Capitolo III
Quando aveva
accettato, aveva pensato di avere a
disposizione qualche giorno per prepararsi psicologicamente a
quell’appuntamento, di avere del tempo per pensare ad una
strategia per mandare
tutto all’aria. Il piano di Sango era inattuabile, al limite
del ridicolo: di
certo non sarebbe andata in giro ad appiccicare preghiere sulla fronte
di
malcapitati eredi di immense fortune. Alla meglio sarebbe passata per
una
povera pazza, alla peggio l’avrebbero portata al
commissariato per aggressione.
Ma ogni suo
progetto era stato prontamente smontato
da Sango quando l’amica le aveva comunicato la data
dell’evento.
“Domani!?”
quasi le era venuto un infarto.
“Già.”
Le aveva risposto, per nulla preoccupata per
la sua salute. “Ormai mi hai dato la tua parola, non puoi
tirarti indietro.”
E
così l’aveva incastrata.
E ora si
ritrovava seduta al lounge bar dello Shikon
Plaza, stretta in vestiti che non avrebbe potuto permettersi nemmeno se
avesse
cominciato a risparmiare dall’alba dei tempi. Sango aveva
pensato ad ogni
minimo particolare, la sua indole da maniaca del controllo era venuta
fuori con
prepotenza. L’aveva portata in una delle boutique
più esclusive di Ginza dove,
tra una prova abito e l’altra, avevano offerto loro
champagne, e lei si era
sentita come la protagonista di un drama mattutino, di quelli che sua
madre
guardava mentre faceva le faccende di casa. Le tre commesse del negozio
avevano
focalizzato la loro intera attenzione sulla missione: trovare dei
vestiti che
urlassero non adatta al matrimonio,
troppo impegnata ad essere strana. Sango l’aveva
osservata per tutto il
tempo, seduta su una poltroncina di velluto a darle giudizi come un
imperatore
romano, pronta con il suo pollice all’ingiù.
Quando finalmente avevano trovato
quello che cercavano, Kagome aveva tirato un sospiro di sollievo,
pensando che
la tortura fosse finita, ma l’amica l’aveva
trascinata in un salone di bellezza
dove le sapienti mani delle truccatrici avevano operato miracoli.
Quando
si era
guardata aveva scorto una sconosciuta, nulla della figura che si
rifletteva
nello specchio avrebbe potuto ricondurre a lei, anonima donna
giapponese nella
media con occhi e capelli scuri. La donna, o meglio, la femme fatale
che la
fissava dallo specchio era quanto di più lontano da lei
potesse esserci.
Vestiti succinti, tacchi vertiginosi, trucco impeccabile. Aveva
rifiutato,
ovviamente, di farsi tingere i capelli (al suo povero nonno sarebbero
partire
le coronarie) e Sango l’aveva sorpresa ancora una volta
perché, senza batter
ciglio, aveva tirato fuori una parrucca bionda con uno sfrontato
balayage blu.
Poi le aveva messo tra le mani una scatolina e l’aveva
costretta a fare la cosa
più disgustosa e difficile che avesse fatto in vita sua,
mettere delle lenti a
contatto cercando di non accecarsi nel mentre.
A meno di
mezz’ora dall’appuntamento la sua
cosiddetta amica l’aveva scaricata allo Shikon, affidandole
la sua preziosa
carta di credito come anticipo sulla sua ricompensa finale, augurandole
buona
fortuna. “Questo è il tuo primo appuntamento dopo
un periodo di magra, giusto?
Divertiti, scarica la tensione.”
“Non
sedurrò il tuo
appuntamento al buio per portarmelo a letto. È
tipo l’opposto di quello che
stiamo cercando di fare, giusto?”
“Dagli
una ripassatina e poi scaricalo. Probabilmente
distruggerà il suo ego, ma questo è il nostro
scopo. Non deludermi.” L’aveva
salutata con un occhiolino e, se non fosse stata la sua migliore amica,
gliel’avrebbe chiuso lei l’occhio, infilandoci un
dito dentro.
Guardò
l’ora sul cellulare e sentì l’ansia che
le
montava dentro come un’onda anomala. Girò la
cannuccia del gin lemon (gentilmente
offerto dalla carta di Sango) che aveva ordinato per distendere i nervi
e ne
bevve un sorso. Chiuse gli occhi per un secondo, cercando di combattere
la stanchezza
che si portava dietro dalla sera prima: all’idea di
quell’appuntamento non
aveva chiuso occhio e in ufficio non aveva potuto godere del suo power
nap post
pranzo perché il nuovo responsabile di sezione, il figlio
del grande capo in
persona, aveva deciso che quello era il giorno adatto ad
un’ispezione per
vedere come andavano le cose giù nel reparto marketing. I
suoi colleghi,
Jakotsu in primis, erano andati in fibrillazione.
“Ho
sentito da Yura della contabilità che il nuovo
capo è uno schianto.” Le aveva sussurrato estatico
in ascensore mentre andavano
in mensa. Gli
aveva creduto, perché avevano gli stessi gusti e
più
di una volta quando erano usciti insieme avevano messo gli occhi sullo
stesso
uomo, e alla fine Jakotsu era stato il fortunato a portarselo a casa.
Stava di
fatto che il sexy capo non si era fatto vedere, l’uomo in
giacca e cravatta (di
una particolare sfumatura di viola melanzana) che si era presentato
poco dopo
la pausa pranzo nel loro ufficio, si era rivelato essere il segretario
personale del capo. “Se il segretario sembra uscito
dall’ultima copertina di
Vogue, non oso immaginare il resto
del’entourage.” Le aveva scritto Jakotsu in chat,
accompagnando il messaggio
con l’emoticon di una melanzana, e di sicuro
quell’innocente disegno non si
riferiva al colore della cravatta ma a tanto tanto
altro. Gli avevano consegnato una dettagliata relazione
sull’andamento del trimestre, lui aveva annuito
professionale, scrollato
qualcosa sul tablet che si portava dietro, ringraziato tutti per
l’ottimo
lavoro e prima di andare via aveva lanciato un lungo sguardo eloquente
a
Kaguya. La donna si era impettita e aveva scostato i lunghi capelli
scuri
dietro le spalle con fare provocante.
“Vipera!
Crede non ci siamo accorti che le sue gonne
diventano sempre più corte? Il mese prossimo
verrà a lavoro in mutande se
continua così.” Jakotsu aveva sibilato velenoso,
per niente intimorito che la
collega lo sentisse. L’incontro era durato poco
più di venti minuti, e alla
fine non era rimasto spazio per nemmeno un sonnellino di dieci minuti.
Ora cominciava a
sentire la stanchezza prendere
lentamente possesso del suo corpo e il languore dell’alcol
che le scendeva
nello stomaco la stava cullando verso un piacevole torpore.
Più di una volta si
era fermata prima di stropicciarsi gli occhi e rovinare
l’opera d’arte che le
avevano messo sul viso.
Ora che ci
pensava, non sapeva chi stesse
aspettando. Sango non aveva saputo dirle assolutamente nulla sulla
persona che
si sarebbe presentata all’appuntamento. E se fosse stato un
vecchio? Un
lumacone alla ricerca di una moglie giovane e ricca? Poteva sempre
andar via,
mollare tutto e tornarsene a casa. Se avesse preso un taxi nei
successivi
cinque minuti sarebbe arrivata in tempo per cena: era quasi certa che
sua madre
avesse preparato il curry. Ma se
non
fosse rimasta forse non ce l’avrebbe più avuta una
casa dove tornare. I soldi
di Sango le servivano e per guadagnarseli doveva sopportare chiunque si
fosse
presentato. Anche se fosse stato un vecchio.
“Taijiya-san?”
Una voce maschile la richiamò all’attenzione e
raddrizzò la schiena d’istinto.
Il momento era
arrivato. Doveva solo far finta di
essere qualcun altro, poteva farcela.
“È
in ritardo.” Disse con arroganza senza voltarsi. Se
quell’uomo pensava di aver davanti una probabile buona
mogliettina, obbediente
e remissiva, sarebbe rimasto molto deluso. Richiamò
l’attenzione del barman
alzando due dita e gli porse la carta di credito. “Non
è una buona prima
impressione. Di solito sono gli altri ad attendere me. Sa, lei non
è l’unico
con cui…”
E tutto a un
tratto, quando si voltò a guardarlo, le
sue funzioni cerebrali cessarono. Encefalogramma piatto. Un allarme di
qualche
tipo le risuonò nel cervello, risvegliando qui e
lì qualche neurone superstite,
che si affannò a trovare una reazione adeguata a quello che
i suoi occhi
vedevano. Una parte di lei avrebbe voluto gioire che
all’appuntamento si fosse
presentato qualcuno così e
non un
uomo di mezz’età stempiato e sovrappeso, ma
l’altra parte del suo inconscio
avrebbe voluto prendere a testate un muro perché il destino
le dava quell’opportunità
solo per poterla mandare all’aria.
Se i suoi poteri
di miko fossero stati allenati,
l’avrebbe sentito arrivarle alle
spalle. Anche con le sue limitate capacità riusciva a
percepire uno youki potente e
vibrante espandersi
dalla sua persona, e se quello non fosse bastato come chiaro segno
rivelatore
della sua natura, le piccole appendici pelose che gli spuntavano sulla
testa
avrebbero fatto il resto. Di fronte a lei c’era uno yokai, un essere più dio che
uomo, di una bellezza disarmante, con
fattezze sovraumane, con occhi e capelli del colore di metalli preziosi
…e lei
avrebbe dovuto scaricarlo alla grande. Dannatissima Sango! Non la
pagava
abbastanza.
E chiaramente
ora usare gli ofuda era fuori
questione.
Si accorse di
essere rimasta a fissarlo con la bocca
semiaperta troppo a lungo e si riscosse. “Non è
l’unico con cui ho un
appuntamento.” Riacquistò
l’uso della
parola e scendendo dallo sgabello dov’era seduta, si
asciugò i palmi delle mani
sudati sulla stoffa finissima della gonna facendo finta di lisciare
pieghe
inesistenti.
“Sono
stato trattenuto.” Nessun tentativo di
scusarsi, nessun inchino, né onorifico.
“Di
solito si tende a scusarsi.” Il suo fascino
esteriore non si estendeva alla sua educazione, a quanto pareva.
“Lo farei se fossi sinceramente dispiaciuto di questo
ritardo. Nel caso
contrario sarebbe da ipocriti e io odio
l’ipocrisia.”
Kagome
fissò la sua espressione annoiata e capì che
non si trattava di una battuta, ed ebbe il fin troppo femminile impulso
di
lanciargli quel che rimaneva del suo gin lemon in faccia. Sapeva bene
che il
suo viso parlava
chiaro riguardo alla sua
indignazione, non era capace ad indossare una faccia da poker, sua
madre gliel’aveva
rimproverato innumerevoli
volte. Ma a
lui sembrava non importare, la guardava con arroganza, con un
sopracciglio
inarcuato e le labbra strette. “Se ha smesso di fissarmi,
possiamo andare,
Taijiya-san. Forse un caffè le farà
bene.” Lanciò uno sguardo al bicchiere mezzo
vuoto del cocktail che lei aveva rimescolato fino a due minuti prima,
poi le voltò
le spalle e si diresse a grandi falcate verso la sala da tè
dall’altro lato
della hall, senza degnarsi di aspettarla.
In meno di
cinque minuti le aveva apertamente detto
che non voleva essere lì e le aveva dato velatamente
dell’ubriacona. Forse
scaricarlo non sarebbe stato così difficile dopotutto.
Doveva diventare più
sfrontata e dire addio alle buone maniere per la durata di
quell’appuntamento,
se voleva avere la meglio.
Raccattò
la borsa e la giacca e gli corse dietro, le
punte blu della parrucca le finivano negli occhi ad ogni passo e i
cinturini delle
Saint Laurent che aveva ai piedi sembrava stessero per tranciarle la
caviglia. Perché
scarpe che costavano l’equivalente del suo stipendio erano
così scomode? Non
doveva essere un bello spettacolo.
Si accorse come
le donne nel foyer lo seguissero con
lo sguardo e gli uomini parlottassero tra loro al suo passaggio. Chi
era
quell’uomo?
Quando lo
raggiunse lui si stava già accomodando e
lei, senza perdere un colpo, scostò la sedia e si sedette di
fronte a lui. Aprì
il menù e dopo avergli dato una veloce lettura, si
concentrò su di lui
fissandolo di sottecchi. Nelle
orecchie
le risuonavano le parole di Sango e il suo cervello, nonostante la sua
lampante
mancanza di buone maniere, le urlava di scalarlo
come un albero. Da dove diavolo venivano fuori quei
pensieri? D’accordo,
forse l’ultima volta che era stata con un uomo la luna era
ancora un luogo
inesplorato, ma da lì ad essere apertamente eccitata ce ne
voleva. Sforzarsi di
non guardare le sue mani, la sua faccia e i suoi zigomi affilati era
davvero
dura. Ora che lo guardava meglio c’era qualcosa di familiare
nei suoi tratti,
come se l’avesse già visto da qualche parte, forse
su qualche rivista o su
qualche articolo online, di certo non dal vivo: era
più che certa frequentassero circoli
diversi.
La
curiosità la stava uccidendo.
“Allora,
Taijiya-san…”
“Non
conosco nemmeno il suo nome.” Lo interruppe
sprezzante, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte con un gesto
stizzito. Notò l’irritazione fare capolino sul suo
viso inespressivo, un
sopracciglio scattò verso l’alto e le
sembrò che stesse faticando a contenersi.
“Per
quanto ne so potrebbe essere
chiunque, un impostore o un pervertito.” Il suo cervello di
brava ragazza,
cresciuto a riso e buone maniera, piangeva per la totale
mancanza di
educazione che stava mostrando.
L’uomo
si trattenne a malapena dal roteare gli occhi mentre le diceva:
“Pensavo lo
sapesse o quanto meno l’avesse intuito.”
Lei fece finta
di rovistare nella piccola borsa che
le avevano abbinato all’outfit. “Purtroppo devo
aver lasciato i poteri da
paragnosta nell’altra Vuitton.”
L’acidità che trapelava dalla sua voce avrebbe
potuto far concorrenza ad uno yoghurt scaduto dimenticato sul fondo del
frigo da
mesi.
“Anche
le buone maniere a quanto vedo.” Lui diede
uno sguardo veloce all’orologio, roteando il polso con tale
velocità che lei ebbe
paura gli si potesse svitare la mano dal braccio. Quello era un chiaro
segno di
quanto quell’appuntamento lo annoiasse e non vedesse
l’ora di andarsene. Ancora
un altro po’ e avrebbe portato a termine la sua missione.
“Mi
ascolti bene, non starò qui a farmi trattar male
da lei, signor…” batté una mano sul
tavolo, attirando l’attenzione degli altri
clienti nella sala. Ottimo, nessuno amava le scenate.
Lui
infilò la mano nella giacca, perplesso,
e ne
estrasse un biglietto da visita che fece scivolare verso di lei con due
dita. Quasi
glielo strappò dalle mani e lesse avidamente, rigirandoselo
prima da un lato e poi
dall’altro.
Top manager settore marketing
Inuyasha Taisho
Taisho
Industries
E una raggelante
realizzazione si fece spazio tra i
suoi pensieri.
Taisho come
l’azienda dove lavorava. Taisho come
Toga Taisho, capo supremo ed inavvicinabile. Taisho come Inuyasha
Taisho, nuovo
capo sezione che non si era degnato di presentarsi negli uffici del
marketing e
le aveva rubato sonno prezioso.
Non pensava che
poche e semplice parole potessero
farle così paura. Taisho. Taisho.
Taisho.
Le risuonarono in testa come l’eco stonata di un cattivo
presagio. Sudore
freddo cominciò a scenderle lungo la schiena quando
realizzò chi aveva di
fronte. Le sembrò che la pareti le si chiudessero attorno,
togliendole aria, la
salivazione sembrava azzerata e inghiottì a vuoto un paio
volte prima di
riuscire a spiccicare parola.
Lui la
guardò sorpreso. “Già, sono io. Avete
tutte
la stessa espressione quando lo scoprite. Sta male o qualcosa del
genere? Se la
sua faccia diventa ancora più bianca potrei scambiarla per
una maschera del Nō.”
Sembrava quasi divertito, le orecchie sulla sua testa ruotavano allegre
come
soffici piccoli radar e se non fosse stata sull’orlo di un
attacco di panico si
sarebbe sporta sul tavolo e gliele avrebbe toccate senza tante
cerimonie.
“I-io…”
- doveva scappare a gambe levate da quel
posto, ma anche computare un solo pensiero sensato le sembrò
all’improvviso
molto complicato - “devo usare la toilette. Già,
io…torno subito.” Si alzò di
colpo, rovesciando la sedia, proprio mentre il cameriere arrivava per
prendere
i loro ordini. Raccolse la sedia, cercando di non incrociare il suo
sguardo e
con un veloce inchino scappò verso la toilette, pregando
ogni kami che le venisse in mente
di non
farla inciampare e di aggravare ulteriormente la sua situazione.
Quando
arrivò in bagno si accorse di aver cominciato ad
iperventilare. Si sorresse al
bordo del lavandino e strinse le palpebre, cercando di recuperare il
controllo
di sé. Una risata isterica le risalì dal petto
scuotendole le spalle come se
stesse singhiozzando.
Il
suo capo.
Era
ad un appuntamento al buio col suo nuovo capo.
Era ad un
appuntamento col suo nuovo sexy
capo e doveva far finta di essere una
ricca ereditiera.
Da quando la sua
vita aveva cominciato a fare così
schifo?
Tirò
fuori il cellulare dalla borsa con un gesto
furioso e compose il numero di Sango. Gliene avrebbe dette quattro. Le
avrebbe
come minimo chiesto di raddoppiarle la ricompensa, se non di
triplicarla. La
linea era libera, il tuu-tuu-tuu
del
segnale di chiamata suonava come una presa in giro e dopo
l’ultimo tuu partì
la voce della segreteria
telefonica. “Il cliente da lei chiamato non è al
momento raggiungibile, la
preghiamo di provare più tardi o di lasciare un messaggio
dopo il segnale
acu-…” Riagganciò e aprì
LINE. Se Sango pensava di poterla evitare dopo la
situazione in cui l’aveva messa, si sbagliava di grosso.
Avesse anche dovuto
inviarle un piccione viaggiatore, la sua furia l’avrebbe
raggiunta.
“Sango,
rispondi al cellulare brutta st-“ Nel suo
stato di shock più totale non aveva controllato di essere da
sola e quando una
donna uscì da uno dei bagni, rivolgendole uno sguardo di
severo rimprovero, il
cellulare quasi le volò di mano per lo spavento. La donna,
che sembrava uscita
da un corso di bon ton, vestita con un tailleur di un pallido rosa
cipria,
continuò a fissarla con disappunto mentre si lavava le mani
e Kagome si piegò
in lieve inchino farfugliando un compito “Sumimasen.”
La donna scosse
a malapena la testa e se ne andò,
lasciandola finalmente sola. Quando lo sguardo le cadde sulla figura
che si
rifletteva nello specchio sembrò ritornarle un po’
di coraggio: la donna che la
fissava negli occhi non era lei, Inuyasha Taisho non avrebbe mai potuto
nemmeno
lontanamente immaginare che sotto tutto quel trucco ci fosse una sua
dipendente. Cosa aveva da perdere? Doveva solo fingere un altro
po’ e poi
avrebbe archiviato quella faccenda. Si ricompose e decise di riprendere
il
ruolo della seduttrice mangia uomini, ripassando a mente il copione. A
nessun
uomo sarebbe venuto in mente di sposare una donna apertamente
interessata al
sesso, giusto? Arricciò il naso a quell’idea
retrograda e maschilista. Si
pizzicò le guance per darsi un po’ di colore e con
un’ultima occhiata al suo
doppio nello specchio, tornò in sala. Quella sarebbe stata
la sua più grande
interpretazione.
“Credevo
fosse scappata. Dalla sua faccia sembrava
avesse visto un mostro.” Sorseggiò dalla tazza
fumante che aveva davanti e che
doveva aver ordinato mentre lei era via. “Mi sono permesso di
ordinarle un tè
alla camomilla, per distendere i suoi nervi.”- le
indicò l’elegante tazza di
porcellana bianca posata sul tavolo. Quando lei indugiò con
la mano sullo
schienale della sedia lui le disse: “Tranquilla, queste
saranno anche
affilate,” - si batté un artiglio su una
zanna, allargando la bocca in
un sorriso spavaldo - “ma non mordo.”
Lei rise secca e
si riaccomodò. Afferrò la tazza con
entrambe le mani e ne annusò il contenuto.
“Davvero premuroso, Taisho-san. Ho
lo stomaco sottosopra.”
“Mi chiedo perché.” Lui non la guardava,
sembrava
totalmente disinteressato a lei e il suo sguardo vagava, anzi, sul
resto della
sala.
“Cosa
dovrebbe significare?” Capo o non capo, quell’uomo
le dava sui nervi e la camomilla che stava sorseggiando non avrebbe di
certo
aiutato a calmarli. Forse nemmeno lo Xanax sarebbe riuscito ad avere la
meglio
contro la maleducazione di Inuyasha Taisho.
“Sembra
delusa.” Con le dita tamburellava sul lato
della sua tazza e per la prima volta da quando era tornata dal bagno si
degnò
di incrociare il suo sguardo.
“E lo
sono. Credevo avrei incontrato un uomo di
mezza età con qualche problema di autostima.” Gli
sorrise dal bordo
della tazza, prendendo un sorso di
tè.
“Ed
è delusa perché sono arrivato io.” Non
era una
domanda, ma una incredula constatazione.
“Devo
ancora decidere, forse lei non è un uomo di
mezza età ma in compenso ha i modi di fare di un quindicenne
viziato. Un uomo
più maturo forse sarebbe stato meglio.”
Giocherellò con la tazza, tracciandone
il contorno con la punta dell’indice.
“Dovrebbe
sapere, Taijiya-san, che più un uomo
invecchia più i suoi modi di fare peggiorano. Se un uomo
è gentile con lei ha
solo uno scopo in mente, quello di infilarsi tra le sue gambe. La
galanteria è
morta e sepolta, ci sono solo branchi di cani rabbiosi che corrono
dietro una
piccola preda indifesa. Si fidi di me.”
Un brivido le
scene lungo la schiena a
quell’immagine. Non credeva alle sue parole, aveva decine di
prove per confutare
quella tesi. “Lei fa parte della categoria?”- lo
punzecchiò.
“Sono letteralmente
un mezzo-cane.” Si indicò le orecchie e a lei
venne quasi da ridere per quella
sottile autoironia.
Un hanyou.
Cercò di metabolizzare quell’informazione
e forse ci impiegò più del dovuto
perché lui la rimbeccò: “Cosa? Non si
aspettava
un hanyou?”
Non si
lasciò intimidire dal suo tono brusco e scortese.
“In
realtà avrei preferito un vecchio da poter manipolare con
qualche giochetto
sessuale.” Quando quelle parole lasciarono le sue labbra ebbe
l’irrefrenabile
bisogno di strisciare fino a casa per l’imbarazzo e
nascondersi sotto al letto
per almeno un paio di settimane.
“E chi
dice che io non sia altrettanto manipolabile?”-
si sporse verso di lei, poggiando i gomiti sul tavolo con ostentata
sicurezza.
“La
sua espressione annoiata e il fatto che mi abbia
trattata con il minimo riguardo mi fa capire che non è
interessato. L’ha detto
lei, no? Un uomo è gentile solo se vuole portarsi a letto
una donna, e lei non
è stato affatto
gentile.”
“Ascolti,
Taijiya-san. Nelle ultime due settimane mi
sono seduto ad altri tavoli come questo e francamente
c’è ben poco che mi
interessi tra quello che mi viene offerto.”
“Perché
organizzare
questi appuntamenti allora?”
“Perché
tutte queste domande? È per caso uno
sbirro?” - le chiese spazientito. Doveva aver toccato un
tasto dolente perché
la barriera della sua essenza youkai
si espanse fin quasi a sfiorarla, come per sondare un eventuale
pericolo. Messo
all’angolo il suo istinto animale entrava in funzione.
“Non
più di quanto lei sia un uomo interessato al
matrimonio, chiaramente.”
Lui
sembrò soppesare le sue parole e ponderare una eventuale
replica. Poi, come se avesse deciso che lei era degna di una risposta,
la
illuminò: “Gli Inu-youkai scelgono un compagno per
la vita. Devo cercare a
lungo per trovare quella giusta, una che rispecchi tutti gli standard
imposti
dalla nostra società.”
“E
sarebbero?”
“Non
si preoccupi, lei non ne ha nessuno.” Le
sorrise beffardo e una zanna appuntita spuntò sul suo labbro
inferiore.
Liquidò
quell’offesa con una scrollata di spalle.
“La informo che da un punto di vista prettamente femminile
lei manca di ogni
fondamentale requisito che dovrebbe avere un uomo ideale.
Sarà difficile
trovare una donna disposta a convolare a nozze con lei, Taisho-san. E
credo che
questo incontro non abbia più senso d’essere date
le nostre reciproche
disposizioni.”
Si infilò la giacca che le era caduta dalle spalle quando
era saltata su dalla
sedia prima, con la chiara intenzione di allontanarsi il più
velocemente
possibile da quel tavolo. Di allontanarsi il più possibile
da quell’uomo che
stava mettendo a dura prova il suo autocontrollo…in
più di un senso.
“Ma
di contro
ho molti soldi. Quelli sono un ottimo incentivo.”
Continuò lui, cercando di
avere l’ultima parola.
“Ne ho
molti anche io.” Mentì spudoratamente, ma da
come la guardava capì che lui si stava bevendo quella recita
con lo stesso
gusto con cui stava sorseggiando il suo caffè. “Ma
io ho qualcosa che a lei
evidentemente manca.”
“Sarebbe?”
Sembrava sinceramente curioso.
“Basilari
capacità sociali.” E si alzò dalla
sedia,
stavolta con studiata lentezza, preparando la sua grande uscita di
scena.
“Potrei
dire
che è stato un piacere ma credo che entrambi avremmo da
ridire.” Lui rimase
seduto, le braccia incrociate sul petto e un’espressione
quasi vittoriosa in
viso. Scortese fino alla fine.
“Almeno
su una cosa siamo d’accordo.” Raccolse la
sua borsa e tenendola con entrambe le mani davanti a sé si
inchinò leggermente
in segno di saluto, non abbastanza profondamente per essere ossequiosa
né
troppo lievemente per essere considerata irrispettosa.
“A mai
più allora, Taijiya-san.” Lui non si mosse e
lei avrebbe tanto voluto mandarlo al diavolo.
“Bene.”
“Ottimo.”
“Perfetto.”
Si
voltò, prima che lui potesse aggiungere altro, e a
passi misurati ma non troppo svelti perché sembrasse una
fuga, si allontanò
finalmente da lui senza girarsi indietro. Finto o meno, quello era
stato di
certo il peggior appuntamento della sua vita. Ma ora era finito e lei
era una
donna libera.
Quando
uscì fuori dallo Shikon l’aria autunnale le
pizzicò le guance, restituendole un po’ di quella
lucidità che credeva d’aver
perduto dentro a quella sala da tè. Inspirò
profondamente e un istante dopo un
enorme sorriso le spuntò sulle labbra.
Alzò
un braccio per chiamare un taxi e si congratulò
con se stessa.
Missione
compiuta.
NdA: ciao!
Questo capitolo è stato un parto, un
travaglio infinito di cui non si vedeva la fine XD Ogni volta che
pensavo d’aver
finito mi veniva in mente qualcos’altro, una battuta, un
gesto, un qualcosa che
spiegasse la situazione. Mi è uscita una versione di Kagome
un po’ alla Lizzie
Bennett e devo dire che non mi dispiace, credo che alla fin fine Kagome
sia un
po’ così, sotto tutto quel buonismo da favola,
arguta, impertinente e a tratti
tagliente. Su Inuyasha non mi esprimo, per quanto mi riguarda
è un jolly.
Niente, tutto
questo per dirvi scusate il ritardo ^o^”
Grazie ancora a
chi ha inserito la storia tra le
seguite/preferite o solamente a chi ha letto fin qui :)