Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: _helianthus    31/01/2023    4 recensioni
[ Fugo-centric | Post Vento Aureo | 14mila parole ]
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La prima cosa che pensa è che sembra un coglione, che sotto la lampadina di luce fredda del bagno si vede benissimo che non si lava i capelli da giorni, che sembra più ratto che uomo, che si fa anche un po’ pena da solo; la seconda cosa che pensa è che, oltre a sembrare un coglione, lo è.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Giorno Giovanna, Guido Mista, Pannacotta Fugo
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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3. almeno per me

 

Fugo ha tredici anni ed è all’università. Si trova dentro l’ufficio del professore di Diritto Internazionale, ha una sensazione scomoda nel petto, come se attendesse qualcosa di tremendo. Sa già come va a finire e ha il sospetto che questo potrebbe dare pace a qualcuno, ma in lui fa solo montare un panico da accadrà comunque e non posso farci niente. Infatti, succede, e Fugo non può farci niente. La settimana dopo gli rompe la testa con il Codice civile.

 

Bruno Buccellati lo raccoglie e gli prepara il caffè la mattina mentre lui si chiude a chiave nella sua camera. Rompe la porta del bagno perché si starnutisce sui pantaloni. Buccellati gli versa una tisana alla malva in una tazza del Napoli e Fugo lo ringrazia borbottando.

 

Fugo conosce Narancia e sente qualcosa che si rompe, non sa perché ma sa che gli sarà chiaro più avanti. Lo porta da Buccellati e gli fa mangiare degli spaghetti veramente buoni, e poi un altro piatto, e un altro. Quando se ne va dalla sua stanza di ospedale che ha di nuovo due occhi interi, Fugo sa che è solo una virgola e non un punto, che lo rivedrà presto.

 

Le cose strisciano lente, i giorni sono lunghi e caldi e straordinariamente soli, finché all’improvviso non è dicembre e Buccellati esce una sera che piove a dirotto. Leone Abbacchio. Ex carabiniere trovato... gli mancano le parole, lì sulla punta della lingua. Abbacchio non è gentile, non lo è mai stato e Fugo lo sa anche se non ha senso che lo sappia, ma gli fa comunque compagnia guardando la Signora in Giallo sulla Mediaset.

 

Narancia, di nuovo: si presenta con una spilla d’oro e una faccia da schiaffi. Buccellati gli urla addosso in un napoletano che così stretto Fugo non pensa di averlo mai sentito, e in qualche modo trova comunque il modo di sorridergli appena la sfuriata è terminata e il capo li caccia via con un gesto stizzito. Buccellati rimane di cattivo umore per un paio di giorni, e Fugo si chiede se non sia perché anche lui ha il suo stesso orribile presentimento.

 

Fugo non riesce a dormire. Guido Mista è arrivato da tre giorni e dorme sul divano sfondato in sala, oltre la porta chiusa: ha insegnato loro a fare il caffè con la schiuma come quello del bar e, quantomeno, è uno che prende la mira prima di iniziare a sparare, anche se lo fa comunque quando gli pare. Non sono in ogni caso due motivi abbastanza validi per lasciarlo russare così forte, quindi Fugo scavalca Narancia sul pavimento della stanza e va a scuoterlo nella maniera più brusca possibile.

 

Gli eventi iniziano a correre cedendo sulle loro stesse ginocchia. Precipitano: Giorno Giovanna arriva come un vento forte che li spinge in avanti. A Pompei non lascia Fugo indietro, si fa iniettare un siero davanti ai suoi occhi, si contorce a terra come un indemoniato, Abbacchio si taglia una mano, trovano una chiave, Fugo guarda una pozza di carne ribollire e si scolla dal suo corpo con un gesto pulito, come un adesivo. Purple Haze gli respira sul collo, un mostro venuto dai suoi incubi.

 

Non doveva essere Buccellati ad andare su, sul campanile. Fugo lo pensa di sfuggita mentre vede lui e Trish allontanarsi dalla barca, ma sotto sotto sa che non poteva andare diversamente. Non si stupisce quando realizza che sa già come va a finire. Rimane sul molo, proprio perché sa già come va a finire, e perché non vuole morire, e forse anche se lo volesse non riuscirebbe a muovere un passo in avanti.

 

Narancia si butta in acqua e li segue strillando. Stavolta esita per una sola manciata di secondi: gli altri sono ancora abbastanza vicini al molo da permettere a Fugo di vedere il viso di Buccellati che si rilassa in un’espressione di affetto che non gli ha mai visto fare. Fugo sa che, se si buttasse, riceverebbe lo stesso sguardo, ma non può non rimanere sul molo. I piedi gli restano incollati e la voce gli muore nei polmoni.

 

Abbacchio è il primo. Fugo legge di sfuggita un trafiletto, e sa già come continua, sente le cose che succedono nello stesso modo in cui parte un treno a vapore: accelerando piano e rumorosamente e con l'inerzia di tonnellate di metallo, inarrestabili. Buccellati muore e gli fanno i funerali grandi. Fugo si spegne le sigarette addosso e si stacca le croste e dorme sul pavimento del bagno.

 

Giorno lo guarda piangere e gli viene incontro. Gli parla di una flebile luce: se non fosse che Giorno splende più come un mosaico d'oro che come una lucciola, potrebbe essere lui.

 

Mista gli gravita intorno come un asteroide destinato a collassare su un pianeta: gli ruota attorno, cercando di tenersi a distanza, ma sa come va a finire. Questo non rende il tutto meno doloroso, nemmeno i racconti, anche se li ha già sentiti tutti. Anche le strette, i capelli arruffati, gli fanno meno paura. Conosce già quelle mani, due volte.

 

Proprio perché sa come va a finire, Fugo è terrorizzato. Si morde il labbro quasi da farlo sanguinare e sposta il suo alfiere in silenzio, una mossa decisa con noncuranza a metà del ragionamento che stava facendo ma non ce la fa più, doveva muovere e potrebbe impazzire. Giorno ha gli occhi fissi sulla scacchiera e passa del tempo prima che alzi la mano per muovere il suo pezzo: Fugo è rapidissimo, allunga la mano e gli stringe le dita. Sono diritte e lunghe un po’ come le sue, ma Giorno è più grande, e così anche le sue mani. Il suo sguardo si alza e incrocia quello rosso di Fugo: sembra registrare quello che vede con riverenza stupita, come se stesse guardando un quadro, e Fugo sostiene quegli occhi per un tempo mirabilmente lungo prima di lasciar andare e permettergli di fare la sua mossa sulla scacchiera. Nonostante tutto, anche quando Fugo riesce in qualche modo a vincere la partita, Giorno non smette di fare il suo piccolo sorriso.

Fugo ha tredici anni ed è nell’ufficio del suo professore di Diritto Internazionale. Gli tremano le mani e sente la bile che gli risale in bocca, si chiede perché tra tutte le cose deve sentirsi intrappolato in questo déjà-vu. Almeno finisce sempre uguale, con la testa spaccata del professore.

 

Buccellati li prende su dalla terra uno a uno, animali inadatti alla vita ma perfetti per il suo circo, e ce n’è per tutti: il pagliaccio, il leone, l’equilibrista, il mangiafuoco. Fugo ha l’impressione che Narancia stia piangendo mentre si fa trascinare al Libeccio per un pasto decente, forse anche lui sente quell’orrore nel petto, ma non oppone resistenza. Fugo vorrebbe fermarsi e andare da un’altra parte, magari a prendere un panino e chiuderla lì, ma non può, i suoi piedi camminano da soli.

 

Giorno arriva sempre come un Dio misericordioso su di loro. Ormai la storia la sanno, anche se forse hanno dimenticato i particolari peggiori. Fugo scopre un nuovo dolore quando cerca di stringere per un’ultima volta la mano di Narancia sul molo di San Giorgio Maggiore e quello scivola via senza guardarsi indietro. Pare che non riuscirà mai a salutarlo davvero, non importa quante volte tutto questo succeda.

 

Sheila E e Cannolo Murolo lo accompagnano in Sicilia, a fare qualcosa di rischiosissimo che non è più tanto rischiosissimo perché comunque chi muore e chi vive lo sanno. Quando Fugo morde la capsula di Purple Haze e sente la morte entrargli in gola, pensa che stavolta se lo sarebbe davvero risparmiato.

 

Mista e Giorno gli chiedono di guardare film americani insieme: commedie romantiche, quelle che piacciono a Mista. Devono tutti imparare meglio l’inglese, e così Fugo dice sì. Ogni tanto si dimentica che c’è anche qualcosa di bello, in tutto questo.

 

Quel giorno, è quasi comico: sono entrambi ad allungare la mano sulla scacchiera. C’è un motivo di urgenza insensata nella cosa, come a voler anticipare un’alba solo perché si sa che deve accadere. Giorno ruota la mano mostrando il palmo verso l’alto e Fugo lo sfiora con la punta delle dita, prima di premerle leggermente sulla pelle calda. L’altro risponde allo stesso modo e Fugo si sente sobbalzare per la sorpresa di una causa-conseguenza così immediata. È la prima volta che si sentono l’un l’altro, non è affatto la prima ed è frustrante come le altre, perché lo intuiscono che poi ricomincerà tutto di nuovo, Fugo vorrebbe che non dovesse essere tutto lì, e lo shock lo stordisce: Fugo vorrebbe che non dovesse essere tutto lì. Lo sgomento lo fa alzare, la sedia che striscia sul legno del pavimento fa un suono irritante, ma lui lo ignora, va da Giorno, lo guarda dall’alto, e Giorno gli prende di nuovo la mano, sbatte le palpebre con le stelle negli occhi. Fugo la stringe, si china, gli posa un bacio sulle labbra.

Fugo è di nuovo rimasto incastrato: come sempre, le lasagne sono compito suo.

Il ragù borbotta dentro una pentola enorme e sui vetri si è formata una condensa che tra poco diventerà acqua e inizierà a gocciolare per terra. La besciamella riposa lì a fianco, un mostro di due litri di latte e burro e farina e noce moscata che Fugo ha coperto con la pellicola di plastica, facendo attenzione a non lasciare bolle d’aria.

È solo, per il momento, gli altri sono andati a comprare le ultime cose: il borbottio del ragù e la pioggia sulle finestre creano un rumore di fondo piacevole e sono un ottimo complemento per il valzer che riempie, piano, la stanza. A Fugo del Capodanno gli importa praticamente zero, ma il primo di gennaio sulla Rai danno sempre il concerto in diretta da Vienna, e non vede l’ora di riascoltare il Sul bel Danubio blu, ogni volta come la prima. È un motivo buono abbastanza per essere di buonumore.

Non si gode la solitudine per più di qualche minuto. Sente la porta del condominio chiudersi, un rumore lontano ma comunque forte abbastanza nel silenzio, e ancora più forti sono gli schiamazzi che provengono dalle scale, il tonfo dei passi di qualcuno che corre, le chiavi che girano due o tre volte prima di riuscire a imbroccare il meccanismo giusto.

Così, finisce la pace. Negli istanti che passano tra il momento in cui Fugo li sente entrare e quello in cui la testa di Mista fa capolino dalla porta della cucina, si permette di pensare che forse il silenzio gli piaceva più di questo.

Poi entrano anche Giorno, Narancia, Bruno, Leone, posano le buste della spesa sul tavolo, si lamentano tutti del freddo (‘un freddo accussì, a Napoli, nella mia vita mai’, dice Bruno, come se non lo dicesse ogni anno) e della pioggia, Mista cerca di rubare un cucchiaio di ragù, Fugo gli urla di non toccare e gli lancia una presina per cercare di scacciarlo, e tutto ritorna normale.

“Fugo, dai! Neanche a me? Che sono il tuo migliore amico?” Narancia lo supplica, unisce le mani in preghiera e, siccome ha ancora i mezzi guanti addosso, sembra una povera fiammiferaia che gli chiede una moneta in una notte fredda di gennaio.

“No,” Fugo gli prende il cappello e glielo tira giù fin sotto il naso, “e non fatemi girare le palle,” dice soltanto, e Narancia si dimena per levarsi il cappello di dosso, Mista si gira per disfare le buste della spesa. Giorno invece tira fuori il cucchiaio di legno dalla pentola e, sotto lo sguardo allibito di Fugo, se lo porta alla bocca, animato da una serenità d’animo che Fugo stesso probabilmente non prova dal 1987, quando neanche parlava.

Il cervello di Fugo si impalla addosso al palese menefreghismo degli ordini dati: normalmente si incazza, ma con Giorno non può incazzarsi, c’è qualcosa che glielo impedisce, forse perché a differenza degli altri due non è un coglione, però neanche Abbacchio è un coglione, e lui gli insulti se li becca sempre, e allora-

“E che cazzo, però allora dillo!” Strilla Mista, le braccia aperte e rivolte verso il colpevole indifendibile. Giorno rimette giù il cucchiaio nella pentola, pare che non stia neanche ascoltando. “Giorno ha questi privilegi solo perché ti ci ammocchi, e che cazzo!”

Fugo un po’ si sente arrossire, e non perché si vergogni, anche perché ormai è passato del tempo, ma perché Guido avrebbe meno tatto di un batticarne su una polpetta di nonna. Ed è sempre strano pensare che gli altri sappiano, e che siano okay e non siano strani, e che lui non sia strano ad avere questa situazione e a volere tenerla. Per sé. Così, perché gli piace e perché a Giorno ci tiene.

“Giorno non ha nessun privilegio-“

“Pannacotta, ti prego. Cos’ha lui che io non ho?”

Di nuovo Narancia, che è riuscito a sfilarsi il cappello e che ora stringe quello in una mano e il grembiule da cucina di Fugo nell’altra, “mi vuoi biondo come lui? Guarda che posso essere biondo anche io.” Narancia lo tira per il grembiule, Fugo gli dà una sberla gentile sulla testa.

“Se lo vuoi intelligente come lui, invece, meglio che ti accontenti,” Abbacchio commenta dall’altro lato della porta, e Fugo si meraviglia del fatto che stesse ascoltando, “perché quello non succede neanche se scende la Madonna.”

“Ehi!” Narancia molla la facciata da mendicante (strano, gli riusciva bene) e spalanca la porta della cucina per andare ad aggredire Abbacchio, che ha appena finito di togliersi il cappotto. Inamovibile, gli blocca la testa in una specie di headlock da wrestling e poi lo lascia agitare le braccia, dando l’immagine di uno strano agglomerato di fettuccine in centrifuga.

“Comunque il ragù è buono, le lasagne saranno ottime,” si intromette Giorno, a metà tra il diplomatico (rabbonirsi Fugo e anticipare il prodotto finito agli altri) e il paraculo (ignorare tutto il resto).

In effetti probabilmente è per questo che lui la passa sempre liscia, perché alla fine in qualche modo te la sa vendere, e tutto il resto non lo tange. È una cosa che in chiunque altro lo manderebbe ai matti, Fugo, che di cazzari devastanti ne ha incontrati un po’ nei suoi ventisei anni di vita, ma forse di Giorno si fida proprio tanto, perché si rende conto che crederebbe a qualsiasi scemenza gli dovesse propinare con quel modo di fare così pacato e al contempo deciso.

“Certo, se mi lasciassi assaggiare anche la besciamella…”

Fugo alza entrambe le mani in aria, inspira profondamente e si mette a urlare.

“Fuori! Via di qua! Tutti!”

Giorno ride, cristallino, e Fugo intercetta il suo sguardo e un po’ ride anche lui. L’altro, prima di uscire, si china un poco e gli lascia un bacio sui capelli.

“Uno non può neanche mettere via la cazzo di spesa,” borbotta Mista, chiudendo il congelatore dove ha appena cacciato il sorbetto, “quando avrai bisogno di me, Fugo, mi telefonerai, e io ti risponderò comunque e ti aiuterò, perché sono un amico grosso così, e non ti farò neanche sentire in colpa, proprio perché sono un amico grosso così, e allora un po’ spero che ti sentirai in colpa.”

“Guarda, non penso,” gli risponde Fugo senza guardarlo, e riprende a mescolare il ragù, “però me lo segno, in caso.”

Mista non gli risponde: se ne è già andato e ha messo vicina la porta, senza sbatterla perché nonostante tutto incredibilmente non è un animale. Fugo respira, ritorna a sentire la musica e la pioggia, insieme al rumore ovattato degli altri, di là.

“Anche io sono incluso negli intrusi a cui spari a vista?”

Bruno socchiude la porta, sbucando solo con metà faccia. Si vede già che se la sta ridendo.

“Se non hai mire espansionistiche verso il ragù, puoi avere un visto turistico.”

“Ho mire di mettere il vino in terrazza, perché penso che il frigo sia pieno.”

“Ah, sennò chi lo sente quell’altro. Se il suo Sangiovese di sta gran ceppa non è esattamente a dodici gradi poi ci accende un petardo in casa.”

Bruno apre la porta e la richiude. Ha due bottiglie di vino rosso in una mano e nell’altra una di bianco: quella di solito se la dividono loro due, che sono gli unici a preferirlo lì dentro, anche se poi Leone finisce sempre per assaggiarlo dal bicchiere di Bruno, per decantarne i tannini e il rumore e la sapidità e tutte quelle altre cazzate.

“Lo sai che in realtà sono io il rompiscatole da questo punto di vista.”

“Lo so. Ma a te non è divertente prenderti in giro.”

L’altro sbuffa dal naso, se Fugo fosse girato lo vedrebbe alzare gli occhi al cielo. Esce sul terrazzo, nasconde le bottiglie tra i vasi, riparate dal vento, in mezzo alle pianticelle di Giorno che per qualche motivo resistono anche all’inverno e ritorna dentro. Bruno si sfrega le mani per levarsi la pioggia di dosso e si posiziona davanti ai fornelli, al suo fianco.

“Ma quindi questo ragù?”

È incredibile il fatto che, nonostante tutto, in ‘sta casa siano tutti dei cazzari. Fugo ruota la testa verso l’amico, un’espressione di neutro disappunto sul volto.

“Il suo visto turistico è appena scaduto di validità,” pronuncia, indifferente, “si prega di rinnovarlo al più presto. Nel frattempo, si levi dal cazzo.”

Bruno scoppia a ridere e gli dà un paio di pacche sulle spalle prima di allontanarsi verso la porta della cucina, verso il casino che gli altri stanno facendo. Quando apre la porta, Fugo intravede tutta la luce che c’è di là: Narancia e Mista devono avere riacceso l’albero di Natale con le sue luci lampeggianti tremende, perché ci sono dei flash di colore che in giorni più infelici gli darebbero un tot di mal di testa. Fugo sente il coro di disappunto quando qualcuno (presumibilmente Leone) stacca la presa, seguito dalla voce un po’ sconsolata di Giorno che piange le sue ombre cinesi stroboscopiche, e nuovamente quella di Leone che li manda tutti al diavolo.

“Noi ti aspettiamo di là,” gli sorride Bruno, e gli arriva agli occhi. “Se hai bisogno, comunque, chiama.”

“Chiamo, chiamo. Tu vattene.” Fugo lo guarda con la coda dell’occhio. “E veloce, magari.”

Una pausa.

“Fugo?”

“Ma te ne vai?”

“Sì, sì. Solo, ti vogliamo bene.”

Fugo si gira, un attimo preso in contropiede dalla casualità dell’affermazione, e sente un’urgenza nel dover rispondere, come se Bruno potesse sparire entro i successivi dieci secondi, lasciandosi dietro solo una porta socchiusa e il silenzio. Anche se sa che non è realistico ogni tanto il panico gli prende comunque, se avesse ancora sedici anni finirebbe a pensare che uno come lui, per qualche ordine cosmico intrinseco, certe cose così felici non le merita.

Quand’è così, si costringe a mettere a fuoco quello che ha davanti, a concentrarsi sui suoni, invece di perdersi nella sua mente nevrotica: Bruno è ancora lì, come anche gli schiamazzi al di là della porta. L’ha già detto migliaia di volte nella sua vita e quindi è facile far uscire la voce; Fugo risponde piano:

“Anch’io.”

 

 

 

 

 

 

 

*

Phew! Grazie davvero se avete letto fino qua. Le ultime lunghissime note (mi dispiace amo le note…):
1. Per chiarire: questo capitolo racconta in velocità due reset generati da Pucci nel finale di Stone Ocean. l’ultima parte è invece un po’ il mio reset felice personale, un po’ come l’ultima scena di SO: hanno tutti vite diverse da quelle che hanno in vento aureo, ma si sono reincontrati proprio come il gruppo di SO, hanno fatto amicizia e beh ecco ora Fugo fa le lasagne per capodanno
2. Come già detto, quando ho iniziato a scrivere questa storia, era più uno sfogo che altro, soprattutto il primo capitolo. Mentre scrivevo notavo due cose in contrasto: volevo che finisse comunque su un tono ‘felice’, e al contempo continuavo ad appesantire le condizioni di Fugo. Poi ho finito l’anime di Stone Ocean e ho pensato che il reset potesse essere un buon modo per avere un happy ending, dopotutto perché no (=non me ne frega niente)? Però non volevo che la morale fosse ‘la storia finisce bene solo perché gli eventi traumatici sono stati evitati’, e con questo spirito ho iniziato a scrivere il secondo capitolo: se il reset non fosse avvenuto, in qualche modo Fugo sarebbe riuscito a trovare un suo equilibrio e una sua serenità, come ho cercato di far capire descrivendo gli eventi del 2012. Il reset è stato solo un “colpo di fortuna” che gli ha permesso di abbreviare la strada (e di riavere i suoi amici…), e poi sinceramente credo che se la squadra di vento aureo avesse avuto un po’ più di fortuna nella vita, nessuno di loro sarebbe finito a fare il criminale (compreso Giorno)
3. Il titolo “amico fragile” viene dalla canzone di de andrè, mentre i capitoli vengono dal ritornello de “la guerra è finita” dei baustelle e sceglierla è stata un po’ un controsenso, visto che parla di un suicidio, ma ho voluto essere più letterale: dopo vento aureo, fugo decide che la sua guerra è finita, e lo ripete più volte, come un mantra. idealisticamente deve capire cosa fare, soprattutto per iniziare a guarire. E niente. Viva le storie di guarigione. E soprattutto viva Greta e cioè whatachaos (seguitela disegna de cristo) che mi ha aiutato a scegliere e mi supporta nei miei deliri su jojo guardando i miei powerpoint sulla bruabba pure se jojo non lo guarda
4. Avete presente kronk che si sveglia di notte e dice “IL CONTADINO. Alla locanda. Non ha pagato il conto” e poi torna a dormire ecco sono io che mi sveglio e dico “TRISH UNA. Non l’ho messa nella mia storia. Beh ci sarebbe troppo da dire” e poi torno a dormire
Diciamo che comunque fugo come personaggio è bello complicato, e una storia slice of life introspettiva non è abbastanza per esplorarlo per bene. Spero comunque di avergli fatto giustizia (araki cristo!!!!) nello spazio che ho avuto, e spero che la storia vi sia piaciuta se siete arrivati fino qui.
Grazie di cuore per i commenti e per aver letto!!!
baci
cate

 

   
 
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