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Autore: CervodiFuoco    14/02/2023    1 recensioni
[Willow]
[Willow]La storia racconta del ritorno a Tir Asleen dei membri della compagnia di avventurieri protagonisti della prima stagione della serie TV "Willow". La regina Sorsha decide di indire una settimana di festeggiamenti con giochi, musica e cibarie, i cui protagonisti saranno proprio quelli della serie stessa. Esploro sia il lato spassoso dell'avvenimento, sia quello psicologico che per ogni personaggio può significare il "tornare a casa" dopo l'avventura vissuta, il tutto ricreando la stessa atmosfera leggera, ironica ma avventurosa della serie, con la speranza di divertire ma anche trasmettere qualcosa di speciale. Buona lettura!
Genere: Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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10. "Curiosi poteri"

 

Dei veri e propri boati sconquassavano le fondamenta dell’arena. Quel giorno il pubblico era impazzito, letteralmente. C’erano bambini sulle spalle dei genitori che si sbracciavano e persino gente in piedi dietro a delle piccole recinzioni costruite perché non c’era più spazio sugli spalti.

Oeee oeeeeee! Oeeeee oeeeeee!

Sorsha sostava in piedi con le mani sulla balaustra della postazione regale, nel punto più alto e panoramico dell’arena. Così appollaiata e assorta sulla folla, non si accorse del sopraggiungere di Willow.

«Impressionante, eh?»

La regina sobbalzò e guardo giù. «Mi hai spaventato, scusa!» Si pose una mano sul petto. «Allora? Gliel’hai detto?»

Willow andò a prendere il suo bastone nell’angolo. «Dipende che cosa.»

«Delle pozioni che hai preparato. Cosa, altrimenti?»

Recuperato lo scettro, il Nelwin tornò vicino a Sorsha. Anch’egli si affacciò e assunse un’aria pensierosa. «Gli ho detto quello che avevano bisogno di sapere.» Storse appena le labbra in un mezzo sorriso.

«Willow.» Sorsha espirò e si mise a contemplare la gente che urlava, fomentata dal suo discorso appena concluso. «Perché non gliel’hai detto? E’ giusto che sappiano.»

«Sanno che le pozioni provocano una trasformazione di qualche tipo. Che sei stata tu a volerle. Questo dovrebbe bastare.»

Sorsha lo fissò, poco condiscendente. «Ti piace prenderti gioco di loro, non è vero?»

Willow temporeggiò. «Un po’. Io dico che gli piacerà. Forza, è ora di iniziare, non credi?»

 

 

 

I sei partecipanti alla sfida del Duello si erano messi in fila dietro allo scaffale e, a turno, avevano scelto una boccetta colorata. Willow aveva detto di berne il contenuto solo quando veniva chiamato il loro nome, quindi attesero.

Le regole del gioco erano semplici: vietato ferire in qualsiasi modo, vinceva chi avrebbe disarmato oppure atterrato l’avversario. Si trattava di un combattimento, quindi ogni mossa era lecita, purché non troppo scorretta. Queste le parole di Willow prima che li lasciasse ai preparativi.

«Elora Danan! Thraxus Boorman!»

La voce della regina era echeggiata fuori dalla tenda sovrastando il rumore degli spettatori, forse grazie a un trucchetto magico dello stregone. I due interpellati si rivolsero uno sguardo atterrito; poi si alzarono legnosi dalla panca. Allo stesso modo dei compagni, indossavano gli abiti che avevano portato nell’avventura verso la Città Immemore - avevano trovato l’idea carina e suggestiva.

Elora e Boorman si portarono la boccettina di Willow al naso, la scrutarono come un insetto malefico e ne stapparono la chiusura: Elora titubante e Boorman tutta d’un fiato, ne bevvero il contenuto.

Sia l’uno che l’altra fecero una smorfia di disgusto.

«Di che sa?» chiese Kit.

«Meglio che non te lo dica» gracchiò Elora. E uscì dalla tenda, seguita da uno stordito Boorman.

 

 

L’affettuoso e lungimirante Willow doveva aver pensato bene di sigillare l’uscita della tenda con un incantesimo, perché per quante volte o con quanto impegno ci provassero, i loro occupanti non riuscirono neanche per un momento a spiare ciò che stava succedendo fuori. I drappi sembravano cuciti insieme con la colla. A malapena potevano udire i rumori.

Eccitazione e agitazione erano alle stelle.

«Io la bevo adesso, al diavolo» proruppe un esasperato Graydon, la boccetta già stappata fra le dita.

«No, fermo!» gli dissero in coro gli altri. E Kit continuò: «Non sappiamo che effetto abbia. Willow è stato chiaro, dobbiamo berla appena prima del nostro turno.»

«Ma quest’attesa è terribile! Stiamo impazzendo, non potete negarlo!»

«Graydon.» Jade si alzò in piedi e raggiunse il ragazzo. Gli si inginocchiò davanti e gentilmente gli sfilò il boccettino dalle dita. «Devi stare calmo. Se solo uno di noi perde le staffe, le perderemo tutti. Datti una calmata

Per assurdo, il gioco più sottovalutato ora si rivelava essere quello più insidioso e temuto. E tutto per colpa di Willow e i suoi dannati stratagemmi che voleva tenere segreti.

Poi la voce di Sorsha risuonò di nuovo nell’arena.

«Jade Claymore! Kit Tanthalos!»

 

 

Le ragazze avevano appena ingoiato in un unico sorso il contenuto della boccetta alchemica (a dir poco disgustoso: sapeva di miele e fango rancido, qualunque sapore fosse) ed erano uscite nella luce grigia dell’arena. Aveva iniziato a scendere una pioggia leggera.

Il terreno era tempestato di buche enormi. Ma che razza di scontro aveva avuto luogo tra Elora e Boorman?

Per qualche strano motivo, la moltitudine di voci della folla non giungeva ai timpani di Kit. Si sentiva aliena, lontana, come sotto a una campana di vetro. La sua prima intenzione, dopo quell’occhiata d’intesa con Jade e l’aver deglutito la pozione, era stata raggiungere il centro dell’arena, ma… adesso non era più così sicura che fosse ciò che stava facendo. Aveva come l’impressione che i suoi piedi non la stessero portando da nessuna parte, sebbene fosse certa di muoverli. E poi quel vago giramento di testa…

Kit si voltò in cerca della compagna. Ma… lei non c’era. Al posto di Jade, una sagoma nera, un’ombra.

Con un brivido a correrle lungo la schiena, la principessa annaspò e si sforzò di guardare meglio: quell’ombra aveva le fattezze di Jade, in effetti. I capelli raccolti in treccine aderenti alla testa, l’armatura leggera che le ingrossava appena le spalle, e poi il suo tipico incedere. Kit conosceva a memoria il modo in cui camminava, riusciva a identificarla dalla ritmica del passo. Era lei. Ma… completamente nera. Come se qualcosa impedisse al suo corpo di ricevere il benché minimo raggio di luce.

Jade?, disse Kit. No, aspetta… non lo disse. Fu ciò che pensò. Quel che le uscì dalla bocca… o meglio, dalle mascelle, fu… un ruggito.

«Kit… oh mio dio.» La Jade-ombra era immobile e aveva parlato. Impossibile dire se stesse guardando dalla sua parte o no, ma la sua voce era suonata incredibilmente metallica, affilata, come finemente affettata in più parti.

Kit non ci stava capendo più nulla. Mosse il collo, il potente e lungo collo, e si guardò i piedi. Non ce li aveva più. Al loro posto, delle zampe giganti dotate di artigli e squame rosso cupo.

Qualunque cosa volle dire, Kit lo esalò in un Grwaoouurl.

 

 

E poi avvenne. Quell’euforia. Un sentimento incontenibile. Un altro effetto della pozione di Willow? Ah, né Jade né Kit ci pensarono minimamente. Seppero solo che una sconquassante brama di divertirsi, giocare, dare sfogo a un brivido interiore, si stava impossessando di loro. Risero (e ruggirono) e iniziarono a combattere.

Kit spalancò le enormi ali e le sbatté per librarsi in alto, producendo un micidiale spostamento d’aria. Si sentiva onnipotente. Continuava a ridere incontrollatamente. Guardò giù: Jade era sparita. Doveva trovarla. Continuò a sbattere le ali per guadagnare qualche metro in più, in modo da avere sotto controllo l’intera arena. Le bastava spostare lo sguardo e, sbattendo le doppie palpebre, focalizzare e zoomare il punto desiderato per setacciare ogni centimetro dello spazio destinato ai giochi.

«Sono quassù, dragoncello» la schernì la voce di metallo di Jade. Allarmata, la nuova Kit tentò di ruotare il capo, ma per qualche motivo la fonte della voce di Jade proveniva da un punto cieco proprio alla base del suo collo. La cosa la fece infuriare. Gridò e iniziò a volare con più foga, dimenandosi. Poi compì un giro mortale su se stessa. Un altro. Piroettò. L’arena gremita di gente si capovolgeva e ruotava sotto e attorno a lei.

Scendi subito!, pensò. Groaaawrl!

«Ti è rimasto qualcosa sullo stomaco, eh?» continuò a prenderla in giro Jade, sempre ben ferma al suo posto in mezzo alle scapole di Kit. E rise: produsse un suono simile a quello di due padelle che sfregano l’una sull’altra.

Allora stomaco e cuore di Kit divennero incandescenti. Mezzo secondo dopo, le sue fauci si aprirono e dalla gola sputò un fiume di fiamme bianco e blu.

Jade doveva essersi presa un bello spavento, perché adesso si trovava laggiù a terra, nera come un’ombra. Kit si fiondò da lei e atterrò con precisione sulle zampe con un tonfo pesante.

E Jade scomparve sotto i suoi occhi. Un istante prima era lì e quello subito dopo non c’era più. Semplicemente staccò un piede da terra e si… teletrasportò, non c’era altra spiegazione. Kit se ne accorse troppo tardi: era ancora in procinto di assimilare il fatto che l’altra fosse svanita, che un legaccio nero si avvitò attorno ad una zampa anteriore fissandola al suolo. Subito dopo, la stessa cosa avvenne all’opposta.

«Sarai pur … forte…» La voce di Jade proveniva da più direzioni contemporaneamente, per quanto assurdo fosse. Si stava muovendo alla velocità del lampo? «… ma sei… terri… bilmen… te lenta.»

E in men che non si dica, Kit si ritrovò le quattro zampe, più le ali, incatenate al terreno per mezzo di strane liane nere, dense e robustissime. Strattonò e ululò. Niente da fare, quelle strane catene non si rompevano.

L’ombra ultrarapida di Jade riapparve sotto il suo naso. Non poteva vederlo, ma Kit scommise che avesse stampato in volto un sorriso di autocompiacimento.

«Fin troppo facile!»

«Grwoouuoon è… ancwuora detta l’ultima parolah!»

Oh si. Kit aveva appena parlato, sul serio stavolta… con una voce cavernosa, bestiale. Jade doveva di sicuro aver sussultato.

Portando indietro il capo, Kit caricò. Cosa? Sapeva solo di star caricando qualcosa dentro di sé. Avvertì di nuovo il calore, quello che nasceva nello stomaco e nel cuore e poi… ecco, si, risaliva lungo la gola. Le narici le si dilatarono e si preparò. Schiuse le labbra crestate e portò in avanti la testa. E fu l’inferno. Stavolta la fiammata fu spaventosa, potentissima, si propagò nell’arena allungandosi ed esplodendo come una bomba. Il fuoco bianco-blu si espanse divorando l’aria, inglobando, cancellando ogni cosa, sino a raggiungere gli spalti .

Allora avvenne un prodigio: una qualche sorta di barriera, invisibile per forza, impedì alla fiammata di raggiungere chi stava assistendo allo spettacolo dalle gradinate. Si schiantò contro un muro invisibile e risalì verso l’alto, raggiungendo il cielo e producendo una possente colonna di luce infuocata.

Quando il fuoco smise di divampare, pian piano agli occhi di Kit riapparvero le fattezze dell’arena. Erano intoccate, perfette. Ma non importava, importava invece Jade, soltanto lei. Dove si era cacciata? La cercò morbosamente producendo un basso ringhio ferale.

Eccola là! Si stava ri-materializzando… doveva essersi tramutata in una “vera” ombra, aderendo completamente al muro di cinta dello spiazzo dell’arena ai piedi degli spalti. Ne stava emergendo come stesse attraversando una soglia.

E Kit le volò addosso. Ma Jade fu più veloce. Stavolta si sdoppiò. Una decina di copie identiche all’originale furono vomitate fuori dalla sua figura oscura e presero a correre in ogni direzione (ridacchiando). E le spararono di nuovo addosso quei legacci, quelle liane nere, proiettandole direttamente fuori dai palmi delle mani.

«Ti piacerebbe» soffiò Kit. Una raffica di vento e via, si sollevò in aria al riparo dagli attacchi. Decise allora di fiondarsi sulle copie come un rapace e ghermirle con gli artigli delle zampe davanti. Si tuffò e, quando fu sulla prima, fece per stringerla; quella si polverizzò al contatto in una nube di polvere bianchiccia.

Una liana appiccicosa le immobilizzò la coda – aspetta, aveva una coda? Sta di fatto che il volo di Kit ne risentì e lei si trovò un’altra volta incatenata al suolo, nonostante ancora libera di librarsi. Ma altri lacci erano in arrivo. Tuttavia li debellò sparando fiammate incandescenti: fortuna che quelle sembravano avere effetto, li inceneriva e dissolveva completamente.

Occupata in quel tiro a segno, Kit perse di vista la Jade originale, che fra l’altro era indistinguibile. Per quanto si sforzasse di identificarla, ormai non era più certa di quale fosse quella vera. La riconobbe soltanto quando le saltò davanti al muso e le lanciò qualcosa addosso, serrandole forte mascella e mandibola assieme.

«Così non potrai più ferirmi» disse metallica Jade, particolarmente teatrale.

Nel frattempo ennesimi altri legacci avevano bloccato Kit al suolo; le copie non avevano battuto la fiacca in quella fatale manciata di secondi. Finiva davvero così? Tutta la sua forza, il suo coraggio, la sua volontà, bloccate a quel modo? Ridotta a un cagnolino al guinzaglio?

No. Con violenza inaudita Kit strappò i legacci dalle zampe anteriori, si allungò e acciuffò Jade – quella vera. Le ali la aiutarono a disarcionare le catene che la imprigionavano: con un ruggito si slanciò in cielo, stringendo forte Jade-ombra fra le zampe.

Svettarono sopra agli spalti e li superarono a gran velocità. Dominarono l’arena, e continuarono a volare. Il mare infinito di nuvole grigie le sovrastava bagnandole di pioggia. Kit si capacitò solo in quel momento che stava piovendo, non aveva minimamente avvertito le gocce addosso.

Poi, come era arrivata, quell’incontenibile euforia che aveva dato inizio al duello si affievolì: un rubinetto in fondo alla loro anima si chiuse lentamente, con gentilezza, e le bollicine che ne sprigionavano smisero di scoppiettare. Le forze vennero meno a entrambe. Il volo cessò e loro presero a fluttuare nel vuoto.

Mentre un profondo desiderio di riposare avvinceva Kit e Jade, un bozzolo di colori iridescenti le avvolse.

   
 
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