi, arrivati nel salone, s’imbatté in Gwenderella. Lei, con una specie di fagotto in spalla, si stava avviando verso il corridoio che dava sull’uscita del castello.
   “Gwenderella!” la chiamò Artù non appena la intravide con lo sguardo.
   Lei si fermò e si voltò verso di lui.
   “Sì?” domandò con freddezza.
   “Dove vai? Non ti andrebbe di aiutarmi ad organizzare il matrimonio?”
   “No, ho da fare.”
   “Cosa?! Non essere timida, tra poco diventeremo anche cognati, non devi sentirti cos…”
   Prima che terminasse di parlare, la ragazza gli si avvicinò e gli lanciò uno schiaffo. L’impatto tra mano e guancia risuonò per l’intero corridoio. Merlino e George rimasero impassibili sul posto.
   “Ehi! Si può sapere che ti prende?!” chiese Artù sconvolto da quel gesto.
   “C’è che siete un idiota! Ecco cosa mi prende!”
   “Ma insomma!” sbottò anche lui “Cosa succede a tutti, oggi?! Perché ce l’avete con me?!”
   “Perché siete uno sciocco!” esclamò Gwenderella, voltandosi e riprendendo a camminare “Addio!”
   “Aspetta!” ribatté Artù afferrandola per un braccio “Si può sapere cosa ti ho fatto?”
   Lei lo guardò negli occhi con il viso bagnato dalle lacrime.
   “Non mi avete riconosciuto.” disse in un sussurro “Non avete capito chi ci fosse dietro quella maschera…”
   Artù rimase basito.
   “Eri… tu?”
   “Sì.”
   “M-ma… la scarpetta calzava a Vivian…”
   “Questo perché l’ho presa in prestito da lei. Non avrei mai potuto averne un paio così bello solo per me. Del resto, sono solo una serva…”
   A quel punto, Gwenderella corse via. Il principe si voltò scioccato verso Merlino.
   “Era lei… Non so spiegarlo, ma è come se l’avessi letto nel suo sguardo. Le emozioni che ho provato ieri sera le ho sentite di nuovo, proprio adesso…” disse con voce spezzata “Avevi ragione tu. Avrei dovuto dare ascolto al mio cuore. Credo di aver commesso un errore imperdonabile…”
   Il servitore gli si avvicinò e gli poggiò una mano sulla spalla.
   “Forse no. Non è tardi per rimediare. Se lo volete, avete ancora una possibilità. Non sprecatela, stavolta.”
   Artù ci pensò un attimo e poi annuì. Dopodiché, scattò di corsa verso l’uscita del castello. Mosse le gambe a più non posso finché non la intravide mentre scendeva gli ultimi scalini di pietra.
   “Gwenderella!”
   Lei si voltò stupita, ma non disse nulla.
   “Ti prego, perdonami!”
   “Lasciatemi stare. Preoccupatevi della vostra futura sposa, non di me.”
   Artù si parò davanti a lei, bloccandola prima che s’incamminasse di nuovo.
   “È a te che lo sto dicendo. Dammi la possibilità di riparare al mio errore.”
   “E cosa avete intenzione di fare?” chiese Gwenderella dubbiosa.
   “Ricominciamo da dove ci siamo interrotti.” disse lui, porgendole una mano “Abbiamo un ballo da concludere.”
   La ragazza, dietro il viso imbronciato, fece un mezzo sorriso.
   “Ma non c’è la musica.”
   “Non ci serve.”
   Dopo un istante di esitazione, Gwenderella strinse la mano del principe e i due si misero a volteggiare appena giù dalla scalinata del castello. I loro sorrisi contagiarono anche i popolani che si trovavano di passaggio, finché un bardo, apparso quasi dal nulla, non si mise a suonare una ballata piuttosto orecchiabile, portando anche altre coppie ad unirsi a quella danza.
   Merlino, intanto, li osservava soddisfatto da dietro il portone d’ingresso.
   “Molto bravo.” disse una voce alle sue spalle, applaudendo. Quando il giovane mago si voltò, si fece subito serio.
   “Grimm.”
   Lo spirito del libro si avvicinò a lui, imitando con delle piroette una specie di balletto.
   “Mi hai stupito. Credevo che non ce l’avresti fatta e invece sei riuscito a far breccia nel cuore di quel ragazzo, oltrepassando la magia del sortilegio. Non male.”
   “Come lo sai?” domandò Merlino.
   “A cosa ti riferisci?” chiese di rimando Grimm, alzando un sopracciglio.
   “Al mio nome. Poco prima di mandarmi in questo posto, mi hai chiamato Emrys. Significa che sai già chi sono io.”
   L’essere verde sorrise ampiamente, anche se si poteva notare un certo stupore nei suoi occhi color smeraldo.
   “Suppongo di aver sbagliato a sottovalutarti, Emrys. Questa storia comincia ad essere davvero divertente. Non vedo l’ora di scoprire come va a finire!”
   “Fa’ tornare tutto com’era prima. Altrimenti…”
   “Oh, bene, adesso siamo arrivati alle minacce!” esclamò Grimm con un risolino “Non sprecare energie, perché ne avrai bisogno. La prossima storia sarà molto più difficile, stanne certo!”
   Merlino si avvicinò allo spirito finché non fu faccia a faccia con lui. Entrambi gli sguardi si scontrarono come a voler fare scintille.
   “Si può sapere a che gioco stai giocando?!” chiese il ragazzo.
   “Al mio!” rispose Grimm, schioccando le dita.
   Intorno a Merlino si fece di nuovo tutto buio.
   
 
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