THE WONDERS STILL AWAITING
Cap. 1: The wonders still
awaiting
You will guide my way back from here
Where I lost my old dream
Come, you whisper silently into my ears
To Neverworld again
Fly far away
Goodbye, until your last day
See the stars, hear the melodies play
The notes that show us the way
Once we were traveling places
Now we'll discover some new lands
Hold me, embrace me, come take me away with you
Lead me and show me the wonders beyond…
(“The
wonders still awaiting” – Xandria)
I soldati della Compagnia
Charlie, Secondo Battaglione dei Rangers, guidati dal loro capitano, John
Miller, erano riusciti a trovare il soldato James e a portarlo al sicuro a
Granville, dove era stato trasferito il quartier generale delle forze Alleate
e, durante questa missione disperata, avevano perduto solo uno dei loro
compagni, il soldato Adrian Caparzo, che era rimasto ucciso tentando di mettere
in salvo una bambina in un villaggio francese. Ryan, tuttavia, aveva rifiutato
di tornare a casa anche dopo aver saputo della morte di tutti i suoi fratelli
in battaglia: aveva insistito per combattere con la sua unità a Ramelle e,
così, anche Miller e i suoi si erano uniti a ciò che restava della Compagnia
del giovane e avevano difeso strenuamente il ponte dall’offensiva tedesca,
finché non erano arrivati i rinforzi sotto forma di cacciabombardieri P-51
Mustang, carri armati Sherman e un buon numero di soldati e i pochi tedeschi
sopravvissuti erano stati fatti prigionieri. I comandanti avevano ringraziato
Miller e i suoi per aver compiuto la missione e avevano insistito perché Ryan,
a quel punto, facesse i bagagli per tornare a casa, ma ancora una volta il ragazzo
li aveva stupiti.
“Io non torno a casa, con
tutto il rispetto, signore” aveva detto in tono deciso. “La guerra è ancora
lunga e tanti soldati sono morti, non ho nessuna prerogativa speciale rispetto
agli altri. Se proprio insistete, partirò, ma solo e soltanto se anche questi
uomini avranno il permesso di tonare alle loro case. Hanno rischiato la vita
per venire a cercarmi e quindi meritano questo privilegio più di me.”
Così dicendo, Ryan aveva
indicato con un gesto eloquente Miller, Horvath, Reiben e tutto il gruppetto
della Compagnia Charlie.
Che potevano fare, dunque?
Gli ordini del Generale Marshall erano chiari, ma lui non aveva parlato con
Ryan e non aveva visto la sue determinazione. Il ragazzo non sarebbe partito
senza i suoi nuovi compagni ma, del resto, era già difficile trovare il modo
per rimpatriare lui con la guerra che continuava su altri fronti e la scarsità
di mezzi e rifornimenti, trovare il modo di mandare a casa altri sei Rangers,
tra cui un capitano esperto e saggio come John Miller, era una follia.
Alla fine era stato
stabilito un compromesso: Ryan e gli altri sarebbero tornati a casa se e quando
gli Alleati avessero avuto un controllo maggiore di quella parte d’Europa e un
vantaggio più rilevante sull’esercito tedesco. Nel frattempo, sarebbero stati
trasferiti a Granville dove avrebbero fatto parte dello schieramento militare
dello SHAEF (Supreme Headquarters
Allied Expeditionary Force) con compiti organizzativi e senza una
partecipazione diretta a missioni e combattimenti. Era per questo che, in
quella fine di settembre del 1944, Miller e i suoi uomini si trovavano in una
specie di limbo, ma questo non
sembrava dispiacere a nessuno di loro. Il capitano Miller era contento di non
doversi più trovare in situazioni in cui sarebbe stato costretto a uccidere,
aveva già visto abbastanza atrocità da sentirsi fin troppo diverso dall’uomo
che voleva tornare a casa a riabbracciare moglie e figli; Horvath, anche lui
disilluso da quella guerra, riteneva che aver salvato Ryan gli avesse veramente
guadagnato il privilegio di finirla lì; Wade e Upham avevano trovato lì la loro
dimensione, l’uno curando i feriti che venivano portati all’accampamento e
l’altro riprendendo i suoi compiti di Intelligence
militare, intercettando e traducendo eventuali messaggi nemici, lavorando
sulle mappe ecc… Reiben e Jackson erano quelli che si trovavano più spiazzati
in quella nuova situazione, come se il riposo forzato, dopo i primi giorni, li
facesse sentire sminuiti, perciò a volte avevano il permesso di partecipare a
qualche breve missione nei dintorni, in particolare se c’era bisogno di un buon
cecchino. *
E
Mellish? Beh, lui si trovava in una situazione del tutto particolare! Si era
preso una responsabilità non indifferente nei confronti del soldato tedesco
Josef Saltzmann che, a quel punto, non sarebbe più stato un prigioniero di
guerra ma avrebbe avuto la possibilità di richiedere asilo politico negli USA.
Chi era Josef Saltzmann? Era il tedesco che Upham aveva voluto salvare a tutti
i costi e che il capitano Miller aveva deciso di lasciare libero. Come si era
guadagnato questo privilegio? Era proprio a questo che Mellish stava ripensando
in quel momento, rivivendo l’episodio accaduto circa un mese prima a Ramelle e
del quale appunto lui e Saltzmann erano stati protagonisti.
Mellish si
trovava al piano superiore di una casa mezza distrutta dai bombardamenti ed era
impegnato in un furioso corpo a corpo con un soldato delle SS. L’americano era
riuscito a disarmare il nemico, ma anche lui si trovava senza più il fucile e
urlava chiamando disperatamente Upham perché venisse ad aiutarlo e a portare
nuove munizioni. Upham, però, bloccato da una sorta di attacco di panico, non
riusciva a scollare i piedi dalle scale nonostante le grida del compagno. Ad un
certo punto, poi, il caporale aveva visto arrivare un altro piccolo gruppo di
soldati tedeschi che si era diviso per andare a perlustrare le case
circostanti. A quel punto si era sentito perduto finché, piangente e tremante,
non aveva riconosciuto nel soldato che si dirigeva verso quella casa proprio
quello che lui aveva insistito per salvare, quando era stato catturato al nido
di mitragliatrici dopo che lui, o uno dei suoi compagni, aveva colpito Wade. E
ora era lì. Upham non sapeva se sentirsi meglio o peggio… ma l’uomo lo guardò,
lo riconobbe e gli rivolse un breve sorriso.
“Upham?”
disse. Poi, sentendo le urla e i rumori al piano di sopra, si affrettò a salire
le scale e ancora una volta Upham si sentì morire. Forse il tedesco avrebbe
pure risparmiato lui, in segno di gratitudine per averlo salvato, ma lassù
avrebbe sicuramente dato manforte al suo compagno: Mellish non aveva scampo… e
lui non riusciva neanche a muovere un passo!
Eppure non
accadde questo, al contrario. Il soldato vide il compagno delle SS che aveva
bloccato Mellish a terra e che stava cercando di trafiggerlo con una baionetta
e, contro ogni previsione, gli sparò due colpi secchi alla schiena fulminandolo
sul posto, poi corse verso il giovane americano per liberarlo dal cadavere del
soldato che gli era rovinato addosso e verificare come stesse.
“Tu bene?
Ferito?” gli domandò, con grande stupore di Mellish.
“No, non
credo, io…” Mellish era ancora stralunato e non capiva bene cosa fosse successo
e cosa stesse tuttora accadendo. Si controllò il petto che la baionetta aveva
appena scalfito (per fortuna aveva dovuto attraversare prima il giubbotto, la
pesante giacca dell’uniforme e la maglietta) e vide che c’era solo poco più di
un graffio. Se lo tamponò con un fazzoletto, cercando di non pensare a come
sarebbe potuta andare a finire… **
“Sì, sto bene,
a quanto pare mi hai salvato, ma tu che diavolo ci fai qui e perché…” iniziò a
dire, senza rendersi conto che quel poveretto con ogni probabilità non capiva
neanche la metà di quello che gli stava dicendo. Per fortuna Upham era
finalmente riuscito a spiccicarsi da quelle scale e, sentendo un improvviso
silenzio e non vedendo ritornare nessuno, aveva pensato che non ci fosse
pericolo ad andare a vedere che stava succedendo. Entrò lentamente nella stanza
e fissò il tedesco e Mellish, anche lui sbigottito.
“Il tuo amico
sta bene, sono arrivato appena in tempo” disse il soldato, rivolgendosi a lui in
tedesco.
“Hai sparato
al tuo compagno per salvare il mio?” si meravigliò il caporale. Era commosso: a
quanto pareva il suo gesto generoso nei confronti del soldato nemico si stava
ripercuotendo positivamente su di loro: se Mellish era salvo era solo merito
del tedesco.
“Non avrei
voluto ucciderlo, ma non potevo fare diversamente, altrimenti il tuo amico
sarebbe morto” spiegò il soldato, con una luce malinconica negli occhi chiari.
Mellish,
ovviamente, non capiva un accidenti di quello che i due si stavano dicendo e
guardava ora l’uno ora l’altro mentre si rialzava lentamente.
“Io tornerò
dai miei compagni e dirò che ho perlustrato questa casa senza trovare nessuno,
poi li indirizzerò da un’altra parte della cittadina. Upham, tu e il tuo amico
aspettate a scendere finché tutti i soldati tedeschi non saranno passati e poi
potrete tornare dai vostri compagni sani e salvi” raccomandò l’uomo al
caporale, poi fece per andarsene ma, proprio in quel momento, fu fermato da
Mellish che scelse forse il momento più assurdo per fargli la domanda più
assurda…
“Perché?”
domandò, senza tanti complimenti. Sapeva che qualche parola il tedesco la
capiva (si era dato ben da fare al nido di mitragliatrici per spiegare che lui
non era un vero nemico, che gli piaceva l’America…) e quella in particolare
servì a fermarlo e a farlo voltare verso di lui. “Perché mi hai salvato? Perché
hai ucciso il tuo compagno per salvare me? Io non l’avrei fatto per te e tu lo
sai benissimo, io ero uno di quelli che ti voleva fucilare!”
Ovviamente il
tedesco non aveva capito proprio tutto, così fu Upham, ancora una volta, a
tradurre, lanciando un’occhiataccia a Mellish: che razza di domande erano
quelle? Voleva forse che il soldato ci ripensasse e li fucilasse sul posto
tutti e due?
Ma non andò
così. Il soldato ascoltò la traduzione di Upham, ma poi si sforzò di rispondere
direttamente a Mellish in inglese, per quanto poteva, perché voleva che fosse
lui a capire le sue motivazioni.
“Io stanco di
guerra, stanco di morte e voi… voi due ragazzi” rispose, gli occhi fissi su
Mellish. “Basta guerra.”
Upham si rese
conto che quel soldato tedesco era davvero cambiato rispetto a quando lo
avevano catturato e poi liberato, sembrava proprio disilluso e stremato come
diceva. E lo capiva, anche lui era sfinito e distrutto per tutte le cose
orribili che aveva dovuto vedere…
“Auf
Wiedersehen, Upham e… tuo nome?” chiese a Mellish, con grande sorpresa del
giovane.
“Mellish”
rispose lui, preso alla sprovvista, poi precisò. “Stanley Mellish.”
“Stan?” provò
a ripetere il tedesco, questa volta con un lieve sorriso.
“Eh… sì, va
bene anche così” disse Mellish, a cui la faccenda sembrava sempre più surreale.
Era perfino buffo sentire il suo nome pronunciato con l’accento tedesco!
“Mio nome
Josef Saltzmann” si presentò il soldato, che gli uomini della Compagnia Charlie
fino a quel momento avevano ribattezzato Steamboat Willie perché nel cercare di
salvarsi dalla fucilazione aveva cercato di appellarsi al suo interesse per i
film e i cartoni americani.
“Dovrò chiederti
di scrivermelo, allora” commentò Mellish, che stava iniziando a riprendere la
sua vena vivace e ironica. Ovviamente Saltzmann non capì e si voltò verso Upham
per la traduzione, ma Mellish li stoppò. “No, no, lasciate perdere, è stata una
battuta scema. Va bene, allora, ecco, insomma… grazie e buona fortuna.”
Dunque Upham
e, soprattutto, Mellish erano sopravvissuti al massacro di Ramelle anche grazie
al soldato tedesco che proprio Upham aveva voluto salvare. Dopo quell’episodio
nessuno dei due avrebbe mai pensato di rivederlo una terza volta, invece era
proprio così che era andata: Saltzmann era uno dei soldati presi prigionieri
dopo che le truppe americane di rinforzo erano arrivate a conquistare Ramelle e
a sbaragliare l’esercito tedesco. Quando lo avevano visto in mezzo agli altri,
Upham e Mellish si erano sentiti in dovere di avvertire il capitano Miller, di
raccontare com’era andata tutta la faccenda e chiedergli se si poteva fare
qualcosa per evitare che venisse messo con gli altri prigionieri. Entrambi
sapevano che i prigionieri di guerra venivano trasferiti in campi di lavoro
dove le condizioni di vita non erano così male, tuttavia pensavano che lui in
particolare meritasse un trattamento migliore. ***
“Capitano, lei
stesso ha liberato Saltzmann su mia richiesta” gli ricordò Upham, “e adesso non
vuole fare un passo ulteriore e concedergli la libertà? Non cercherà di
scappare, non ne avrebbe motivo, adesso lui è più al sicuro con noi che con i
suoi compagni, pensi se venissero a sapere cosa ha fatto per me e Mellish.”
“Oh, adesso il
tedesco ha pure un nome?” ironizzò Miller. “Comunque sì, hai ragione, se gli
altri prigionieri scoprissero che ha ucciso un soldato delle SS e che ha
mentito per salvare la vita a te e a Mellish cercherebbero di farlo fuori. Ma
che cosa possiamo fare noi?”
“Noi niente,
ma lei magari sì, capitano” insisté Mellish. “Parli con qualche superiore e gli
spieghi come è andata, magari saranno comprensivi. In fondo ai piani alti sono
in debito con noi per avergli riportato il loro prezioso Ryan…”
“Va bene,
vedrò quello che posso fare” acconsentì Miller, che già una volta aveva salvato
quell’uomo e adesso era soddisfatto di constatare che la sua scelta era stata
quella giusta. “Credo che non ci saranno problemi, soprattutto perché il
soldato vi ha salvato e ha quindi tradito il suo Paese. Potrebbe addirittura
avere la possibilità di richiedere asilo politico negli USA quando questa
guerra sarà finita, però… beh, voi due siete disposti a prendervi la
responsabilità di sorvegliarlo e di tenerlo con voi, insegnargli la lingua e
tutte queste cose pratiche?”
“Ma sì, certo!”
acconsentì entusiasta Upham.
“Sì, lo
faremo, però per insegnare l’inglese sarà Upham quello più adatto, è lui a
parlare tedesco, no?” replicò Mellish, meno entusiasta. Certo, era disposto a
aiutare il soldato che lo aveva salvato da una morte orribile, ma insomma,
senza esagerare, era solo per ripagare il debito di gratitudine che aveva nei
suoi confronti!
E
così era andata, appunto. I superiori di Miller avevano accordato alla Compagnia
Charlie il permesso di tenere il tedesco con loro, ma ovviamente tutta la
responsabilità era ricaduta su Mellish e Upham che praticamente dovevano stare
con lui ventiquattr’ore su ventiquattro (e sopportare le battutine di Jackson
e, soprattutto, di Reiben al riguardo).
Fine capitolo primo
* Mi sono inventata
praticamente tutta questa parte perché è quello che avrei voluto succedesse e
mi serviva per la storia che intendo scrivere. Non ho idea se veramente quello
che ho deciso per Ryan e gli altri sarebbe stato possibile, però è vero che lo
SHAEF a fine settembre si trovava a Granville (e poi sarebbe stato trasferito a
Versailles). Tutto il resto, soprattutto errori e assurdità storiche, sono da
imputare solo a me.
** Come ho anticipato, nella mia storia i soldati della
Compagnia Charlie si salvano quasi tutti, quindi anche Wade viene ferito ma non
a morte. Mi sembrava bello anche che il salvataggio del soldato tedesco fosse
ricompensato, invece che diventare una fonte di guai come accade nel film. A me
piacciono le storie a lieto fine! E il nome del soldato tedesco me lo sono
inventato io… lì viene chiamato solo Steamboat
Willie.
*** Era vero che i prigionieri di guerra tedeschi in USA
furono tenuti in campi di lavoro come detenuti comuni e che dovettero lavorare,
ma non si trattava certo dei Lager
che invece i nazisti organizzarono per i loro prigionieri. Comunque non era
sicuramente un futuro auspicabile per nessuno…