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Autore: CervodiFuoco    01/02/2023    0 recensioni
"Una palla di fuoco si espanse come un enorme palloncino. Detriti vennero scagliati ovunque. Il cielo grigio era lacerato da strisce di fumo. I suoi compagni correvano di qua e di là, smarriti. Ma dove andavano? Cos'avevano da fare? Tanto, ormai, era finita. Ci si poteva rilassare. Lasciarsi andare... a quel tepore, quel silenzio. I rumori assordanti non c'erano più, la pesantezza del corpo nemmeno. Il respiro sempre più flebile dava spazio alla mente di alleggerirsi e di andare su, su, sempre più su..." // Questa storia narra degli Ultimi Hunger Games di Capitol City, ma i ragazzi che vi partecipano appartengono alla serie TV "Motherland - Fort Salem" e possiedono poteri speciali simili a quelli degli X-Men. Inoltre gli avvenimenti sono completamente diversi, ho ripreso solo l'ambientazione e le dinamiche di Hunger Games. Buona lettura, spero vi piaccia e fatemi sapere che ve ne pare nei commenti, vi leggerò con piacere!
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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2 - IL RISVEGLIO DI LIBBA

 

Benessere. Piacere. Pienezza. Respiro... il respiro sempre più profondo e tranquillo. Qualcosa che fino ad allora era rimasto contratto, irrigidito, cristallizzato, adesso si scioglieva: Libba aprì pian piano gli occhi.

Su una trama di un grigio piatto brillava una striscia sottile di luce fortissima, davanti alla quale spiccava una sagoma nera indistinta. Questa si allontanò lentamente, uscendo dal suo campo visivo.

«Dovrebbe stare bene» mormorò qualcuno.

«Brava, Rae» rispose una voce familiare.

Altre voci sospirarono e boccheggiarono in coro.

Di nuovo la sagoma nera si contrappose alla striscia di luce accecante.

«Ehi.»

Una mano scivolò dietro alla nuca di Libba con grande delicatezza.

Le ci volle un po' prima di mettere a fuoco il viso di Abigail.

«Ancora viva, eh?» continuò Abigail. «Sei dura a morire. Per fortuna.»

Libba si rese conto che stava guardando un soffitto, e che la striscia luminosa era una lampada elettrica. Guardò con intensità i lineamenti di Abigail, poi piegò il viso di lato stringendo le labbra e deglutì.

«Ehi, ehi... »

Libba avvertì l'altra chinarsi su di lei; ma non voleva quella vicinanza. O forse si? Entrambe le cose. Sapeva solo di avere un'ondata di lacrime da far uscire dagli occhi, e fu ciò che si permise. Scoppiò a piangere, singhiozzando piano. Abigail la strinse a sé, inginocchiata al suo fianco. Rimasero così a lungo, finché Libba non ebbe consumato ogni stilla di emozione che gridava per uscire. Quando si calmò, fu in grado di tornare a guardare Abigail in faccia e, finalmente, a ricambiare il suo abbraccio.

«Grazie... schiappa» sibilò.

«Prego, lumaca.»

Dei passi si avvicinarono; Abigail si discostò per alzarsi in piedi, mentre Libba alzò il capo e si tirò su sui gomiti per guardare una ragazza bionda al suo fianco avvolta da un alone aranciato. La luce in quel posto era strana.

«Come ti senti?» le domandò flebile Raelle.

Libba ascoltò il suo corpo e le sensazioni fisiche soltanto in quel momento con consapevolezza. Si umettò le labbra. «Bene.» Si toccò furtivamente la pancia: era a posto, eccetto un buco di una decina di centimetri di diametro nella tuta. Alzò gli occhi per incrociare quelli di Raelle. «Sei stata tu a... »

L'altra annuì. «Si.» Strinse i pugni e li riaprì quasi subito dopo. Alle sue spalle, altre due persone borbottavano sedute nella penombra.

«Cos'è successo?» chiese Libba.

«Ci è piovuta addosso una granata urlante» disse Raelle, avvicinandosi ulteriormente a lei per sedersi a gambe incrociate a terra. «Noi siamo riusciti ad evitarla proteggendoci, ma in qualche modo le onde d'urto ti hanno raggiunta. Ti sei staccata dal gruppo, non so come, forse sei stata sbalzata via.» Sospirò, e con voce più debole proseguì: «Quando Abigail è tornata indietro a prenderti, eri messa male.» Guardò il ventre di Libba e poggiò una mano sul proprio. «Insomma, hai rischiato. Tanto. Ma... ce l'hai fatta.»

«Ce l'abbiamo fatta» la corresse Libba, cercando Abigail nella stanza: si trovava in un angolo, apparentemente indaffarata con quella che sembrava un'enorme mappa aperta e tenuta alzata come una tenda tra le sue dita.

Libba guardò Raelle e le tese la mano: l'altra la afferrò forte e la strinse, e trovarono un'intesa che non avevano mai avuto prima. Si sorrisero.

Raelle fece per alzarsi, ma lei la trattenne.

«Dove sono gli altri?»

«Gli altri?» ripeté la bionda inarcando un sopracciglio.

«Eravamo in dodici.»

«Oh» Raelle si strofinò le dita della mano sulla fronte. «La granata urlante ci ha divisi in due gruppi.»

Allora Libba allungò il collo per cercare di capire chi fossero le due persone sedute nel fondo di quell'angusta stanza dalla luce aranciata e nebbiosa. Mise a fuoco una ragazza dai capelli raccolti in uno chignon, china a conversare a bassa voce con un ragazzo robusto dai corti capelli scuri.

«Glory... Gerit.» Libba scandì i loro nomi a voce abbastanza alta da farsi sentire dai due, i quali interruppero la loro discussione per voltarsi da quella parte. «Proprio voi due?» dichiarò con una punta di sarcasmo.

Abigail distolse gli occhi dal gigantesco foglio spiegato che reggeva per puntarli su Libba; parve trattenersi dal dire qualcosa e tornò alla sua misteriosa analisi.

Raelle, dal canto suo, ammiccò a Libba. «Se non fosse stato per Gerit, non saremmo riuscite a prevedere la granata. E' grazie a lui se siamo tutti vivi.» Si diede una spinta con le braccia per tornare in piedi. «E a Tally. Ora riprenditi, riposa ancora un po'... non devi alzarti subito» ammonì Libba, prima di allontanarsi per raggiungere Abigail.

Gerit e Glory, interdetti per l'affermazione di Libba nei loro confronti, erano rimasti a scrutarla in silenzio.

«Mi fa piacere vedere che stai bene» esclamò Gerit con garbo, vedendo Libba disoccupata.

«Si, anche a me. Eravamo in pensiero» si aggiunse Glory.

«Grazie» rispose con titubanza Libba, che non era abituata a quelle gentilezze nei suoi riguardi da parte di chi non gli andava simpatico. D'altro canto, però, le avevano salvato la vita... prima fra tutte Abigail. Questo doveva pur dire qualcosa. Qualcosa di grande, di enorme, di... colossale. Non riusciva ancora a capacitarsi della mole dell'importanza di quel pensiero, e anziché rimanervi preferì disfarsene per abbandonare il proprio peso all'indietro. Si distese ancora un po', seguendo il consiglio di Raelle. Abbassò le palpebre e lasciò che la mente si svuotasse con un bel sospiro.

Rivide l'immagine delle turbine sulle ali del velivolo che avrebbe trasportato lei e il suo gruppo cominciare a roteare furiosamente e sollevarla su in cielo, mentre la piazza circolare del suo Distretto si faceva piccola piccola nella vista ristretta che offriva l'oblò. E poi, dopo il viaggio breve ma interminabile, reso insopportabile dall'adrenalina, la paura e la rabbia, l'atterraggio nell'hangar. Il pomposo, stupido, futile ricevimento e le parole insensate della Presidentessa davanti alla platea, mentre loro stavano schierati come burattini sul palco. Le musiche melense sparate a tutto volume da altoparlanti invisibili. Quello le dava parecchio fastidio, chissà perché, molto più di altre cose. Da lì in poi, i ricordi si accavallavano furiosi: il pomeriggio divorato dalla sera, la notte passata in bianco, la sveglia prima dell'alba e l'inserviente che viene a chiederle cortesemente di seguirla, e lei non ha bisogno di chiedergli dove né perché, e ha già preparato ogni cosa ore ed ore prima, e anche se ogni cellula del suo corpo si rifiuta di farlo lei deve seguire l'inserviente nel corridoio che conduce all'elevatore. E l'elevatore, lo sanno tutti cosa significa. Che sei sotto l'Arena. Ed allora non c'è più modo...

«Libba.»

Libba riaprì gli occhi e levò di scatto la testa: Abigail la teneva d'occhio con la mappa abbassata. Tutti quanti nella stanza la stavano fissando. Cos'avevano da fissarla così? Alzò una mano per asciugarsi una guancia rigata da una lacrima e indurì i muscoli facciali, rendendosi conto in quel momento che stava piangendo.

«Sto bene. Mi riposo un po'.»

Si voltò dall'altra parte e cercò di addormentarsi. Ci riuscì solo molto tempo dopo, cullata dall'intreccio di bisbigli creato dalle voci dei compagni alle sue spalle.

   
 
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