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Autore: Nina Ninetta    21/03/2023    4 recensioni
Un mondo flagellato da un gelo senza precedenti che gli abitanti hanno ribattezzato IV Era Glaciale. Eppure, qualcuno sostiene che non sia un fenomeno naturale, ma che ci sia qualcosa di oscuro dietro...
Cinque giovani, ognuno con il proprio passato ingombrante, dovranno unire le forze e affrontare ciò che nessuno ha avuto il coraggio di fare. Finora...
"Seconda classificata al contest “D&D Mania” indetto da Ghostro sul forum di Efp"
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO
OTTAO

 
 
Partirono alla volta dell’Isola di Iberia a bordo di uno sciabecco di proprietà della gilda. Era una vecchia imbarcazione che tuttavia faceva ancora il suo sporco mestiere: ossia quello di scendere in mare per procurarsi pesce fresco da rivendere al mercato o per uso proprio. Di Dun’Gar, s’intende.
Fu proprio quest’ultimo a programmare la partenza, accompagnandoli personalmente al molo e affidandoli al suo pescatore di fiducia. Disse loro che non sarebbe potuto approdare personalmente sull’isola e sperare di non scatenare una guerra tra regni alleati. Sebbene anche un re potente come Vermyl sospettasse che il Grande Gelo fosse opera di Shuva e Globo, non avevano prove sufficienti per attaccarlo. Spettava quindi a loro l’arduo compito di fermare quella follia.
Màs rimase sulla terraferma con il capo dei Lupi, non amava particolarmente il mare e portarla con sé sarebbe stato fin troppo rischioso.
Le parole del Sommo Sacerdote, alla fine, si erano rivelate veritiere: il freddo era aumentato notevolmente da quando avevano fatto incursione a Vhulchanius, e lo stesso vulcano fumava molto meno.
Segno che le Fiamme Sacre si fossero ormai ridotte a un mero focolare domestico?
Non lo avrebbero mai saputo, adesso il loro nuovo obiettivo era giungere a Iberia, scovare Globo e fermarlo, qualsiasi cosa stesse tramando.
«E se scopriamo che l’Era Glaciale non dipende da lui?» Aveva chiesto Stella, spaventata a morte al solo pensiero di rivedere suo fratello.
«Ti riprenderai ciò che ti spetta di diritto» era stata la risposta di Garni, mentre cavalcavano le onde placide dell’oceano.
Dopo neanche una giornata di navigazione, erano sbarcati sulle rive dell’isola iberiana. Si erano aspettati guardie, Leonid o maghi ad attenderli, invece furono accolti dal deserto più assoluto. Lo sciabecco fece subito dietrofront, come gli era stato ordinato da Dun’Gar, e la comitiva di avventurieri cominciò la scalata verso l’omonima capitale del Regno di Iberia.
Seguirono Stella senza batter ciglio, sempre allerta e pronti a un agguato che, tuttavia, non avvenne, fino a che non entrarono in città.
Qui, trovarono Shuva in persona ad aspettarli, ma non sembrava allarmato o battagliero come si erano aspettati. Dietro di lui c’era un esercito di uomini-leone armati di lance e scudi. Addirittura, il Gran Sacerdote Leonid accennò un inchino dinnanzi alla principessa Stella, invitandola a seguirlo: suo fratello la stava attendendo.
«Bene» fu l’unica cosa che riuscì a proferire la ragazza, la quale si incamminò a testa alta per le strade che un tempo erano state affollate di gente in festa e attività commerciali delle più disparate. I suoi compagni le si accodarono, senza badare alle armi luccicanti che venivano puntate contro di loro. Shuva era in testa al corteo, vestito di tutto punto sembrava fluttuare diversi millimetri da terra.
Stella osservò il suo splendido regno ormai in assoluto stato di abbandono. Dove un tempo c’era stata la piazza centrale, adornata di una splendida fontana che spillava acqua da enormi sculture di pietra, ora non era che un monumento decaduto, rotto in più punti e con acqua stagnante nella vasca, di un verde melmoso. Le case sembravano accartocciate su loro stesse; qualche abitante fece capolino dalle finestre rattoppate con vecchi tendaggi, troppo somiglianti a cadaveri infetti. Se qualcuno l’avesse riconosciuta, quale principessa di Iberia, non lo diede a vedere.
Effettivamente, lì il freddo era peggio che altrove. Degli alberi dalle chiome rigogliose che costeggiavano la strada principale – dove ai fasti avevano sfilato i regnanti su splendide carrozze inneggiati dal popolo – erano rimasti solo rami rinsecchiti, di un triste grigio chiaro.
Anche il palazzo che si ergeva ora davanti a loro pareva aver perso ogni antico splendore. Stella lo ricordava luminoso, imponente e di un allegro azzurro vivo. Adesso era sbiadito, abbandonato, mesto.
All’interno, la temperatura calava quanto più si inoltravano nei corridoi. Le sale parevano fossero state profanate, paramenti di seta purissima erano stati strappati da artigli feroci. I mezzi busti dei re gettati al suolo e andati in mille pezzi. I quadri, che ritraevano le famiglie reali, graffiate e usurpati. Anche quello della dinastia ‘nDukan o’Fleed – la famiglia di Stella – era stato lacerato, fatta eccezione per il volto di Globo.
Stella a stento tratteneva le lacrime di rabbia, odio e dolore che minacciavano di sbucare agli angoli degli occhi. Sentiva la presenza di Garni e degli altri alle sue spalle e questo la confortava, ma il risentimento esplose del tutto quando varcò la soglia della Sala del Trono e notò suo fratello, seduto scompostamente sulla poltrona che era appartenuta a suo padre.
«Figlio di una cagna!» Esclamò, mutando forma e scagliandosi in avanti. Un gruppo di maghi di Gamirhia la fermò con un incantesimo d’aria che la sospinse contro la parete. Garni e Damien fecero per soccorrerla, ma i Leonid intorno a loro li fermarono all’istante.
Globo si alzò in piedi, era totalmente calvo e non più alto della sorella. Alle sue spalle si ergeva Meldor, Arcimago di Gamirhia, che non esitò a rivolgere la sua attenzione su Damien: l’aveva trovato, finalmente!
«Mia piccola sorellina! Mi sei mancata tanto!» Il reggente di Iberia si chinò sulle ginocchia e afferrò il mento di Stella per guardarla in faccia. Era lei l’ultimo ostacolo da sbaragliare, poi più nessuno avrebbe potuto accusarlo di sedere impropriamente su quel trono. Stella ricambiò lo sguardo con un’occhiata di puro disprezzo. «Uccidetela!» Disse poi lui, tornando sui propri passi per sedersi nuovamente.
«Uccideteli tutti, tranne il mago e l’incantatrice!» Ordinò Meldor.
Fu allora che Emeryl urlò, coprendosi la bocca con le mani.
Fino a quel momento nessuno aveva fatto caso alla figura appesa al soffitto con i polsi legati e le gambe penzolanti: era Sheeira e il suo corpo emanava una luce azzurrognola che si espandeva oltre il tetto scoperchiato.
«Madre! Madre!»
Anche gli altri alzarono gli occhi, la videro e allora capirono: Sheeira non era scomparsa, era stata rapita da quei mentecatti e pareva che tutto il gelo del mondo provenisse da lei. O meglio: lo alimentava.
«Purtroppo il suo potere non è forte come avevo immaginato» disse Meldor con il naso all’insù. «Perciò mi servi tu…» aggiunse indicando Emeryl. «E tu!» Continuò, spostando il dito su Damien. «Ho sbagliato i calcoli: credevo che il tuo immenso potere magico discendesse dal Sangue materno, ma quando è nato Damien ho capito di essermi sbagliato.» Meldor sorrise meschino. «È la famiglia reale a detenere il Sangue contaminato.»
Damien e la Din Nadair si guardarono, ciò significava che…?
«Esatto! Siete parenti!» Esclamò l’Arcimago, con troppa enfasi.
Shuva batté le mani, sarcastico:
«Due famiglie ritrovate. Che commozione!»
«Trattieni le lacrime, mademoiselle!» A parlare era stato Garni, il quale sguainò un paio di coltelli dagli anfibi e tagliò le corde che tenevano legata la regina Sheeira. «Kewst!» Urlò all’amico, che non se lo fece ripetere due volte, afferrando al volo il corpo gracile e macilento della donna. Era leggera come un fuscello. I Leonid non fecero neanche in tempo ad attaccare che Gar aveva già afferrato la scimitarra e una luce bianca, intensissima, li avvolse tutti.
Quando il bagliore scemò, diversi corpi giacevano al suolo, intorno al giovane di Niihel, il quale però era con un ginocchio a terra e si teneva la testa dolente. Prima o poi avrebbe dovuto smettere di usare quel trucco o sarebbe diventato cieco. O – peggio ancora – gli avrebbe fritto il cervello!
Kewst stava caricando alcuni maghi, lanciandoli in aria come birilli e colpendoli mentre ricadevano al suolo. Stella era scomparsa, insieme al fratello. Probabilmente si era buttata alle sue calcagna quando questo era fuggito. Anche Shuva non c’era più, solo Meldor sembrava rimasto nella sala, troppo preoccupato delle sorti di Sheeira, Damien ed Emeryl. Questi ultimi due avevano raggiunto la povera donna, tanto smunta in viso che la stessa figlia stentava a riconoscerla. Anzi, della donna bellissima che era stata non era rimasto più niente. Damien stava cercando di aiutarla con la sua magia, ma Sheeira stessa lo fermò, oramai non c’era più nulla da fare per lei, le restavano pochissime forze e non voleva sprecarle. Neanche loro avrebbero dovuto sprecare energia, ma risparmiarla per la battaglia che sarebbe scoppiata di lì a poco.
«Madre!» Il viso di Emeryl era una maschera di dolore.
«Shhh! Shhh!» Sheeira avrebbe voluto accarezzarle il volto, ma i polsi erano spezzati per quanto tempo erano stati legati al soffitto. «Non ti avrei mai lasciata senza darti mie notizie.» Deglutì a fatica. «Fin quando sarò in vita il gelo non si fermerà. E io non posso morire perché la mia vita vi è legata.» Tossì e un fiotto di sangue sporcò il mantello verde di Emeryl. «Meldor… un incantesimo»
«Va bene, madre. Ci pensiamo noi. Lo fermiamo noi. Non parlare, non affaticarti.»
Sheeira scosse il capo. Non capiva, sua figlia era accecata dall’amore che provava per lei, pertanto si rivolse a Damien: «Sei il figlio bastardo del principe di Magena. Tu lo sai, l’hai capito… se io vivo no-» altra tosse.
«Emeryl» Damien strinse un braccio della Din Nadair, ma questa se lo tolse di dosso, proprio mentre alcuni maghi stavano per attaccarli. La bella incantatrice si mise in piedi e diede ordine al giovane di curare sua madre. L’altro provò a replicare, ma lei non volle sentire ragioni, avanzò di qualche passo, spalancò le braccia e buttò la testa all’indietro. Le iridi chiare si velarono di bianco, da lontano si susseguì lo schianto dei tuoni e saette iridescenti piovvero all’interno della sala stessa, ferendo maghi e Leonid, senza distinzione alcuna.
«Devi uccidermi» la voce di Sheeira ricordava il gracchiare di un uccello. Damien la guardò e impallidì, serrando la mascella. Aveva capito perfettamente cosa gli stava suggerendo quella donna morente che, tuttavia, non poteva morire perché vittima di un rituale antico quanto l’Era Glaciale. Meldor le aveva fatto una specie di fattura, invocando forze oscure e terrificanti: lei era il gelo! Ma il suo fisico era troppo provato e la magia si stava prosciugando, per cui aveva bisogno di risorse nuove e fresche: lui ed Emeryl, nel cui Sangue albergava una forza enorme.
Ma uccidere Sheeira, la madre di Emeryl… osservò proprio quest’ultima, alle prese con i nemici. Il suo potere era spaventoso e spettacolare insieme. Inarrestabile. Tuttavia, restava un essere vulnerabile e quando la punta di una lancia le trapassò l’addome, da parte a parte, i tuoni cessarono, i fulmini scemarono e la Din Nadair cadde all’indietro, gli occhi spalancati verso il soffitto a cupola e il respiro spezzato.
«EMERYL!» Damien urlò, accorrendo al suo capezzale. L’incantatrice sembrava stesse soffocando nel suo stesso sangue. Se voleva avere una possibilità di salvarla, bisognava tirare via l’arma dal suo corpo, perciò chiamò Kewst a gran voce e il guerriero lo raggiunse di corsa, rischiando di incespicare.
«Imbecille!» Meldor si stava rivolgendo al Leonid che aveva ferito mortalmente Emeryl. «Vi ho spiegato che mi serve viva!» Esclamò, e quando l’uomo-leone gli fece notare che loro rispondevano solo a Shuva, l’Arcimago lo uccise congelandogli il sangue nelle vene.
Kewst tirò via la lancia dallo stomaco della compagna, la quale non trattenne un lamento di dolore e altro sangue zampillò sul pavimento. La ferita era molto profonda, ci sarebbe voluto tempo per rimarginarla e loro non ne disponevano.
«Kewst, ho bisogno che resti di guardia…» Gli disse il mago, posizionando i palmi sul torace di Emeryl, senza tuttavia toccarla.
«Va bene» rispose il guerriero, assumendo la posizione di difesa con l’enorme martello stretto tra le mani.
«Garni?» Continuò Damien, socchiudendo gli occhi per concentrarsi sugli incantesimi.
Kewst lanciò uno sguardo verso il giovane di Niihel:
«Si sta riprendendo.»
«Stella?»
«È corsa dietro al fratello» rispose Kewst, colpendo un paio di Leonid che avevano provato ad assalirlo.
Meldor intimò a tutti i presenti di fermarsi subito: se la Din Nadair fosse morta, il piano rischiava di saltare. Ciò nonostante, gli uomini-leone non gli diedero ascolto e non si fermarono.
 
Garni tentò di rimettersi in piedi, evitando con un balzò all’indietro una lancia che calava su di lui. Stordì l’avversario con un calcio ben assestato e in quell’istante udì la voce di Stella. Si precipitò nella stanza alle spalle del trono, sebbene il fortissimo mal di testa gli facesse vedere i colori fin troppo splendenti. Qui trovò la ragazza ginocchioni e la testa del fratello adagiatavi addosso, mentre gli premeva le mani sul collo, da cui scorreva copiosamente del sangue scuro. Accanto al corpo di Globo, giacevano le Zanne Gemelle di Stella. Shuva li sovrastava entrambi, teneva le labbra sottili distese in un sorriso meschino, tronfio.
«Non volevo!» Piangeva lei. «Non volevo!»
Gar di Niihel poté solo immaginare cosa fosse accaduto: nel combattere, la ragazza aveva colpito accidentalmente il fratello, ammazzandolo. Né lei, né il Gran Sacerdote si erano accorti dell’arrivo del giovane, perciò, quando l’uomo afferrò la ragazza per la folta capigliatura argentata, ringraziandola di averlo liberato da quel buono a nulla e minacciandola che le avrebbe tagliato la gola “come tu hai fatto con Globo”, la schernì, Garni ebbe tutto il tempo di lanciarsi contro il Leonid. Ma questo fu veloce, scaltro ed era forte, a differenza del ragazzo non al massimo della sua forma. Con una mano lo afferrò per la gola, sbattendolo al muro e serrandogli sempre più le dita intorno al collo.
 
Kewst schiacciò la testa di un altro Leonid, studiando il campo di battaglia. Molti nemici giacevano carbonizzati grazie alla magia di Emeryl, altri erano stati trafitti dalla scimitarra di Garni, qualcuno sbaragliato da lui stesso. Eppure, ce ne erano ancora troppi pronti ad attaccarli. Perfino i maghi di Gamirhia non sapevano più da che parte stare: ascoltare Meldor oppure no?
Inoltre, in quel marasma, gli era parso di udire le urla di Stella. Gar si era precipitato da lei, ma nessuno dei due aveva fatto ritorno.
Infine, c’era Emeryl.
Damien non aveva più spiccicato parola e la cosa non era un buon segno. D’altronde, erano in netta inferiorità numerica, come avevano anche solo potuto pensare di avere una chance di vittoria?
Il guerriero compì un mezzo giro sul posto, facendo volteggiare il martello davanti a sé e colpendo in pieno volto l’ennesimo uomo-leone che aveva spiccato un balzo con gli artigli sgranati. Ma un secondo Leonid era in agguato e lo graffiò alla schiena. Kewst inarcò le spalle, cadendo su un ginocchio. Era stanco, il martello cominciava a pesargli e la carne lacerata dalle affilate unghie leonine pareva bruciare. Sperò vivamente che non fossero avvelenate. Fece per rimettersi in piedi, però due nemici gli furono addosso e lo atterrarono, schiacciandogli una parte del viso sul pavimento.
Damien aprì gli occhi di scatto udendo le imprecazioni di Kewst e l’esultanza dell’Arcimago che ordinava ai suoi di non lasciarlo andare per niente al mondo. In questo modo, lui avrebbe avuto il tempo di invocare l’incantesimo di scambio che gli avrebbe consentito una specie di passaggio di consegne tra Sheeira e uno tra Emeryl e Damien. Proprio quest’ultimo tornò in posizione eretta, interrompendo le cure che stava somministrando all’incantatrice, ormai fuori pericolo. Era arrivato il momento di affrontare il suo mentore, l’uomo che gli aveva insegnato tutto, accudito come un figlio, ma dal quale era dovuto fuggire e nascondersi, fino a quel momento. Lo fronteggiò, guardandolo dritto negli occhi, mentre si strappava la spilla che gli teneva chiuso il mantello. Quel zaffiro di forma esagonale rappresentava la sua appartenenza all’Accademia di Gamirhia, per questo lo lasciò cadere a terra e lo distrusse calpestandolo. Meldor osservò la scena senza esprimersi, con un’espressione imperturbabile. Non era anziano, ma i numerosi anni sui libri gli avevano fatto spuntare la gobba e reso quasi cieco.
«Basta così!» Gli intimò il giovane mago e l’altro sorrise, cinico.
«Ti ho cercato ovunque. Ho aspettato e sperato che tornassi da me. Avevo grandi progetti per te. Per noi. Avremmo potuto regnare sul mondo intero…» Meldor spalancò le braccia, gli occhi spiritati, la voce infervorata. Era fuori di sé. «Adesso, invece, sarai solo uno strumento per la mia ascesa.» L’Arcimago puntò una mano in direzione di Emeryl, il cui corpo prese a levitare, poi fece lo stesso con Sheeira, mentre l’energia di una si fondeva a quella dell’altra.
«Smettila! Smettila subito!» Damien si mosse contro il suo vecchio maestro, al quale bastò una sola occhiata per scaraventarlo lontano da sé.
«Damien! Fa’ qualcosa, Damien!» Kewst tentò di rimettersi in piedi, ma i Leonid sopravvissuti lo tenevano inchiodato al suolo con le lance.
Damien rimase carponi scuotendo il capo per liberare la mente dal colpo ricevuto. Alcuni maghi gli si avvicinarono, tenendolo d’occhio.
Cosa poteva fare?
 
Garni abbassò le palpebre. Aveva tentato di liberarsi della presa di Shuva, invano. Il Gran Sacerdote Leonid disponeva di una forza animalesca. Probabilmente, se fosse stato nel pieno delle proprie forze, avrebbe potuto combatterlo, ma non in quelle condizioni. Stella sembrava in trance. La morte del fratello, avvenuta per mano sua, l’aveva svuotata di ogni forza e pensiero razionale.
Quando Garni perse i sensi, Shuva lo lanciò contro il muro come se fosse stato un vecchio pupazzo, ma fu in quel momento che Stella parve risvegliarsi da un sogno a occhi aperti. Il corpo esanime del compagno le diede la scossa che le serviva per portare a termine il suo compito. Brandì le armi – una delle quali macchiata del sangue di Globo – e si rimise in piedi, mormorando un’antica formula magica che le aveva insegnato il suo maestro Leonid, per aumentare la potenza fisica negli arti, e si scagliò contro Shuva. Questo parò ogni fendente senza evidente difficoltà, anzi facendosi beffe di lei:  
«La tecnica delle Zanne Gemelle. Saresti stata un’ottima reggente…» con la lancia la intrappolò al muro, parlandole a una spanna dal viso. «Vuoi vedere che ho sbagliato ad allearmi con quel fallito di Globo?!»
Stella lo allontanò da sé con un urlo, riunì le due armi per formarne una sola e lo trafisse da parte a parte. Shuva rimase sbalordito: non si aspettava di venir sconfitto da una giovane Leonid, né che Stella ne avesse il coraggio. Si tamponò la ferita al centro dello stomaco con le mani, il sangue scorreva copioso, poi rialzò gli occhi e cadde all’indietro, morto.
Stella si inginocchiò al fianco di Garni, tenendogli la testa. Non respirava:
«No! No! No!» Gli effettuò la respirazione bocca a bocca, urlando il nome di Damien, urlando che qualcuno accorresse ad aiutarla, continuando a praticargli il massaggio cardiaco.
 
Damien udì distintamente la voce di Stella che lo supplicava di aiutarla: Garni non respirava.
Il giovane mago sentì la testa vorticargli prepotentemente. I pensieri si sovrapponevano ad altri pensieri, stava perdendo lucidità e non andava bene. Meldor continuava a fissarlo con quel fare borioso di chi sa che ha la vittoria in tasca. Kewst era impossibilitato a muoversi, se lo avesse fatto lo avrebbero ammazzato. Anzi, Damien si meravigliava che non lo avessero già fatto. Emeryl stava letteralmente assorbendo il potere di sua madre e con esso il legame con le forze del Grande Gelo.
Stella urlò ancora, ma lui non poteva accorrere.
Si guardò i palmi delle mani, chiudendoli a pugno e chiedendo con fermezza all’Arcimago di fermarsi.
«Fermami tu, se ci riesci!» Fu la risposta dell’uomo e Damien lo fece.
Come Emeryl, le pupille si velarono di bianco, il collo si piegò all’indietro, tuttavia non arrivarono nuvole tempestose, né fulmini dal cielo. Fruste di elettricità scaturirono direttamente dal suo corpo, simili a tentacoli. Dapprima, sbaragliò i maghi che lo circondavano, poi liberò Kewst – al quale ordinò di correre in aiuto di Stella – e per ultimo infilzò Meldor in più punti. L’incantesimo di scambio si interruppe, i corpi delle due donne ricaddero sul pavimento con un tonfo. L’Arcimago abbozzò un sorriso, mentre un rivolo di sangue gli scendeva al lato della bocca:
«L’ho sempre saputo che eri speciale» furono le sue ultime parole, prima di accasciarsi al suolo senza vita.
Kewst intanto aveva raggiunto Stella e Garni, trovando lei in preda alla disperazione mentre gli premeva il petto su e giù.
«Kewst, grazie a O’Shu-Tal! Aiutami!»
Il guerriero si inginocchiò al fianco dell’amico e lo colpì con veemenza al centro del torace. Miracolosamente, il cuore riprese a battere e Garni tossì un paio di volte voltandosi di lato. Stella lo abbracciò, intanto che Damien si affacciava nella camera per sincerarsi delle condizioni degli altri. Tirò un sospiro di sollievo quando constatò che erano tutti e tre vivi e vegeti.
«È finita» disse mesto. «C’è solo un’ultima cosa da fare.»
 
Tornati nella Sala del Trono, trovarono Emeryl al fianco della madre.
In una situazione normale, quella donna sarebbe già morta, ma non poteva farlo. Non riusciva a morire perché la sua esistenza era legata al Gelo e – di conseguenza – il Gelo a lei.
«Aiutami, bambina mia. So che-» Sheeira tossì. «So che ti chiedo tanto.»
Emeryl piangeva, scuotendo il capo. Come avrebbe potuto fare una cosa simile? La ferita inferta dal Leonid le faceva un gran male, ma mai quanto il dolore che provava dentro.
«Damien» chiamò. «Potremmo curarla. I tuoi incantesimi sono potenti e-»
«Non capisci» la interruppe Sheeira. «Se mi curate, il Gelo s’intensificherà. Devi uccidermi!» Questa volta pronunciò la propria sentenza senza giri di parole.
Il primo ad avvicinarsi alla Din Nadair fu Kewst, posandole una mano sulla spalla – un gesto alquanto inconsueto per lui – affermò:
«Ricorda le parole della Màthayr.»
“Salvala: qualsiasi cosa voglia dire”.
Lo sapeva. Berenise aveva immaginato qualcosa, ecco perché tra le tante discepole aveva scelto lei, ecco perché le aveva sussurrato quelle parole prima che tutto cominciasse. E anche suo padre ne era al corrente, Re Vermyl, non a caso aveva chiesto ai Lupi di Niihel di cercare l’ex regina di Magena. Lo sapevano tutti, lo avevano intuito, eccetto lei.
Emeryl carezzò la testa di sua madre, dove un tempo c’era stata una dorata chioma fluente, adesso c’erano radi capelli incolore. L’altra mano gliela tenne al centro del petto, facendo combaciare le fronti. Sheeira sorrise, socchiuse gli occhi e la ringraziò. Fu un attimo, una scossa appena percettibile per gli altri attraversò il corpo emaciato di Sheeira, la quale – finalmente – spirò e morì, più serenamente di quanto avesse vissuto. Emeryl pianse in silenzio, nascondendo il viso nell’incavo del collo di sua madre, dove si era rifugiata tante di quelle volte che aveva perso il conto.
Kewst rimase in piedi lì vicino, la testa bassa e le mani chiuse a pugno; anche Damien teneva il capo chino e gli occhi lucidi. Poco più indietro, Stella adagiò il viso sul petto di Garni, debole ma vivo, e lui le cinse le spalle con entrambe le braccia, lasciandole un bacio sulla testa.


 
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Nel lontano Regno di Magena, Re Vermyl stava bevendo dell’ottimo vino di uva, affacciato alla vetrata della sua camera personale, quando una goccia gli sporcò gli abiti immacolati. Guardò quella macchia dello stesso colore del sangue e un pensiero gli attraversò la mente, fugace come una folata: e così che muore Sheeira di Agran. Strinse con veemenza il calice di cristallo, un lampo azzurrino scaturì dalle sue dita mandando in frantumi il bicchiere e spargendo vino rosso e schegge ovunque. Chiuse gli occhi e cacciò indietro le lacrime.
Adesso, era davvero finita.

 
 
  
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EPILOGO

 
Kewst bussò con le nocche sulla porta, attese una risposta che non arrivò, perciò entrò con fare circospetto e rimase fermo sull’uscio, osservando l’esile figura affacciata alla balconata.
Le tende di pregiato tessuto di Agran ondeggiavano sinuose verso l’interno della stanza, mosse dalla piacevole brezza proveniente dal mare. La Stella Chiara brillava alta nel cielo azzurro, non c’era neanche una nuvola all’orizzonte. Era passato solo un mese dalla fine della IV Era Glaciale e le temperature stavano diventando man mano più gradevoli.
«Maestà, siamo pronti» il guerriero piegò appena il capo in modo da guardare il pavimento.
«Ti ho detto di non chiamarmi così!» Lo redarguì Stella, rientrando dalla terrazza. La sua folta chioma color argento le incorniciava un viso non più macchiato di fuliggine, ma dalla pelle bianca come il latte, dove il tatuaggio spiccava più di prima. Indossava un abito morbido, di un delicato rosso pastello, legato in vita da una cintura dorata e sulle cui spalle aveva adagiato la pelliccia di leone, ripulita dalle mille battaglie. Oltrepassò Kewst e s’incamminò lungo il corridoio del palazzo di Iberia, rimesso a nuovo dopo quel…
Dopo.
Il cuore le martellava nel petto, chiuse le mani sudate a pugno, sperando che la smettessero di tremare. Il guerriero la seguì qualche passo più indietro, provando a intuire i pensieri dell’amica, tra poco neo eletta regina di Iberia.
Di sicuro, suppose lui, affacciata al balcone della propria camera, aveva cercato tra la folla in festa, che scemava verso la Sala Reale, volti noti: Emeryl, probabilmente, e Garni, di sicuro. Non era stato facile per lei affrontare i giorni che avevano seguito la morte del fratello: c’era un intero regno da rimettere in sesto, gente che si aspettava miracoli dall’erede al trono e alleanze con gli altri imperi da ricucire. Eppure, se l’era cavata abbastanza bene per essere solo una giovanissima donna, creduta morta per troppi anni.
Emeryl era ripartita quasi subito alla volta della Torre d’Opale, portando con sé il cadavere di Sheeira, alla quale, disse, intendeva dare una degna sepoltura e onorarla con le amate sorelle Din Nadair.
Anche Gar di Niihel si era congedato da loro, affermando che doveva tornare da suo padre Dun’Gar e – in particolare – da Màs. Kewst non sapeva cosa si fossero detti di preciso lui e Stella, ma una mattina si erano svegliati e il giovane del deserto non c’era più. Lui e Damien avevano trovato la Leonid in lacrime al centro della stanza che aveva condiviso proprio con Garni, si erano guardati in faccia e fatto spallucce scuotendo il capo, nessuno dei due era bravo nelle pene d’amore. Kewst avrebbe voluto dirle che, in fondo, poteva aspettarselo: Garni non si era mai contraddistinto per lealtà verso il prossimo. Invece, Stella era stata la prima a parlare, mettendosi in piedi e voltandosi indietro per guardarli dritto negli occhi:
«Ho bisogno di voi» aveva detto, risoluta. «Damien, sarai il mio primo consigliere e mago di corte.» Poi si era rivolta a Kewst. «E tu, generale delle truppe reali.»
Damien aveva provato a replicare, ma Stella lo aveva arrestato mostrandogli un palmo. «Non accetterò un no.» La sua espressione si era poi addolcita, di nuovo sull’orlo delle lacrime. «Per favore, non ho nessun altro» e non avevano avuto il coraggio di rifiutarle il loro supporto.
Proprio il mago li attendeva in piedi, alle spalle del trono riservato al reggente del Regno di Iberia. Scambiò uno sguardo d’intesa con il guerriero, mentre Stella si accingeva a sedersi al posto che le spettava di diritto.
La Sala Reale, dove si era combattuta l’ultima battaglia, era gremita di gente del popolo, accorsa ad acclamare la nuova regina. Tra le centinaia di volti ignoti, spiccò quello di Emeryl, paradossalmente ancora più bella di quanto non ricordassero, avvolta nel suo splendido mantello di cervo verde e con la lunga treccia bionda laterale a incorniciarle il viso simile a porcellana. Accanto a lei, il guerriero riconobbe Berenise, la Màthayr delle Din Nadair.
Spettò all’Arcimago dell’Accademia di Valldysi, Tullius, l’incarico di incoronare Stella e nel frattempo che proferiva la formula di rito, Damien si accostò impercettibilmente a Kewst, chiedendogli se avesse notizie di Garni. L’altro disse di no.
«Lunga vita alla regina Stella!» Esclamò Tullius, inginocchiandosi al cospetto della sovrana di Iberia, mentre dalla folla si sollevò un applauso scrociante.
 
 
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Stella rientrò nelle sue stanze solo all’Ora della Stella Nera. Le ante della balconata erano ancora spalancate e le tende svolazzanti lasciavano intravedere uno scorcio di cielo puntellato di luci.
La giovane regina rabbrividì, ma nonostante ciò uscì sul terrazzo per respirare l’aria buona che saliva dal mare. Da lì, si poteva anche udire il fruscio delle onde e in lontananza, quando il cielo era particolarmente sgombro da nubi – come in quel momento – si scorgevano le luci del porto del Regno di Niihel.
Stella si aggrappò alla balaustra con entrambe le mani e socchiuse gli occhi, respirando a fondo. Sentì l’aria accarezzarle la criniera argentata, passandovi attraverso come dita di una madre; l’abito leggero si smosse contro le gambe. Risollevò le palpebre e le lacrime le pizzicarono gli angoli degli occhi, ma non pianse. Era una regina adesso, aveva un compito ben più importante da portare avanti e non era sola. Non più. C’erano Damien e Kewst con lei, amici sinceri di cui poteva fidarsi – e affidarsi – a occhi chiusi. E c’era Emeryl. Anche se non era lì fisicamente, le aveva promesso che, se mai avesse avuto bisogno, sarebbe accorsa senza indugi.
E poi…
Poi Stella si sfilò la catenina che teneva al collo e ne osservò la pietra color lavanda che vi era legata. Era un gioiello dalla forma ovale, non più grande di una ghianda, avvolto da un filamento d’argento.
Il ciondolo di De’bhella.
Lo strinse forte, tenendolo al centro del palmo, quindi sollevò il capo per ricacciare di nuovo indietro l’emozione che rischiava di straripare e travolgerla.
Garni non le aveva detto addio, semplicemente una mattina si era svegliata e lui non c’era più. Al suo posto, però, aveva trovato il ciondolo di ametista e, con esso, la muta promessa che sarebbe tornato a riprenderselo.
Era il suo pegno d’amore.


 
 
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