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Autore: Orso Scrive    18/12/2022    2 recensioni
Egitto, primi anni del Novecento.
Una squadra di egittologi porta a compimento una scoperta sensazionale ad Abu Simbel, l’antica porta del regno egiziano per chi risaliva il Nilo proveniendo dalla Nubia. Ma la scoperta potrebbe attirare su tutti loro una maledizione che la sabbia dei secoli non è ancora stata in grado di cancellare...
(Storia scritta nel 2017)
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TERZO

 

L’interno del sepolcro era avvolto dall’oscurità più completa.

Nel momento dell’apertura, un’aria calda e rarefatta proveniente dalla camera investì in pieno il gruppo di studiosi che, nondimeno, non si lasciarono vincere dal ribrezzo e continuarono ad osservare con attenzione, cercando di penetrare con gli sguardi le tenebre che tenevano loro celati i misteri dell’antichissimo monumento sepolcrale.

Il dottor Thompson, afferrata una lampada elettrica che si era fatto portare, l’accese e la sollevò sopra la testa, infilandola nel tetro varco. Il fascio di luce si proiettò lungo il pavimento, dove il gruppo poté osservare un mazzo di antichissimi e fragili fiori ormai dissecati, posati senza dubbio poco prima della chiusura del sepolcro. Poi, poco alla volta, esso rivelò una grande ed alta sala, ornata da colonne papiriformi e con le pareti ricoperte di magnifiche pitture, raffiguranti scene di vita quotidiana e della mitologia egizia. Ovunque, magnifiche suppellettili, come divani, letti e cofani arricchivano la stanza, il cui ingresso era vigilato da due nere statue lignee raffiguranti gli antichi medjai, i soldati d’elite del tempo del Nuovo Regno. Ma, soprattutto, a destare stupore e meraviglia, era il luccichio brillante dell’oro, che sembrava fosse ovunque, sopra ogni oggetto ed ogni ornamento. Da ultimo, nel centro esatto della sala, la lampada illuminò un imponente sarcofago di quarzo rosa, un’opera che, da sola, sarebbe stata sufficiente a ripagare gli studiosi della loro pazienza.

Nessuno, ancora, s’era mosso dalla soglia, né aveva fiatato. Sui volti degli studiosi e dei loro accompagnatori si palesava lo sbalordimento per quanto stavano vedendo; ovunque si posasse la luce proiettata dalla lampada del dottor Thompson, si scorgevano ricchezze inimmaginabili, i resti palpabili di un’epoca tramontata eppure ancora così viva da riuscire a restituire emozioni impossibili da quantificare.

Pareva che ciascuno dei presenti avesse perduto definitivamente l’uso della parola; alla fine, tuttavia, fu il professor Summerlee a rompere per primo il silenzio.

«Dottor Thompson» disse, rivolgendosi con aria deferente al collega, afferrandogli la mano destra e stringendola calorosamente, «le porgo i miei più sinceri complimenti. Una scoperta meravigliosa, degna di uno studioso competente quale è lei.»

Thompson non seppe cosa replicare; rimase in silenzio anche mentre tutti gli altri egittologi, a turno, gli porgevano la mano, manifestandogli la propria gratitudine.

Per ultimo, gli si avvicinò il dottor Smith, che dichiarò, con leggero imbarazzo: «Esimio collega, vorrei scusarmi, con lei e con tutti gli altri, per essere stato decisamente troppo brusco nei miei atteggiamenti. Adesso, comprendo che la sua pazienza era necessaria, che avrei dovuto riporre fiducia in lei sin dal primo momento e che l’attesa che ci ha chiesto di sopportare è stata decisamente ben ricompensata. Pertanto, la supplico ancora una volta di scusarmi e la ringrazio infinitamente per avermi permesso di prendere parte a tale scoperta, di certo destinata a divenire immortale.»

L’anziano egittologo sorrise dinnanzi a tutti quegli apprezzamenti, che lo costrinsero, seppure a malincuore, a distogliere lo sguardo dalla tomba.

Osservò le figure di tutti i suoi compagni e balbettò, visibilmente commosso: «Signori, voi ringraziate me, ma io devo esprimere riconoscenza a tutti voi, dato che, senza il vostro aiuto, non sarei mai potuto giungere fin qui. Vi sono debitore, signori miei. E, soprattutto, devo benedire l’incontro casuale con mio cognato Abdul e le insistenze dei miei nipoti, dato che, senza di loro, non avrei mai intrapreso questo scavo. Ed ora, signori, mettiamoci all’opera. La tomba ci attende ed suoi segreti devono essere rivelati al mondo intero: questo compito spetterà a noi!»

Quindi, senza attendere risposta, Thompson si volse nuovamente all’indirizzo della tomba e mosse il primo passo verso di essa. Entrare in quel luogo sacrale gli diede come una scossa ed avvertì il peso dei secoli gravargli addosso mano a mano che si addentrava nell’oscurità del sepolcro, stemperata solo in parte, ed a fatica, dalla luce proveniente dall’esterno e dalle torce di cui ciascuno di loro s’era munito.

Da ogni angolo, da ogni pittura e da ogni singolo manufatto, sembrava trasmettersi una strana energia, una sorta di vibrazione indefinibile, come se l’antichità di quegli oggetti stesse avvertendo quegli uomini che nessun occhio umano s’era più posato sopra di essi da diversi millenni; l’aria rarefatta e la scarsità d’ossigeno, poi, creavano strane illusioni e non era difficile che, a qualcuno, paresse di scorgere strani movimenti negli angoli più bui della stanza.

Il dottor Thompson avanzò fino al grande sarcofago, come se fosse ipnotizzato da quel particolare prodotto dell’ingegno umano, per il momento senza prestare attenzione a null’altro di quanto lo circondasse; con muta riverenza, passò la mano sopra il pesante coperchio di quarzo rosa, quasi trasparente. Sembrava anche solo impossibile il pensiero che, nell’età del bronzo, ci fossero state persone in grado di lavorare una pietra tanto dura con una simile maestria e perfezione. Ammirato, accarezzò il coperchio, sognando di poterlo sollevare, per osservare con i propri occhi il sonno eterno del suo misterioso ospite.

Udì un passo pesante alle proprie spalle e, un attimo dopo, vide il professor Summerlee comparire al proprio fianco, seguito da Abdul, Rachel e John, tutti quanti con i visi trasmutati da una gioia incontenibile.

«Mio caro Henry…» iniziò il curatore, ma il dottor Thompson gli fece segno di non parlare, per non rovinare l’atmosfera enigmatica, sacrale e intangibile che, ancora, sembrava aleggiare su ogni cosa, lì dentro.

Dopo un poco, tuttavia, essa scomparve irrimediabilmente, quando al-Farooq e Libone, terminato di contemplare con ammirazione ogni oggetto capitasse loro sotto gli occhi e riacquistata coscienza del proprio ruolo, cominciarono ad impartire ordini secchi agli operai, ammassati all’ingresso, perché provvedessero al montaggio di fari per l’illuminazione ed al trasporto delle casse in cui sarebbero stati imballati i primi oggetti, dopo essere stati accuratamente fotografati e catalogati. Subito, tra i loro tipici canti, gli uomini iniziarono a darsi da fare rumorosamente.

Fournier e Smith, invece, sembrarono farsi prendere dalla febbre dell’oro e, chinatisi sopra un baldacchino che sorreggeva statuine, coppe, collane, cinture, pettorali ed altri preziosi gioielli in pietre, perle, faience e metalli pregiati, tra i quali spiccavano nettamente i colori blu, verde, rosso ed oro, si diedero ad emettere esclamazioni di giubilo, decantandone le raffinate qualità. Ormai, il sonno a cui millenni prima era stata destinata la veneranda mummia dell’ignoto faraone lì sepolto, sembrava veramente essere stato turbato ed interrotto per sempre.

Sebbene a malincuore, allora, Thompson fu costretto ad allontanarsi dal sarcofago per muoversi avanti ed indietro lungo tutta la tomba, recandosi là dove invocato dagli altri egittologi perché osservasse un particolare, desse un suo parere o semplicemente ammirasse qualche cosa di curioso.

Abdul, gongolante per la scoperta, la più ricca a cui avesse mai partecipato, riuscì con soddisfazione ad intascarsi, senza che nessuno se ne accorgesse, un piccolo monile d’oro e d’argento raffigurante l’occhio di Horo, un pugnale d’oro con il fodero dello stesso prezioso metallo ed uno scarabeo di turchese, mentre la giovane Rachel, afferrata da un tavolino rotondo una ricchissima collana in oro e pietre preziose, alla quale era attaccato un grosso pendente con incastonato un rubino, la sollevò verso la luce, con gli occhi pieni di ammirazione. Smith, accortosene, le si avvicinò, dicendo: «Lei ha davvero buon gusto, signorina. Non credo che alcun orafo, al giorno d’oggi, sarebbe in grado di replicare una simile magnificenza.»

La ragazza alzò lo sguardo sull’americano.

«Crede che mi starebbe bene, addosso?»

«Onorerebbe il suo collo alla perfezione, signorina Rachel» replicò l’egittologo.

«Tuttavia, ho il forte dubbio che lei o chiunque altro potrebbe permettersi di indossarla» osservò il professor Libone, avvicinandosi ai due. «Inoltre, nessuno dovrebbe toccare alcun oggetto, prima che ne sia stato compiuto l’inventario e la posizione originaria ne sia stata accuratamente fotografata ed annotata.»

«Il professore ha pienamente ragione, cara» disse Thompson, che lo aveva seguito. «Sarà meglio che tu impari in fretta a non farti cogliere dall’entusiasmo. So bene che non capiti tutti i giorni d’imbattersi in un insieme di tesori favolosi come questo, ma non si deve cedere alla bramosia né tantomeno alla fretta.»

Rachel, mortificata, chinò il capo, mormorando delle scuse. Ripose la collana al suo posto e disse che sarebbe uscita un momento all’esterno. Lo zio Abdul, più che appagato di quanto rubato e temendo che qualcuno potesse insospettirsi notando il rigonfiamento della tasca dei suoi pantaloni, s’affrettò a seguirla.

«Sua nipote dovrebbe prestare maggiore attenzione» disse Libone, non appena la ragazza fu scomparsa oltre la soglia. «Avrebbe potuto danneggiarla irreparabilmente.»

«Credo che la signorina sia stata redarguita già abbastanza senza che lei vada avanti con questa sua aria tronfia, signore» esclamò Smith, visibilmente irritato.

«Proprio a lei, mio caro dottore, vorrei inoltre far notare che non avrebbe dovuto incoraggiarla, bensì rimproverarla immediatamente, per il suo comportamento» aggiunse imperterrito l’italiano, fiammeggiando dagli occhi.

Thompson, come al solito, cercò di fare da paciere per mantenere gli animi calmi.

«Esimi colleghi, non vedo la ragione di discutere oltre riguardo questa faccenda. Mia nipote è stata ripresa e non commetterà altri errori, posso assicurarlo sul mio onore. Per fortuna, inoltre, la collana non ha subito alcun tipo di danno, quindi litigi in merito sono fuori luogo. Credo che possiamo considerare definitivamente chiusa la faccenda e tornare ad occuparci del nostro lavoro.»

«Certo, che la consideriamo chiusa» sentenziò Smith, allontanandosi a grandi passi, anche se non prima di aver lanciato un’ultima occhiata irosa a Libone, il quale sostenne il suo sguardo con aria di sfida.

Nel frattempo, con la sua macchina fotografica, John si stava dando un grande da fare; aveva avuto appena il tempo di ritrarre qualche panoramica dell’intero locale, poiché gli archeologi non facevano altro che chiamarlo di qua e di là per immortalare qualsiasi artefatto capitasse loro sotto gli occhi. Il più attivo di tutti, sembrava essere proprio il professor Summerlee che, nonostante la mole, si muoveva dappertutto con estrema agilità, senza mai correre il rischio di sfiorare per sbaglio qualche fragile oggetto. Con ordine e metodo, inoltre, era riuscito ad imballare già alcuni pregiati ushabti di terracotta e calcare, statuine la cui funzione sarebbe dovuta essere quella di svolgere lavori di fatica al posto del defunto nell’aldilà, all’interno di una cassa, che richiuse personalmente e che contrassegnò con la sigla identificativa G.5.88.C.V.M., prima di consegnarla ad alcuni operai perché la trasportassero fuori dalla tomba sotto la sorveglianza di Fournier.

Ma anche al-Farooq si stava dando da fare, sebbene il suo maggiore interesse, in quel momento, fosse tutto proiettato verso le raffigurazioni parietali, contornate da numerose scritte in caratteri geroglifici; ad incuriosirlo, fu l’immagine di alcuni uomini intenti ad entrare nottetempo in una tomba, dopo averne oltrepassato la sorveglianza delle guardie, addormentate, per poi fuoriuscirne trasportando con sé, oltre a diversi tesori, anche un sarcofago. Intrigato da tale dipinto, iniziò a decifrare i geroglifici che vi si trovavano tutt’attorno.

 

Per completare lo svuotamento della camera e trasportare all’esterno i preziosi manufatti imballati nelle casse di legno ripiene di paglia, furono necessarie parecchie ore di lavoro molto intenso; era ormai l’imbrunire quando, esausti ma contenti del lavoro svolto, gli egittologi, insieme a Rachel, John ed Abdul, si radunarono attorno al sarcofago, ansiosi di rivelarne i segreti.

«Signori, nonostante tutti i nostri sforzi, ancora non conosciamo chi dorma il proprio sonno eterno qui dentro» annunciò il dottor Thompson.

«Io sono convinto che il nostro amico nativo, invece, se ne sia fatto un’idea» replicò Smith, accennando con la testa al professor al-Farooq, l’unico fuori dal gruppo, essendo ancora alle prese con la sua traduzione. «Da quando siamo qui dentro, non ha fatto altro che ronzare attorno a quei vecchi segni. Non ci è stato di alcun aiuto, oggi.»

«Il professore è un ottimo decifratore di geroglifici» rispose Summerlee. «Credo che il suo vero apporto alla scoperta riguarderà proprio le pitture e le scritte parietali.»

«Esattamente» confermò Thompson. «Ora… a meno che qualcuno di voi non si senta stanco ed intenda rimandare a domani questo lavoro, proporrei di darci da fare per scoperchiare questa pesante cassa.»

Il gruppo di persone si scambiò rapidi sguardi, poi Fournier disse: «Dottor Thompson, presumo di parlare a nome di tutti nell’ammettere che nessuno di noi riuscirebbe a chiudere occhio un solo istante, questa notte, pensando all’imminenza della scoperchiatura del sarcofago, domattina. Pertanto, credo che sia inutile rimandare al futuro un lavoro che, in ogni caso, ci priverebbe del riposo.»

«Ben detto» s’inserì John. «Tanto più che ho ancora alcuni scatti disponibili, sulla pellicola. Se aprissimo il sarcofago adesso, potrei sviluppare le negative questa notte stessa e mostrarvi le fotografie entro poche ore.»

Thompson batté le mani.

«Molto bene! Qualcuno dica ai nostri lavoranti di venire giù con qualche lungo palanchino ed alcuni cunei per bloccare il coperchio, dopodiché provvederemo a montare l’argano per sollevarlo» ordinò.

Nel giro di una manciata di minuti solamente, tutto fu pronto.

Thompson, con un palanchino, volle provvedere personalmente al lavoro; a dargli man forte, l’altra sbarra d’acciaio venne afferrata dal cognato.

«È sicuro di quanto s’accinge a fare, dottore?» protestò Summerlee. «Quello non è certo un peso leggero, da sollevare.»

«Effettivamente, nonno, potresti dover compiere uno sforzo non indifferente» lo rimproverò John.

«Sì, ineccepibilmente, dottor Thompson: sta correndo un rischio molto grave» cercò di dissuaderlo Libone.

Ma l’anziano egittologo, sollevata una mano, li zittì tutti quanti.

«Vi prego di non preoccuparvi per me, amici. Ai miei tempi, infatti, in compagnia di questo energumeno, ho sollevato pesi assai più gravosi del presente.»

«Peccato solo, vecchio, che quei tempi siano ormai piuttosto remoti!» ruggì Abdul.

Tuttavia, nessuno aggiunse altro e, dopo un poco, ad un segnale convenuto, i due uomini iniziarono a darsi da fare spingendo sopra le robuste sbarre d’acciaio per utilizzarle come leve.

In quel medesimo momento, sudando copiosamente, il professor al-Farooq terminò la lettura e la traduzione dei geroglifici, rimanendone spiazzato. Udì il rumore dei lavori alle proprie spalle e ciò lo fece riscuotere dai suoi pensieri; solo allora, difatti, volgendosi all’indietro, parve accorgersi di quanto stessero per compiere il dottor Thompson e suo cognato.

Al professore parve di essere in un sogno. Vide il coperchio cedere a poco a poco sotto lo sforzo congiunto delle due leve e, in un ultimo e disperato tentativo di fermare i due uomini, sollevò il braccio e gridò, a pieni polmoni: «No! Non aprite quel sarcofago!»

Troppo tardi.

Sospinto dai palanchini, il pesante coperchio di quarzo rosa si sollevò di qualche centimetro, staccandosi dalla bara sottostante, alla quale sembrava essere stato saldato. Il gruppo di egittologi ebbe appena il tempo di dirigere i propri sguardi verso al-Farooq, per cercare di capire come mai stesse gridando, che la terra, emettendo un terribile rimbombo, cominciò a tremare sotto i loro piedi e le pareti della tomba ad ondeggiare violentemente.

I poveretti persero tutti l’equilibrio ed il coperchio, appena sollevato, tornò subito ad abbassarsi, ma la stanza continuò ad ondeggiare, facendo piovere polvere e calcinacci contro i miseri uomini che, adesso, cercavano angosciosamente di reggersi in piedi.

«Fuori di qui! Subito!» gridò Smith, cercando di correre verso l’ingresso della tomba.

Alcuni mattoni, piovendo dall’alto, lo sfiorarono paurosamente, prima che riuscisse ad infilare il vano delle scale, subito seguito da Libone e da Fournier.

«Rachel, dammi la mano!» urlò John, tirando a sé la sorella che barcollava come un’ubriaca e cercando, al contempo, di reggersi in piedi.

Una delle colonne papiriformi, dopo aver ondeggiato per un po’, rischiò di rovinare loro addosso, ma lo zio Abdul, fattosi sotto con le braccia sollevate, riuscì con la propria forza prodigiosa a tenerla bloccata quel tanto che fosse bastato ai due giovani per mettersi in salvo.

Ad essere in maggiori difficoltà, però, erano sicuramente Summerlee, Thompson ed al-Farooq. Quest’ultimo, infatti, intrappolato contro la parete di fondo, sembrava impossibilitato a muoversi, dato che, per mettersi in salvo, avrebbe dovuto percorrere di corsa un lungo tratto della tomba, correndo il rischio di venire investito da una valanga di pietra. Il professor Summerlee, invece, a causa della sua mole, non pareva affatto in grado di poter attraversare indenne la sala, mentre Thompson, abbandonato improvvisamente dalla propria solita vitalità e già messo a dura prova dagli sforzi della giornata, appariva di colpo invecchiato di almeno dieci anni.

In loro aiuto, comunque, arrivò ancora una volta Abdul che, accertatosi che i due nipoti fossero corsi all’esterno e lasciata definitivamente crollare la colonna che, come un novello ercole, aveva sostenuto con estremo vigore, s’affrettò a muovere loro incontro. Afferrato il cognato per il colletto, lo sollevò di peso e lo lanciò come una palla verso la scalinata, dove Libone e Smith, tornati da basso con alcuni operai, si affannarono rapidamente per recuperarlo e portarlo di fuori. In una maniera o nell’altra, intanto, al-Farooq s’era riuscito a trascinare fino al sarcofago.

«Signori miei, la situazione si sta facendo assai critica» disse con calma Summerlee, quando tutti e tre si furono riuniti e la terra, se possibile, sembrò tremare ancora più forte.

«Ne usciremo tutti quanti!» muggì Abdul.

Senza troppi riguardi, abbrancò l’egittologo del Museo del Cairo per il bavero e, come già fatto con il cognato, lo saettò verso la scalinata, dove Fournier ed un operaio lo aiutarono a rialzarsi e ad uscire dalla tomba pericolante.

«Rimaniamo solamente noi due, adesso» constatò il curatore, senza perdere la propria flemma affabile, come se, anziché in un’antica tomba che minacciava di divenire il suo eterno sepolcro, si fosse trovato dinnanzi ad una scolaresca a spiegare un reperto del proprio museo. «Suppongo, signor mio, che non pretenderà di tenere anche verso di me il medesimo atteggiamento avuto con i miei eccellenti colleghi.»

«Per quanto riguarda lei, in effetti, pensavo ad altro!» borbottò l’arabo.

Con uno sforzo incredibile, agguantò il professore e, ignorandone completamente i moti di protesta, ne sollevò la mastodontica mole, dando subito avvio ad una folle corsa attraverso la camera rovinante. Come facessero entrambi a schivare pietre e calcinacci pioventi dall’alto, fu un vero e proprio mistero; ma, finalmente, anche loro si trovarono al riparo sulla scalinata, dove gli operai li aiutarono ad affrettarsi a risalire al sicuro.

Fuori, dinnanzi al maestoso tempio tinto dalla calda e rossa luce vespertina, sembrava che non fosse accaduto nulla. Solamente gli egittologi, ansanti ed impolverati, bianchi come fantasmi per la polvere ed il pallore dello spavento, proni a riprendere faticosamente fiato sulla calda e ruvida sabbia, erano la testimonianza dell’avvenimento. Era come se, per qualche causa misteriosa, lo spaventoso terremoto si fosse verificato solamente all’interno della tomba.

 

 
   
 
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