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Autore: A_Typing_Heart    23/12/2022    0 recensioni
Un allegro party aziendale con fiumi di alcol e una notte con il suo amante: questo è il piano di Alis e Beldain per la sera del 23 dicembre. Ma sembra che un piccolo imprevisto li obbligherà a cambiare i piani e forse il corso stesso della loro relazione.
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Beldain soffiò la sua irritazione dalle narici come un toro. Aveva quattro scaffali di libri e riviste in casa, ma niente che potesse andare bene per le orecchie o gli occhi di un bambino di sei anni. Scartato il piano lettura andò in cucina e passò in rassegna le credenze e il frigorifero: biscotti di frumento aperti da troppo tempo, vino, centrifugati pronti di mela e zenzero e un solitario pacco di farina suggerivano caldamente di ripiegare su qualcos’altro.

A livelli di disperazione già terribilmente alti, lanciò le mani tra i cuscini della poltrona e recuperò il telecomando. La televisione si accese con un singhiozzo e si ricordò come mai era nella sua lista dei prossimi acquisti: la preoccupante epidemia di pixel morti di un verde accecante.

La spense con un senso di sconfitta che non sarebbe stato peggiore se fosse stato al comando di un battaglione sgominato dai nemici. Sedette per terra davanti alla poltrona fissando il riflesso opaco sullo schermo spento, passò la mano tra i capelli di cui era così orgoglioso e sorrise con scherno a se stesso.

«Tutto qui? Tutto qui quello che riesci a fare?»

Aver saputo di dover tenere Angelus per le feste di Natale solo all’ultimo momento non era un’attenuante per la sua coscienza. La lettera di suo figlio a Babbo Natale l’aveva trapassato al cuore con un dolore che non ricordava di aver mai sentito, se non il giorno in cui Rose l’aveva messo in macchina e se l’era portato a duemila chilometri di distanza.

«Papà?»

Beldain girò la testa e tirò appena gli angoli della bocca quando Angelus si avvicinò a lui.

«Cosa fai seduto qui?»

«Pensavo.»

Angelus stropicciò la coda del suo peluche.

«Non fai neanche l’albero di Natale a casa?»

Il bambino lanciò uno sguardo ai pacchi regalo, ammonticchiati in un angolo spoglio. Beldain scrollò le spalle.

«Di solito ci sono solo io… non ne vale la pena…»

La delusione di suo figlio aveva raggiunto una fase che lo spaventò di più: una silenziosa rassegnazione. Non si aspettava più nulla di quello che aveva a casa dei nonni o della mamma, non da lui. Scrollando le spalle se ne tornò nella stanzetta senza dire una parola.

Passò la mano sugli occhi, per la prima volta svuotato di spirito d’iniziativa e di capacità di problem solving. Aveva sistemato situazioni critiche – per non dire impossibili – per Oxalis, senza esitare e senza perdersi d’animo, ma non gli riusciva di farlo con Angelus. Se solo Alis non fosse rimasto fuori tutta la sera per quel party aziendale…

Alzò la testa di scatto, folgorato da un’idea. Si fissò intensamente nel riflesso sul televisore mentre si pizzicava piano il labbro. Era un’idea azzardata, potenzialmente rischiosa… ma per la prima volta mise con coscienza la sua fiducia in una relazione.

«Angie! Ehi, Angie!»

Per poco non ribaltò la poltrona nella foga di rimettersi in piedi e Angelus, fermo sulla porta, lo fissò ammutolito.

«Angelus, senti, ti va se andiamo in un altro posto per questo Natale?»

«Tipo… una vacanza?»

«In un certo senso… senti un po’» insistette, e si accovacciò davanti a lui. «Ti andrebbe un posto con l’albero, le decorazioni, la tv grande il doppio della mia e un film di Natale?»

Si assomigliavano moltissimo, anche nel modo in cui cercavano di nascondere l’entusiasmo: Angelus strinse le labbra per non sorridere, ma gli occhi si erano accesi.

«Facciamo anche qualcosa di buono per cena, e i pop corn zuccherati. Che ne dici? Ti va?»

«Sì! Dov’è questo posto? È lontano?»

Beldain sorrise.

«Prendi il giubbotto, carichiamo i pacchi in macchina e andiamo!»

Angelus non indagò oltre: corse a prendere il giubbotto sulla sedia della cucina e si ficcò il berretto di lana a rovescio. Glielo sistemò e si caricò di nuovo i pacchi regalo tra le braccia. Prima di uscire arraffò le chiavi dell’auto, con un portachiavi a forma di cagnolino e una misteriosa chiave dalla gomma rossa.

 

***

 

«Ooh!»

Non erano neanche arrivati al vialetto che Angelus si era incollato al finestrino, abbagliato dalle vistose decorazioni di un intero quartiere in lotta per la gloria: c’erano Babbi Natale di ogni forma e dimensione, neon animati e luci che andavano dal bianco al blu ai classici rosso e verde, ghirlande, pupazzi di neve finta, slitte installate sui tetti e molte altre esagerazioni. Per Beldain erano sempre state sciocchezze, capricci quanto la posateria in argento o le molte tazze da tè di una vecchia signora, ma il suo bambino era felice come fosse a Disneyland.

«Papà, hai visto? Papà, guarda! C’è un trenino di Pandizenzero!»

«Sto guidando, Angelus» gli fece notare. «Non vuoi mica che investa una renna?»

Arrivarono a destinazione e Angelus corse su e giù ad ammirare la casa da fuori. Commentava le luci, gli adesivi sulle finestre, la ghirlanda sulla porta e le lanterne illuminate lungo il muretto dell’aiuola. Beldain fece due viaggi portando i pacchetti e dovette farne un terzo per riprendere Angelus, perso ad ammirare la renna luminosa nel giardino.

«Papà, è Rudolph!»

«Sì, è Rudolph… è la storia di Natale preferita da Alis. Su, vieni dentro, che c’è altro da vedere.»

«Evviva!»

Il bambino si scapicollò dentro e prese a girare, ridendo entusiasta di tutto quello che vedeva. Beldain dovette placcarlo col braccio e togliergli il giubbotto mentre si dimenava per continuare a correre per casa.

«È pieno di luci! C’è l’albero! C’è l’albero di Natale, papà!»

«Ti piace qui?»

«Sì! È bellissimo! Di chi è questa casa? È tua?»

«Lo sai che abito nell’altra casa… no, questa è di Alis. Lui adora il Natale, riempie tutto di gingilli…»

Lo sapeva eccome. Per la prima volta da quando era molto piccolo aveva allestito un albero di Natale e l’aveva fatto nel soggiorno di Alis. Forse era eccessivo prendersene il merito, visto che non aveva fatto altro che passargli palline, campanelle, bastoncini di zucchero e fiocchetti che lui sistemava con cura maniacale.

«È più bella della casa dei nonni! Davvero stiamo qui?»

Un’incertezza gli bloccò la voce. Data la natura della loro relazione non era del tutto certo che Alis sarebbe tornato a casa da solo dal party di Natale, ma questa volta decise di credere nella forza di quello che erano riusciti a creare.

«A lui non dispiacerà… allora, prepariamo qualcosa da mangiare?»

«Ti prego, non le lenticchie» lo supplicò il bambino.

Visto il tempo che passava a casa di Alis era certo di trovare abbondanti scorte per vegani oltre che per onnivori e golosi, categorie a cui apparteneva il suo presidente. Bastò aprire un paio di credenze per trovare caramelle, cioccolato, cereali, latte, pasta e preparati per ottenere più o meno tutto quello che un americano potesse desiderare di farsi per cena. All’apertura del frigorifero Angelus deglutì come se non mangiasse da settimane.

«Che ne dici se faccio il purè di patate? E le verdure dolci, a te piacciono quelle» osservò mentre spostava gli ingredienti per vedere meglio sui ripiani. «Poi… beh, scegli una cosa che ti va. Per oggi non mi lamento se vuoi mangiare le uova o la carne.»

«Davvero? Davvero davvero?»

Angelus saltellava sulla punta dei piedi: un’altra gioia e avrebbe spiccato il volo.

«In fondo, è una scelta che ho fatto io… se vorrai quando sarai più grande sceglierai la stessa cosa. Per adesso non insisto… allora, che vuoi per cena?»

«Queste! Posso mangiarle, papà?»

Istintivamente Beldain scosse la testa, ma prese il pacchetto di grasse salsicce senza un commento. Ci teneva che Angelus non mangiasse cibo malsano, ma per quei giorni di Natale preferiva vederlo felice che sapere di averlo rimpinzato di vitamine e minerali.

Spostò tutti gli ingredienti sullo spazioso ripiano della cucina e si mosse sicuro per trovare gli attrezzi necessari: conosceva bene la cucina, quasi quanto la camera da letto. Con il piede spinse fuori dall’angolo uno sgabello con le ruote e l’accostò al piano.

«Su, sali. Prepariamo la cena.»

«Anch’io?»

«Imparare a cucinare è molto importante per un uomo, sai? Non vorrai diventare grande e dover chiedere alla mamma di cucinarti qualcosa, o dover avere una fidanzata per non mangiare sempre al fast food!»

«La mamma non cucina sempre… a volte lo fa Jim» svelò Angelus, salendo sullo sgabello. «Lui torna a casa in tempo. La mamma però prepara sempre la colazione.»

Beldain abbozzò un sorriso. Da quel che ricordava Rose non era mai stata granché come casalinga, né una cuoca fantasiosa. Quanto a Jim l’aveva incontrato due o tre volte in occasioni così fugaci da poter raccontare di lui che aveva occhi chiari, vestiti scialbi e un atteggiamento cordiale.

«Di’ un po’… com’è Jim?»

Angelus aprì le braccia per lasciargli allacciare un grembiule troppo lungo per lui.

«È simpatico! Fa sempre scherzi e ridiamo tanto. Gli piacciono un sacco i cani e a Lola lui piace! Da un po’ mi sta insegnando a giocare a baseball.»

Mentre Beldain procedeva spedito con la preparazione della cena – e Angelus faceva qualche piccolo lavoro che gli dava l’impressione di aiutare – sentì dalla bocca del figlio che non aveva avuto un’impressione sbagliata di Jim: amante dei cani, ex giocatore di baseball e boyscout, ora organizzava gite in campeggio, allenava la squadra di softball e aveva un rispettabile impiego come manutentore del parco al liceo locale. Un classico bravo marito e bravo padre della classica famiglia americana, senza eccellenze né vistosi difetti.

Come uomo interessato soprattutto ad altri uomini Beldain avrebbe trovato terribilmente privo di interesse qualcuno come Jim, ma si sentì sereno all’idea che suo figlio venisse cresciuto da una figura come lui per la maggior parte del tempo. Avrebbe dato molto perché anche suo padre fosse stato il tipo di uomo che insegna a suo figlio a giocare a baseball o che cucina un piatto di stufato per la famiglia.

Le patate appena scolate fumavano nel lavabo e le salsicce sfrigolavano, controllate da Angelus che le pungolava con la paletta di legno continuamente. Beldain era così assorto che non si accorse del silenzio di suo figlio, né di come continuava a guardarlo.

«Papà… tu odi Jim?»

«Eh?» fece lui, distratto. «Odiare Jim? No, perché lo pensi?»

«Se lui non c’era potevi stare con la mamma…»

Si lasciò sfuggire un secco schiocco di labbra in disappunto.

«No, no. Jim non c’entra, sai, Angie? Io e la mamma… semplicemente abbiamo caratteri diversi. Troppo diversi. Litighiamo sempre su tutto, e lo facevamo anche quando tu non c’eri ancora. Anzi, è molto bello che ci sia Jim. Sono contento che faccia delle cose con te. Non voglio che resti solo com’è successo a me.»

«Il tuo papà non c’era?»

Schiacciare le patate era molto liberatorio. Riusciva almeno a parlare di lui senza ringhiare.

«Il mio papà viveva con me, ma non facevamo mai niente insieme. A lui non piaceva fare il papà. Ci sono anche delle persone così.»

Non voleva parlarne oltre. Non voleva che si facesse una cattiva idea dell’altro nonno, anche se per Beldain era stato il peggior genitore che si potesse diventare senza essere violenti, e non voleva che il suo pensiero inquinasse quel bel momento con Angelus. In verità il primo momento piacevole da due anni.

«Bene bene! Ora ti faccio vedere come si fa un purè delizioso. Senza le buste pronte, hai visto? Guarda bene, è una ricetta dell’altra nonna. Della mia mamma.»

Era pronto per un momento di gloria, ma la busta del formaggio – rigorosamente di origine vegetale – non ne voleva sapere di aprirsi. Grugnì anziché imprecare e cercò nei cassetti le forbici, senza riuscire a trovarle.

«Ma dove ha messo le forbici Alis? Porca miseria.»

Ripiegò su un coltello per tagliare la busta reticente.

«Papà?»

«Ho fatto, ho fatto. Allora, serve del burro, del formaggio e un po’ di noce moscata. È una spezia, sentirai com’è buono così! I vicini adoravano il purè della nonna così tanto che le chiedevano di prepararlo per le cene della parrocchia.»

Angelus diede solo un’occhiata distratta alla bottiglietta.

«Papà, Alis è il tuo Jim?»

All’improvviso ottenere un purè vellutato o sorvegliare le verdure non era più così importante per Beldain. Guardò gli occhi curiosi di suo figlio e poi vagò con lo sguardo per gli spazi della casa: rivide con la memoria le volte in cui avevano cucinato insieme proprio lì e la volta in cui avevano mangiato cereali glassati dopo una triste giornata al lavoro, il corridoio dove Alis – che non portava mai il cappello – a volte si divertiva a lanciare il suo sull’appendiabiti, e il divano scenario di innumerevoli momenti.

Spesso Alis si sedeva sul lato di destra e lo lasciava sdraiarsi con la testa sul suo grembo, e guardavano la televisione o parlavano di sciocchezze per ore. Una volta, proprio sistemati in quel modo, avevano parlato di com’era essere orfani… e Beldain gli aveva detto, in uno slancio di affettuosità senza precedenti, che preferiva considerare Alis la sua famiglia.

«In un certo senso» replicò lui, incerto.

In fondo, non aveva avuto il coraggio di parlargli di Angelus. Aveva ben poco a che fare con la retribuzione: in realtà aveva paura che sapendolo padre il loro legame perdesse la leggerezza che l’aveva sempre caratterizzato. Una relazione divertente, priva di impegni e di catene, uno stare insieme con slancio e tenerezza, ma senza vincoli…

Beldain guardò l’orologio. Il party era già iniziato da un po’, Alis doveva aver già fatto il suo giro per salutare tutti i dipendenti presenti dei quali ricordava facce, nomi e numero di figli. Probabilmente c’era musica alta e un fiume di alcol, che dubitava avrebbe evitato solo per potergli andare in soccorso. Ebbe un impulso egoistico, innaturale di chiamarlo. Lo trattenne gettandosi nella preparazione del purè.

Se l’avesse richiamato a casa strappandolo da una delle occasioni che aspettava per tutto l’anno soltanto per le sue incertezze con Angelus, avrebbe reso reale la sua paura. Avrebbe reso la sua paternità un problema.

 

***

 

I piatti vuoti erano ancora in cucina, una ciotola con i pop corn avanzati era abbandonata sul tavolino. Il grande schermo LCD di Alis era praticamente un cinema in confronto a quella scatoletta a casa di Beldain e Angelus era felicissimo di guardare Il Grinch attorniato da comodità e dolciumi, aggrappato al suo papà come un piccolo opossum. Quanto a Beldain, non ricordava un momento così intimo con Angelus da quando lo cullava per ore nelle notti in cui, neonato, soffriva di coliche.

Il rumore di un’auto potente si spense davanti alla casa e fece tendere le orecchie di Beldain. Lo sportello chiuso, passi sui gradini, tintinnio di chiavi. Beldain si districò da Angelus.

«Arrivo subito, Angie. Resta qui.»

Andò all’ingresso senza accendere alcuna luce, perché le molte decorazioni natalizie lampeggianti erano sufficienti per qualcuno che aveva familiarità con la posizione dei mobili di casa. Al di là della porta Alis fece più tentativi di infilare la chiave nella toppa.

Ha bevuto.

La porta alla fine si aprì. Nella luce dei lampioni esterni Beldain si accorse che nevicava. Alis accese la luce dell’ingresso ed ebbe un sussulto nel vederlo lì in piedi, ma gli sorrise. Il suo sguardo non sembrava affatto annebbiato; era accartocciato nella posa e spolverato di fiocchetti bianchi ma non aveva l’odore né la cera di uno che avesse dato fondo alla bottiglia.

«Bel, che sorpresa! Non pensavo di trovarti qui!»

Non si sentiva in colpa per aver pensato che Alis avrebbe bevuto molto, ma perché si era sentito deluso che non si fosse preoccupato della sua situazione con il figlio. Per cancellare quel biasimo di se stesso l’aiutò a sfilarsi la giacca.

«Come mai sei a casa così presto?»

«Sai, dopo una certa ora è divertente perché si è tutti alticci, ma è un po’ preoccupante essere l’unico sobrio. Sono rimasto a consegnare le gratifiche e poi ho pensato di tornare…»

Alis sorrideva con una tenerezza che aveva visto rare volte.

«Volevo cambiarmi e vedere se avevi bisogno di aiuto… Dov’è Angelus?»

«È di là… io… mi spiace se l’ho portato qui senza chiedertelo, Alis.»

«Ma di che parli? Ti ho dato le chiavi perché è anche casa tua, quando vuoi. Te l’ho detto cento volte» abbozzò lui, e sbirciò in cucina e in soggiorno. «Ah, eccoti, Angelus!»

«Ciao!»

«Oh, film di Natale, divano e pop corn? Questa è una festa che mi piace, posso partecipare?»

«Certo che puoi, è casa tua» commentò Beldain. «Faccio degli altri pop corn, questi sono freddi.»

«Ma vanno bene, non ti preoccupare!»

Alis si era già affondato nel divano e aveva arraffato la sua coperta preferita – blu con un raccapricciante effetto peloso – mentre si sfilava le scarpe. Beldain prese la ciotola.

«Siediti qui con noi, lascia stare!»

«Angelus, di’ ad Alis come si mangiano i pop corn zuccherati.»

«Caldi!»

«Sentito? Faccio in un attimo.»

Si spostò in cucina – avevano lasciato una baraonda di confezioni vuote, briciole e utensili usati – e cercò un altro pacco di mais quando sentì spegnersi l’audio del film.

«Aspettiamo papà!»

«Okay» concordò Alis. «Allora? Com’è andata fino adesso?»

«I miei amici dicono che Babbo Natale non li accontenta mai, e che bisogna chiedergli le cose tanto tempo prima… ma non è proprio vero! È un lampo!»

Beldain aprì il pacchetto facendo meno rumore possibile.

«Lo hai visto felice?»

«Sì! Gli piace questa casa» fece Angelus allegro. «È diventato subito più contento!»

«Angelus… sai, penso che un po’ ti sbagli.»

«Ah, sì?»

«Non è la casa… sei tu. Sei tu che lo rendi più felice. Poterti dare quello che ti piace… farti guardare il film, cucinare qualcosa, stare con te in un posto dove non ti senti triste… è per questo che papà è felice.»

Non sentì risposte da Angelus, ma forse fu colpa dei pop corn che scoppiettavano contro il coperchio della pentola. Accorgersi di aver dimenticato lo zucchero scatenò un minuto di delirio in cui combatté con chicchi di mais sparati come lapilli per aggiungerlo a metà preparazione.

«Uff» sbuffò quando rimise il coperchio.

Si bloccò quando vide Alis che lo guardava dalla porta, una risata silenziosa già in volto.

«Tu… non raccontarlo a nessuno.»

«Non ci contare!»

Le sue sibilanti minacce vennero del tutto ignorate con uno scoppio di risa allegre mentre Alis spegneva il fornello e rovesciava i pop corn caramellati – un po’ a macchia di leopardo – nella ciotola.

«Per stasera dormite nel mio letto, va bene?»

«Cosa? E tu dove te ne vai?»

«Starò sul divano… non fare quella faccia» l’anticipò lui. «Lo sai che mi piace quel divano. Quante volte mi hai trovato addormentato lì?»

Beldain istintivamente aprì bocca per ribattere, ma poi capì che era la migliore soluzione. Il divano sarebbe stato troppo piccolo per lui e Angelus, ed era impensabile mettersi a letto con il suo partner e lasciare Angelus in soggiorno.

Alis fu soddisfatto della sua arrendevolezza, questa volta.

«Domani mattina la cameriera viene a ripassare le stanze… le chiederò di mettere le lenzuola nella seconda camera.»

Con un boccone di pop corn caramellati si tagliò fuori da una discussione e tornò da Angelus, chiedendo di far largo alla “pentola della cuccagna”. Beldain provava ancora sentimenti contrastanti, diviso tra l’orgoglio ferito e il sollievo di essere aiutato da qualcuno.

Il commento di Alis era un sottinteso invito a restare entrambi a casa sua per la vigilia di Natale. Pregustare l’allegria di Angelus in quei giorni in cui avrebbe potuto giocare, divertirsi e mangiare senza il desiderio di ritornare dai nonni fece sentire Beldain fiero di essere un papà, come non si sentiva da molto tempo.

 

***

 

Se Beldain si rallegrava che il figlio gli assomigliasse era in un campo preciso: come lui, amava i libri. Non che sapesse leggerli da solo, puntualizzò con se stesso, ma era sicuro che appena finito il primo anno di elementari avrebbe iniziato a divorarli.

Lo guardò rimbalzare da uno scaffale all’altro, tirare fuori volumi per guardarne le copertine e leggere i titoli aggrottando le sopracciglia e scandendo le sillabe con le labbra. Se Angelus era più entusiasta per il reparto bambini e ragazzi della libreria che della corsia dei giocattoli era senza dubbio merito suo: Jim era un tipo sportivo e avventuroso che preferiva farlo giocare all’aria aperta e Rose era troppo occupata tra cosmetici e trattamenti di bellezza per impiegare il suo tempo libero nella lettura. Per sua stessa ammissione non aveva più aperto un libro da quando aveva finito il liceo.

Angelus andò da lui e gli consegnò il vincitore della lotteria di Natale di casa Withers. Era un volumetto dal dorso bianco con illustrazioni buffe, un libro consigliato fino ai sei anni.

«Voglio prendere questo!»

«Ma è molto corto… vedi com’è scritto grande? Lo finiremo subito.»

«Allora ne prendo un altro» tagliò corto lui. «Questo lo voglio! Mi fa ridere il titolo!»

Tornò a setacciare lo scaffale mentre Beldain scuoteva la testa divertito. Il libriccino si intitolava Il fantasma nel tinello. Si girò per commentarlo con Alis, ma non lo vide. Non riuscì a trovarlo in nessun reparto della libreria e scrollò le spalle.

Se si annoiava ad aspettarci poteva dirmelo che ci saremmo rivisti fuori...

Angelus fu di ritorno dopo poco, con due libri tra i quali non riusciva a scegliere. Beldain ne lesse il riassunto per praticità del suo bimbo, e allora lui optò per La collina delle volpi bianche.

«Ottima idea, penso che sia più bello dell’altro!»

Beldain si voltò verso Alis mentre tirava fuori il portafogli.

«Ah, eccoti. Dov’eri sparito?»

Lui gli si appoggiò alle spalle in modo a dir poco innaturale e lo sospinse verso la cassa. Dopo essersi assicurato che Angelus fosse distratto dai coloratissimi gadget in un espositore vicino gli accostò le labbra all’orecchio.

«Ho fatto qualche pensierino per la sera di Natale. Spero non ti dispiaccia se ho pensato un po’ anche a noi due.»

Ben lontano dal dispiacersi Bel tese un sorrisetto.

«Che cosa ti passa per quella testolina perversa, Alis? Abbiamo il bambino in casa.»

«Oh, non te ne preoccupare. Non farei niente che potrebbe turbarlo.»

L’aveva stuzzicato in un lato che negli ultimi giorni, con l’arrivo imminente e inatteso di Angelus, aveva messo a dormire. Non credeva che sarebbe mai stato possibile vivere entrambi i suoi ruoli nello stesso momento.

«Scusi, signore» lo riscosse il commesso. «Devo conteggiarlo, questo? L’ha preso il bambino.»

Si trattava di un segnalibro colorato, infilato nella copertina non tanto nel tentativo di rubarlo quanto di farlo pagare al padre senza che se ne accorgesse.

Angelus dondolò sui piedi da un lato all’altro, ricambiando la sua occhiata con un sorriso smagliante. Alis emise un risolino.

«È proprio uguale a te, santo cielo.»

«Perché l’hai preso, Angelus?»

«Per tenere la pagina, no?»

«Si può usare di tutto per tenere la pagina… persino lo scontrino.»

«Mi piace molto, papà.»

«Non sai neanche cosa c’è scritto, è in francese.»

«C’è una volpe!»

Beldain non aveva alcuna intenzione di fare le pulci per un segnalibro, quindi acconsentì ad aggiungerlo ai due volumi. In una prossima occasione glielo avrebbe letto, Il piccolo principe.

 

***

 

Angelus sgusciò tra due ragazze in precario equilibrio, ma se Beldain l’avesse seguito le avrebbe buttate a terra. Disegnò una curva ampia – con gran facilità – per passare alla loro sinistra e riacciuffò suo figlio per il cappuccio. Lui rise forte e gli si aggrappò al braccio.

«Sei veloce, giovanotto.»

«Me lo ricordo quando mi hai insegnato a pattinare» disse Angelus, con un sorriso da un orecchio all’altro. «Sullo stagno ghiacciato a casa! Mi tenevi le braccia per non farmi cadere, ma sei caduto anche tu.»

«Mi fa ancora male il sedere in quel punto, se mi siedo in un certo modo.»

«La mamma diceva di tornare e tu le dicevi sempre ‘altri cinque minuti’.»

Ricordava bene quell’inverno. Teneva Angelus con lui sul ghiaccio per poter passare un po’ di tempo senza essere monitorato da Rose e dai suoi genitori come un pedofilo. L’aver scoperto che aveva frequentato un uomo prima di lei l’aveva reso colpevole delle più orrende perversioni immaginabili, ai suoi occhi.

«Però non pattinavi così bene quando ti ho lasciato.»

«Ho detto a Jim di insegnarmi! Sono contento che sono riuscito a farti vedere quanto sono diventato bravo!»

Detto ciò lasciò il braccio e fece una piroetta. Alcune persone vicino a loro lo guardarono con meraviglia e lanciarono occhiate lusinghiere a Beldain, che fece loro un cenno con la testa.

«Ora sei più bravo di me. Non so che cos’altro posso insegnarti.»

«Tu che cosa hai fatto a scuola? Jim giocava a baseball, e tu?»

«Ah… no, io… per qualche anno ho giocato a pallavolo. Senza particolare ambizione, tanto per…»

Suo padre sedeva indifferente in poltrona, davanti alla televisione. Sua madre gridava per cercare una sua reazione su qualche problema, ottenendo solo lacrime e un feroce mal di testa. Ogni scusa era valida per restare fuori casa fino a sera e sottrarsi alla maggior parte di queste scene infelici.

«Tanto per fare un po’ di sport» concluse in un mormorio.

«Pallavolo! Insegnami a giocare a pallavolo!»

La scena del suo passato scomparve dalla sua mente, ma non le sensazioni che l’accompagnavano. In parte, almeno.

«Ti va davvero?»

«Forse mi piace di più del baseball!»

Beldain tese un angolo della bocca. A lui questo suonava come se il figlio cercasse altre somiglianze, altri punti di contatto con suo padre anziché con Jim. Non aveva mai sentito prima tanta vicinanza con lui.

«Ti insegnerò… ma quando sarà caldo. Adesso si gelano le dita e ci si fa male.»

L’incertezza raffreddò il sorriso del piccolo, che gli cercò la mano per stringerla tra i suoi guanti di lana.

«Promesso?»

«Certo… comprerò il pallone prima delle vacanze di primavera e chiederemo alla mamma di farti venire da me. Ti va?»

Angelus annuì più convinto. Uno dei molti elfi lungo il bordo della pista scampanellò, annunciando la fine del tempo per i numeri dieci, dodici, ventotto. Loro avevano il numero dieci attaccato ai pattini a nolo.

«Tempo scaduto, Angie… andiamo a prendere qualcosa di caldo, non mi sento più il naso.»

Si accodarono ai ragazzi col numero ventotto per lasciare la pista e si inginocchiò per sfilare i pattini ad Angelus. Il bambino si guardava intorno mentre gli massaggiava i piedi.

«Ma dov’è Alis?»

«Bella domanda. Non fa che scomparire» commentò lui, rimettendogli le scarpe. «Non so proprio cosa abbia in testa.»

Beldain aveva l’idea di chiamarlo per sapere dove fosse finito, ma appena il tempo di lasciare la pista e lui riapparve, con una sporta di carta e dei bicchieri da asporto fumanti.

«Ma dove sparisci di continuo?»

«Sono andato a prendere caffè per me, cioccolato per Angelus e tè alle spezie per te» fece lui, distribuendo i bicchieri. «E a prendere qualcosa di divertente!»

«Ancora?» fece Beldain, incapace di trattenersi.

Ma il genere di divertimento a cui alludeva stavolta era decisamente a misura di bambino: strappò un gridolino gioioso ad Angelus mettendogli sulla testa un buffo berretto di lana con orecchie e muso di volpe, e soddisfò il proprio bambino interiore indossandone uno col muso di un Akita inu. Con suo scorno Alis ne aveva anche per il terzo di loro.

«Dai, è Natale! Non vedi che un sacco di gente ha addosso la roba più pacchiana del mondo senza vergognarsene? A te, poi, sta bene tutto!»

Oliandolo in quel mondo lo convinse a mettere il berretto sui suoi curati capelli, un copricapo bianco da pupazzo di neve. Con il naso a carota sporgente sembrava un unicorno e Angelus, ridendo a crepapelle, non si fece problemi a dirglielo.

 

***

 

Dopo quello e un altro veloce giro, Alis insistette che tornassero a casa in tempo per preparare la cena con comodo. Come nulla fosse parlò di tacchino, di zuppa di pane e legumi, di piselli al burro e altre alternative di contorni mentre scaricavano i loro acquisti e rientravano in casa. Nonostante l’emozione del momento continuò a parlare di pandizenzero e meringhe, fingendo di non accorgersi che Beldain e Angelus erano fermi nell’ingresso, sbalorditi dai cambiamenti del soggiorno.

«Alis… cos’è?»

Una teca del soggiorno che conteneva la collezione di minerali di Alis era stata spostata per far spazio a una tenda verde scuro, simile a quelle indiane, adorna di lucine che lampeggiavano. L’aveva riempita di coperte e cuscini per renderla un giaciglio comodo e veniva sorvegliata da un enorme peluche di orso, grande quanto Angelus.

Il bambino si lanciò all’esplorazione subito, mentre Beldain guardò Alis senza riuscire a spiccicare una parola. Era riuscito a stupirlo persino di più della volta in cui si era fatto trovare chiuso nella gabbia per cani al piano di sopra.

«Non è il posto perfetto per leggere? Grande abbastanza per voi e un piatto di biscotti… almeno finché Angelus non crescerà. Ma potrà ancora usarla per leggere da solo, o starci sdraiato con il suo cane mentre tu leggi dal divano.»

«Ma quando… hai…?»

Ma prima di finire la domanda sorrise come chi aveva capito.

«Quando sei sparito alla pista di pattinaggio.»

«In realtà ho comprato tutto mentre eravate in libreria. Ho ordinato che mi consegnassero a casa e che mi chiamassero quando erano lì. Martha gli ha aperto con la copia della chiave e ho controllato che sistemassero tutto così com’è.»

«Io… sarò sincero, Alis, penso che ti stai spingendo troppo oltre. Non so che cosa ti aspetti in cambio, e…»

«Bel, di cosa parli? Voglio che sei felice con tuo figlio per tutto il tempo in cui starà qui. Vi voglio felici tutti e due. Io adoro queste storie di Natale, di famiglia, e tutto il resto. Lo sai!»

Posò la mano sulla spalla di Beldain e lui, sospirando, posò la sua sopra.

«Lo sai che non posso ricambiare con niente di… concreto?»

«Siete qui con me per Natale… un Natale che se no avrei passato da solo. Mi ritengo ripagato pienamente… soprattutto se adesso sorridi e mi dici ‘grazie, Alis, sei il migliore’.»

Beldain ridacchiò.

«Grazie, Alis. Sei il migliore.»

«Ora sono ripagato» sentenziò lui, e gli schioccò un bacio sul collo. «Che ne dite se inizio a cucinare mentre leggete qualcosa? Però ad alta voce che voglio sentire anch’io del fantasma nel tinello.»

Angelus si precipitò a prendere il libro e solo dopo pensò di togliersi il giubbotto, ma non il berretto. Mentre si installava nella tenda Beldain prese Alis per il colletto e gli rubò un bacio breve.

«A volte penso che ti adoro, signor Delmar.»

«Io penso quasi sempre che ti adoro, signor Withers.»

Alis lanciò un’occhiata ad Angelus solo per notare che li aveva visti bene. Tuttavia sorrideva in modo così spontaneo che non poteva pensare che trovasse qualche ragione per non volere suo padre insieme al fedele assistente di Babbo Natale.

 

***

 

Beldain posò Il fantasma nel tinello sul divano e si alzò senza far rumore. Prese il piattino degli omini di pandizenzero di Alis e mise il superstite nel piatto di Babbo Natale, lasciato davanti al caminetto elettrico. Angelus continuò a dormire, infilato a metà nella tenda, senza alzare un sopracciglio.

Era stata la più bella vigilia di Natale della sua vita, eppure non riusciva a non sentirsi il cuore pesante. Non riuscì a fingere un sorriso convincente neanche ad Alis, che smise di riordinare la cucina.

«Bel… che c’è? Come mai quella faccia?»

«Sono stanco…»

«No che non lo sei.»

«Porto a letto Angelus e ti aiuto con i piatti» replicò atono Beldain.

Alis lo trattenne stringendogli l’avambraccio, ma la sua presa divenne quasi subito una carezza.

«Che cosa c’è che non va, Bel?»

Vedere Angelus dormire nella tenda illuminata, stanco dopo una giornata fitta e tante belle esperienze, gli dava gioia e dolore mescolati. Si mordicchiò il labbro e quando prese una decisione strinse il pugno.

«È stata la più splendida giornata mai passata con lui. Vorrei che ne avessimo tante, tante altre.»

«E sarà di certo così» l’incoraggiò Alis.

Beldain però scosse la testa.

«Faccio… orari di lavoro troppo lunghi e la mia casa… hai visto com’è. Gli assistenti sociali me lo fanno tenere soltanto in caso di emergenza, quando sua madre e i nonni non possono. Ho diritto di vederlo, ma non di tenerlo a casa con me per le vacanze.»

«Perché lo lasceresti da solo in un ambiente non idoneo?»

Alis conosceva gli assistenti sociali anche troppo bene per non citarne quasi alla lettera le sentenze standard. Beldain chiuse gli occhi come se quelle parole l’avessero bruciato.

«Questo potrebbe non accadere più, Bel. Se solo tu lo desideri.»

«Come potrei? Alis, sai che io sono… un assistente. Non posso prendere la paga di un dirigente o di un ricercatore.»

«No… ma io ti ho dato le chiavi di questa casa. Perché tu la usassi come se fosse tua» insistette con tenerezza. «Pensi che, se vivessi qui, ti darebbero il permesso di tenerlo per le vacanze? Lo trovo un ambiente decisamente idoneo.»

Beldain lanciò uno sguardo pieno di speranza al berretto che nascondeva la testa di suo figlio, mentre il suo orgoglio ruggiva come una pantera ferita.

«Alis… se tu… se tu lo facessi, il nostro rapporto non sarebbe più quello di prima.»

«Cioè?»

«Vivendo nella tua casa, anche tu sarai parte dell’equazione. Anche il tuo modo di vivere influenzerà me e Angelus… e il nostro limiterà il tuo. Tra di noi non potrà più esserci quella libertà e quella leggerezza che abbiamo tanto cercato.»

«La leggerezza non sta nell’andare e venire da casa, Beldain. Evitare le scenate, non farci prendere dalla gelosia, lasciarci gli spazi necessari per essere individui prima che una coppia: erano questi i termini della nostra relazione, non è così? Siamo uomini intelligenti e credo che possiamo persino vivere insieme senza trasformarci nottetempo in una coppia di vecchi scorbutici sposati da quarant’anni.»

Turbato dalle sue parole quanto dalla reazione che gli suscitavano, Beldain si girò per guardarlo.

«Lo faresti veramente? Per me?»

«Per te, sì. Ma anche per Angelus, che è felice che tu abbia un posto migliore. E per me. Tu sei la famiglia che mi sono scelto, e se ti sta bene voglio scegliere anche Angelus. Fa lo stesso se non mi chiama papà, va benissimo zio. O fratellone

«Ma se sei più vecchio di me» commentò Bel, incapace di trattenersi.

«Non essere impertinente, giovanotto» ironizzò l’altro, sorridendo. «Andiamo… che hai da perdere? In pratica tu ci vivi davvero qui, c’è un armadio tuo di sopra, la tua roba nel bagno e hai una copia delle chiavi. So che ti spaventa la parola, ma si tratta solo di ufficializzare.»

Ebbe un fiacco sussulto, l’eco di un brivido a quella parola.

«Al di là di quello che diremo agli assistenti sociali, non vuol dire che dobbiamo smettere di uscire o di giocare e diventare vecchi e noiosi di colpo. Da parte mia, sarà tutto come è adesso, a parte quando il tuo piccolo imprevisto sarà qui da te.»

Il tremendo sollievo di sentirglielo dire con tanta semplicità sciolse le sue ultime paure e mise d’accordo il cuore con l’orgoglio. Lo strinse in un abbraccio lungo abbastanza da far depositare il polverone delle sue emozioni e riprendere il controllo e l’attitudine di sempre.

«Immagino che dobbiamo far sparire la gabbia per cani…»

«Andiamo a prendere un cane al canile. Andiamoci con Angelus prima che torni da sua madre.»

«Mh… casa, bambini, cane… manca la staccionata bianca.»

«A primavera la mettiamo.»

Beldain rise, ancora stretto a lui.

«Ti prego, non lo sopporterei.»

«Hai ragione… non si abbina alla casa, è troppo moderna. Pensavo a una cancellata di ferro battuto. Qualcosa di basso, sul semplice. Non voglio che sembri un cimitero gotico. O magari un muretto dipinto.»

Alis lo lasciò andare e riempì la lavastoviglie, continuando a parlare di migliorie come la vasca da bagno nei servizi più piccoli al piano di sopra – molto adatti a un bambino, riteneva – e le pareti ridipinte nella camera da letto degli ospiti. Ipotizzò addirittura di avviare quella ristrutturazione nella mansarda che aveva in mente da due anni.

«Alis… e per il club?»

Alis impostò il lavaggio prima di voltarsi. Aveva un’espressione molto seria.

«In realtà, io ho smesso di andarci da qualche mese» gli rivelò a sorpresa. «Ma non devi sentirti obbligato a chiudere. Stiamo insieme come abbiamo fatto tutto questo tempo… e chiuderai se e quando sentirai che non ha più niente da darti. Com’è successo a me. Prometto di non fare scenate quando ci vai.»

Sopraffatto dall’emozione, sul momento non replicò. Alis non sembrava aver bisogno di una risposta, perché si mise a coprire con cura il piatto degli avanzi con la pellicola. Beldain lanciò uno sguardo fuori dalla cucina, verso Angelus: dormiva ancora, ma si era girato sul fianco e aveva perso il berretto.

A sorpresa, sentì le braccia di Alis strizzarlo e un bacio giocoso dietro il suo collo.

«Buon Natale, Bel!»

Dopo aver girato la testa da un lato all’altro, confuso, si accorse che la lancetta aveva passato il dodici da qualche minuto. Era ormai il 25 dicembre, e la miglior mezzanotte di Natale che ricordasse.

«Metti a letto il bambino… voglio proprio darti il tuo regalo» gli sussurrò all’orecchio Alis. «Muoio dalla voglia… prometto che non resterai deluso…»

Era confuso, ma in modo piacevole. Due lati belli della sua vita complicata si stavano mescolando e contro ogni aspettativa sembravano anche combinarsi bene. Non trovò di meglio che fare un sorrisetto ad Alis prima di andare in salotto.

Angelus dormiva come un sasso. Lanciò il berretto di lana sul bracciolo del divano e spense le lucine della tenda mentre si immaginava una vita, da mattina a sera, accanto al suo partner e principale. Non vedeva molte differenze con la situazione fino al giorno precedente, eppure la guardava con entusiasmo e inquietudine, come un’avventura nuova.

Non si era sbagliato: la sua paternità aveva davvero ucciso la leggerezza della loro storia. Ma mentre prendeva in braccio Angelus, che sorrideva nel sonno, si accorse che nessuno dei due l’avrebbe rimpianta.

 

   
 
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