P
R E L V D I O
S I A C O
N S E G N A T O A
L L ‘ E T E R N O
Sapeva
che era sbagliato spiare una donna nuda che si dilettava in un bagno,
ma era un
sapere piuttosto … intuitivo. Nessuno lo aveva mai
rimproverato, lo aveva mai
proibito o altro, si era sempre detto che non stava bene.
Però lui era un
bambino curioso.
Nizza
veniva dalla terra dei fiori, era appena arrivata, da quelle parti, con
i suoi
vestiti marciti addosso, le suolo delle scarpe così
consumate da aver scoperto
le piante nude dei piedi ed i
capelli castagna,
arruffati come il nido di una rondine. Selvaggia
nella maniera sbagliata, come un cane con la rogna.
“Ho bisogno di un posto … dove stare”
aveva detto solamente, quando l’avevano
vista attraversare la vecchia porta sud, con sguardo vacuo e
preoccupato verso
i ruderi – lui adorava quella parola, ruderi.
Oh, lui supponeva avesse detto, faceva ancora fatica a parlare il
fioriano. A
casa sua parlavano la lingua dei ghaadiani e lui stava imparando la
lingua dei
fiori nelle lezioni di maestro Iustir assieme agli altri bambini. Sua
madre non
aveva voluto impararlo, non le interessava affatto, anche il ghaadiani,
diceva
sempre, le faceva male alla lingua. Suo padre lo conosceva ma non era
bravo e
per questo non si sforzava molto, non gli piaceva mostrare quello in
cui non
era bravo.
La
cosa faceva sempre ridere lui, perché lo trovava
stupidissimo.
Il
fioriano però era una bella lingua, era come il miele sulla
lingua ma nelle
orecchie – aveva provato a dirlo a lezione, ma gli altri
ragazzini avevano
riso.
“Per
me dovremmo avere una lingua tutta nostra” aveva detto invece
Diosana, che era
fioriana, con il sangue tulpee – come lui
– e i capelli rossi
così scuri da sembrare legno di ciliegio.
“Potremmo imparare la vecchia lingua
del Florido Impero” aveva proposto il maestro Iustir. Questo
aveva confuso lui
perché pensavano che stessero già imparando la
lingua dell’impero.
“Che
stai facendo?” la domanda lo aveva costretto a tornare con i
piedi per terra e
Nizza lo stava guardando. Era entrata nella vasca nel ruscello con una
veste
addosso che le arrivava alle ginocchia. Si era inzuppata dalla vita in
giù ed
aveva umettato i capelli, che invece di aprirsi in ogni direzione,
scendevano
pesanti sul viso. Lui si era tirato dritto come una pertica, colto sul
fatto,
con le guance arrossate per l’imbarazzo. “Oh, sei
uno spione, volevi vedere i
miei capezzoli?” aveva chiesto subito Nizza, sollevando un
sopracciglio scuro,
“O volevi vedere direttamente la mia fica?” aveva
chiesto subito lei sfacciata.
Lui
si era fatto più rosso del suo crine, più rosso
di una mela matura, “No! No”
aveva strepitato, “Volevo vedere il fiore!” aveva
detto.
L’espressione
divertita e giocosa sul viso di Nizza si era assopita,
“Immagino che da queste
parti si vedano solo tra i solchi delle pietre e nei campi”
aveva concesso,
facendo schioccare le labbra, erano piccole e sottili, diverse da
quelle di sua
madre. Lui aveva annuito, “Anche se rimando
dell’idea che tu voglia solo una
scusa per guardarmi le tette” aveva ridacchiato Nizza per
prenderlo in giro.
“No!”
aveva replicato subito lui.
“Quante
sorelle hai?” aveva chiesto subito la donna. “Sorelle
o sorelle?” aveva
domandato di rimando il ragazzino, Nizza aveva riso, la sua risata era
bella,
sembrava il canto di un uccello – o almeno come il maestro
diceva i poeti
dicessero.
“Ventisei
… ventisette tra un ciclo” aveva risposto alla
fine lui, “Avevo anche un
fratello, ma non me lo ricordo. Era otto sorelle più piccolo
di me. Abbiamo
avuto entrambi la pelle rosa ma solo lui
è morto” aveva raccontato lui,
incerto sul perché lo avesse fatto.
Nizza
aveva annuito, l’acqua dei capelli umidi le gocciolava sul
torso, così
appesantiti, i capelli raggiungevano metà della schiena,
“Anche io avevo una
sorella. Nenia, è morta di febbre puerperale dopo un
sanguinamento, aspettava
un bambino” aveva detto con espressione triste,
“Ora entrambi sono fiori nel
Giardino del Dio-di-ogni-cosa-buona”.
Lui
era rimasto in silenzio davanti quell’ultima parola, non
sapendo come
rispondere. Gli dispiaceva per il suo fratellino, anche se non lo
conosceva. La
sua marra piangeva ancora ogni tanto la notte ed anche se i suoi
genitori avevano abiurato
– a lui faceva ridere quella
parola – la fede, ogni tanto lo sentiva ancora sussurrare, di
nascosto, qualche
preghiera. Anche a lui mancava, gli mancava l’idea
di avere un fratellino,
con cui condividere tutto.
Si
era formato un silenzio tra loro, lungo, “Dovresti
rispondere: Cresca forte
il suo fiore” aveva detto Nizza.
Lui si era morso le labbra, “Perché?”
aveva chiesto, “Convenzione” aveva
risposto la donna, “È un modo gentile per
raccomandare l’anima dei morti” aveva
spiegato. I suoi genitori non praticavano, nessuno lì
credeva in nulla, erano
liberisti – così diceva sempre il maestro
– credevano solo negli uomini e nel
libero arbitrio.
“Che il tuo ricordo sia consegnato
all’eterno. Così dice la mia marra,
almeno” aveva risposto lui. Nizza aveva sorriso e poi era
stato silenzio.
Lungo,
spesso e quasi soffocante.
Nizza
aveva rotto quella situazione pensante con una battuta;
“…e la tua marra, lo
sa che vai chiedendo alle fanciulle di vedere le loto terre
… perdono, i loro
fiori?” aveva chiesto Nizza, aveva perso
quell’espressione tetra per riprendere
la sua giocosa.
Lui
non era arrossito solo perché fisicamente non avrebbe potuto
di più, ma aveva
provato una sensazione stringente allo stomaco pensando
all’espressione
contrita che avrebbe avuto la sua marra.
“No, io non lo vado a chiedere”
aveva detto.
“Perché
nessuna ragazza ha dei fiori, vero?” aveva chiesto retorica
Nizza.
“Nessuno, in realtà” anche se non era
vero. Sapeva che qualcuno conservava i
suoi fiori, nessuno voleva imporre qualcosa a qualcuno. Almeno per i
forestieri, questo non era valso per lui, ma non gli importava molto.
Differentemente dal suo fratellino, non sentiva nostalgia per quella
mancanza.
Nizza aveva annuito, poi aveva allungato una mano sull’orlo
superiore della
vestaglia, era largo e con uno scollo a barca, lo aveva fatto scendere
sul lato
sinistro, scoprendo un po’ la carne del seno, ma senza
esporsi troppo. Lui non
era davvero intenzionato a guardare i suoi capezzoli, ma era stato
rapito dalle
linee sul petto.
Erano nere e delicate, in alcuni punti si ingrossavano, creando un
disegno
dinamico. I fiori erano due piccoli, a cinque petali, spatolati, che si
chiudevano ripidi su una punta arrotondata, la carne nei pressi del
petalo
raggiungeva leggere sfumature violacee. Gli steli erano sottili e si
univano in
foglie strette, spesse ed aguzze. “È una sassigrafa?”
aveva chiesto lui,
“Sì, penso. Non sono brava con i fiori –
lo so, fa ridere detto da una fioriana”
aveva replicato.
Lui
aveva ridacchiato, “Il disegno è molto
bello” aveva considerato, “Sì, sono
stata fortunata” aveva detto Nizza, passandosi i polpastrelli
sui segni, da
quella distanza sembrava quasi un marchio ad inchiostro, fatto da
un’ottima
mano umana, “Ma decisamente non perfetto” aveva
considerato Nizza stessa. “Mio
padre ha sposato la seconda cugina della sua anima condivisa, i loro
fiori
erano simili, lei era morta per una zoccolata di cavallo. Mia madre
d’altro
canto era benedetta. Strane le vie del destino.
Vicina alla perfezione,
senza toccarla” aveva scherzato la ragazza poi, sotto lo
sguardo confuso di lui.
Sapeva
che i figli di anime condivise, i bambini giusti, erano perfetti in una
maniera
quasi che suo padre definiva ‘violenta’ –
come sua madre, sebbene lei negasse
la sua benedizione – ma “Adesso, vizioso tornatene
a casa, che ho tutta
l’intenzione di tirare via lo schifo di dosso. A meno che tu
non voglia vedere
anche la rosa tra le mie gambe” aveva dichiarato Nizza.
Si
era sbagliato, era stato possibile divenire ancora più
rosso, sentiva la sua
pelle andare in fiamme, come se un incendio divampasse nel suo petto.
Aveva
recuperato la calma, dopo aver arrestato il battito feroce, come il
galoppare
di un cavallo, del suo cuore ed aveva annuito, lanciando un ultimo
sguardo al
fiore sul seno della ragazza, “Grazie” aveva detto,
facendo un passo indietro.
Lei
aveva fischiato, “Aspetta. Fammi vedere il tuo” le
aveva detto, fissandolo.
Aveva occhi scuri come noccioli di mela. “Io non ho un
fiore” si era difeso lui.
“Tutti hanno un fiore” aveva ribattuto Nizza,
“Il tuo è stato semplicemente
estirpato” aveva aggiunto.
“Vuoi
vedere la mancanza, allora” aveva
considerato il ragazzino incerto,
toccandosi il cuore. Nizza aveva annuito, “Devo
sapere come sarà la terra
una volta che ci avrò sparso il sale”
aveva risposto.