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Autore: RLandH    26/12/2022    0 recensioni
[ POST- ROW; FUTURE!FIC; OCs]
Favole del Mare Vero.
Nel quarantesimo anniversario dalla Dissoluzione della Faglia, Matthias Grimjer viaggia con sua madre, la Buona Regina Mila, a Ravka, forse in cerca di una moglie, forse in cerca di un'identità.
Nel ventottesimo anno dalla Dissoluzione della Faglia, Shu Han si preparava ad avere la sua regina, dopo una lunga guerra sociale, ma i figli del Drago di Ravka hanno i loro piani.
Nel ventiduesimo anno dalla Dissoluzione della Faglia, un gruppo di ragazzini grisha si ritrova costretto ad un viaggio desolante e mortale.
E gli equilibri si spostano ogni volta.
Dal 3 capitolo:
“Quando mi darete la parem?” aveva chiesto la materialki, appena aveva sentito il suono dell’interfono. Parlava nella lingua shu, il suo accento ravkiano era molto più morbido di quello di Elen, segno della sua origine meridionale, forse confinante con Shu da qualche parte. “Vuoi la parem?” aveva chiesto confuso Lu.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Genya Safin, Inej Ghafa, Nina Zenik, Nuovo personaggio
Note: Kidfic, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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SKAZKI O ISTINNOYE MORE

SHIOBAN
(16 anni dalla Dissoluzione della Faglia)

 

Quando aveva toccato con i piedi la terra, Shioban si era chinata ed aveva rimesso il suo pranzo dritto sul terreno, evitando di poco i suoi stivaletti di cuoio. Non era la sua prima volata in cielo, anzi ne aveva accumulate un po’ sulle spalle, ma il suo stomaco – e la sua testa – sembravano non abituarsi mai.
“Oh” aveva esclamato una donna alle sue spalle. Shioban si era tirata su, era stata la prima a scendere dall’imbarcazione. Aveva vomitato due volte mentre erano in viaggio, abbracciata alla balaustra ed aveva deciso, appena atterrati, di non voler mai più tenere un piede sulla nave, per almeno il resto del pomeriggio.

“Mi pare di comprendere che non gestisci bene i viaggi” aveva commentato la donna che l’aveva raggiunta, mettendole una mano cordiale su una spalla. “Se gli uomini fossero fatti per volare, avremmo le ali” aveva borbottato Shioban. “Sciocchezze, gli uomini fanno tantissime cose per cui non sono costruiti” aveva risposto l’altra, con un tono non curante. Con l’unico fiammeggiante occhio d’ambra aveva rivolto lo sguardo allo splendido veliero volante da cui erano appena scesi.

L’Alcione.


Nonostante il nome dell’uccello, ciò che sventolava sulle vele dell’albero maestro era lo stendardo della famiglia reale di Ravka Drago Incorano della Regina, a quattrozampe, con le fauci aperte, squartato nel primo e nel quarto quadrante, l’Aquila Bicefala del Re Consorte, leggermente più contenuto, nel terzo e in ultimo un sole raggiante, nel secondo quadrante più piccolo completava la triade.
Un tempo l’aquila era simbolo del regno, ma le cose erano cambiate. A Shioban, però, i draghi piacevano di più.
La nave era un bilandro di dimensioni modeste, con un albero maestro a vela quadrata e uno di mezzana a randa, ignorando le vele laterali retrattili, che permettevano il volo. L’Alcione poteva andare sia per cielo sia per mare – come l’uccello di cui portava il nome – ma raramente veniva utilizzata per quello scopo. In mare esistevano i pirati di ogni luogo, di ogni dove, anche sotto la superficie dopo la costruzione degli Squali, in cielo … c’era gente, ma decisamente meno.

Shioban si era forzata di rispondere, con fatica, con un sorriso di circostanza. “Lasciami aggiustare il tuo aspetto o spaventeremo i bambini” aveva detto la donna attirando la sua attenzione, in quel momento il luccicante occhio ambra era fisso su di lei.

Shioban aveva annuito, “Di solito mi prendo un quarto d’ora di lunghi respiri, ma sono molto curiosa” avev ammesso, presentando il volto; aveva affrontato già abbastanza viaggi in volo da sapere che la sua pelle avesse raggiunto una tonalità più vicina al verde che il solito roseo pieno che sfoggiava di solito.
“Se riuscissi a far passare la nausea” aveva proposto Shioban, “Chiedi al tuo amico healer, come si chiama Vladimir?” aveva considerato quella, mentre apriva la sua borsa da viaggio, per permetterle di recuperare i materiali con cui lavorava per plasmare l’aspetto. Shioban trovava quel talento incredibilmente intrigante, in realtà trovava tutto quello che aveva a che fare i grisha, davvero interessante. “Vladyslaw, ma noi lo chiamiamo semplicemente Vlad” aveva risposto Shioban.

Aveva sollevato lo sguardo per permettere alla donna di giocare con le sue guance – una mano al suo viso, ed una stretta al petalo di una rosa rossa – accompagnata da un leggero pizzicorino, mentre lei aveva osservato gli altri scendere dal pontile. Come fosse stato evocato Vlad si era palesato davanti ai suoi occhi. Stava scendendo dal ponte dell’Alcione, con un passo lento e cadenzato, per nulla turbato dal turbolento viaggio. La kefta rossa scarlatta, che portava aperta sul petto, come fosse stata un cappotto, ondeggiava ai picchi del vento. In quella maniera Vlad sembrava quasi un nobile signore, con uno svolazzante mantello.
Quello che a Shioban piaceva in Vlad era il fatto che era sempre elegante, prima di essere qualsiasi altra cosa, anche un grisha, d’altronde era un Effimov, un’antica e illustre famiglia di Ravka ovest.
Aveva un viso olivigno e capelli neri, agitati e mossi – come le onde increspate del mare – lunghi fino alle spalle. Suo padre era Pavel Effimov, signore di Kyoska e ammiraglio di divisione della marina ravkiana – per questo che fosse in cielo o in terra, Vlad si trovava a casa su una barca – e della sua concubina suli heartrender. Era da lei che aveva eredito i suoi poteri e gli occhi attenti. Vlad l’aveva guardata e le aveva fatto l’occhiolino, amichevole come sempre. Non era il primo viaggio su un aliante che facevano assieme.

Erano ormai due anni che lavoravano fianco a fianco.

“Ti piace questo tuo Vlad?” aveva chiesto divertita la tailor, mentre si occupava di sistemare la sua pelle in un colore che somigliasse al chiarore di una rubiginosa. “Molto e non in quella maniera” aveva risposto senza indiscrezione, dicendo il vero. Sapeva che triunviro era una donna sfacciata, elegante, ma senza peli sulla lingua.

Era avvampata dopo, però. Quando Vlad aveva raggiunto il fondo della passerella e si era messo a strillare con quel suo tono sempre vigoroso, autoritario, verso gli altri. Così, dalla sommità, baciato dal sole stesso era apparso: Igor. Nonostante il suo aspetto splendente, il suo viso era contratto in un’espressione seccata. Shioban aveva dovuto distogliere lo sguardo, anche se Igor non l’aveva degnata neanche di uno sguardo, non aveva degnato nessuno dei presenti di un’occhiata, preferendo guardare con espressione contrita il panorama misero che quella landa offriva. “Lui, però, d’altro canto …” era stato invece il commento della donna, con l’occhio ambra di Ravka aveva studiato per bene il ragazzo in kefta blu. Igor sfoggiava la sua migliore espressione accigliata e sofferente, “Parla poco, sta sulle sue ed ha sempre la testa rivolta nei libri, così mi è parso sull’Alcione?” aveva indagato la donna.

Shioban aveva sorriso appena, piena di vergogna, “Sì, Igor è così” aveva commentato. Non era bellissimo, aveva un naso dritto ed appuntito, tutto di lui era spigoloso, dal mento, alle spalle, perfino lo sguardo. La donna aveva sorriso, aveva labbra rosee tormentate da tagli, i segni del suo martirio, anche se non era una santa. “Comprendo, comprendo” aveva considerato, voleva esserci gioco, ma l’occhio si era inumidito, “Anche mio marito era così”. Non aveva idea se la conversazione potesse proseguire o meno, perché era accaduto altro.

“Shioban, potresti approfittarne per farti sistemare la tua gobba sul naso” aveva strillato, qualcuno, invece, osceno ed assolutamente indisciplinato. Shioban aveva deragliato lo sguardo verso chi aveva parlato: Gavrilo in tutto il suo selvaggio splendore! Shioban si era sporta per fargli la linguaccia, “Non ti muovere o invece di piene guance rosse, ti ritroverai una fronte bitorzoluta” era stata bacchettata dalla donna.
Gavrilo aveva saltato a pie pari il ponte, atterrando sull’erba e per un miracolo dei santi non si era ferito, “Guarda che non ti riparerò un’altra volta quella caviglia!” lo aveva ammonito Vlad, subito, “Se ti fai male zoppicherai da qui ad Os Alta” lo aveva avvertito.

Gavrilo aveva riso scacciando la voce di Vlad con un movimento della mano. Era un otkazat’sya, ma la questione non sembrava averlo mai turbato.  La prima volta che Shioban lo aveva visto, aveva avuto di lui l’idea fosse una persona di ferro, forgiata dalle ascetiche regole monastiche richieste ai seguaci dell’Apparat, monaci-soldati, ma era bastato che sfuggisse di poco all’occhio della disciplina perché prendesse vizzi ed un’attitudine più molleggiante.  La giacca d’ordinanza dei Soldat Sol, bianca spessa con il sole oro-e-rosso sulla schiena era lasciata aperta, sulla camicia di lino grezzo ed i calzoni di pelle della divisa. Aveva occhi allungati unico ricordo del suo sangue Shu, ma con l’iride nero pece. “Ai miei tempi i soldati del sole erano diversi” aveva confidato la donna piena di divertimento. “Gavi è un modello tutto suo” aveva dichiarato Shioban.
Le piaceva Gavrilo, era decisamente una persona vivace con cui avere a che fare, era certa che se si fossero conosciuti nel campo d’addestramento sarebbero divenuti migliori amici fin dagli albori. La donna aveva sorriso con confidenza, “Il tuo naso va bene anche così, secondo me, se vuoi posso renderlo perfetto, certo” aveva considerato quella.

Shioban si era morsa un labbro, “Mi piace il mio naso, sono diciannove anni che lo ho lì, mi sembrerebbe strano altrimenti. Potresti, però, sollevare l’arcata sopraccigliare sinistra, ho una leggera asimmetria nel volto” aveva considerato quella. “Va benissimo” era stata insospettabilmente accontentata Shioban. Una mano aveva raggiunta l’altra ed aveva spinto la ragazza ad inclinare il capo in diverse direzioni, perché le sopracciglia potessero essere studiate da ogni angolazione.

Nel mentre, Shioban aveva osservato gli ultimi due membri dell’Alcione scendere a terra. Le sorelle Rurik, non erano gemelle, ma si somigliavano come due fiocchi di neve. Come era d’uopo aspettarsi da due grisha erano alte, bellissime e potenti. Indossavano con orgoglio e nobilita d’animo le loro kefte blu pavone, broccate di grigio-argento. Nonostante la lunga fatica della traversata, ambedue sembravano intenzionate a mostrarsi irreprensibili. Bianche come il marmo cesellato, con zigomi alti, labbra piene, occhi plumbei e capelli biondo-fragola, che scendevano in morbide onde. L’unica notabile differenza andava ritrovata in Anastasja, la minore, leggermente più bassa, che portava stritolato intorno alla gola una girocolla ricavata dalla lisca sottile del corpo di una murena, saldata in ferro grisha.
Shioban aveva saputo Asja stava cercando raggiungere la capacità di tidemaker. Era possibile d’altronde. Dal simile al simile, la materia di cui tutto era fatto ed altre frasi che Shioban aveva sentito ripetere infinite volte.
Si chiedeva se quello fosse vero, dal simile al simile, dove doveva collocarsi, allora, lei?

 
“Ecco, fatto, ora hai delle splendide sopracciglia simmetriche, per quanto andrebbero rifatte da principio. Però non sembri più uscita dritta dalla Faglia e non terrorizzerai nessun bambino” aveva scherzato la donna con le mani nel suo viso. Ormai, quella frase non era che un modo di dire, come un altro, ma lasciava lei, sempre confusa, inorridita. Shioban, del Nonmare non aveva nessun ricordo, se non una fitta, nerissima, coltre di nero. Aveva tre anni quando Novakirbisk, la sua città, era stata fagocitata per intero, ma lei e la sua famiglia – per un fortuito caso del destino – non era stati in città e, poi, sua madre non ne aveva voluto sapere di tornare lì, di avvicinarsi ancora.

Shioban ci era tornata, con suo padre, quando aveva sei anni, non ricordava tutto benissimo, ricordava di aver camminato per l’arena arida, tra gli scheletri delle VeleSabbia, della città e delle speranze infrante.
E poi aveva avuto quindici anni, quando aveva compiuto il Cammino dei Pellegrini ed aveva portato corone di fiori alle chiese del Sole e acceso candele al Senzastelle, lì, nell’Agroverde[1]. Dove un tempo era stata la morte ed il deserto, ove, in quel momento, sorgeva la vita con una potenza virulenta.
E nonostante non ci fosse più nulla a testimoniare il non-mare, di vivo e di concreto, ma solo ricordi e racconti, la faglia somigliava ad un brutto ricordo doloroso che sanguinava in Ravka, che qualcosa di tangibile, che era stato vero.

Però di una cosa era certa Shioban, per quanto dovesse somigliare ad uno straccio usato, scesa dall’Alcione, era certa che l’aspetto di chi avesse affrontato la Faglia dovesse essere quello della donna che le parlava.
Le avevano detto che un tempo Genya Saffin era stata, probabilmente, la donna più bella del mondo ed aveva pagato il coraggio e la ribellione con la sua bellezza. Per Shioban era un pensiero stupido, per lei Genya Saffin era ancora la donna più bella del mondo. I suoi capelli erano del rosso più vivo che avesse mai visto ed il suo occhio d’ambra era il più intenso di tutta Ravka.

L’Occhio d’Ambra del triumvirato – dicevano.


Era stata l’agente segreto dell’Oscuro e amica di Sankta Alina, seguace del Korol Renzi e fedelissima della Sankta Koroleva, membro del triumvirato grisha, quando ancora i grisha erano diffidati. Aveva rovesciato una dinastia che governava da secoli. Re, nobili, generali, santi, tutti passavano ma Genya Saffin rimaneva.
Imperitura come la pietra. E le cicatrici erano il simbolo del suo coraggio, di chi si era opposto con fervore ad ogni tiranno che avesse incontrato. “Grazie” aveva detto alla fine Shioban.
Genya Saffin le aveva sorriso ancora prima di accompagnarsi a Vlad, prendendolo per un braccio, l’healer era stato incredibilmente felice di accompagnare la donna. Era una leggenda fra loro, inoltre, una volta il giovane grisha le aveva confidato che avrebbe tanto voluto avere Genya Saffin come maestra, ma era piuttosto negato come tailor, nonostante tutta la buona volontà.

Shioban aveva fatto passare il pollice sul suo sopracciglio sinistro, per sondare se si sentisse diverso o meno al patto, pareva tutto drammaticamente uguale. “Solo tu potevi avere la più talentuosa tailor del mondo e l’hai usata per curare un difetto neanche visibile” aveva considerato Gavrilo, mettendole una mano sulla spalla, “Mi piace la mia gobbetta al naso, ci sono affezionata” aveva risposto lei, sorridendo divertita.
Poi il sorriso divertito di Gavrilo si era raffreddato e la presa intorno alle sue spalle si era sciolta subito, quando aveva scorso Igor guardarli, “La posizione, Soldat Sol, noi siamo qui come vicari della Corona e dell’Apparat” li aveva rimproverati.

Gavrilo si era irrigidito ed aveva annuito, raggiungendo Vlad e Genya passo marziale. Il suo atteggiamento duro era rimasto impassibile anche davanti alle domande delle sorelle Ruskin.
“Di solito la gente tende a considerarci meglio quando siamo meno formali” aveva commentato Shioban. Igor non lo sapeva, ovviamente, usualmente li accompagnava per noia, per girare, per vedere luogo nuovi, rifornire la sua collezione di libri, appuntarsi cose che avrebbero potuto interessarlo. Ogni tanto li rendeva invisibili davanti a qualche mezzo ad aria troppo audace.

Però, era ovvio, che le cose dovessero essere diverse in quell’occasione.


Igor stesso aveva dato voce ai suoi pensieri, “Non è strano?” aveva chiesto, aveva il forte accento di Ravka ovest, come Shioban, ma era l’unica cosa che avessero mai avuto in comune; “Sono strane un sacco di cose, a quale ti riferisci esattamente?” aveva domandato con finta ingenuità, lisciando con le mani la sua kefta.
Non era come quella dei grisha, certo resisteva ai proiettili come le loro – così come la giacca da Sol Soldat di Gavrilo– ma era di un azzurro acceso, come un cielo di un dipinto di DeKappel, non era broccata ne aveva filature particolare, un unico colore omogeneo che l’avvolgeva. L’unico tratto distintivo era dato dal drago oro sul fondo bianco, inquadrato su uno scudo, sulla schiena – come simbolo del suo servigio alla corona. Shioban aveva sistemato sul cuore due spille commemorative.

“Che la Razrushhost sia voluta venire qui, con noi?” aveva domandato Igor, ignorando il suo gioco. “Non mi chiedo mai le ragioni delle persone potenti. Conoscono sempre più di quanto ci diranno mai” aveva considerato con un sorriso di circostanza Shioban. Ovviamente Igor aveva ragione, era abbastanza inusuale che una persona come Genya Saffin, membro del triunvirato, amica e consigliera della Regina Drago, avesse voglia di accompagnare un gruppo spaurito come loro, in un viaggio in quella landa semi-sconosciuta di Ravka.
“Sei stupida allora. Conoscenza è potere” aveva commentato Igor, secco, aggrottando le sopracciglia. “Sì, è strano. Evidentemente qui vicino deve esserci qualcosa di interessante. D’altronde tu sei qui, nel cortile, invece che essere stesso in plancia a farti un bagno di sole mentre leggi” aveva commentato Shioban.
Ovviamente era stato strano, quando pronti alla partenza avevano ricevuto una comunicazione da Os Alta che gli aveva informati di un nuovo passeggero. Shioban si era aspettata un giovane soldato o … be, chiunque, ma non la Grande Genya Saffin in persona. Ma così era stato.

Igor era trasalito a quel commento, “Mi è stato detto di comportarmi adeguatamente al mio rango” si era giustificato, con le guance arrossate di indignazione, raggiungendo anche lui il resto di loro, seguito a ruota da Shioban. Prima della comunicazione di Genya, anche Igor aveva ricevuto un messaggio ed aveva dovuto incontrare l’Apparat in persona. Era strano il modo in cui agiva lui e quelli come lui, alcuni di loro erano praticamente grisha come gli altri, ma altri erano quasi Soldat Sol, fedeli e seguaci dell’Apparat Vladim che altro. Forse era perché il culto di Sankta Alina era il Culto di Ravka per eccellenza, più di quello di Sankt Ilya o della Regina Sankta Vivente. Per Shioban era strano, ma forse, per quanto mirabolanti fossero le gesta della Regina, il suo essere ancora viva, tangibile, umana non le regalava quell’assolutismo ultraterreno che il martirio e la parusia regalavano ad Alina Della Faglia.

 

Genya aveva condotto la fila dell’equipaggio, verso il loro luogo di incontro. Era un edificio niente male, sembravano i resti di un palazzo nobiliare, ma molto più pieno di vita e colori. Al posto di arzigogolati giardini, organizzati in corridoi di siepi e cespugli, presentava grandi parchi alla maniera delle isole erranti.
Le pareti della villa erano di mille colori vivaci, stuccate nuove. E quel posto brulicava di vita e di gioia.
Due persone l’aspettavano all’ingresso di un cancello aperto. Uno era un giovane uomo, poteva avere qualche anno in più di Shioban, era carino. Occhi grandi, pieni di vita, un’espressione calorosa sul viso formata da un sorriso dolce.

Lei era più breve di statura ma più grande d’età, una donna intera e matura, aveva capelli scuri, di un colore intenso. I suoi occhi erano scuri ma scintillanti di vigore e fulgidi d’amore.
Genya aveva sciolto la presa da Vlad e si era diretto verso la donna, si erano abbracciate come vecchie amiche, poi aveva guardato anche il ragazzo. “Com’è che diventi sempre più bello Misha?” aveva chiesto Genya.
Il ragazzo era gradevole, con gli occhi limpidi e l’espressione rilassata, “Mangio un sacco di verdura” aveva risposto. Genya aveva tirato un buffetto delicato sulla spalla del giovane, prima di rivolgere lo sguardo nuovamente alla donna. “Ma cosa hai fatto ai tuoi capelli?” aveva chiesto Genya con espressione piuttosto accigliata, “Li ho tinti” aveva replicato l’altra con espressione quasi divertita. “Sì, grazie, questo lo vedo. Quello che mi chiedo … non hai trovato un modo?” aveva chiesto quella, sollevando con un dito i capelli dell’altra, “Ehi” si era difeso il giovane uomo che era sulla porta, “Si, è stato Misha ad aiutarmi” aveva spiegato Alina, “E sì, non possiamo godere della compagnia di una talentuosa sarta, quindi, ho ricorso ad una vecchia tintura per capelli” aveva ghignato l’altra, tirandole uno buffetto sulla mano per farle lasciare i capelli. Genya aveva sorriso, “Ricordami di sistemarli prima di andare via. Non si dica che un’amica di Genya Saffin sia impresentabile” aveva dichiarato.

“Non si dica” le aveva fatto il verso l’altra.

 “Ora hai la tua risposta” aveva detto Shioban, guardando le due. Genya aveva preso il polso, delicatamente, della donna e l’aveva guidata verso di loro, seguita poi dal giovane uomo. Poi la donna aveva fatto le presentazioni dovute, senza sbagliare neanche un nome, come se fossero stati suoi vecchi amici e non avesse dimenticato il nome di Vlad qualche momento prima. La donna aveva sorriso educata e gentile, era stata amichevole, stringendo le loro mani. Aveva guardato con estrema curiosità la kefta azzurra di Shioban – entrata in vigore probabilmente dopo l’ultimo censimento in quella zona – ed ovviamente Igor. Come d’altronde, non si poteva?

Igor indossava il blu brillante degli etherealki, ma l’abito era istoriato con motivi oro-rosso. Tutti sapevano cosa volesse dire.

I Sun summoner.

 

La padrona di casa si chiamava Marina, gestiva lei l’orfanotrofio di quel piccolo villaggio, assieme al suo compagno – aveva portato i ragazzi più grandi (che avevano già affrontato il censimento) a caccia quella mattina presto, ma che sarebbe rincasato presto, come aveva tenuto a sottolineare – ed il giovane uomo di nome Misha. Nel corso degli anni, in quel mestiere Shioban era stata accolta in ogni sorta di maniera, con aspettativa, intolleranza, qualsiasi cosa tra quelle due oscillazioni del pendolo, ma mai con così tanta famigliarità.
Marina aveva fatto preparare per loro, dalle cucine, un buon banchetto, non così lauto e fasto, ma degno di rispettare l’ospitalità ravkiana del sud.

Sul tavolo aveva fatto mettere oltre al kvas anche latte, miele e quant’altro. Ekaterina Ruskin, si era scolata da sola due boccali di latte speziato caldo, per recuperare la fatica del viaggio. “Per caso ha anche della jurda?” aveva chiesto sfacciata. “Certo!” aveva cinguettato Marina, mandando un giovane ragazzo a prenderlo. “Potete rimanere qui quanto tempo desideriate, sono contenta di dire che qui Keramzin abbiamo letti vuoti” aveva detto con orgoglio la donna, guardando i suoi bambini.

Shioban aveva osservato la scena, i bambini erano per lo più ravkiani, qualche Shu o mezzo-Shu. Però non erano tanti, non come quando lei era piccola e gli orfanotrofi erano strapieni di bambini figli della guerriglia di confini, della guerra civile, della guerra della jurda, della faglia. Shioban era felice che nonostante non fossero pochi i bambini erano un numero esiguo rispetto quanti avrebbero potuto essere.
“Credo ci abbia invitato per tenersi più tempo, la signora Saffin” aveva sussurrato Gravilo nell’orecchio di Vlad. “Ed anche se fosse, qui mi piace un sacco” aveva ridacchiato Anastasja, mentre beveva latte e miele.
Lei doveva riconoscerci una certa dolcezza, calore, aveva sempre avuto l’impressione che quei posti fossero tetri e tristi.

Si era voltata verso Igor, che come sempre stava studiando l’ambiente al suo meglio, i suoi occhi erano stati incantati dall’enorme ritratto che dominava sulla lunga tavolata da pranzo. Sankta Zoia dva Urga[2], con le due dita sollevate in posizione orante e sulla chioma scura portava la sua corona drago. Per Shioban era davvero un ottimo ritratto, l’artista aveva fermato l’espressione orgogliosa della Regina Santa, riproducendo perfettamente la giusta tonalità di blu. Era diversa dalle altre rappresentazioni che aveva visto della donna, per prima cosa la mano che l’aveva dipinta non sembrava eccelsa, così come la rappresentazione non pareva di carattere adulatoria, ma tragicamente reale in qualche modo. L’imperfezione della mano era acquietata dalla riproduzione dell’espressività.  Non era solo il preciso blu più degli occhi della Santa Vivente, ma anche la severità e la fierezza della posa, dello sguardo.

Chiunque l’avesse dipinta aveva guardato il viso della Regina con i propri occhi, per abbastanza tempo da catturare su tela la sua austerità. “Ti piace!” aveva parlato una bambina, attirando la sua attenzione, non era lontana da Shioban, “Lo ha fatto la mamma!” aveva dichiarato con orgoglio. Shioban aveva fatto scattare lo sguardo verso Marina la tenutaria che parlava con Genya e ridevano di una battuta di spirito di Ekaterina e di quello che aveva l’impressione fosse un giovane maestro. Forse Marina era stata amica anche della Regina Drago oltre che del triumviro. Si chiedeva, com’è che una persona che aveva avuto amici tanto importanti fosse finita lì, così defilata …

Poi aveva riportato lo sguardo sulla bambina.

Era, ovviamente, la figlia di Marina, non poteva essere altrimenti, anche se non si fosse dichiarata tale, aveva la stessa curva morbida del volto, il naso piccolo e delicato e gli occhi grandi pieni di calore. C’era qualcosa di qualcun altro, ovviamente, come iridi turchesi, quasi iridescenti, labbra piene e rosa. “Molto bello” aveva considerato Shioban. Era una bambina forse sui dieci anni, forse anche meno, magra ma in salute, con capelli scuri e lunghi che le scendevano come un mantello spesso sulla schiena. “Sì, un’ottima mano” aveva considerato Igor, circostanziale, anche se non era vero. Non nella maniera in cui lo pensava Shioban.
Il sun summoner era devoto all’Apparat più di quanto lo fosse alla Regina. Non conosceva, non aveva visto anzi, come Shioban lo sguardo fierissimo della Regina Zoya da così vicino da apprezzare quanto fedele fosse quel quadro.

Un altro bambino aveva parlato, era più piccolo della ragazzina – sicuramento meno di dieci anni – aveva gli occhi allungati degli Shu, lo stesso colore del miele e capelli nerissimi come una macchia di pece, attirando la loro attenzione. “Puoi… fare quello?” aveva domandato pieno di aspettativa. Alla sua richiesta si erano appellati, altri fanciulli smaniosi.

“Bambini!” li aveva richiamati all’ordine Marina, notandoli vicinissimi a loro due. “Queste persone sono qui come emissari della corona non per intrattenerci” aveva considerato materna, li aveva richiamati ma senza un aspro rimprovero, prima di rivolgersi a loro, “Perdonateli: i bambini non hanno mai visto un sun summoner da queste parti” aveva spiegato lei, la sua voce si era incrinata. “Pensavo che Sankta Alina fosse di Keramzin” aveva considerato Gavrilo. Un’espressione tesa si era formata sul viso di Marina, “Circa” aveva considerato, “Era dei Due Mulini, in realtà, ogni anni portiamo i più grandi a fare un pellegrinaggio alle rovina e alle cascate di fuoco” aveva considerato Misha. “Ci piacerebbe molto andare” aveva vagliato Igor, ammiccando a Gavrilo. “Avete sentito il sole” aveva risposto l’altro. C’era stata un gentile sorriso che aveva illuminato il salottino, “Certamente, domani, se vorrete, prima di ripartire” aveva concesso Marina.

 

“Quindi la kefta azzurra?” aveva domandato Marina, “È la kefta di rappresentanza di quello che potrebbe essere definito i rimasugli del primo esercito” stava spiegando Genya, alla donna, “Anche se ormai non esiste più un primo o un secondo” aveva detto didascalica il triumviro. “Azzurro è sempre stato il colore di Rafka” aveva valutato Marina.

Shioban aveva ascoltato quel discorso parzialmente, le piaceva indossare un kefta, li rendeva tutti uguali, sebbene in combattimento risultasse forse troppo impostata, anche i grisha non le indossavano più durante gli scontri, preferendo tenerle come rappresentanza, favorendo l’uniforme regolare dell’esercito con i loro colori di appartenenza. “Pensavo che, visto, le recenti teorie della materia, aveste cominciato a sperimentare nuovi colori?” aveva proposto. “Qualche grisha ultimamente collauda. Alcuni squaller e tidemaker si trovano affini. Ogni tanto spunta fuori una Kefta blu con istori argento-azzurri” aveva cominciato, “Alkemi e Durast lo sono sempre stati” aveva considerato Marina. Genya aveva annuito, con l’occhio giallo pieno di tormento – Shioban sapeva che il suo defunto marito era stato un fabrikator – “Sì, ormai i nostri decori sono totalmente opzionali. Anche noi sarti stiamo rivalutando, stavo pensando di passare dal rosso al porpora, per specificare meglio questo essere a metà con i materialki, ma starebbe malissimo con i miei capelli” aveva considerato il triunviro.

Shioban si era allontanata con la risata di Marina a riempirle le orecchie; aveva deciso di non disturbarle, era ovvio fosse un incontro tra due vecchie amiche ed aveva preferito lasciare così, sedute su morbidi divani nel loro privato.

Ekaterina e Anastjasia invece avevano deciso di accettare la proposta di Marina e concedersi un meritato riposo, dalla Palude Dorata, il viaggio era stato insospettabilmente lungo, anche con la jurda erano crollate, nonostante tutto il loro impegno nell’apparire impeccabile. D’altronde ambedue erano state istruite dal triunviro Andrik, il sankto asimmetrico. Vlad, compagnia che Shioban avrebbe apprezzato tantissimo, aveva deciso di farsi scortare per la tenuta da Misha e lei lo aveva lasciato ai suoi riti di seduzione. L’healer non nascondeva mai il suo appetito. Era un uomo vorace.

Aveva perciò cercato Gavrilo e Igor. Si aspettava di trovare il primo ad intrattenere l’orda di bambini con qualche racconto trucolento o uno eroico, o una pessima combo di entrambi, mentre il buon Sun summoner per fatti suoi, seduto sull’erba a leggere qualcosa di suo gradimento. Igor amava così tanto leggere che un giorno, Shioban lo aveva scoperto gustarsi anche le carte catastali di Sikursk; non aveva fine la sua fame di conoscenza né alcun discernimento, evidentemente. Ogni informazione, ogni nozione, andava ingurgitata.
Una volta lo aveva anche sentito desideroso di andare alle Rovine dell’Arcolaio per raccogliere tutto quello che doveva essere rimasto, di libri, volumi e pergamene.

Invece, si era dovuta dichiarare sorpresa; i due erano insieme. In una parte del Parco Errante, Marina aveva fatto costruire un gazebo in legno bianco, abbastanza grande perché una tavolata per quindici persone potesse trovare riparo dal sole estivo di Ravka. Il tavolo però era stato messo da parte e tutti i bambini sedevano a semicerchio.

Tutti i loro occhi erano per Igor, c’era anche qualche precettore della casa, un po’ in disparte, che si fingeva disinteressato ma che continuava a guidare gli occhi verso Igor, come una falena attirata dalla fiamma. Il grisha stava intrattenendo i bambini con sfere luminose, mentre il Soldat Sol lo osservava posato ad un pilastro di legno, con gli occhi sognanti. Erano tutti devoti uomini alla corona di Ravka, ma Gavrilo aveva un giuramento sacro che lo legava ai miracolati di Ravka, il cui potere era sorto dopo il martirio di Sankta Alina.

I prescelti.

Se Shioban ci pensava a lungo era strano che non ci fossero sue icone, erano comunque vicini al luogo della sua nascita e dove era vissuta. Forse Marina e suo marito non erano poi troppo credenti. Il tributo a Sankta Zoya, era il tributo ad una amica, realizzava.

I bambini sembravano completamente rapiti dalle movenze di Igor, aveva dita lunghe ed ogni suo movimento sembrava delicato. Le sfere crescevano e diminuivano di grandezza ed intensità, così come la posizione con una certa sequenzialità, non ne era sicura ma aveva l’impressione che Igor stesse suonando, senza note, senza voce, ma solo con la luce. Intensità, grandezza, ritmo. E nel farlo stava sorridendo ed era così carino quando lo faceva, peccato sorridesse poco o niente. Si era avvicinata con lentezza al gazebo di legno, mentre osservava i bambini chiedere con vivacità di dare alla luce le forme più svariate.

Non aveva raggiunto il gazebo, però, spaventata di rompere quell’equilibrio. Per un secondo, un solo secondo, aveva giurato che gli occhi intensi di Igor l’avessero raggiunta, ma era stato un secondo. Il rumore del cancello l’aveva distratta.  Si era voltata osservando un uomo, con una carabina legata sulle spalle, aprire il cancello, dietro di lui c’era un ragazzetto sui sedici anni, che teneva una cestina ed un fucile a spalla, seguito da una coetanea, alta che teneva con un bastone i resti in un cinghialotto legato a reggere l’altra estremità c’era un ragazzo, altissimo. Il chiudi-fila era una ragazzina che non poteva avere neanche quattordici anni.

“Oh”, aveva esclamato l’uomo, guardandola. Aveva dei vibranti occhi azzurri, come il cielo riflesso sull’acqua pulita, la stessa tonalità della figlia di Marina, immaginava perciò che fosse il marito di Marina. I quattro ragazzi alle sue spalle avevano drizzato la schiena, “Sei una grisha?” aveva chiesto immediatamente la giovane alta che teneva la prima parte della canna. “No, sono un soldato” aveva risposto calma, “Caporale Maggiore Shioban Veleski, di stanza … ad Os Alta” aveva detto con fervore. Era una menzogna, ma non aveva il permesso di divulgare ai civili la posizione della sua base. “Io sono Shevich Rosen, il marito di Marina” aveva dichiarato l’uomo, ammiccando a sua moglie che aveva abbandonato il salottino, per unirsi in giardino, in compagnia di Genya Saffin. “Loro sono: Rebah, Stygor, Yue e Andrej, i miei ragazzi” aveva detto.
“E vedo che avete preso un cervo per cena” aveva commentato con estrema allegrezza Marina, “Nonostante avessimo già una dispensa piena” aveva aggiunto.

“Non ero uscito con quell’intento” aveva ammesso colmo di imbarazzo Shevich, “Però sapevo sarebbero arrivati” aveva aggiunto, ammiccando proprio a Shioban. “Comunque non è stato facile!” aveva dichiarato subito la ragazzina di quattordici anni, Shioban immaginava dovesse essere Yue, aveva occhi tondissimi, ma screziati di oro Shu, “Sì, ma sono stati tutti bravi, Andrej ha un vero futuro da tracciatore” aveva detto Shevich, le sue parole erano pesanti sulla lingua. Il ragazzo con il cestino era arrossito, aveva delle delicate efelidi sulle guance che lo rendevano adorabile “Il tracciatore è un mestiere terribilmente sopravvalutato” aveva replicato Marina. “Ci sfama solamente” si era lamentata Rebah, “Adesso basta, andremo in cucina a scuoiarlo, Genya vuoi farmi compagnia?” aveva chiesto Martina, con una certa imperiosità.
Genya, durante questo scambio, si era avvicinata ed aveva baciato sulle guance, piena di calore, di Schievich. Il triunviro aveva battuto gli occhi, Shioban non era abituata a vedere nessuno così autoritario con la rovina, neanche la regina drago.

“Secondo te vivo ancora a piccolo palazzo perché adoro scuoiarmi la cena da sola?” aveva domandato retorica la grisha, ma lo sguardo scuro e pieno di devozione dell’altra era bastato perché cedesse, “Marina, se non abitassi in un posto così dimenticato dai Santi, mi trasferirei qui solo per come mi guardi” aveva sentito Genya dire, mentre Rebah e Stygor portavano via il cervo.

“Quindi vi porterete via qualcuno?” aveva chiesto subito affamata Yue, “Non sono ancora stati testati” era stata la pigra risposta di Shioban, prima di aggiungere, riconoscendo uno sguardo pieno d’apprensione, “Anche se risultassero grisha, il servizio militare obbligatorio è stato sospeso” l’aveva rassicurata.
Shevich aveva messo le mani sulle spalle della ragazzina, paterno, “Ne abbiamo già parlato” le aveva detto bonariamente, “L’addestramento a grisha può salvare un nostro fratello, dai pericoli e da se stesso” aveva ripetuto come una cantilena la ragazzina. Questo era inaspettato.

Ravka era sempre stata la patria dei grisha, il posto dove ognuno di loro si sentiva a casa. Avevano un luogo, il palazzo, un ruolo, il secondo esercito, ma il mondo era sempre stato spaccato in due. Solo negli ultimi anni, dopo la Santa Regina Grisha, la percezione era cambiata, ma ancora di quei tempi la gente era sempre poco entusiasta di sapere che i loro figli lo erano. Shioban aveva sorriso verso Shevich, “Sì” aveva confermato. “Ehi guarda!” aveva detto Andrej, attirando lo sguardo della ragazza su Igor ed i suoi giochi, “Andiamo!” aveva esclamato subito la ragazzina rianimata dal desiderio, “Screanzati i funghi!” aveva urlato dietro il padre putativo, ritrovandosi poi la cestina tra le mani. “Scusali, di grisha se ne vedono anche a Keramzin ma di sun summoner pochi” aveva confidato.

“Credo abbiano paura di girare così vicino al confine di Shu-Han” aveva ammesso Shioban, “Può esseri in vigore il Concordato, ma certe abitudini sono due a morire” aveva considerato.
L’accordo era stato istituito, in vero, tra Makhi Kir-Taban e Nicolai Lanstov, ma nessuno dei due governava più, non con quell’assolutismo prima. La regina Makhi era stata retrocessa a co-reggente – e Shioban aveva sentito alla Palude che qualcuno commentava che il suo governo non era stato legittimo – e Nikolai si era rivelato un figlio spurio ed era passato da Re Legittimo a Re Consorte.

Shevich aveva guardato quasi rapito i giochi di luce, e lei aveva visto nel suo sguardo un ricordo. D’altronde conosceva Genya, forse aveva servito nel primo esercito, forse aveva visto la Sankta Alina della Faglia ed i suoi giochi di luce … forse Shioban stava fraintendendo.

 

 

Mentre i ragazzi più grandi ed alcuni servi della casa si erano impegnati nella preparazione del cervo e della cena – anche Shevich sarebbe voluto andare ma sua moglie lo aveva convinto a rimare. Shioban aveva l’impressione che lui fosse terribilmente preoccupato dalla loro presenza (il suo atteggiamento appena Rebaj si era allontanata si era fatto molto meno sicuro) – mentre la signora della casa si era occupato di radunare i bambini, tutti i bambini, anche quelli non in età.

Erano quindici, esclusi quattro più grandi che si erano chiusi in cucina.

Avevano scelto come luogo una delle sale da pranzo della tenuta. Abbastanza grande perché non fosse necessario spostare il tavolo perché fossero comodi. Oltre i bambini e loro, nella stanza c’erano tutori incuriositi e servi. Sembravano tutti molto ansiosi. Il più grande tra i bambi lì presenti era un giovanotto di tredici anni con un’espressione contrita, che continuava a far saettare gli occhi blu su tutti loro.
Normalmente era Shioban che parlava con la folla, ma in quel momento con loro era presente la leggendaria Genya Saffin, così aveva chiesto alla donna se avesse voluto farlo lei. “Santi del cielo, no, parlare con i bambini non è uno dei miei molti talenti” aveva ammesso Genya, con un sorriso quasi nervoso.

Non era quello che aveva sentito Shioban da Vlad, ma forse la donna non voleva solo imporsi.
Così Shioban si era ritrovata in piedi di fronte i bambini, con Vlad alla sua sinistra con espressione calma e rilassata e la signora Marina alla sua destra.

“Salve, giovane figli di Ravka, come già sapete noi siamo qui per stabilire se tra voi ci saranno dei grisha” aveva cominciato a parlare, “Eseguirò io l’esame, sono Shioban, membro dell’esercito di sua maestà la regina e mi assisterà in questa prova il guaritore Vladimir” aveva parlato in maniera informale Shioban, anche se Vlad era un soldato quanto lei ed anche di un grado superiore.  “La prova sarà semplice, prenderò la vostra mano e valuterò la vostra condizione” aveva stabilito.

Quello era; solo un amplificatore. Umano. Una rarità, dicevano.

Gli amplificatori umani erano rari, per lo più erano grisha, ma Shioban era un’abbandonata. “A volte capita che con qualcuno sia più difficile di altri, in quel caso sarà necessario fare un piccolo taglio, non preoccupatevi è sempre un caso raro ed abbiamo il buon Vlad per questo. Se qualcuno di voi, risulterà un grisha, ci occuperemo di prove più pratiche per stabilirne l’ordine di indole. Per Materialki ed Corporalki potremmo anche qui … e la specializzazione probabilmente sarà impossibile da determinare ora e qui, ma ci vorrà del tempo, vedere le vostre inclinazioni. Per gli etherealki sarebbe il caso di andare in giardino, questa è una bella casa e nessuno vorrebbe distruggerla” aveva dichiarato con un sorriso calmo.I bambini avevano ridacchiato a quella battuta.


Aveva deciso di saltare la parte in cui spiegava che gli ordini era una visione leggermente arcaica, che in quegli anni i grisha stavano cominciando a sperimentare. Come la Regina Zoya che governava tre – le più note – su cinque delle discipline degli etherealki e qualcosa di materialki, oppure Genya Saffin che con le sue abilità di plasmare-le-forme era a metà tra un corporalki ed un materialki. O anche solo Anastasja.

Un ragazzino aveva sollevato la mano, poteva avere sui nove anni massimo, magro, con le guance secche e grandi occhi verdi, “Puoi parlare” aveva concesso.“Se fossimo … ecco … grisha?” aveva chiesto.
“Quello che desiderate. Potete rimanere qui, unirvi alla scuola del Piccolo Palazzo, dove vi sarà insegnato ad usare il vostro potere, se vorrete entrare nell’esercito ad una certa età potrete, se vorrete restare a studiare potrete rimanere, se vorrete tornare qui o andare ovunque; esistono molti luoghi oggi dove si insegna ai grisha e no, il mondo vi appartiene. Magari qualcuno di voi è un etherealki ma scoprirà di avere una propensione per i numeri ed il denaro e vorrà studiare per bene” aveva ammesso, prima di dare la parola a Vlad, quella parte spettava a lui.

“Potete anche rimanere qui. So che esistono grisha tutori che insegnano, non so se ne abita qui uno vicino e se la signora Rosen ha intenzione di assumerne uno” aveva cominciato a dire posato, con quella sua eleganza innata. Shioban poteva vedere che una macchia rosa puntellata, svettava appena sotto il colletto della camicia, sulla pelle caramello.

 “Ma una cosa è certa: dovrete allenarvi. La piccola scienza ci nutre, un grisha che non manifesta i suoi poteri si ammala. E come le vostre braccia e le vostre gambe, avete bisogno di usarle, sempre, per muovervi” aveva spiegato gentile, “O si atrofizzeranno. Così sono i poteri”. I bambini la ascoltavano come se le sue parole fossero state di miele. “Va bene, bambini, cominciamo. Niente di tutto questo deve farvi paura” aveva detto Marina, battendo le mani, infondendo calma e gentilezza. Era luminosa, Shioban non sapeva neanche spiegare come. “Pensate a Zaara, che anche se ha giurato la scorsa primavera alla regina, continua a tornare a trovarci” aveva spiegato calma, poi aveva chiamato la prima persona.

Era stato il ragazzino di tredici anni silenzioso ma con gli occhi blu accesi. Shioban aveva toccato delicatamente il suo polso e non aveva sentito niente. “Peccato” aveva detto lui. Shioban aveva cercato di sorridere, comprensiva, perché conosceva quella delusione, “Non necessariamente. Puoi diventare un bravo medico senza essere un healer, così come stoppare un cuore o dare fuoco a qualcuno” lo aveva cercato di consolare.
“Cambiare una faccia?” aveva chiesto il bambino, “Con una scorta di cosmetici e paraffina” aveva dichiarato Shioban, arruffandoli i capelli. Il ragazzo non era stato molto contento, ma era sembrato più sollevato a quegli ultimi commenti. Poi aveva chiamato anche gli altri. Alcuni bambini erano sembrati turbati di non esserlo ed altri anche contenti. Aveva avuto bisogno di tagliare una ragazzina, ma anche quel fremito di resistenza si era rivelato nulla – paura di essere qualcosa.

Aveva trovato un grisha.

Un ragazzino, con del sangue fjerdiano, che a dodici anni era alto come uno di sedici. Aveva tenuto il suo polso per bene, poi aveva sorriso, “Puoi andare vicino a Gavrilo. È quel Soldat Sol, con l’espressione da pesce-lesso sulla faccia?” aveva domandato retorica. Il ragazzino aveva annuito, e così aveva fatto.
Shioban aveva sentito Marina trattenere il respiro, perché aveva capito. Altri due bambini e poi era rimasta solo la figlia dei due tenutari.

“Drina su, tranquilla!” l’aveva incalzata la madre con dolcezza ed amorevolezza, dando un colpetto gentile alla spalla della figlia. La ragazzina si era voltata verso i suoi compagni, ma Shioban aveva riconosciuto che il suo sguardo cercava quello di suo padre. Shevich era posato contro una parete con sguardo leggermente preoccupato. Aveva cercato di sorridere verso sua figlia incoraggiante, ma non c’era abbastanza sicurezza in lui.
Marina si era chinata sulla figlia e le aveva messo le mani a coppa sul viso, materna, “Moya Milaia[3] non hai nulla di cui preoccuparti” le aveva detto, dandole un bacio dolce sulla fronte. La ragazza aveva sfacciatamente rivolto lo sguardo al padre, in cerca di qualcosa. L’uomo si allontanato dal muro e si era avvicinato alla bambina, calmo. Aveva sussurrato qualcosa all’orecchio della figlia.
La madre che si era cucciata davanti a Drina, si era sollevata. Shioban vedeva solo il retro di una chioma scurissima, ma immaginava che l’espressione sul suo volto non dovesse essere serenissima.

Il padre aveva condotto Drina davanti a Shioban, lasciando Marina indietro.

Quando lei aveva visto il viso della donna, aveva potuto riconoscere un’espressione mista sul viso, tristezza e tradimento. “Io, noi, non crediamo sia n…” aveva cominciato a dire Shevich, “Sono una grisha. Lo so” aveva dichiarato la bambina con convinzione, sollevando il polso con sicurezza verso Shioban. Lei aveva annuito, “A volte capita che i bambini se ne accorgano da soli” aveva commentato, prendendole delicatamente il polso, “Un mio amico ha fatto esplodere le tubature della sua casa a soli sei anni” aveva aggiunto, ricordando quel racconto. Voleva mettere a suo agio la bambina. Drina, però, non sembrava nervosa, aveva uno sguardo avido, mentre rivolgeva l’attenzione alle dita di Shioban; però con la mano libera, teneva le dita del padre.

Shioban aveva chiamato e, poi, aveva sentito la risposta. Non ne aveva mai sentita una così potente, brutale quasi. “Wow” si era lasciata sfuggire senza controllo, “Decisamente sì!” aveva esclamato colpita Shioban.
Drina era arrossita, voltando il capo verso il padre e poi anche verso la madre, quasi colpevole.  Marina era in viso chiara come la cera, si era avvicinata con un passo lento, quasi timoroso, “Si … si sa cosa?” aveva chiesto con un principio di ansia. “Adesso vediamo, per tutti e due. Sempre se Drina non sappia già cosa è” aveva considerato.

Il ragazzino di sangue Fjerdiano si tirato su, preso in contropiede. Tutti gli occhi della stanza erano su Drina. La ragazzina aveva sollevato una mano, stendendo però solo due dita, un gesto incerto, aveva strizzato gli occhi e corrugato la fronte come se quello che stesse facendo le costasse fatica, per concertarsi … per un po’ non era successo nulla, ma poi un rumore aveva rotto il silenzio di respiri strozzati che aveva accolto il salone.
Un bottone d’osso della kefta verde di Shioban era caduto per terra, aveva strappato i fili che lo sostenevano.
“Materialki” aveva detto Marina, prima ancora di lei, il suo tono era stato quasi funereo. Probabilmente, addirittura una durast già conclamata.
Shevich si era voltato verso la moglie, mentre riportava la bambina verso di lei. Shioban si era chinata per raccogliere il suo bottone.



Il ragazzino mezzo-fjerdiano, Kos, si era rivelato un inferno. Shioban era costata una buona mezz’ora di chiamate, gli aveva tenuto la mano mentre Ekaterina lo spingeva a richiamare alle sue mani tutti gli elementi.  Vlad aveva fatto partire una scintilla ed il ragazzino aveva evocato il fuoco la prima volta. Era costato un albero.
“Ecco perché dovremmo portarci un tidemaker!” aveva esclamato indignato Igor, mentre Anastasja si impegnava ad usare l’acqua del pozzo per spegnarlo, con estrema fatica. Ekaterina invece aveva tirato via l’ossigeno da quel punto dell’aria per riuscire a spegnerlo. “Bene quel che finisce bene!” aveva dichiarato Yue, “È pronta la cena se qualcuno non vuole dare fuoco a qualcos’altro!” aveva esclamato la ragazzina iena di vigore.

Il tavolo era stato imbandito modo che tutti gli abitanti del castello potessero di nuovo riunirsi per la cena.
Alcuni ragazzini continuavano a tirare buffetti di congratulazioni sulle spalle di Kos che era rosso e pieno di gioia.
Shioban aveva sorriso, mentre prendeva posto al tavolo.

Gavrilo aveva fatto per sedersi accanto a lei ma era stata Genya ad accomodarsi, rubandoli sfacciatamente il posto, “Perché non ti siedi vicino a quella maestrina lì, ti trova molto carino” aveva dichiarato subito, facendo ridacchiare il Soldat Sol, “Io ho fatto un voto, mia signora, ma una bella vista non si nega a nessuno” si era defilato Gavi. Lei aveva ridacchiato, guardando Genya di sottecchi, non l’aveva più vista dopo la prova della piccola Drina, si era isolata a parlare con i genitori della bambina. Forse nessuno di loro si aspettava che fosse una materialki, o una grisha in generale, forse erano pronti a vedere i bambini che crescevano andare via ma non il sangue del loro sangue. Eppure, continuava a pensare al sospiro di Marina quando aveva detto Materialki, come una condanna.

“Posso farti una domanda, Shioban?” aveva chiesto Genya con un tono basso e misurato, “Non credo potrei impedirle di fare alcunché, moia razrushost” aveva risposto Shioban, “La chiamata di Drina, quanto era forte?” aveva chiesto, il suo tono era terribilmente serio. I suoi occhi avano raggiunto la ragazzina, sembrava pallida e nervosa, mentre il ragazzino con origini Shu, che cercava di tirarla su. Anche la signora Marina e suo marito continuavano a lanciare sguardi preoccupati alla figlia, forse timorosi che scegliesse di andare al Piccolo Palazzo. “La chiamata non tanto, la risposta, è stata sfolgorante! Probabilmente la più potente che io abbia mai sentito” aveva ammesso. Aveva cercato di mettere a fuoco nella sua memoria se c’era mai stata un’altra risposta così secca, così focosa, ma non le veniva in mente. Genya si era morsa un labbro, pregna di preoccupazione.

Fu evidente a Shioban, che le mancasse qualche informazione.



[1] All’interno del Grishaverse non viene dato nessun altro nome alla Faglia (oltre nonmare) specie dopo la sua … uhm … bonifica? Però, ecco, mi sembrava coerente che nessuno si rivolgesse più a quel luogo così. Ho scelto Agro Verde per ovvissime ragioni,

[2] Santa Zoya del Vento

[3] Mia Ragazza Dolce, riferendosi alla Wiki del rafkiano

Spero vi sia piaciuta Shioban perchè probabilmente non la vedrete più :^
   
 
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