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Autore: Zobeyde    31/12/2022    3 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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QUELLO CHE RIMANE - Prima parte

 
 
 
  «Ha perso molto sangue…gli servono cure adeguate o non ce la farà...»
«Maledizione, non abbiamo più tempo! Datti una mossa Blake, sono già qui!»
Jim capiva a stento le parole che sentiva.  Non aveva idea di cosa stesse succedendo intorno a lui. Sapeva solo di avere freddo. Molto freddo.
«Jim» parlò una terza voce e nel suo campo visivo comparvero un paio di occhi azzurri e un volto pallido, segnato dall’agitazione. «Guardami, sei già tornato una volta. Puoi farcela di nuovo.»
Le mani di Solomon Blake premevano sul suo addome, rosse, viscide di sangue. Il suo sangue.
Jim lasciò cadere le palpebre, troppo debole per opporre resistenza, per continuare a lottare.
Era così…stanco.
 
 
Quando, dopo molto tempo – giorni? Settimane? Anni interi?  – trovò la forza per riaprire gli occhi, la prima cosa che vide, sopra di sé, fu un soffitto di stoffa leggera, tra le cui fibre consumate filtrava la luce del sole.
Una tenda.
Era disteso su una branda, una vecchia coperta di lana tirata fin sopra il mento e un vago odore di disinfettante misto a sangue che gli stuzzicava il naso. Gli faceva male dappertutto.
Ignorando le proteste di ogni parte del suo corpo, Jim si mise a sedere, ma una brusca fitta allo stomaco lo costrinse a bloccarsi a metà del movimento. Aveva il busto avvolto da bende.
I ricordi gli piombarono addosso tutti in una volta, come una secchiata d’acqua fredda. La Torre Nera…Lucindra…il suo pugnale che gli penetrava nella carne e poi…
Poi il nulla.
Eppure, in qualche modo, era sopravvissuto.
Che cosa è successo?
In cerca di risposte, ispezionò la piccola tenda in cui si trovava: nient’altro che un vecchio baule, una rastrelliera piena di vestiti, un tavolo con sopra la custodia di una tromba e un giradischi portatile e… 
Si accorse con sorpresa di non essere solo. C’era un uomo, seduto accanto al tavolo, immerso nella lettura di un libro. Era nero, alto e magro, con arruffati capelli grigiastri che gli donavano l’aspetto di un vecchio leone. Quando si accorse di essere osservato, alzò la testa e ricambiò il suo sguardo attraverso la penombra.
«Grazie al cielo!» La sua voce roca giunse familiare alle orecchie di Jim. «Ti sei svegliato! Non muoverti, vado subito a chiamare Arthur! Era così in pensiero!»
La mascella di Jim cedette per la sorpresa. Forse non era ancora del tutto sveglio.
«J-Joel?!» Immediatamente, la ferita irradiò una scossa che gli mozzò il fiato.
Joel King si avvicinò e lo spinse piano tra i cuscini. «Non fare movimenti bruschi, o si riapriranno i punti.»
Jim tornò lentamente a sdraiarsi, senza riuscire a credere a ciò che i suoi occhi stessero guardando. Ma il padre di Arthur era proprio là, in carne e ossa: più vecchio di come lo ricordava, di sicuro più sciupato…
«Tieni» disse, porgendogli una tazza di latta ammaccata. «Bevi un po’ d’acqua. Ma fa’ piano, d’accordo?»
Lo aiutò a bere un paio di piccoli sorsi, tenendogli la testa.
«Come è possibile?» domandò subito dopo Jim. «Come hai fatto a tornare umano?»
«Veramente, speravo potessi dirmelo tu. Sei…be’ eri un mago, no?»
«Ero, appunto» disse il ragazzo, cercando di riordinare i pensieri. «Dimmi cosa ricordi.»
«Quando il Grande Buio si è dissolto, mi sono risvegliato a terra» rispose Joel, passandosi una mano priva di due dita tra i capelli. «Sapevo solo di avere paura, di dovermi nascondere…ma poi ho visto Arthur in forma di leone. Quando si è ritrasformato, ho faticato a riconoscerlo, non credevo fosse cresciuto tanto…sai, un leone non percepisce lo scorrere del tempo come noi.»
«Eri tu allora la persona che ho visto a terra» ricordò Jim, facendo mente locale.
«Arthur ha provato a spiegarmi la faccenda del Vuoto e di quell’incantesimo, lo Scambio» disse Joel. «Io confesso di non averci capito molto. Dopo tutti questi anni… è così strano sentir di nuovo parlare di magia!»
«Purtroppo non è materia che ho avuto modo di approfondire» confessò Jim. «L’unica spiegazione che mi viene in mente è che quando ho perduto i poteri anche gli effetti degli incantesimi che ho lanciato siano svaniti.»
In quell’istante, i lembi dell’ingresso si aprirono e Arthur e Vanja entrarono nella tenda.
«Jim!» esclamò Arthur, correndo al suo capezzale. «Non sapevamo se ti saresti più svegliato!»
«State tutti bene?» domandò Jim, preoccupato.
Arthur sorrise, scuotendo la testa. «Noi? Sei tu quello che si è fatto pugnalare!»
Vanja si appollaiò sul lato della branda; indossava un cappotto verde scuro di qualche taglia più grande per coprire le ali ed era molto pallida, con gli occhi arrossati di chi aveva versato una considerevole quantità di lacrime di recente. «E meno male che avevi promesso di non cercare più di farti uccidere.»
«Con questa, direi che ho finito la mia scorta di vite a disposizione.»
In risposta, lei gli mollò un piccolo pugno sul braccio e lui rise e piagnucolò contemporaneamente.
«Vanja, hai sentito il dottore: non deve strapazzarsi» la riprese Arthur. «È passato qualche ora fa a controllare che non avessi febbre. Dot ha fatto del suo meglio per ricucirti, ma dobbiamo stare attenti che la ferita non si infetti.»
Evitò di aggiungere “adesso che non hai più la magia”, ma il senso rimase sospeso nel breve momento di silenzio che seguì.
«Per adesso pensa a rimetterti in forze» intervenne Joel in tono positivo. «Sei a digiuno da giorni! Chiedo a Dot di prepararti qualcosa di buono.»
«Mi sembra un’ottima idea, grazie papà» approvò Arthur.
Joel diede una pacca sulla spalla del figlio e dopo aver sorriso a Jim e Vanja, lasciò la tenda.
«Lui come sta?» domandò Jim a bassa voce, quando rimasero in tre.
«É ancora un po’ scombussolato» rispose Arthur. Si sedette anche lui sulla branda e prese a giocherellare coi fili tirati della coperta. «Come tutti noi, del resto, ma è bello riaverlo qui. Ha difficoltà coi piccoli problemi pratici, tipo radersi o allacciarsi le scarpe, e per il momento preferisce dormire per terra accanto al mio letto, ma immagino gli serva solo un po’ di tempo…e che Dot non cuocia troppo i suoi hamburger.»
Jim si sistemò meglio sui cuscini, mugugnando ogni volta che la ferita protestava.
«Che cosa è accaduto laggiù?» domandò ai suoi amici. «Ricordo solo che ho pugnalato il Codice Oscuro, che Lucindra si è trasformata in polvere e poi…»
«Anche la Torre Nera è scomparsa» rispose Arthur. «E con essa tutti i mostri. Nessuno però aveva idea di dove fossi…poi, il Famiglio di Lucindra è atterrato in mezzo a noi: pensavamo che ci avrebbe attaccati, e invece, ci ha portato te, ferito ma vivo.»
Su quelle parole, una piccola ombra nera balzò agilmente sul letto, si stiracchiò e gli zampettò vicino, miagolando.
«Lilith» fece Jim. «Mi hai salvato la vita!»
La gatta-demone strusciò il suo corpo caldo e morbido contro di lui, riempiendolo di fusa.
«Hai scelto me, alla fine» disse Jim con un sorriso, facendole i grattini dietro le orecchie. «Sono contento che siamo tornati amici.»
«Eri ridotto male» riprese Arthur. «Avevi perso un sacco di sangue…Blake è riuscito a fermare l’emorragia, ma non c’è stato tempo per medicarti, quelli di Arcanta erano già lì e…»
Il sorriso di Jim svanì e alzò di scatto la testa. «Cosa? La Cittadella ha mandato qualcuno? Chi?»
«Un ometto coi capelli blu e una donna con gli occhi dorati» disse Vanja. «É successo poco dopo che hai raggiunto Lucindra: hanno aiutato a combattere contro le Creature Vuote e gli Zeloti, ne hanno catturati alcuni. Poi sono arrivati dei vecchi seriosi con le tuniche nere…»
Jim si sentì torcere dentro. I Decani… «Un momento, che ne è stato di Solomon? E di Alycia e Isabel…?»
«Non lo sappiamo» rispose Vanja, mestamente. «Blake ha ordinato a Maurice di aprire un portale e metterti al sicuro, ma non ha voluto sapere dove fossimo diretti. Siamo accampati appena fuori Jacksonville da tre giorni, abbiamo raggiunto il resto della compagna. Ma non ce la siamo sentita di ripartire, finché non ti fossi ripreso.»
Jim tacque, mentre la terribile verità gli sprofondava dentro come un sasso. Tre giorni. Tre giorni dalla battaglia, tre giorni dalla fine di tutto… e chissà cosa era successo nel frattempo al suo maestro. Lo avevano portato ad Arcanta? Messo in prigione? Quale punizione gli spettava per aver infranto per l’ennesima volta la Legge, per averlo protetto? Era stato di nuovo costretto a rinunciare alla sua famiglia…?
Era un bugiardo, un narcisista maniaco del controllo e sì, sapeva essere veramente uno stronzo…ma tutto quello che Jim era, tutto ciò che aveva imparato, e alla fine, persino la propria vita… lo doveva soltanto a lui.
«Dovevo restare» disse piano, stringendo i pugni sulla coperta. «Mostrare ai Decani che non sono più una minaccia per Arcanta! Ero l’unica prova che Solomon aveva per dimostrare la sua innocenza e adesso…»
«Jim» lo interruppe Arthur. «Poteri o no, non sappiamo cosa ti avrebbero fatto e Blake non avrebbe mai corso il rischio di trascinarti nei guai con lui. E poi, è sempre l’Arcistregone dell’Ovest, no? Se la caverà.»
Un nodo doloroso gli serrò la gola. “Sei stato un buon amico.”
«Lo spero.»
 
*
 
 
«Spero che tu sappia quello che stai facendo, Blake.»
Della Torre Nera non restavano che radi residui di oscurità, impigliati nel cielo color indaco come brandelli di stoffa. Poche Creature Vuote svolazzavano ancora sopra le loro teste, smarrite; Alycia sentiva l’eco dei loro lamenti e aveva visto alcune dirigersi verso la boscaglia in cerca di riparo dai raggi del sole, ma di lì a poco sarebbero svanite, esattamente come tutto il resto, tramutandosi in cenere.
Cenere e sangue…ecco cosa rimaneva della Grande Opera di Lucindra.
Quanto ad Alycia, era solo vagamente consapevole di ciò che stesse accadendo intorno a lei. Era in ginocchio, le mani coperte del sangue di Jim e tremava.
“Vivrà” le aveva promesso suo padre, la voce roca, provata dalla battaglia e dallo sforzo di strappare ancora una volta il suo allievo dalle braccia della morte. “Ma finché Arcanta gli darà la caccia, non sapere dove si trovi è il solo modo che abbiamo per tenerlo al sicuro. Lo capisci?”
Alycia aveva scacciato via le lacrime e il dolore che le scavava dentro e aveva annuito.
Vivrà. Era la sola cosa che importava.
Lasciarlo andare era un prezzo duro da pagare, ma necessario.
Dopotutto, Jim aveva ragione: non esisteva un lieto fine per la loro storia.
Coi vestiti sgualciti e impregnati di sangue, Solomon Blake si rimise in piedi, mentre Wiglaf li raggiungeva in volo con un paio di possenti battiti d’ali, nella sua luminosa forma demoniaca.
Volkov zoppicò verso di lui. «Che hai intenzione di fare adesso?»
Solomon non rispose. Attese che il famiglio riassumesse le sembianze di un corvo e si sistemasse come al solito sulla spalla destra del padrone, gracchiando qualcosa al suo orecchio.
«Una e Macon erano impegnati a combattere gli Zeloti, non si sono accorti di Jim» apprese. «Ma presto saranno qui. E anche i Decani.»
Boris aprì la bocca e ad Alycia si bloccò il respiro.
«Significa che hanno scoperto tutto?» chiese l’Arcistregone del Nord.
«Oh, era solo questione di momenti, suppongo» replicò Solomon con voce perfettamente calma.
Alycia, al contrario, era nel panico: era stata lei a rivelare la loro posizione alla Cittadella, nella speranza di ricevere un aiuto dalla sua gente…
E ora, avrebbero catturato suo padre.
«Dovevi oltrepassare il portale insieme a Jim!» gli disse con voce concitata, la mente che lavorava a tutta forza per trovare una soluzione. «Puoi ancora scappare, nasconderti! Ti copriamo noi, ci inventeremo qualcosa…»
«Sarebbe inutile» replicò Solomon, rivolgendole un lieve sorriso. «Una scoprirebbe dove mi trovo in un baleno. E voi sareste condannate per tradimento.»
«Ci cancelleremo la memoria!» ritentò Alycia, disperata. «Provvisoriamente, proprio come Margot ha fatto con Jim! Papà, non sei costretto ad affrontarli.»
«Devo, invece» replicò lui. Si sorresse al bastone con una leggera smorfia quando piegò la gamba, e Alycia si accorse che anche lui sanguinava copiosamente. «Se fossi scappato, vi avrebbero messe tutte e due sotto custodia finché non mi fossi fatto vivo. E poi, te lo avevo promesso, ricordi? Una volta liberato Jim, avevo tutte le intenzioni di costituirmi.»
«Per i Fondatori!» esclamò Alycia, atterrita. «Non starai facendo tutto questo per quella stupida promessa?! Papà, chi se ne frega! Preferisco saperti ricercato che prigioniero!»
«Lo sto facendo perché sono stanco di scappare» replicò lui, calmo ma incalzante. «E perché è giunto il momento che mi prenda le mie responsabilità.»
Spaventatissima, Alycia cercò aiuto da sua madre, ma lei non provò a dissuaderlo. Lo guardò negli occhi, col suo sguardo luminoso e fiero, e si posizionò al suo fianco. «Allora, affronteremo anche questa prova insieme. Come una famiglia.»
Intrecciò le dita con le sue, palmo contro palmo. Solomon strinse forte la sua mano e sorrise.
«Io continuo a pensare che sia una pazzia!» fu il burbero commento di Boris.
«È un po’ tardi per farsi venire ripensamenti» disse Solomon, guardando un punto nel cielo di fronte a sé. «Sono già qui.»
Una carrozza nera grande come una locomotiva, trainata da due maestosi velodraghi dorati, si stava facendo strada nel cielo tra i banchi di oscurità residua, per atterrare in pompa magna in mezzo al campo.
Quando le porte si aprirono da sole, ne emersero dieci maghi avvizziti, avvolti in lunghe tuniche nere e svolazzanti. Le loro espressioni severe, tuttavia, stavolta avevano ceduto posto all’incredulità e adesso guardavano lo spettacolo che si presentava loro davanti come un branco di scolaretti smarriti.
«Allora è tutto vero» esalò saggio Antinoo, il più anziano, piegando il collo magro all’insù per guardare quel che rimaneva della Torre Nera. «Il Vuoto…si è liberato!»
L’unico che non sembrava impressionato era uno stregone con una barba bianca curata in modo ossessivo e occhi azzurro chiaro come il ghiaccio.
«Bene» esordì sprezzante, guardando fisso Solomon.  «Sono sicuro che ci sia una valida spiegazione per tutto questo, Blake.»
«In effetti ho molte spiegazioni da dare, Inquisitore» rispose Solomon, in tono amabile. «E sono pronto a seguirvi senza fare storie. A patto che nessuno tocchi mia moglie e mia figlia.»
Nel riconoscere Isabel, i Decani sgranarono gli occhi, esterrefatti.
«Che storia è questa?» domandò immediatamente il Primo Alchimista del Cerchio d’Oro, Melkisedek. «Credevamo fosse morta durante la Guerra Civile!»
«Sono stata fatta prigioniera» rispose Isabel. «Dalla nostra comune nemica, Lucindra Sforza. E senza mio marito non sarei riuscita a scappare.»
Le espressioni dei Decani erano sempre più confuse e scioccate e saggio Elijah dava l’impressione di essere sul punto di svenire: evidentemente erano verità troppo sconvolgenti da digerire tutte insieme.
«Anche questa è una storia che intendo raccontarvi» disse Solomon, paziente. «Sempre se rispetterete le mie condizioni. Sono certo che possiamo risolvere la cosa da gentiluomini.»
Blackthorn quasi gli rise in faccia. «Non sei nella posizione di avanzare richieste. Tutta la tua famiglia è complice dei tuoi crimini!»
«Mia moglie è rimasta diciassette anni confinata nel Vuoto» ribatté Solomon, accigliandosi appena. «E quanto ad Alycia...ha solo avuto la sfortuna di avere me come padre.»
Quando Alycia fece per obiettare, lui la precedette: «Mi assumo ogni responsabilità per le sue azioni: non avrebbe mai agito contro Arcanta se non l’avessi plagiata.»
«Questo non è vero…!» protestò subito Alycia.
In quel momento, Macon Ludmore e Una Duval atterrarono in mezzo a loro, le aure pulsanti di energia.
«Gli ultimi ribelli sono stati catturati» disse l’Arcistrega dell’Est, bellissima e terribile nella sua tenuta da battaglia imbrattata di sangue. «Sono pronti per essere interrogati.»
«Non tutti» obiettò l’Inquisitore e indicò Solomon, Alycia e Isabel con un gesto teatrale. «Arrestateli, tutti e tre: verranno giudicati per alto tradimento e cospirazione contro Arcanta!»
Macon e Una si scambiarono un’occhiata perplessa, ma non fecero obiezioni.
Sulla spalla di Solomon, Wiglaf emise un grido stridulo e sventolò le ali in segno di avvertimento e Alycia si parò davanti a suo padre con le mani pronte a scattare.
«Non fate sciocchezze voi due» ordinò lo stregone. «Andrà tutto bene. Fidatevi di me.»
A malincuore, Alycia si ritrasse.
Macon tossicchiò, in evidente imbarazzo e si mosse verso Solomon, che ricambiò il suo sguardo senza traccia di ostilità.
«Lo so, amico mio» disse, allungando docilmente i polsi. «Nessuno dei due pensava che sarebbe finita così.»
Macon sospirò, malinconico. «Se mi avessi detto cosa stavi combinando, ci saremmo fatti arrestare insieme forse.»
«La prigionia non ti si addice» replicò Solomon con un sorriso. «Poco divertimento e un sacco di sensi di colpa.»
«Vediamo di fare in fretta» incalzò l’Inquisitore.
Macon tracciò due cerchi in aria e i polsi di Solomon finirono stretti da resistenti anelli di acciaio alchemico.
Una Duval si teneva in disparte, con le braccia conserte e lo sguardo d’oro liquido che vigilava sui prigionieri, mentre Boris Volkov assisteva alla scena con espressione combattuta, pallido sotto lo strato di sangue e sporcizia che imbrattava la sua barba.
«E adesso: parlate!» abbaiò l’Inquisitore Blackthorn, posando il suo sguardo feroce su tutti e tre. «Dove sono l’Eretica e quel suo Plasmavuoto, James Doherty?»
«Non lo sappiamo» soffiò Alycia, guardandolo in cagnesco.
Blackthorn interrogò con lo sguardo Una Duval. La ragazza entrò in tensione quando percepì gli artigli mentali della maga insinuarsi nella sua testa, scavando tra i suoi ricordi, ma intercettò il muto ammonimento di suo padre e fece del suo meglio per non opporre resistenza.
Terminata la sua analisi, Una sbatté le palpebre e rispose: «Non lo sa per davvero.»
«Ah, certo!» fece Blackthorn. «Sì, molto astuto! Allora, rispondete a questa domanda e vi conviene essere sinceri! Eravate a conoscenza della profezia sul ritorno dell’Eretica?»
«Oh, andiamo» intervenne Macon, derisorio. «Inquisitore, non crederà mica alle profezie adesso? È roba da Vecchio Mondo!»
Un borbottio si diffuse tra i Decani.
«Un momento» disse Saggio Ling Feh, inarcando un sopracciglio. «Di quale profezia stai parlando, Blackthorn?»
Blackthorn avvampò. «Si tratta di una mera tattica di propaganda! Ma so da una fonte attendibile che l’Eretica ha raccolto a sé i propri seguaci grazie a…»
«Fonte?» domandò allora Melkisedek. «Hai una fonte, Tibor? In nome dei Fondatori, da quanto tempo eri a conoscenza di questa storia?»
«Be’, avevo dei sospetti» si affrettò a specificare Blackthorn, che da rosso era velocemente sbiancato. «Così, visto lo strano comportamento di Blake ho iniziato a indagare…»
«E non hai pensato che forse sarebbe stato il caso di consultarci?» lo riprese duramente saggio Rashid, basso, scuro e con un ricco turbante in testa.
«Io…stavo solo cercando di evitare inutili allarmismi…»
«Allarmismi?!» scattò a quel punto Alycia, incredula. «Santo cielo, vi ho inviato dozzine di richieste d’aiuto in questi giorni! Ci avete ignorati completamente!»
Melkisedek sembrava basito quanto lei. «Non abbiamo ricevuto alcuna richiesta d’aiuto! Abbiamo scoperto cosa stava succedendo qui solo perché i genitori di alcuni allievi della Corte delle Lame sostengono di non avere loro notizie da giorni!»
Sempre più sbalordita, Alycia fissò l’Inquisitore. Adesso tutto le era chiaro. «È stato lei! Lei ha intercettato le nostre richieste d’aiuto!»
I Decani spostarono i loro sguardi sbigottiti su Blackthorn e molti si incupirono e scossero la testa.
«Tzé, degna figlia di suo padre!» sbottò l’Inquisitore, stizzito. «Anche con le spalle al muro prova a rigirare la frittata in suo…»
«Miss Duval» disse Melkisedek, assottigliando lo sguardo. «La prego di fare un po’ di chiarezza.»
Una fissò intensamente l’Inquisitore e Alycia vide con soddisfazione la sua fronte imperlarsi di sudore. Se solo Jim fosse stato lì ad assistere!
«Miei saggi fratelli» balbettò Blackthorn, agitato. «James Doherty è un pericoloso Plasmavuoto e la figlia di Blake una ricercata che ha gettato scompiglio ad Arcanta e derubato i laboratori della Cittadella! Perché avrei dovuto prendere sul serio le loro parole?»
«Perché se avesse dato loro ascolto, centinaia di Mancanti innocenti sarebbero ancora vivi!» intervenne Boris Volkov con fredda collera, cogliendo tutti di sorpresa.
«Volkov, tu come mai sei qui?» inquisì Melkisedek, stupito. «Eri al corrente delle indagini dell’Inquisitore?»
«Certo: ero io la sua fonte di informazioni.»
Il Primo Alchimista era costernato. «E di grazia, perché hai deciso di agire alle nostre spalle?»
«Ho agito su precise istruzioni dell’Inquisitore» rispose Volkov. «Da mesi osservo Blake per suo conto con l’obiettivo di scoprire se stesse o no proteggendo il Plasmavuoto di cui parlava la profezia, ma non voleva che questa storia giungesse alle vostre orecchie: suppongo, per tenere nascosta la sua parentela con James Doherty, che altri non era che suo nipote.»
La rivelazione suscitò una serie di esclamazioni sorprese e bisbigli da parte dei Decani, e Blackthorn si sistemò la toga, sempre più nervoso: tutt’a un tratto, sembrava lui quello sotto accusa.
«Ma non è tutto» proseguì Boris, alzando appena la voce per farsi sentire sopra il brusio. «Ho ricevuto l’incarico di catturare Blake e il suo allievo ed eliminare lui e Lucindra Sforza prima che la voce si diffondesse. Ho coinvolto nell’impresa dieci valorosi guerrieri della Corte delle Lame. Nessuno è sopravvissuto.»
I Decani impallidirono, alcuni si portarono le mani alla bocca, sconvolti.
«Tutto questo ha dell’assurdo!» disse Melkisedek, massaggiandosi la tempia. «Discuteremo del tuo operato alla Cittadella, Blackthorn. Quanto a te, Blake: è vero che hai dato protezione a un Plasmavuoto per tutto questo tempo?»
«È vero» confermò Solomon, candidamente.
«E lo hai addestrato come tuo allievo?» chiese saggio Ling Feh, impressionato.
«Oh, corretto anche questo» rispose lo stregone. «E devo aggiungere che finora si è dimostrato il mio allievo più promettente.»
«Perché?» chiese Melkisedek, allargando le braccia. «Davvero io non riesco a capire, Blake: abbiamo sempre riposto la massima fiducia in te, sei l’eroe della Guerra Civile! Quali erano le tue intenzioni?»
«Distruggere Arcanta, è ovvio!» tuonò l’Inquisitore. «Blake non è mai stato ciò che ci ha fatto credere! É avido, corrotto! L’unico motivo per cui si è sbarazzato dell’Eretica durante la Guerra Civile è stato per poterne prendere il posto!»
«Sarebbe stato indubbiamente facile» ammise Solomon. «Confesso di aver sempre accarezzato l’idea di una rapida scalata al potere e con l’ultimo Plasmavuoto al mondo ai miei ordini lo avrei ottenuto in un pomeriggio.»
«Ma non lo hai fatto» disse Melkisedek. «Perché?»
«Ho compreso che esistono cose più importanti.» Fece un cenno verso Alycia e Isabel. «E che tutti meritano una seconda occasione. Anche un ragazzo venuto al mondo col peso di un potere enorme e che non ha mai voluto.»
I Decani ammutolirono. Melkisedek aggrottò le sopracciglia e cercò conferma da Una Duval, che si limitò ad annuire. «Dice il vero.»
«Be’ ma questo è del tutto irrilevante!» abbaiò Blackthorn furioso. «Ha infranto almeno una dozzina di leggi…!»
«Ha impedito all’Eretica di mettere le mani sul ragazzo per prima» replicò Volkov con voce dura, guadagnandosi uno sguardo stupito da parte di Solomon. «Se non lo avesse preso sotto custodia, a quest’ora nessuno di noi sarebbe qui a discutere!»
Blackthorn scoppiò a ridere. «Non ci sono prove che lo dimostrino!»
«C’è la mia testimonianza» intervenne una voce.
Tutti si volsero, in allerta. Era Zora Sejdić, l’indovina che nel circo era conosciuta col nome di Margot: malgrado recasse anche lei i segni della battaglia, la donna avanzò in mezzo a loro con la consueta classe, fermandosi di fronte ai Decani.
«La Dama Velata» disse Melkisekek. «Ho sentito parlare di te, eri tra i fedeli dell’Eretica, il suo oracolo.»
«E l’artefice della profezia» rispose la donna. «Per anni ho portato avanti i piani della mia signora sotto copertura, in modo da potermi impossessare del Plasmavuoto quando era bambino. L’ho tenuto con me per anni, finché Blake non ha trovato il modo di sottrarmelo.»
«Tutto molto interessante» affermò Blackthorn con voce piatta. «Ma che ne è stato di Lucindra Sforza? E del Plasmavuoto? Chi li sta nascondendo?»
Zora sollevò il mento, fissandolo dritto negli occhi. «Si sono distrutti a vicenda. Non è rimasto più niente di loro.»
Da sotto il mantello di seta nera, estrasse qualcosa e lo porse ai Decani: un libro dalla copertina di pelle logora, recante un foro al centro, luccicante di melma nera. «Eccetto, questo.»
I Decani strabuzzarono gli occhi dalla sorpresa, alcuni addirittura indietreggiarono spaventati.
Persino Melkisedek esitò, poi prese il Codice Oscuro tra le mani come se scottasse. «Impossibile…è andato distrutto!»
«Ho custodito il grimorio della mia padrona» disse Zora. «E la sua arma, in attesa del suo glorioso ritorno.»
Calò il silenzio.
Melkisedek si scambiò uno sguardo esaustivo col resto dei saggi, dopodiché borbottò: «Bene, immagino che la faccenda sia risolta. Liberate i prigionieri.»
«Cosa?» ruggì Blackthorn. «Che significa?»
«Significa» disse il Primo Alchimista. «Che Solomon Blake ha fornito ancora una volta un grande servizio ad Arcanta. Cosa che non possiamo dire di te, Inquisitore.»
«Ma…ma io…cosa?»
«Hai mentito a tutti noi, tenuto segrete informazioni preziosissime per Arcanta» disse il Decano, freddamente. «E permesso che sangue magico puro venisse versato inutilmente. Se Blake non avesse impedito alla profezia di compiersi, probabilmente il Vuoto ci avrebbe uccisi tutti.»
«Oh, ma è ridicolo!» gridò Blackthorn, fuori di sé. «Non vi berrete davvero questo mucchio di menzogne! È Solomon Blake! Lui mente sempre, lo sapete benissimo!»
«Miss Duval?»
La maga fece spallucce. «Nessuna menzogna è stata pronunciata da Blake in mia presenza.»
«Ma..!»
«Bene, mi fa piacere che abbiamo risolto tutto in modo veloce» concluse Macon, battendo le mani: subito, gli anelli attorno ai polsi di Solomon, Alycia e Isabel svanirono. «Ho lasciato i miei allievi soli soletti a far baldoria alla Corte dei Miraggi e solo i Fondatori sanno cosa troverò al mio rientro!»
«E io devo tornare dalle mie ragazze» aggiunse Una Duval. «Con permesso.»
«Un momento!» protestò Blackthorn, gli occhi fiori dalle orbite. «Non potete liquidare la cosa in questo modo! James Doherty non è morto, ve lo posso assicurare! Lo stanno nascondendo! È tutta una farsa..!»
Ma i Decani si stavano già dirigendo verso la loro carrozza, continuando a parlottare tra loro.
«Ah, signorina Blake» disse Melkisedek, voltandosi a guardare Alycia. «Mi è giunta voce dei tuoi recenti esperimenti sull’Anthea. E sull’antidoto alla Materia Vuota.»
Alycia sostenne lo sguardo con aria di sfida. «Ebbene?»
«Sarebbe interessante discuterne. Di questo e di come sei riuscita a eludere con tanta facilità la sicurezza dei nostri laboratori: evidentemente c’è qualcosa che non funziona e inizio a pensare di aver fatto male ad affidarli a Octavio. La sua arroganza avrebbe potuto costarci caro.»
Alycia era così sbalordita che per un attimo si ritrovò a boccheggiare. Deglutì forte, imponendosi di ritrovare l’autocontrollo. «Io…ehm, bene. Ci penserò.»
Intanto, Blackthorn non la smetteva di fissare lei e suo padre con tutto il disprezzo di cui era in grado.
«Sappiate che non finisce qui» sibilò, quando il resto dei Decani fu abbastanza lontano. «Avrai ingannato quei vecchi idioti, ma io so che razza di uomo sei, Blake! E giuro sui Fondatori che stanerò quel piccolo bastardo che hai tanto a cuore, dovessi rivoltare ogni buco di questo mondo corrotto! E quando l’avrò trovato, lo distruggerò come ho fatto con la cagna che lo ha dato alla luce!»
Alycia era semplicemente inorridita da tanta crudeltà. Solomon, invece, gli rivolse un lieve inchino.
«Allora, le auguro buona fortuna, Inquisitore» disse, ma i suoi occhi erano schegge di vetro. «Ma la avverto: sottovalutare suo nipote è sempre un grave errore.»
La risposta del mago fu un ringhio inferocito e voltò loro le spalle.
Solomon invece guardò Zora, ai cui polsi erano apparsi due anelli d’acciaio.
«Perché lo hai fatto?» domandò, prima che fosse condotta alla carrozza.
Lei sorrise. «Tu non hai mai creduto nel destino, Solomon Blake, me lo dicesti anche la prima volta che ci incontrammo. Ma io continuo a non essere d’accordo: ognuno di noi gioca un ruolo in un disegno ben più grande. Avrei solo voluto capire prima quale fosse il mio. E poi…» guardò verso la carrozza trainata da draghi e sospirò. «Ho vissuto lontana dal mondo dei maghi per tutta la vita, vedere Arcanta è sempre stato un desiderio nascosto. Finalmente potrò realizzarlo.»
Macon e Una la portarono via, ma prima di congedarsi, Alycia credette che l’Arcistrega dell’Est le avesse fatto l’occhiolino.
Volkov si avvicinò, zoppicando.
«Torno ad Arcanta anche io: ho il dovere di informare la Corte delle Lame e le famiglie dei miei allievi di quello che è accaduto qui oggi.»
Solomon aprì la bocca per dirgli qualcosa, ma l’altro lo interruppe con un gesto ruvido.
«Chiudi il becco! Ho fatto solo il mio dovere, anche io ho la mia buona dose di responsabilità in quello che è accaduto. Che sia chiara una cosa.» Gli puntò un dito contro, fissandolo torvo. «Continui a non piacermi. Ma non posso mettere in dubbio che tu sia un ottimo mago. E che abbia fatto un buon lavoro con quel ragazzo, dopotutto.» Il suo sguardo si posò su Isabel, sospirò e aggiunse: «Chissà, magari mi sbagliavo anche sul fatto che fossi un pessimo marito.»
«Boris…» iniziò Isabel.
«No no, lascialo fare» disse Solomon. «Mi sto abituando a tutti questi complimenti!»
Boris roteò gli occhi con esasperazione, prima di rivolgersi ad Alycia:
«Non hai bisogno che ti dica di avere cura di te, mi hai dimostrato di esserne perfettamente in grado» le disse. «Ma tieni tuo padre fuori dai guai, va bene? Sono vecchio per continuare a giocare a guardia e ladri.»
Alycia sorrise. «Ci proverò. Grazie, maestro.»
Lo stregone annuì e si congedò da lei con un lento e solenne inchino, da soldato qual era sempre stato.
  
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