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Autore: StarFighter    14/12/2022    5 recensioni
“Vuoi sposarmi?”
“Cosa?” il telefono quasi le cadde di mano, lo stupore le aveva bloccato le funzioni motorie.
“Vuoi sposarmi?” un respiro profondo, il suo temperamento mandava scintille anche a distanza. “È la terza volta che lo ripeto. Sei per caso sorda, Sango-san?” Un gentleman, come sempre.
C’erano due grossi problemi con quella frase: di sicuro non avrebbe sposato il suo capo e di certo lei non era Sango.
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A Business Proposal Au che partecipa al contest Inu-spiration, indetto su Tumblr dalla comunità feudalconnection :)
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                    Capitolo III

 

 

Quando aveva accettato, aveva pensato di avere a disposizione qualche giorno per prepararsi psicologicamente a quell’appuntamento, di avere del tempo per pensare ad una strategia per mandare tutto all’aria. Il piano di Sango era inattuabile, al limite del ridicolo: di certo non sarebbe andata in giro ad appiccicare preghiere sulla fronte di malcapitati eredi di immense fortune. Alla meglio sarebbe passata per una povera pazza, alla peggio l’avrebbero portata al commissariato per aggressione.

Ma ogni suo progetto era stato prontamente smontato da Sango quando l’amica le aveva comunicato la data dell’evento.

“Domani!?” quasi le era venuto un infarto.

“Già.” Le aveva risposto, per nulla preoccupata per la sua salute. “Ormai mi hai dato la tua parola, non puoi tirarti indietro.”

E così l’aveva incastrata.

E ora si ritrovava seduta al lounge bar dello Shikon Plaza, stretta in vestiti che non avrebbe potuto permettersi nemmeno se avesse cominciato a risparmiare dall’alba dei tempi. Sango aveva pensato ad ogni minimo particolare, la sua indole da maniaca del controllo era venuta fuori con prepotenza. L’aveva portata in una delle boutique più esclusive di Ginza dove, tra una prova abito e l’altra, avevano offerto loro champagne, e lei si era sentita come la protagonista di un drama mattutino, di quelli che sua madre guardava mentre faceva le faccende di casa. Le tre commesse del negozio avevano focalizzato la loro intera attenzione sulla missione: trovare dei vestiti che urlassero non adatta al matrimonio, troppo impegnata ad essere strana. Sango l’aveva osservata per tutto il tempo, seduta su una poltroncina di velluto a darle giudizi come un imperatore romano, pronta con il suo pollice all’ingiù. Quando finalmente avevano trovato quello che cercavano, Kagome aveva tirato un sospiro di sollievo, pensando che la tortura fosse finita, ma l’amica l’aveva trascinata in un salone di bellezza dove le sapienti mani delle truccatrici avevano operato miracoli.

 Quando si era guardata aveva scorto una sconosciuta, nulla della figura che si rifletteva nello specchio avrebbe potuto ricondurre a lei, anonima donna giapponese nella media con occhi e capelli scuri. La donna, o meglio, la femme fatale che la fissava dallo specchio era quanto di più lontano da lei potesse esserci. Vestiti succinti, tacchi vertiginosi, trucco impeccabile. Aveva rifiutato, ovviamente, di farsi tingere i capelli (al suo povero nonno sarebbero partire le coronarie) e Sango l’aveva sorpresa ancora una volta perché, senza batter ciglio, aveva tirato fuori una parrucca bionda con uno sfrontato balayage blu. Poi le aveva messo tra le mani una scatolina e l’aveva costretta a fare la cosa più disgustosa e difficile che avesse fatto in vita sua, mettere delle lenti a contatto cercando di non accecarsi nel mentre.

A meno di mezz’ora dall’appuntamento la sua cosiddetta amica l’aveva scaricata allo Shikon, affidandole la sua preziosa carta di credito come anticipo sulla sua ricompensa finale, augurandole buona fortuna. “Questo è il tuo primo appuntamento dopo un periodo di magra, giusto? Divertiti, scarica la tensione.

“Non sedurrò il tuo appuntamento al buio per portarmelo a letto. È tipo l’opposto di quello che stiamo cercando di fare, giusto?”

“Dagli una ripassatina e poi scaricalo. Probabilmente distruggerà il suo ego, ma questo è il nostro scopo. Non deludermi.” L’aveva salutata con un occhiolino e, se non fosse stata la sua migliore amica, gliel’avrebbe chiuso lei l’occhio, infilandoci un dito dentro.

Guardò l’ora sul cellulare e sentì l’ansia che le montava dentro come un’onda anomala. Girò la cannuccia del gin lemon (gentilmente offerto dalla carta di Sango) che aveva ordinato per distendere i nervi e ne bevve un sorso. Chiuse gli occhi per un secondo, cercando di combattere la stanchezza che si portava dietro dalla sera prima: all’idea di quell’appuntamento non aveva chiuso occhio e in ufficio non aveva potuto godere del suo power nap post pranzo perché il nuovo responsabile di sezione, il figlio del grande capo in persona, aveva deciso che quello era il giorno adatto ad un’ispezione per vedere come andavano le cose giù nel reparto marketing. I suoi colleghi, Jakotsu in primis, erano andati in fibrillazione.

“Ho sentito da Yura della contabilità che il nuovo capo è uno schianto.” Le aveva sussurrato estatico in ascensore mentre andavano in mensa. Gli aveva creduto, perché avevano gli stessi gusti e più di una volta quando erano usciti insieme avevano messo gli occhi sullo stesso uomo, e alla fine Jakotsu era stato il fortunato a portarselo a casa. Stava di fatto che il sexy capo non si era fatto vedere, l’uomo in giacca e cravatta (di una particolare sfumatura di viola melanzana) che si era presentato poco dopo la pausa pranzo nel loro ufficio, si era rivelato essere il segretario personale del capo. “Se il segretario sembra uscito dall’ultima copertina di Vogue, non oso immaginare il resto del’entourage.” Le aveva scritto Jakotsu in chat, accompagnando il messaggio con l’emoticon di una melanzana, e di sicuro quell’innocente disegno non si riferiva al colore della cravatta ma a tanto tanto altro. Gli avevano consegnato una dettagliata relazione sull’andamento del trimestre, lui aveva annuito professionale, scrollato qualcosa sul tablet che si portava dietro, ringraziato tutti per l’ottimo lavoro e prima di andare via aveva lanciato un lungo sguardo eloquente a Kaguya. La donna si era impettita e aveva scostato i lunghi capelli scuri dietro le spalle con fare provocante.

“Vipera! Crede non ci siamo accorti che le sue gonne diventano sempre più corte? Il mese prossimo verrà a lavoro in mutande se continua così.” Jakotsu aveva sibilato velenoso, per niente intimorito che la collega lo sentisse. L’incontro era durato poco più di venti minuti, e alla fine non era rimasto spazio per nemmeno un sonnellino di dieci minuti.

Ora cominciava a sentire la stanchezza prendere lentamente possesso del suo corpo e il languore dell’alcol che le scendeva nello stomaco la stava cullando verso un piacevole torpore. Più di una volta si era fermata prima di stropicciarsi gli occhi e rovinare l’opera d’arte che le avevano messo sul viso.

Ora che ci pensava, non sapeva chi stesse aspettando. Sango non aveva saputo dirle assolutamente nulla sulla persona che si sarebbe presentata all’appuntamento. E se fosse stato un vecchio? Un lumacone alla ricerca di una moglie giovane e ricca? Poteva sempre andar via, mollare tutto e tornarsene a casa. Se avesse preso un taxi nei successivi cinque minuti sarebbe arrivata in tempo per cena: era quasi certa che sua madre avesse preparato il curry. Ma se non fosse rimasta forse non ce l’avrebbe più avuta una casa dove tornare. I soldi di Sango le servivano e per guadagnarseli doveva sopportare chiunque si fosse presentato. Anche se fosse stato un vecchio.

 “Taijiya-san?” Una voce maschile la richiamò all’attenzione e raddrizzò la schiena d’istinto.

Il momento era arrivato. Doveva solo far finta di essere qualcun altro, poteva farcela.

“È in ritardo.” Disse con arroganza senza voltarsi. Se quell’uomo pensava di aver davanti una probabile buona mogliettina, obbediente e remissiva, sarebbe rimasto molto deluso. Richiamò l’attenzione del barman alzando due dita e gli porse la carta di credito. “Non è una buona prima impressione. Di solito sono gli altri ad attendere me. Sa, lei non è l’unico con cui…”

E tutto a un tratto, quando si voltò a guardarlo, le sue funzioni cerebrali cessarono. Encefalogramma piatto. Un allarme di qualche tipo le risuonò nel cervello, risvegliando qui e lì qualche neurone superstite, che si affannò a trovare una reazione adeguata a quello che i suoi occhi vedevano. Una parte di lei avrebbe voluto gioire che all’appuntamento si fosse presentato qualcuno così e non un uomo di mezz’età stempiato e sovrappeso, ma l’altra parte del suo inconscio avrebbe voluto prendere a testate un muro perché il destino le dava quell’opportunità solo per poterla mandare all’aria.

Se i suoi poteri di miko fossero stati allenati, l’avrebbe sentito arrivarle alle spalle. Anche con le sue limitate capacità riusciva a percepire uno youki potente e vibrante espandersi dalla sua persona, e se quello non fosse bastato come chiaro segno rivelatore della sua natura, le piccole appendici pelose che gli spuntavano sulla testa avrebbero fatto il resto. Di fronte a lei c’era uno yokai, un essere più dio che uomo, di una bellezza disarmante, con fattezze sovraumane, con occhi e capelli del colore di metalli preziosi …e lei avrebbe dovuto scaricarlo alla grande. Dannatissima Sango! Non la pagava abbastanza.

E chiaramente ora usare gli ofuda era fuori questione.

Si accorse di essere rimasta a fissarlo con la bocca semiaperta troppo a lungo e si riscosse. “Non è l’unico con cui ho un appuntamento.”  Riacquistò l’uso della parola e scendendo dallo sgabello dov’era seduta, si asciugò i palmi delle mani sudati sulla stoffa finissima della gonna facendo finta di lisciare pieghe inesistenti.

“Sono stato trattenuto.” Nessun tentativo di scusarsi, nessun inchino, né onorifico.

“Di solito si tende a scusarsi.” Il suo fascino esteriore non si estendeva alla sua educazione, a quanto pareva.
“Lo farei se fossi sinceramente dispiaciuto di questo ritardo. Nel caso contrario sarebbe da ipocriti e io odio l’ipocrisia.”

Kagome fissò la sua espressione annoiata e capì che non si trattava di una battuta, ed ebbe il fin troppo femminile impulso di lanciargli quel che rimaneva del suo gin lemon in faccia. Sapeva bene che il suo viso  parlava chiaro riguardo alla sua indignazione, non era capace ad indossare una faccia da poker, sua madre gliel’aveva rimproverato  innumerevoli volte. Ma a lui sembrava non importare, la guardava con arroganza, con un sopracciglio inarcuato e le labbra strette. “Se ha smesso di fissarmi, possiamo andare, Taijiya-san. Forse un caffè le farà bene.” Lanciò uno sguardo al bicchiere mezzo vuoto del cocktail che lei aveva rimescolato fino a due minuti prima, poi le voltò le spalle e si diresse a grandi falcate verso la sala da tè dall’altro lato della hall, senza degnarsi di aspettarla.

In meno di cinque minuti le aveva apertamente detto che non voleva essere lì e le aveva dato velatamente dell’ubriacona. Forse scaricarlo non sarebbe stato così difficile dopotutto. Doveva diventare più sfrontata e dire addio alle buone maniere per la durata di quell’appuntamento, se voleva avere la meglio.

Raccattò la borsa e la giacca e gli corse dietro, le punte blu della parrucca le finivano negli occhi ad ogni passo e i cinturini delle Saint Laurent che aveva ai piedi sembrava stessero per tranciarle la caviglia. Perché scarpe che costavano l’equivalente del suo stipendio erano così scomode? Non doveva essere un bello spettacolo.

Si accorse come le donne nel foyer lo seguissero con lo sguardo e gli uomini parlottassero tra loro al suo passaggio. Chi era quell’uomo?

Quando lo raggiunse lui si stava già accomodando e lei, senza perdere un colpo, scostò la sedia e si sedette di fronte a lui. Aprì il menù e dopo avergli dato una veloce lettura, si concentrò su di lui fissandolo di sottecchi.  Nelle orecchie le risuonavano le parole di Sango e il suo cervello, nonostante la sua lampante mancanza di buone maniere, le urlava di scalarlo come un albero. Da dove diavolo venivano fuori quei pensieri? D’accordo, forse l’ultima volta che era stata con un uomo la luna era ancora un luogo inesplorato, ma da lì ad essere apertamente eccitata ce ne voleva. Sforzarsi di non guardare le sue mani, la sua faccia e i suoi zigomi affilati era davvero dura. Ora che lo guardava meglio c’era qualcosa di familiare nei suoi tratti, come se l’avesse già visto da qualche parte, forse su qualche rivista o su qualche articolo online, di certo non dal vivo:  era più che certa frequentassero circoli diversi.

La curiosità la stava uccidendo.

“Allora, Taijiya-san…”

“Non conosco nemmeno il suo nome.” Lo interruppe sprezzante, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte con un gesto stizzito. Notò l’irritazione fare capolino sul suo viso inespressivo, un sopracciglio scattò verso l’alto e le sembrò che stesse faticando a contenersi.  “Per quanto ne so potrebbe essere chiunque, un impostore o un pervertito.” Il suo cervello di brava ragazza, cresciuto a riso e buone maniera, piangeva per la totale mancanza di educazione che stava mostrando.

L’uomo si trattenne a malapena dal roteare gli occhi mentre le diceva: “Pensavo lo sapesse o quanto meno l’avesse intuito.”

Lei fece finta di rovistare nella piccola borsa che le avevano abbinato all’outfit. “Purtroppo devo aver lasciato i poteri da paragnosta nell’altra Vuitton.” L’acidità che trapelava dalla sua voce avrebbe potuto far concorrenza ad uno yoghurt scaduto dimenticato sul fondo del frigo da mesi.

“Anche le buone maniere a quanto vedo.” Lui diede uno sguardo veloce all’orologio, roteando il polso con tale velocità che lei ebbe paura gli si potesse svitare la mano dal braccio. Quello era un chiaro segno di quanto quell’appuntamento lo annoiasse e non vedesse l’ora di andarsene. Ancora un altro po’ e avrebbe portato a termine la sua missione.

“Mi ascolti bene, non starò qui a farmi trattar male da lei, signor…” batté una mano sul tavolo, attirando l’attenzione degli altri clienti nella sala. Ottimo, nessuno amava le scenate.

Lui infilò la mano nella giacca, perplesso, e ne estrasse un biglietto da visita che fece scivolare verso di lei con due dita. Quasi glielo strappò dalle mani e lesse avidamente, rigirandoselo prima da un lato e poi dall’altro.

Top manager settore marketing

Inuyasha Taisho

Taisho Industries

E una raggelante realizzazione si fece spazio tra i suoi pensieri.

Taisho come l’azienda dove lavorava. Taisho come Toga Taisho, capo supremo ed inavvicinabile. Taisho come Inuyasha Taisho, nuovo capo sezione che non si era degnato di presentarsi negli uffici del marketing e le aveva rubato sonno prezioso.

Non pensava che poche e semplice parole potessero farle così paura. Taisho. Taisho. Taisho. Le risuonarono in testa come l’eco stonata di un cattivo presagio. Sudore freddo cominciò a scenderle lungo la schiena quando realizzò chi aveva di fronte. Le sembrò che la pareti le si chiudessero attorno, togliendole aria, la salivazione sembrava azzerata e inghiottì a vuoto un paio volte prima di riuscire a spiccicare parola.

Lui la guardò sorpreso. “Già, sono io. Avete tutte la stessa espressione quando lo scoprite. Sta male o qualcosa del genere? Se la sua faccia diventa ancora più bianca potrei scambiarla per una maschera del Nō.” Sembrava quasi divertito, le orecchie sulla sua testa ruotavano allegre come soffici piccoli radar e se non fosse stata sull’orlo di un attacco di panico si sarebbe sporta sul tavolo e gliele avrebbe toccate senza tante cerimonie.

“I-io…” - doveva scappare a gambe levate da quel posto, ma anche computare un solo pensiero sensato le sembrò all’improvviso molto complicato - “devo usare la toilette. Già, io…torno subito.” Si alzò di colpo, rovesciando la sedia, proprio mentre il cameriere arrivava per prendere i loro ordini. Raccolse la sedia, cercando di non incrociare il suo sguardo e con un veloce inchino scappò verso la toilette, pregando ogni kami che le venisse in mente di non farla inciampare e di aggravare ulteriormente la sua situazione.

Quando arrivò in bagno si accorse di aver cominciato ad iperventilare. Si sorresse al bordo del lavandino e strinse le palpebre, cercando di recuperare il controllo di sé. Una risata isterica le risalì dal petto scuotendole le spalle come se stesse singhiozzando.

Il suo capo.

Era ad un appuntamento al buio col suo nuovo capo.

Era ad un appuntamento col suo nuovo sexy capo e doveva far finta di essere una ricca ereditiera.

Da quando la sua vita aveva cominciato a fare così schifo?

Tirò fuori il cellulare dalla borsa con un gesto furioso e compose il numero di Sango. Gliene avrebbe dette quattro. Le avrebbe come minimo chiesto di raddoppiarle la ricompensa, se non di triplicarla. La linea era libera, il tuu-tuu-tuu del segnale di chiamata suonava come una presa in giro e dopo l’ultimo tuu partì la voce della segreteria telefonica. “Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, la preghiamo di provare più tardi o di lasciare un messaggio dopo il segnale acu-…” Riagganciò e aprì LINE. Se Sango pensava di poterla evitare dopo la situazione in cui l’aveva messa, si sbagliava di grosso. Avesse anche dovuto inviarle un piccione viaggiatore, la sua furia l’avrebbe raggiunta.

“Sango, rispondi al cellulare brutta st-“ Nel suo stato di shock più totale non aveva controllato di essere da sola e quando una donna uscì da uno dei bagni, rivolgendole uno sguardo di severo rimprovero, il cellulare quasi le volò di mano per lo spavento. La donna, che sembrava uscita da un corso di bon ton, vestita con un tailleur di un pallido rosa cipria, continuò a fissarla con disappunto mentre si lavava le mani e Kagome si piegò in lieve inchino farfugliando un compito “Sumimasen.”

La donna scosse a malapena la testa e se ne andò, lasciandola finalmente sola. Quando lo sguardo le cadde sulla figura che si rifletteva nello specchio sembrò ritornarle un po’ di coraggio: la donna che la fissava negli occhi non era lei, Inuyasha Taisho non avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente immaginare che sotto tutto quel trucco ci fosse una sua dipendente. Cosa aveva da perdere? Doveva solo fingere un altro po’ e poi avrebbe archiviato quella faccenda. Si ricompose e decise di riprendere il ruolo della seduttrice mangia uomini, ripassando a mente il copione. A nessun uomo sarebbe venuto in mente di sposare una donna apertamente interessata al sesso, giusto? Arricciò il naso a quell’idea retrograda e maschilista. Si pizzicò le guance per darsi un po’ di colore e con un’ultima occhiata al suo doppio nello specchio, tornò in sala. Quella sarebbe stata la sua più grande interpretazione.

“Credevo fosse scappata. Dalla sua faccia sembrava avesse visto un mostro.” Sorseggiò dalla tazza fumante che aveva davanti e che doveva aver ordinato mentre lei era via. “Mi sono permesso di ordinarle un tè alla camomilla, per distendere i suoi nervi.”- le indicò l’elegante tazza di porcellana bianca posata sul tavolo. Quando lei indugiò con la mano sullo schienale della sedia lui le disse: “Tranquilla, queste saranno anche affilate,” - si batté un artiglio su una zanna, allargando la bocca in un sorriso spavaldo - “ma non mordo.”

Lei rise secca e si riaccomodò. Afferrò la tazza con entrambe le mani e ne annusò il contenuto. “Davvero premuroso, Taisho-san. Ho lo stomaco sottosopra.”
 
“Mi chiedo perché.” Lui non la guardava, sembrava totalmente disinteressato a lei e il suo sguardo vagava, anzi, sul resto della sala.

“Cosa dovrebbe significare?” Capo o non capo, quell’uomo le dava sui nervi e la camomilla che stava sorseggiando non avrebbe di certo aiutato a calmarli. Forse nemmeno lo Xanax sarebbe riuscito ad avere la meglio contro la maleducazione di Inuyasha Taisho.

“Sembra delusa.” Con le dita tamburellava sul lato della sua tazza e per la prima volta da quando era tornata dal bagno si degnò di incrociare il suo sguardo.

“E lo sono. Credevo avrei incontrato un uomo di mezza età con qualche problema di autostima.” Gli sorrise  dal bordo della tazza, prendendo un sorso di tè.

“Ed è delusa perché sono arrivato io.” Non era una domanda, ma una incredula constatazione.

“Devo ancora decidere, forse lei non è un uomo di mezza età ma in compenso ha i modi di fare di un quindicenne viziato. Un uomo più maturo forse sarebbe stato meglio.” Giocherellò con la tazza, tracciandone il contorno con la punta dell’indice.

“Dovrebbe sapere, Taijiya-san, che più un uomo invecchia più i suoi modi di fare peggiorano. Se un uomo è gentile con lei ha solo uno scopo in mente, quello di infilarsi tra le sue gambe. La galanteria è morta e sepolta, ci sono solo branchi di cani rabbiosi che corrono dietro una piccola preda indifesa. Si fidi di me.”

Un brivido le scene lungo la schiena a quell’immagine. Non credeva alle sue parole, aveva decine di prove per confutare quella tesi. “Lei fa parte della categoria?”- lo punzecchiò.

“Sono letteralmente un mezzo-cane.” Si indicò le orecchie e a lei venne quasi da ridere per quella sottile autoironia.

Un hanyou. Cercò di metabolizzare quell’informazione e forse ci impiegò più del dovuto perché lui la rimbeccò: “Cosa? Non si aspettava un hanyou?”

Non si lasciò intimidire dal suo tono brusco e scortese. “In realtà avrei preferito un vecchio da poter manipolare con qualche giochetto sessuale.” Quando quelle parole lasciarono le sue labbra ebbe l’irrefrenabile bisogno di strisciare fino a casa per l’imbarazzo e nascondersi sotto al letto per almeno un paio di settimane.

“E chi dice che io non sia altrettanto manipolabile?”- si sporse verso di lei, poggiando i gomiti sul tavolo con ostentata sicurezza.

“La sua espressione annoiata e il fatto che mi abbia trattata con il minimo riguardo mi fa capire che non è interessato. L’ha detto lei, no? Un uomo è gentile solo se vuole portarsi a letto una donna, e lei non è stato  affatto gentile.”

“Ascolti, Taijiya-san. Nelle ultime due settimane mi sono seduto ad altri tavoli come questo e francamente c’è ben poco che mi interessi tra quello che mi viene offerto.”

 “Perché organizzare questi appuntamenti allora?”

“Perché tutte queste domande? È per caso uno sbirro?” - le chiese spazientito. Doveva aver toccato un tasto dolente perché la barriera della sua essenza youkai si espanse fin quasi a sfiorarla, come per sondare un eventuale pericolo. Messo all’angolo il suo istinto animale entrava in funzione.

“Non più di quanto lei sia un uomo interessato al matrimonio, chiaramente.”

Lui sembrò soppesare le sue parole e ponderare una eventuale replica. Poi, come se avesse deciso che lei era degna di una risposta, la illuminò: “Gli Inu-youkai scelgono un compagno per la vita. Devo cercare a lungo per trovare quella giusta, una che rispecchi tutti gli standard imposti dalla nostra società.”

“E sarebbero?”

“Non si preoccupi, lei non ne ha nessuno.” Le sorrise beffardo e una zanna appuntita spuntò sul suo labbro inferiore.

Liquidò quell’offesa con una scrollata di spalle. “La informo che da un punto di vista prettamente femminile lei manca di ogni fondamentale requisito che dovrebbe avere un uomo ideale. Sarà difficile trovare una donna disposta a convolare a nozze con lei, Taisho-san. E credo che questo incontro non abbia più senso d’essere date le nostre reciproche disposizioni.” Si infilò la giacca che le era caduta dalle spalle quando era saltata su dalla sedia prima, con la chiara intenzione di allontanarsi il più velocemente possibile da quel tavolo. Di allontanarsi il più possibile da quell’uomo che stava mettendo a dura prova il suo autocontrollo…in più di un senso.

 “Ma di contro ho molti soldi. Quelli sono un ottimo incentivo.” Continuò lui, cercando di avere l’ultima parola.

“Ne ho molti anche io.” Mentì spudoratamente, ma da come la guardava capì che lui si stava bevendo quella recita con lo stesso gusto con cui stava sorseggiando il suo caffè. “Ma io ho qualcosa che a lei evidentemente manca.”

“Sarebbe?” Sembrava sinceramente curioso.

“Basilari capacità sociali.” E si alzò dalla sedia, stavolta con studiata lentezza, preparando la sua grande uscita di scena.

 “Potrei dire che è stato un piacere ma credo che entrambi avremmo da ridire.” Lui rimase seduto, le braccia incrociate sul petto e un’espressione quasi vittoriosa in viso. Scortese fino alla fine.

“Almeno su una cosa siamo d’accordo.” Raccolse la sua borsa e tenendola con entrambe le mani davanti a sé si inchinò leggermente in segno di saluto, non abbastanza profondamente per essere ossequiosa né troppo lievemente per essere considerata irrispettosa.

“A mai più allora, Taijiya-san.” Lui non si mosse e lei avrebbe tanto voluto mandarlo al diavolo.

“Bene.”

“Ottimo.”

Perfetto.”

Si voltò, prima che lui potesse aggiungere altro, e a passi misurati ma non troppo svelti perché sembrasse una fuga, si allontanò finalmente da lui senza girarsi indietro. Finto o meno, quello era stato di certo il peggior appuntamento della sua vita. Ma ora era finito e lei era una donna libera.

Quando uscì fuori dallo Shikon l’aria autunnale le pizzicò le guance, restituendole un po’ di quella lucidità che credeva d’aver perduto dentro a quella sala da tè. Inspirò profondamente e un istante dopo un enorme sorriso le spuntò sulle labbra.

Alzò un braccio per chiamare un taxi e si congratulò con se stessa.

Missione compiuta.

 

 

 

 

 

NdA: ciao! Questo capitolo è stato un parto, un travaglio infinito di cui non si vedeva la fine XD Ogni volta che pensavo d’aver finito mi veniva in mente qualcos’altro, una battuta, un gesto, un qualcosa che spiegasse la situazione. Mi è uscita una versione di Kagome un po’ alla Lizzie Bennett e devo dire che non mi dispiace, credo che alla fin fine Kagome sia un po’ così, sotto tutto quel buonismo da favola, arguta, impertinente e a tratti tagliente. Su Inuyasha non mi esprimo, per quanto mi riguarda è un jolly.

Niente, tutto questo per dirvi scusate il ritardo ^o^”

Grazie ancora a chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite o solamente a chi ha letto fin qui :)

Ci si legge al prossimo capitolo!!
   
 
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