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Autore: Zobeyde    08/01/2023    2 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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QUELLO CHE RIMANE - Seconda parte



 
Big wheel keep on turnin'
Proud Mary keep on burnin' 
And we're rollin'
Said we're rollin', we're rollin' on the river...

Proud Mary -
Creedence Clearwater Revival 

 
 
 



L’appezzamento era in fermento quella mattina, in vista della partenza imminente.
Bisognava darsi una mossa: ad appena una settimana dal trasferimento della compagnia a Jacksonville iniziavano a fioccare lamentele dalla gente del posto, per niente contenta di avere una tendopoli di vagabondi alle porte della loro città. Un contadino voleva denunciarli dopo aver beccato un gruppetto di scimpanzé a banchettare nel suo frutteto e una mattina lo sceriffo era venuto ad avvisarli che il loro grizzly, Bruno, era stato avvistato a rovistare tra i cassonetti sul retro di un ristorante. Per fortuna, Arthur era riuscito a convincere lo sceriffo a non piantargli una pallottola nel cranio e il povero e spaventatissimo Bruno a seguirlo docilmente al circo.
«Abbiamo recuperato la maggior parte degli animali» gli aveva raccontato con voce stanca, mentre Jim era ancora allettato. «Ma senza operai è più difficile del previsto.»
Oltre alla gestione del serraglio, c’erano altri problemi urgenti da risolvere: fare scorta di cibo, rimediare un mezzo di trasporto adeguato alle loro esigenze, organizzare il viaggio, assumere nuovo personale.  E soprattutto, tenere alla larga le compagnie rivali, interessate a spolpare quel che restava del Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley.
Gli era stato riferito che i Fox Brothers si erano fiondati come avvoltoi appena si era diffusa la notizia dei loro guai, e che le imprecazioni di Maurice si erano sentite ad almeno un miglio di distanza. Alla fine, i Fox erano stati visti scapicollarsi fuori dalla tenda del direttore terrorizzati, e il Folletto venir fuori col fucile carico in braccio.
Il settimo giorno di convalescenza, Jim si sentiva abbastanza in forze per accompagnare Arthur in giro per l’accampamento: il clima caldo della Florida gli aveva fatto bene dopotutto, e voleva rendersi conto coi propri occhi della situazione.
C’era un gran andirivieni, gli artisti si aiutavano gli uni con gli altri a smantellare le proprie tende, sigillare casse, riunire gli animali. Tutti si dimostrarono felici di vedere Jim in piedi e lui lo fu altrettanto nel ritrovarli in salute, chi più chi meno: Rodrigo era rimasto ferito a un piede durante la battaglia e se ne andava in giro con l’aiuto di una stampella e Wilhelm esibiva una cicatrice sulla guancia destra che invece di imbruttirlo conferiva un'aria da duro alla sua algida bellezza. Quando non c’erano occhi indiscreti in giro, lui e Vanja svolazzavano per il campo per dare una mano e Frank si offriva sempre di sobbarcarsi i lavori più pesanti. Ma la vera sorpresa per Jim, fu scoprire che era sempre supportato da Valdar.
«Sei stato qui tutto il tempo?» gli aveva chiesto, stupito, quando lo trovò a issarsi in spalla grossi sacchi di frumento.
«Voi bisogno di aiuto» borbottò l’orco, che aveva cercato di camuffarsi alla bene e meglio coprendosi il volto con una barba finta e le orecchie appuntite con un berretto di lana. «E Valdar saldato suo debito con Solomon Blake: ora ne ha uno nuovo con Jim.»
Il ragazzo scosse il capo. «Quando la finirai con questa fissa di dover ripagare debiti a destra e a manca? Resta solo se lo desideri, ok?»
L’orco ci pensò. «Gente qui molto strana.»
«Su questo non c’è dubbio.»
«E Dot non cucina tanto bene.»
«Sì, ma eviterei di dirglielo se non vuoi finire nel suo spezzatino.»
«Sono tutti diversi» concluse, grattandosi la testona sotto al berretto. «Ma a nessuno importa: Valdar forse può trovarsi bene.»
Quella risposta era piaciuta molto a Jim.
«Ottimo» disse, porgendogli la mano. «Benvenuto in famiglia allora!»
Salutato l’orco, i due amici proseguirono il giro. Lilith li seguiva in forma di gatta o di corvo, mentre Arthur parlava di come stavano organizzando la partenza, ma l’umore di Jim si era improvvisamente spento; era stato felice di rincontrare Valdar, ma allo stesso tempo, vederlo gli aveva fatto tornare in mente che non avrebbe potuto mettersi in contatto coi Blake, sapere cosa era accaduto al suo maestro. E, cosa più straziante di tutte, che non avrebbe mai più rivisto Alycia…
Si sforzò in tutti i modi di respingere quei pensieri, di non soffermarsi sul dolore per ciò che aveva perso e di concentrarsi, invece, su quanto gli era stato donato e sul futuro.
«Abbiamo trovato un nuovo treno» lo stava informando Arthur nel frattempo. «Cioè…è una vecchia ferraglia, ma dovrebbe andar bene. Credo che Maurice si sia già scelto la carrozza più bella come ufficio.»
«Oh, a proposito» disse Jim. «Dov’è finito? Non l’ho ancora visto.»
«Da quando ha fatto scappare i Fox si è fatto vedere poco» replicò Arthur. «Fa lunghe passeggiate nel bosco, da solo. Ma è venuto a trovarti tutti i giorni quando eri incosciente. L’ho visto anche piangere al tuo capezzale!»
«Impossibile.»
«Aveva gli occhi tutti rossi.»
«Probabilmente era solo ubriaco.»
«Cercate Maurice?» s’intromise Archie il nano, passando loro accanto con un fagotto in spalla. «Ha detto che vi vuole tutti e due nel suo ufficio. Di corsa, anche.»
I ragazzi si scambiarono un’occhiata perplessa.
«Ci risiamo» sospirò Jim. «Vorrei proprio sapere che ho combinato stavolta!»
Trovarono un vagoncino dalla scorticata verniciatura verde con sopra un cartello scritto a mano che segnalava: DIREZIONE.
Jim bussò due volte, ma non ottenne risposta.
«Maurice?» chiamò, ma dall’altra parte ci fu solo silenzio. «Senti, lo so che per colpa mia hai subito un sacco di danni, ma ho un buco nella pancia! Ti sembra il caso di farmelo pesare?!»
«La porta è aperta» notò Arthur.
Varcarono la soglia e trovarono il vagone vuoto, fatta eccezione per un tavolo sbilenco, due sedie e una credenza.
«Che significa?» fece Arthur. «Secondo te è una specie di scherzo?»
Jim aveva forti dubbi. Il Folletto non era mai stato un mattacchione.
Sopra il tavolo, trovò una busta da lettere verde sigillata, la raccolse e la aprì. «È un messaggio di Maurice.»
Arthur si avvicinò, sempre più confuso. Jim scorse il contenuto con la fronte aggrottata e, riga dopo riga, si sentì travolgere da un’ondata di tristezza. «Lui…se n’è andato.»
«Cosa!?»
Jim si schiarì la voce. Aveva la gola arida. «È un messaggio di addio.»
«No!» fece Arthur, scuotendo la testa. «È impossibile!»
Spiazzato quanto lui, Jim lesse ad alta voce:
 
«Cara ciurmaglia e cari Jim e Arthur,
quando troverete questa lettera, io avrò già aperto un portale e starò sorseggiando un Cuba Libre ghiacciato su una spiaggia caraibica.
Lo so cosa state pensando: quel figlio di puttana di un folletto ci ha mollati col culo per terra e se l’è squagliata, come al solito!
Bene, lasciate innanzitutto che vi tranquillizzi su un paio di cosette: il milioncino di Blake è tutto vostro, l’ho nascosto sotto le assi del vagone in cui vi trovate. Sono vostri, usateli per riportare in vita questa vecchia baracca, per trasformarla nel più spettacolare degli spettacoli, una roba di cui la gente parlerà per generazioni!
Quanto a me, ultimamente ho capito diverse cose. Prima fra tutte, che, come direttore, sono stato terribile.
Ho messo me stesso e i soldi sopra il benessere della compagnia e fatto delle scelte pessime, che hanno avuto ripercussioni su tutti voi. Ho ridotto il povero Joel King a uno schiavo e avrei fatto lo stesso anche con te, Arthur, pur di guadagnare. Quanto a Jimmy, avrei dovuto darti più ascolto e comprensione, ragazzo, essere un padre prima che un datore di lavoro.
Quindi, cosa farà ora il vecchio Maurice? Girerà il mondo, si godrà la pensione (e un piccolo gruzzolo che ha tenuto per sé, come liquidazione eh eh!), forse tornerà in Irlanda e si metterà sulle tracce della sua stirpe. E chissà, un giorno si troverà anche una moglie come si deve!
So che ad alcuni questa notizia scioccherà, ma non disperate! Sono sicuro di lasciarvi in ottime mani…»
 
Jim si interruppe. Rilesse tre volte le ultime righe, per essere sicuro di non aver frainteso. Poi, deglutì e sollevò lo sguardo su Arthur.
«Allora?» incalzò l’amico, ansioso. «Cosa dice?»
«Ecco, forse è meglio se prima ti siedi…»
«Cristo, non tenermi sulle spine! Non avrà deciso di lasciare il circo ai Fox Brothers alla fine?!»
«No, Artie» rispose Jim. «Ha deciso di lasciare il circo a te
Arthur si bloccò. Dopo un lungo momento, si umettò le labbra e sussurrò: «C-che cosa hai detto?»
«È tutto scritto qui» disse Jim, sventolando la lettera. «C’è anche l’atto di proprietà firmato…»
Arthur quasi gli strappò i fogli dalle mani e vi immerse la faccia. Continuò la lettura, la voce che inciampava:
 
 «…Nelle mani di una persona che avrà cura di tutti i componenti di questa grande famiglia, animali compresi, senza alcuna distinzione. Arthur, hai dimostrato di essere un giovane laborioso, di avere realmente a cuore il benessere della compagnia e di essere un buon amico per il mio figliastro. Abbi cura di lui e di tutti gli altri, diventerai un uomo degno di rispetto e un grande direttore.
 
Che Dio vi benedica.
 
Maurice R. O’Malley.»
 
«È impazzito» disse Arthur alla fine, con voce strozzata. «Ha perso il nume della ragione!»
Jim invece era raggiante. «E bravo Maurice, questa non me l’aspettavo!»
«Come fai a trovarlo divertente?» Arthur aveva una faccia disperata. «Ti rendi conto del guaio in cui ci ha messo?»
«Oh, ma dai! Hai sentito, no? Abbiamo un milione di dollari per tirare avanti!»
«Ti preoccupi dei soldi?» fece Arthur, sbalordito. «Io non posso fare il direttore, Jim! Ho solo diciott’anni! Non so nemmeno da che parte cominciare..!»
«Nemmeno Maurice aveva esperienza quando ha cominciato» gli ricordò Jim. «Se togli i furtarelli e gli imbrogli…»
«A mio padre verrà un infarto!»
«Tuo padre sarà orgoglioso, come sempre.»
«È tutto sbagliato.» Arthur sembrava sul punto di vomitare. Cercò a tentoni una sedia, vi si accasciò e si prese la testa tra le mani. «È una cosa troppo grande per uno come me, non posso accettare!»
Jim gli si inginocchiò vicino. «Te la caverai benissimo. E poi, non sarai solo, ti daremo una mano noi! Siamo una famiglia, no?»
Arthur sollevò piano la testa. «Potresti farlo tu! Sei il figliastro di Maurice!»
«Io?» replicò Jim, ironico. «Nah, le responsabilità non fanno per me. E poi, lo hai detto tu: sei nato su questo treno, conosci cosa significhi lavorare tra gli ultimi, ami gli animali e non permetterai a nessuno di maltrattarli. Sai meglio di chiunque di cosa il circo ha bisogno: ha ragione Maurice, sei la persona più indicata.»
Arthur sospirò, afflitto. «Sarà una catastrofe.»
«Non essere così pessimista.»
«Jim, proprio non ci arrivi?» esclamò Arthur. «Sono nero! Chi vorrà venire in un circo gestito da un nero? Maurice ci ha rovinati!»
«Ci verranno» replicò Jim, facendosi subito serio. «Perché metteremo su il più grande spettacolo che si sia mai visto in America e il pubblico ci adorerà. E se qualcuno dovesse farti storie per il colore della pelle…be’, abbiamo un demone, un orco, l’uomo più forte del mondo, due elfi, un piromante e due leoni mannari: sfido chiunque a mettersi contro di noi!»
Arthur deglutì forte. Poi, lentamente annuì. «D’accordo, ci proverò.»
«Così mi piaci!»
«Ma solo a una condizione» disse Arthur, fissandolo negli occhi. «Saremo soci, chiaro? Non mi butto in questa cosa se non ci sei tu al mio fianco.»
Jim gli rivolse un sorrisino storto. «Un mago senza magia? Non so quanto possa essere utile nel tuo circo…»
«Non dire sciocchezze!» sbottò, Arthur, accigliato. «Hai sconfitto la strega più potente del mondo con un trucco! Se questo non fa di te il miglior illusionista sulla piazza!»
«Ho avuto solo fortuna.»
«E poi, adesso abbiamo tutti poteri che non sappiamo controllare» proseguì Arthur, inamovibile. «Ci ammazzeremo a vicenda senza qualcuno che ci insegni a usarli. Sei l’unico qui che abbia studiato la magia: perciò, tu resti, chiaro? Sono il direttore, quindi consideralo un ordine!»
Jim si mise a ridere. Si alzò in piedi, batté i tacchi e gli offrì un profondo inchino.
«Come desiderate, maestà! Sarò la voce dietro il trono, il vostro fidato Mago Merlino!»
Arthur roteò gli occhi al soffitto. «Quando la finirai con questa storia?»
«E visto che sono ufficialmente il consigliere reale» aggiunse Jim, con una strizzatina d’occhio. «Suggerirei un aumento per il vostro mago, sire.»
A quel punto, Arthur si sciolse finalmente in una risata. «Lo prenderò in considerazione!»
 
*
 
 
In tutta la sua lunghissima vita, a Solomon Blake era capitato poche volte di viaggiare per nave.
Non gli piaceva l’idea di allontanarsi troppo dalla terraferma e, malgrado la sua magia, la vastità del mare aperto e la sua volubilità gli incutevano sempre un primordiale timore. A onore del vero, molti anni prima si era ritrovato a governare un veliero nei Caraibi, e considerando che era in corso un arrembaggio, non si può dire che se la fosse cavata male.
Ma stavolta sarebbe stato diverso. Stavolta, si sarebbe goduto la traversata e tutti i comfort che la RMS Mauretania aveva da offrire, prima che riportasse la sua famiglia in Inghilterra.
Era l’inizio di un nuovo anno, di un capitolo ancora da scrivere, di un’opportunità per lasciarsi alle spalle gli orrori del passato e guardare al futuro.
Mentre il maestoso transatlantico si preparava a lasciare il porto di New York, Solomon aveva passeggiato con l’inseparabile Wiglaf sulla spalla, osservato i passeggeri che si aggiravano infreddoliti sul ponte e scambiato chiacchiere col capitano.
Poi si era messo in cerca di sua moglie.
La trovò al Verandah Café[1], seduta di fronte a una tazza di tè a forma di tulipano, e con una copia del New York Times aperta tra le mani.
«È sorprendente» commentò quando lo sentì avvicinarsi. «Ho trascorso nel Vuoto nemmeno vent’anni e il mondo è cambiato così tanto!»
Solomon prese posto di fronte a lei e un cameriere si materializzò all’istante per prendere la sua ordinazione.
«Conosci i Mancanti» replicò Solomon, dopo aver ordinato un tè anche per lui. «Sono instancabili: sentono sempre il bisogno di dedicarsi a qualcosa, che sia una guerra o un’invenzione rivoluzionaria, l’importante è darsi da fare. In questo li ho sempre ammirati.»
Isabel annuì, la fronte lievemente aggrottata mentre scorreva le notizie.
Il cameriere portò a Solomon il suo tè e mentre lo sorseggiava, lui si concesse un momento per contemplare sua moglie nella chiara luce del giorno.
Alycia aveva passato buona parte della mattinata a farle provare vestiti e acconciature nella suite al Plaza che occupavano ormai da una settimana; la loro prima settimana insieme, come una famiglia, trascorsa tra shopping, visite ai musei e spettacoli a Broadway. Solomon, orologio alla mano, aveva brontolato che la nave sarebbe salpata nel giro di un paio d'ore, ma le loro risate erano una musica dolcissima per le sue orecchie e non aveva fatto troppo il pignolo.  Alla fine, avevano optato per uno stile che si addicesse alla personalità di Isabel: caschetto alla Luise Brooks e tailleur in tweed, alleggerito da una cravatta sbarazzina e da un cappellino a cloche.
«Mi sono persa così tante cose» sospirò con un velo di malinconia, mettendo da parte il giornale. «Il mondo è andato avanti, gli uomini hanno vissuto le loro vite, Alycia è già una donna e io…io mi sento come un pesce fuor d’acqua.»
«Ti serve solo un po’ di tempo» disse Solomon. «Tornare a casa ci farà bene: potrai dedicarti all'alchimia, riprendere da dove le nostre vite si sono interrotte, da dove il nostro matrimonio…» Lasciò in sospeso la frase, guardandola con incertezza. «Sempre…sempre se è quello che vuoi, naturalmente.»
Isabel lo fissò negli occhi, in silenzio.
«Non mi aspetto che tutto torni come prima» borbottò lui. «E neanche che i tuoi sentimenti siano rimasti gli stessi…»
Lei continuò a tacere.
«Quello che sto cercando di dire» ritentò lui, in difficoltà. «È che voglio che tu ti senta libera di rifiutarmi, se…»
Isabel si allungò sul tavolino, lo afferrò per la giacca blu doppiopetto e lo baciò. Un bacio vero, appassionato, forse un tantino audace per quel contesto…e che, com’era da aspettarsi, attirò molti sguardi, qualche sorriso malizioso e diversi borbottii di disapprovazione.
Nessuno dei due se ne preoccupò.
Quando lo lasciò andare, Solomon schiarì la voce. «Non ci sono più abituato.»
Isabel sorrise. «La traversata sarà lunga, abbiamo tutto il tempo per fare pratica.»
Sentendosi ancora un po’ sottosopra, lui ricambiò, consapevole dell’aria poco intelligente che doveva dimostrare in quel momento.
Poco dopo, Isabel si volse verso il ponte. «Le hai parlato?»
Solomon seguì il suo sguardo: Alycia era affacciata al parapetto, i riccioli neri mossi dal vento. Guardava lontano, immersa nei suoi pensieri, mentre la baia innevata, con i suoi grattacieli e la Statua della Libertà, si dissolveva già nella foschia.
«Non ancora.»
«Dovresti» replicò sua moglie. «Non avremo più molte occasioni, una volta a Liverpool: il controllo dei Decani in Europa è più stretto che in America.»
Solomon tergiversò, rigirandosi tra le dita l’orologio. «Pensi che debba farlo io?»
«Sei suo padre» disse Isabel. «E la conosci meglio di me, è giusto che sia tu.»
Lui annuì e lasciò la veranda.
«Melkisedek si aspetta una risposta» disse, affiancando sua figlia, mentre Wiglaf volava in cerchio sulle loro teste. «Sono giorni che ci tartassa di messaggi: hai intenzione di accettare la sua offerta?»
Alycia sospirò, attorcigliando intorno al dito una piccola ciocca di capelli bianchi, nascosta sotto la criniera corvina. «Non lo so ancora.»
«Io li lascerei a cuocere nella loro pozione un altro po'» suggerì lo stregone. «La Cittadella è lì da mille anni, non va da nessuna parte. Prenditi tutto il tempo che ti occorre.»
«Secondo te dovrei accettare? Tornare al Cerchio d’Oro?»
«Be’ sarebbe un peccato rifiutare» rispose lui. «Considerando quanto impegno ci hai messo. E poi, è solo grazie al tuo antidoto se avrò davanti ancora molti anni da vivere.»
Lei annuì, pensierosa.
«D’altro canto…» proseguì Solomon.
Lei gli rivolse un’occhiata da sopra la spalla.
«Nella vita ci si può rendere conto che le cose che abbiamo sempre ritenuto importanti non lo siano così tanto alla fine. E scoprire che la felicità si nasconde in posti impensabili!»
«Cosa stai cercando di dire, papà?»
Solomon infilò una mano sotto la giacca e ne tirò fuori una busta verde, sigillata.
«È arrivata stamattina» disse, porgendola ad Alycia. «Ce la manda un comune amico.»
La ragazza si rigirò la lettera tra le mani, confusa: nessun francobollo, nessun mittente, eccetto il disegno di un quadrifoglio.
«Non so di preciso cosa contenga» disse Solomon. «E per la sicurezza di una certa persona è meglio che non lo sappia, finché l’Inquisitore continuerà la sua crociata. Ma sono abbastanza sicuro che vi sia indicata una destinazione.»
Alycia incrociò il suo sguardo, la bocca dischiusa.
«Raggiungilo» disse Solomon, con un sorriso. «Ma fa’ in fretta, ho il sospetto che anche lui sia in partenza.»
Alycia aveva già le lacrime agli occhi. «Ma…tu? E la mamma? Ci siamo appena ritrovate, come posso lasciarla..?»
«Avrebbe voluto dirtelo lei stessa questa mattina, ma suppongo non volesse rovinare il momento che stavate trascorrendo insieme» rispose lui. «È la donna più intelligente che conosco, capirà.»
Sopraffatta dalle emozioni, Alycia guardò Isabel, che sorrideva e annuiva seduta al bar.
«Hai trovato la felicità, Alycia» disse Solomon. «Non lasciartela sfuggire o lo rimpiangerai per tutta la vita.»
Lei emise un suono a metà tra una risata e un singhiozzo e lo stritolò in un abbraccio. Lui la strinse forte a sé, sentendo che la sua convinzione già iniziava a venir meno…
Era giusto che lei percorresse la sua strada. Che seguisse i suoi desideri. Che avesse una vita piena di avventura, scoperte e di amore…
«Per voi ci sarò sempre» mormorò tra i suoi capelli. «Basta un solo indizio e io vi troverò.»
«Grazie, papà. Ti voglio bene.»
Si separarono. Alycia prese un istante per asciugare le lacrime e ricomporsi alla meglio, mentre Isabel gettava un incantesimo in modo che l’attenzione dei Mancanti fosse deviata altrove. Infine, con la lettera stretta tra le mani, Alycia corse decisa incontro a una delle vetrate del Verandah Café, lucide come specchi, e si tuffò con tutto il corpo nel proprio riflesso.
 
**
 
 
 
«Tutti in carrozza! Iiiiin carrozzaaaaa!»
Un lungo fischio risuonò per tutto il convoglio.
Mancavano quindici minuti alla partenza: gli ultimi bagagli erano stati caricati, gli animali già sbuffavano nei loro vagoni e la locomotiva eruttava vapore sulla banchina, mentre i ritardatari si affrettavano e salire sul treno prima della chiusura delle porte. Tra loro, c’era un giovane coi capelli candidi accompagnato dappertutto da una gatta nera.
Aveva posseduto diversi nomi in passato, e altrettante identità, ma sentiva che nessuno di essi ormai gli calzava più e al momento non ne aveva nessuno. Ma non sarebbe sempre stato così. Presto ne avrebbe trovato uno nuovo di zecca, proprio come la nuova vita che lo attendeva...
«Avanti, Vanja!» incalzò, mentre aspettava che la bionda trapezista lo raggiungesse trascinandosi dietro l’ennesimo baule. «Sbrigati o restiamo a terra!»
«Provaci tu a correre con questi tacchi! Dammi una mano piuttosto!»
Il ragazzo sbuffò, mentre issavano insieme il baule sul predellino e si domandava se Vanja avesse deciso di portarsi dietro tutti i sassi della Florida…
Lilith iniziò a tirargli l’orlo del pantalone con la zampina, per attirare la sua attenzione. Il ragazzo si voltò.
«Ecco fatto» disse Vanja. «Be’, ti muovi o no?»
Lui non rispose. Stava guardando fisso di fronte a sé, attraverso i vapori fuligginosi che invadevano il marciapiede. Non riusciva a spiegarselo, ma era sicuro di aver sentito qualcosa scattare, come una sensazione di riconoscimento, in un luogo lontano e dimenticato dentro di lui …
Dai vapori emerse una figura vestita di chiffon azzurro, che camminava sorridendo lungo il binario, reggendo in mano una valigia.
Il cuore del ragazzo ebbe un balzo. «Mi hai trovato!»
«Ho saputo che siete diretti in Canada» disse Alycia, con un cenno al treno. «Vado lì anch’io: ho sentito parlare di una rara specie di alberi capaci di resistere alla gravità. Ti secca se approfitto di un passaggio?»
Stordito ma felice, lui si aprì in un enorme sorriso. «Sei arrivata giusto in tempo! Ma devo avverti, sarà un viaggio lungo…»
«Troverò il modo per non annoiarmi.»
«E poi» continuò il ragazzo senza nome, accorciando la distanza che li separava. «Saremo costretti a fare sosta a Los Angeles, San Francisco, Chicago e poi Boston: ti toccherà girare con me tutti i locali più alla moda e ballare fino all’alba. Credi di poter resistere?»
«Mi conosci» disse lei. «Non dico mai di no a una sfida.»
Lui rise e Alycia rubò la risata direttamente dalle sue labbra, perché le distanze tra loro erano state annullate e le parole ormai non servivano più: un treno si apprestava a partire, un’avventura per iniziare e una nuova storia per essere scritta.
 
 
FINE (?)
 
 
Cari amici e lettori!
Con questo capitolo, si chiude ufficialmente questa storia!
Malgrado la stesura abbia avuto una storia un po' travagliata,
 sono abbastanza soddisfatta del risultato e spero di essere riuscita a intrattenervi e chissà, a farvi anche emozionare durante la lettura!
Io di sicuro mi sono divertita un mondo, tanto che sicuramente tornerò a rimettere mano anche al prequel "The White Crow"!
Restate sintonizzati per ulteriori aggiornamenti e come al solito, invito chi lo desidera a lasciare una traccia del proprio passaggio, anche se piccola piccola per uno scrittore è sempre fonte di grande gioia e appagamento!
Un abbraccio e un buonissimo inizio 2023 a voi e Famigli!

Passo e chiudo 

Zob
.


 

[1] Bar collocato sul lato sinistro del ponte del Mauretania: consentiva ai passeggeri di sedersi all'aperto ed essere protetti contemporaneamente dalle intemperie.
 
  
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