Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Josy_98    23/03/2023    0 recensioni
Quando Chirone la costrinse ad iscriversi alla Yancy Academy per aiutarlo a tenere d'occhio un probabile mezzosangue particolarmente potente, Avalon sapeva già che fosse una pessima idea. Ne era certa. E glielo disse, convinta più che mai che fosse una mossa totalmente sbagliata e che tutto sarebbe cambiato. Non necessariamente in meglio.
Da anni, infatti, tentava in tutti i modi di restare nell'ombra, lasciando ad altri il compito di occuparsi dei problemi divini, far avverare profezie e compiere imprese, limitandosi ad osservare il tempo scorrere senza interferire e rimanendo in disparte nonostante i diversi tentativi degli altri - mortali e divini - di coinvolgerla in ogni modo.
Purtroppo, però, quella volta non riuscì a restarne fuori come avrebbe voluto.
E, quando le cose si complicheranno, Avalon tenterà in tutti i modi di non distruggere quell'intricato lavoro che ha portato avanti in quegli anni, cercando inevitabilmente di salvare quel flebile e incerto futuro in cui lui sopravvive. Con la paura di non riuscirci.
Perchè, Avalon lo sapeva, lei aveva sempre ragione. Finchè non prendeva una decisione.
|Riscritta!|
|Allerta Spoiler!!|
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Castellan, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Ce ne stavamo nell'ombra di Valencia Boulevard, a scrutare le lettere d'oro incise su marmo nero: STUDI DI REGISTRAZIONE R.I.P.. Sotto, sulle porte di vetro, c'era stampato: NO VENDITORI, NO PERDITEMPO, NO VIVI.
Era quasi mezzanotte, ma l'atrio era pieno di luce e di gente. Dietro al bancone della vigilanza c'era una guardia dall'aria tosta, con gli occhiali da sole e un orecchino.
Percy mi aiutò ad appoggiarmi al muro alle mie spalle. Non mi ero ancora ripresa da quello strano attacco e, nonostante gli altri mi avessero chiesto cosa intendeva dire Procuste, io non avevo ancora emesso un fiato, limitandomi ad ascoltare l’idea che avevano elaborato per entrare negli Inferi.
«Okay. Ricordate il piano.» disse Percy.
«Il piano.» Grover deglutì. «Sicuro. Adoro il piano.»
Annabeth disse: «Che succede se il piano non funziona?»
«Pensa positivo.»
«Giusto.» replicò lei. «Stiamo entrando nel Regno dei Morti e devo pensare positivo.»
Percy tirò fuori le perle dalla tasca, le quattro sfere lattiginose che la Nereide gli aveva dato a Santa Monica. Non sembravano un granché come piano di riserva, nel caso qualcosa fosse andato storto, ma io sapevo che avrebbero funzionato. Più o meno.
Annabeth gli mise una mano sulla spalla. «Scusa, Percy. Hai ragione, ce la faremo. Andrà bene.»
Lui diede un colpetto col gomito a Grover.
«Oh, giusto!» concordò lui. «Siamo arrivati fin qui. Troveremo la Folgore e salveremo tua madre. Nessun problema.»
Io sospirai, portandoli a osservarmi con sguardo preoccupato.
«Sei sicura di stare bene?» mi domandò Grover. «Sei ancora… beh, ecco… verde.»
«Terribilmente verde.» concordò Annabeth. «Vuoi aspettarci qui?»
Sgranai gli occhi. «Non se ne parla. Non vi lascio da soli, non con Zio Gioiello.»
«Sei sicura? Non sembri in gran forma.» ribattè lei.
Mi raddrizzai, staccando la schiena dal muro, e tentai di non vomitare addosso a tutti e tre.
«Sto benissimo.»
Non ci credettero nemmeno per un istante, ma non obiettarono più.
«Qualche ultimo consiglio?» mormorò Percy, più giù di morale di quanto volesse far vedere.
Era chiaro si stesse riferendo a me, lo avevamo intuito tutti. Ma io non potevo assolutamente dirgli cosa sarebbe successo.
Lui continuava a fissarmi in attesa di qualunque cosa, di una negazione, una rassicurazione. Gli serviva solo una spinta per cominciare quella follia.
Sospirai, riflettendo. Cosa mai avrei potuto dirgli senza compromettere tutto?
«Qualunque cosa accada, qualunque cosa sentirai, fidati del tuo istinto e tutto andrà come deve.» risposi, cercando di non sbilanciarmi.
Lui mi studiò per alcuni istanti, poi infilò le perle in tasca. «Andiamo a dare una lezione a questi tizi infernali.»
Entrammo nell'atrio dei R.I.P., io sostenuta da un braccio di Annabeth. Ancora non riuscivo a camminare come si deve, il che era parecchio irritante. Almeno avrei recitato bene la mia parte.
C’era una lieve musica di sottofondo, diffusa da casse invisibili. La moquette e le pareti erano grigio ferro. Folti esemplari di piante grasse spuntavano negli angoli come mani. L'arredamento era di pelle nera e tutti i posti a sedere erano occupati. C'era gente sui divani, gente in piedi, gente che fissava fuori dalla finestra e gente davanti all'ascensore. Nessuno si muoveva, parlava o faceva niente. Con la coda dell'occhio li vedevo tutti benissimo, ma se cercavo di mettere a fuoco qualcuno in particolare, cominciavano a sembrare trasparenti. Riuscivo a vedere attraverso i loro corpi. Il brutto di essere degli spiriti: non si ha più un corpo fisico, resta solamente una pallida ombra di ciò che si era in vita.
Il bancone della reception era un podio rialzato, perciò dovemmo sollevare gli occhi per incontrare quelli della guardia.
Era un uomo alto ed elegante, con la pelle color cioccolato e i capelli biondi ossigenati, rasati come un soldato. Indossava degli occhiali da sole con la montatura di tartaruga e un completo di seta firmato, del colore dei suoi capelli. Sul bavero della giacca, sotto una targhetta d'argento, era appuntata una rosa nera. Avrei riso per il contrasto, se non fossi stata così male.
«Lei si chiama Chirone?» se ne uscì Percy.
Diedi una testata al bancone per la sua stupidità, poi lo fissai incredula. Non poteva averlo detto davvero.
Il tipo si sporse sul bancone, attirando la mia attenzione. Non riuscivo a vedere niente nei suoi occhiali a parte il mio riflesso, ma sapevo perfettamente cosa celavano, e il suo sorriso era dolce e freddo, come quello di un pitone un attimo primo di ingoiarti.
«Ma che bel giovanotto!» aveva uno strano accento, antico. «Dimmi, amico, ti sembro un centauro?»
«N-no.»
«Signore.» aggiunse, mellifluo, facendomi sbuffare.
Erano tutti troppo fissati con questo “signore”.
«Signore.» ripetè il Mollusco.
L’altro si staccò la targhetta e fece scorrere un dito sotto le lettere. «Riesci a leggere, amico? C'è scritto "C-a-r-o-n-t-e". Ripetilo con me: CARONTE.»
«Caronte.»
«Magnifico! Ora: signor Caronte.»
«Signor Caronte.» disse Percy, come un perfetto scolaretto.
«Bravo!» il Traghettatore si rilassò. «Detesto essere scambiato per quel vecchio uomo-cavallo. E ora, come posso aiutarvi, piccoli morticini?»
A quella domanda, Percy cercò il nostro sostegno con lo sguardo.
«Vogliamo andare negli Inferi.» rispose.
La bocca di Caronte ebbe un fremito. «Beh, questa è nuova.»
«Con lui tutto lo è.» borbottai.
«Davvero?»
«Una dichiarazione semplice e diretta. Niente strepiti. Nessun: "Dev'esserci un errore, signor Caronte."» ci squadrò. «Come siete morti, dunque?»
Percy diede un colpetto di gomito a Grover.
«Oh.» fece lui. «Ehm... annegati... nella vasca da bagno.»
«Tutti e quattro?» chiese Caronte. «Doveva proprio essere grossa, questa vasca da bagno.» sembrava leggermente impressionato.
«Era più una piscina, in realtà.» dissi io. «E loro stavano cercando di uscire per venire ad aiutare me.»
Lui mi squadrò dalla testa ai piedi, studiando attentamente ogni mio particolare e fermandosi sulla verdognola tonalità della mia pelle.
«E non sono arrivati in tempo, presumo.»
«No, infatti.»
«Suppongo che non abbiate i soldi per la traversata. Di norma, con gli adulti, posso accettare le carte di credito o addebitare il prezzo del traghetto sull'ultima bolletta. Ma con i bambini... ahimè, non morite mai pronti. Dovrete accomodarvi qui per qualche secolo.»
«Oh, ma noi li abbiamo, i soldi.» Percy mise quattro dracme d'oro sul bancone, parte del gruzzolo che avevamo trovato nella scrivania dell'ufficio di Crusty prima di uscire dal quel posto.
«Bene, bene...» Caronte si inumidì le labbra. «Vere dracme. Vere dracme d'oro. Non ne vedevo da...»
Le sue dita aleggiavano avide sopra le monete. Eravamo così vicini. Poi Caronte mi guardò. Fu come se lo sguardo gelido dietro i suoi occhiali mi perforasse il cervello. E io seppi che aveva capito tutto, perché puntava proprio sui tralci di vite che avevo nei capelli. Si voltò verso Percy.
«Di' un po'» esordì. «non hai saputo leggere il mio nome correttamente. Sei dislessico, figliolo?»
«No.» rispose lui. «Sono morto.»
Caronte si sporse in avanti e tirò su col naso. «Tu non sei morto. Avrei dovuto capirlo appena ho visto lei.» affermò indicandomi. «Sei un piccolo dio.»
«Dobbiamo andare negli Inferi.» insistè il Mollusco.
Caronte emise un ringhio profondo con la gola. Immediatamente, tutte le persone nella sala d'attesa si alzarono e si misero a camminare avanti e indietro in preda all'agitazione: chi si accendeva una sigaretta, chi si passava la mano fra i capelli, chi controllava l'orologio.
«Andatevene, finché potete.» ci disse. «Prenderò i vostri spiccioli e dimenticherò di avervi visto.»
Stava per afferrare le monete, ma il figlio di Poseidone le agguantò per primo.
«Niente servizio, niente mancia.» cercò di sembrare più coraggioso di quanto si sentisse.
Caronte ringhiò di nuovo, un verso profondo, agghiacciante. Gli spiriti dei morti batterono i pugni sulle porte dell'ascensore.
«E poi è un peccato.» sospirò, lanciandomi un’occhiata preoccupata. «Potevamo offrire di più.»
Sollevò tutto il sacchetto del gruzzolo di Crusty. Tirò fuori un pugno di dracme e le fece scorrere fra le dita.
Il ringhio di Caronte diventò più simile alle fusa di un leone. «Pensi di potermi comprare, piccolo dio? Ehm... solo per curiosità, quanto hai lì dentro?»
«Parecchio.» rispose. «Scommetto che Ade non la paga abbastanza per questo lavoraccio.»
«Oh, non sai quanto è vero. Tu come ti sentiresti a fare da balia a questi spiriti per tutto il giorno? Un continuo: "La prego, non mi faccia essere morto", "La prego, mi traghetti gratis". Sono tremila anni che non vedo un aumento di stipendio. Seconde te li regalano, i completi come questo?»
«È un Armani?» domandai curiosa, studiando il tessuto.
«Sì.» sibilò lui, compiaciuto che l’avessi notato.
Fischiai.
«Porco zio, quei completi costano una fortuna.» osservai, beccandomi tre occhiate in tralice da parte dei miei amici.
“Quale zio?” si stavano chiedendo.
Bella domanda…
«Si merita di meglio.» convenne Percy. «Un po' di stima. Rispetto. Uno stipendio decente.»
A ogni parola pronunciata, impilava una moneta di più sul bancone. Caronte abbassò gli occhi sulla sua giacca di seta, come se si immaginasse con qualcosa di meglio indosso. «Devo dire, figliolo, che stai cominciando a ragionare. Appena un po'.»
Lui impilò un altro mucchietto di monete. «Potrei accennare a un aumento di stipendio, quando parlerò con Ade.»
Il Traghettatore sospirò. «Del resto la barca è quasi piena. Tanto vale che ci aggiunga anche voi quattro e mi decida a salpare.» si alzò, raccolse i nostri soldi e disse: «Venite.»
Ci facemmo largo tra la folla di spiriti in attesa, che cominciarono a tirarci i vestiti come il vento, le voci che sussurravano frasi incomprensibili. Cercai di non toccarli nemmeno per sbaglio, per evitare di vedere la loro vita e la loro morte. Ne vedevo già abbastanza normalmente senza andarmele a cercare.
Caronte li allontanò con gesti bruschi, brontolando: «Scrocconi.»
Ci scortò nell'ascensore, che era già stracolmo di anime dei morti, ciascuna con la sua carta d'imbarco verde. Caronte agguantò due spiriti che stavano cercando di salire con noi e li respinse nell'atrio.
«Bene. Ora, non fatevi venire idee strane durante la mia assenza.» annunciò alla sala d'attesa. «E se qualcuno si azzarda a spostare la manopola dalla mia stazione radio preferita, farò in modo che restiate qui per un altro migliaio di anni. Intesi?»
Chiuse le porte. Infilò una scheda d'accesso in una fessura sul pannello dell'ascensore e cominciammo a scendere.
«Che succede agli spiriti che aspettano nell'atrio?» chiese Annabeth, ferma al mio fianco con ancora il braccio attorno al mio corpo.
«Niente.» rispose Caronte.
«Per quanto tempo?»
«Per sempre, o finché non mi sento generoso.»
«Oh.» fece lei. «Mi sembra... giusto.»
Caronte alzò un sopracciglio. «Chi ha mai detto che la morte è giusta, signorinella? Vedrai quando toccherà a te. E morirai presto, nel posto dove state andando.»
«Ne usciremo vivi.» replicò Percy.
«Come no.»
Sentii i loro sguardi su di me, così alzai il mio. Mi stavano davvero fissando, curiosi di un mio intervento.
Mi rivolsi a Caronte: «Se sai chi sono, sai anche che non parlo.»
Lui mi studiò per qualche istante, poi sbuffò. «Non ti lascerebbero mai morire. Nemmeno negli Inferi.»
«E ancora non so il perché.» osservai.
«Temo che lo scoprirai fra molto tempo, ragazza.» disse lui. «Ma cercherei di farlo tardare il più a lungo possibile, se fossi in te.»
Aggrottai la fronte, confusa. «Perché?»
«Potrebbe non piacerti quello che scoprirai…» spiegò con tono lugubre.
Ebbi un'improvvisa sensazione di vertigine. Non stavamo più andando verso il basso, ma in avanti. L'aria si velò. Gli spiriti che avevamo intorno iniziarono a cambiare. Gli abiti moderni che indossavano tremolarono, trasformandosi in tuniche grigie col cappuccio. Il pavimento dell'ascensore prese a ondeggiare.
Riportai lo sguardo su Caronte e vidi distintamente il suo completo chiaro lasciare il posto a una lunga tunica nera in stile greco antico. Gli occhiali con la montatura di tartaruga svanirono, lasciando vedere le orbite vuote che aveva al posto degli occhi – molto simili a quelle di Ares, solo che queste erano fosse di tenebre, piene di buio, morte e disperazione.
«Che hai da guardare?» disse a Percy che, come me, lo stava fissando.
«Niente.» riuscì a balbettare lui.
Più ci inoltravamo negli Inferi, più la carne del suo volto diventava trasparente, lasciando intravedere le ossa del cranio. Il pavimento continuava a ondeggiare, come in balia di onde invisibili.
Grover gemette: «Penso che mi stia venendo il mal di mare.»
Dopo qualche altra spinta, l’ascensore aveva lasciato il posto a una chiatta di legno. Caronte ci stava traghettando attraverso un nero fiume oleoso in cui turbinavano ossa, pesci morti e altri oggetti inquietanti: bambole di plastica, garofani schiacciati, fradici diplomi dai bordi dorati.
«Lo Stige.» mormorò Annabeth. «È così...»
«Inquinato.» finì Caronte. «Da migliaia di anni, voi umani ci gettate dentro di tutto, durante la traversata: speranze, sogni, desideri che non si sono mai realizzati. Una gestione dei rifiuti irresponsabile, se volete la mia opinione.»
«Non possono farne a meno.» commentai. «È il loro modo per liberarsi di ogni cosa e arrivare al Tribunale liberi da tutto ciò che li legava alla vita, pronti per essere giudicati.»
La foschia si levava in volute di vapore dall'acqua sudicia. Sopra di noi, quasi sperduto nell'oscurità, c'era un soffitto di stalattiti. Di fronte, una costa lontana emanava un bagliore verdognolo, il colore del veleno.
Mi osservai intorno senza vedere davvero cosa mi circondava. Sentivo il calore dei miei amici contrastare il freddo dei morti che ci circondava, ma la mia mente continuava a venire risucchiata in un’altra realtà. Quel paesaggio, quell’atmosfera di disperazione e dolore e rimpianto che permeava quel tratto dello Stige, mi ricordava troppo ciò che avevo visto e da cui non riuscivo a fuggire. Mi stava facendo di nuovo precipitare nel baratro.
Ero quasi completamente assente. Ma quando percepii la mano di Percy stringersi attorno alla mia, ricambiai la stretta, aggrappandomi alle sue dita come se fossero la mia ancora di salvezza.
Annabeth, dall’altro lato, strinse la presa sul mio fianco, Grover che le prendeva la mano un po’ più in là. Loro avevano bisogno di sapere che c'era qualcun altro vivo su quella barca, e io avevo bisogno di sentire quale fosse la vera realtà.
La costa degli Inferi entrò lentamente nella nostra visuale. Rocce scoscese e sabbia vulcanica nera si estendevano verso l'interno per un centinaio di metri, fino ai piedi di un alto muro di pietra che proseguiva in entrambe le direzioni fin dove riuscivamo a spingere lo sguardo. Un verso risuonò nella penombra verdognola, riecheggiando sulle pietre: l'ululato di un grosso animale.
«Il vecchio Tre Facce è affamato.» commentò Caronte. Il suo sorriso si fece scheletrico nella luce verdognola. «Peggio per voi, piccoli dei.»
«Cerbero?» domandai, raddrizzandomi.
«Proprio lui.» confermò, lanciandomi uno sguardo curioso. «Perché?»
Alzai le spalle con fare indifferente. «Adoro quel cane.»
Il fondo della barca scivolò sulla sabbia nera. I morti cominciarono a scendere: una donna che teneva per mano una bambina; una coppia di anziani barcollanti, che avanzavano tenendosi a braccetto; un ragazzo non più grande di me, che procedeva muto nella sua tunica grigia. Annabeth mi aiutò a scendere dalla chiatta; ancora non ero abbastanza stabile da reggermi sulle mie gambe, ma stavo lentamente migliorando. Troppo lentamente. Speravo solo di essere abbastanza in forma una volta di fronte ad Ade.
Caronte disse a Percy: «Ti auguro buona fortuna, amico, ma quaggiù non ne troverai. Ricordati di accennare al mio aumento di stipendio.» poi si voltò verso di me. «Tu potresti piacergli. Magari lo farai divertire un po’. Sicuramente ti troverà interessante.»
Si infilò le dracme d'oro nella borsa, una per una, poi raccolse la sua pertica. Gorgheggiò qualcosa che somigliava a una canzone di Barry Manilow e ripartì, traghettando la chiatta vuota lungo il fiume.
Noi seguimmo gli spiriti lungo un dissestato sentiero in salita.
L’ingresso degli Inferi sembrava un aeroporto all’ora di punta. Sovraffollato di migliaia di volte e con i voli cancellati.
C'erano tre entrate separate sotto un'unica immensa volta nera, su cui campeggiava la scritta: STATE ENTRANDO NELL'EREBO. Ogni ingresso era provvisto di un metaldetector sormontato da telecamere di sicurezza, superato il quale c'erano dei caselli con dentro dei demoni vestiti con una tunica nera, come Caronte. Doveva proprio piacergli l’abbigliamento retrò.
L'ululato della bestia affamata adesso era davvero assordante, ma non riuscivo a vedere da dove provenisse. Il cane a tre teste, Cerbero, preposto a fare la guardia alla porta di Ade, non si vedeva da nessuna parte. Per il momento.
I morti si misero l'uno dietro l'altro, dividendosi in tre file, due con su scritto OPERATORE IN SERVIZIO e una con il cartello MORTE FACILE. Quest'ultima procedeva spedita. Le altre due erano più lente.
«Che vuol dire, secondo voi?» chiese Percy indicando le tre file.
«La fila veloce andrà direttamente alle Praterie degli Asfodeli.» rispose Annabeth. «Per quelli che preferiscono evitare controversie legali. Non vogliono rischiare il giudizio del tribunale, perché potrebbe essergli avverso.»
«C'è un tribunale per i morti?»
«Sì. Formato da tre giudici, che cambiano di volta in volta. Minosse, Thomas Jefferson, Shakespeare... gente così.» feci una smorfia, ma non commentai. Non era il luogo né il momento per aprire una parentesi su quell’argomento. «Qualche volta osservano una vita e decidono che quella persona merita una speciale ricompensa: i Campi Elisi. Altre volte stabiliscono una pena. Ma la maggior parte della gente, beh, è vissuta e basta. Non ha fatto niente di speciale, né di buono né di cattivo. Perciò va nelle Praterie degli Asfodeli.»
«A fare cosa?»
Grover rispose: «Immagina di stare in un campo di grano del Kansas. Per sempre.»
«Io mi romperei le dracme dopo cinque minuti.» osservai.
«Dev'essere dura.»
«Non quanto quello che succederà a lui.» mormorò Grover. «Guarda.»
Un paio di demoni avvolti nelle tuniche nere avevano preso da parte uno spirito e lo stava perquisendo al bancone della vigilanza. Il volto del morto sembrava vagamente familiare.
«È quel predicatore che ha dato scandalo, hai presente?» spiegò Grover.
«Ah, sì.»
Distolsi lo sguardo, consapevole di cosa lo aspettava. L'avevamo visto in tv un paio di volte alla Yancy. Era questo insopportabile telepredicatore di New York che aveva raccolto milioni di dollari per gli orfanotrofi e poi li aveva spesi per rifarsi la villa, con accessori indispensabili tipo tavolette del water laminate d'oro e un campo da minigolf da interni. Era morto durante un inseguimento con la polizia, quando la sua "Lamborghini per il Signore" era precipitata in un dirupo. Il Karma sa essere davvero grandioso, a volte.
«Che cosa gli faranno?»
«Ade gli assegnerà una pena speciale.» risposi, senza entrare nei dettagli. «Quelli davvero malvagi ottengono la sua attenzione personale non appena arrivano. Le Pipistrelle inventeranno una tortura eterna apposta per lui.»
«Ma se è un predicatore» disse Percy «e crede in un inferno diverso...»
Grover fece spallucce. «Chi dice che sta vedendo questo posto come lo vediamo noi? Gli umani vedono quello che vogliono vedere. Siete piuttosto cocciuti... ehm, costanti, in questo senso.»
Sogghignai. Grover aveva proprio ragione. Gli umani avevano delle mentalità davvero ristrette.
Ci avvicinammo alle porte. L'ululato adesso era talmente forte da far tremare il terreno sotto i nostri piedi, ma ancora non riuscivo a capire da dove provenisse. Dovetti aggrapparmi con entrambe le mani al braccio di Annabeth per non cadere per terra.
Poi, a una quindicina di metri di distanza, ci fu un luccichio nella foschia verdognola. E lì, nel punto in cui il sentiero si divideva in tre, c'era un gigantesco mostro informe.
Prima non riuscivo a vederlo perché era semitrasparente, come i morti. Finché non si muoveva, si fondeva con qualsiasi cosa ci fosse alle sue spalle. Solo gli occhi e le zanne sembravano solidi. E stava guardando noi.
«È un rottweiler.» disse Percy, completamente stupefatto.
«È bellissimo.» commentai io, gli occhi che brillavano dalla meraviglia.
Cerbero era un rottweiler puro, grande il doppio di un mammut, pressoché invisibile e aveva tre teste. Era semplicemente stupendo.
I morti gli si avvicinavano senza avere il minimo timore. Le file dell'OPERATORE IN SERVIZIO si dividevano ai suoi fianchi, mentre gli spiriti della MORTE FACILE gli passavano direttamente fra le zampe anteriori e sotto la pancia, senza neanche accucciarsi.
«Comincio a vederlo meglio.» mormorò Percy. «Come mai?»
«Penso...» Annabeth si inumidì le labbra lanciandomi un’occhiata. «Temo che sia perché ci stiamo avvicinando di più alla nostra morte.»
La testa di mezzo del cane si allungò verso di noi. Annusò l'aria e ringhiò.
«Riesce a fiutare i vivi.» confermai, quando mi guardarono.
«Non c'è problema.» replicò Grover, tremando al mio fianco. «Perché abbiamo un piano.»
Ci avvicinammo al cane.
La testa di mezzo ringhiò, poi abbaiò così forte da farmi tremare il cervello.
«Lo capisci?» chiese Percy a Grover.
«Oh, sì.»
«Che sta dicendo?»
«Non credo che esista una parolaccia simile in nessun linguaggio umano.»
«Nessun linguaggio recente, per lo meno…» borbottai.
Percy tirò fuori dal suo zaino un grosso bastone, la gamba di un letto che aveva spezzato da un modello Safari Deluxe di Crusty. La sollevò con il braccio e si sforzò di sorridere come se non fosse, secondo lui, sul punto di morire.
«Ehi, bel cagnone.» gridò. «Scommetto che non giocano molto con te.»
«GRRRRRRRRRR!»
Chiusi gli occhi, rivedendo nella mia mente alcune immagini poco piacevoli.
«Moriremo tutti.» sussurrai.
«Buoono.» disse, con un filo di voce.
Percy mosse il bastone. La testa di mezzo seguì il movimento, ma le altre due continuarono a puntarlo, ignorando completamente gli spiriti. Aveva tutta l'attenzione di Cerbero. Poteva essere una buona cosa. Oppure no.
«Prendilo!» Percy lanciò il bastone nell'oscurità: un lancio perfetto che sentimmo piombare nello Stige.
Cerbero lo guardò torvo, per niente impressionato. I suoi occhi erano minacciosi e freddi. Il bastone non gli era piaciuto per niente.
E tanti saluti al nostro piano.
Il ringhio di Cerbero adesso era diverso, un suono che saliva dal profondo delle tre gole.
«Ehm.» fece Grover. «Percy?»
«Sì?»
«Penso che tu voglia saperlo.»
«Sì?»
«Hai presente Cerbero? Ecco... sta dicendo che abbiamo dieci secondi per pregare un dio a nostra scelta. Dopodiché... beh...»
«Ha fame.» conclusi.
«Aspettate!» esclamò Annabeth, mettendosi a frugare nel suo zaino.
Un pesante sospiro di sollievo lasciò le mie labbra. Grazie agli dei, si stava avverando quella realtà. Forse potevamo ancora salvarci.
«Cinque secondi.» contò Grover. «Scappiamo?»
«Aspetta.» lo fermai, mentre mi tenevo in piedi da sola, per dare più libertà alla figlia di Atena.
Annabeth tirò fuori una palla di gomma rossa delle dimensioni di un pompelmo. Era marcata WATERLAND, DENVER, CO. Prima che uno di noi riuscisse a muovere un passo, la levò in alto e avanzò impettita verso Cerbero.
Gridò: «Guarda la palla! Vuoi la palla, Cerbero? Seduto!»
Cerbero sembrava sbigottito quanto Percy e Grover. Io sorridevo come un’idiota.
Tutte e tre le teste si piegarono di sghembo, allungando il collo. Sei narici si dilatarono.
«Seduto!» gridò di nuovo Annabeth.
Cerbero si leccò le sue tre serie di labbra, scrollò il posteriore e si sedette, schiacciando una dozzina di spiriti della MORTE FACILE che gli stavano passando sotto proprio in quell'istante. Gli spiriti si dissolsero con dei sibili soffocati, come aria rilasciata da un copertone.
Annabeth disse: «Bravo!»
E gli lanciò la palla.
Cerbero la prese con la bocca centrale. Date le dimensioni, riusciva a masticarla appena, e le altre teste cercarono di strapparle il giocattolo nuovo.
«Lascia!» ordinò Annabeth.
Le teste di Cerbero smisero di litigare e la guardarono. La palla era incuneata fra due zanne come un minuscolo pezzetto di gomma. Il cane emise un guaito acuto e spaventoso, e poi depositò la palla ai piedi di Annabeth. Adesso era tutta appiccicosa e mordicchiata.
«Bravo, cagnone.» raccolse la palla, ignorando la bava del mostro. Si girò verso di noi. «Andate. La MORTE FACILE è più veloce.»
«Ma...» provò a protestare Percy.
«Ora!» ordinò, con lo stesso tono che stava usando con il cane.
Noi tre ci facemmo debolmente avanti. Cerbero si mise a ringhiare.
«Fermo!» ordinò Annabeth al mostro. «Se vuoi la palla, fermo!»
Cerbero guaì, ma rimase dov'era.
«E tu?» chiese il Mollusco ad Annie mentre le passavamo davanti.
«So quello che faccio, Percy.» mormorò. «Almeno, ne sono abbastanza sicura...»
Percy, Grover e io ci infilammo fra le zampe del mostro. Le mie gambe tremarono e cedettero, mandandomi chiappe a terra proprio sotto quelle di Cerbero. Grover e Percy, che erano riusciti già a passare, si voltarono di scatto allarmati dal tonfo, ma non fecero in tempo a tornare indietro a prendermi che le tre teste di Cerbero mi circondarono. Mi fissavano con i loro occhietti, mentre le loro narici mi annusavano dalla testa ai piedi cercando di identificarmi. Rimasi immobile.
«Non muovetevi.» dissi agli altri.
Aspettai che Cerbero mi analizzasse, senza fretta. Non sembrava essere ostile nei miei confronti, e mi chiesi il perché. Era attratto dai tralci vite, che annusò con particolare attenzione, ma non ringhiò. Poi, a un certo punto, la testa di mezzo mi diede un buffetto sulla guancia, come in cerca di coccole. Allungai piano una mano, tenuta d’occhio dalle altre due teste, e la appoggiai sotto il suo orecchio, dove cominciai a lasciargli qualche grattatina che gli fece sbattere la coda a terra dalla contentezza. Per poco non caddi di nuovo, per il terremoto che provocò.
«Sei proprio un bel cucciolone, vero?» osservai con un sorriso, rilassando il corpo e portando anche l’altra mano ad accarezzarlo.
Lui guaì. Ora tutte e tre le teste si contendevano le mie coccole, le lingue penzoloni e i musi felici.
Con calma mi staccai da loro e feci un gesto ad Annabeth perché attirasse di nuovo la sua attenzione, in modo da permettermi di raggiungere gli altri. Le bastò far rimbalzare la palla a terra un paio di volte per avere di nuovo le tre teste concentrate su di lei.
Indietreggiai con calma e raggiunsi Percy e Grover, che erano già fuori dalla portata di Cerbero. Poi feci un cenno d’assenso ad Annabeth per farle capire che toccava a lei.
La figlia di Atena disse di nuovo: «Buoono!»
Cerbero attese.
Tirò su la palla malconcia e probabilmente giunse alla stessa conclusione a cui eravamo giunti anche noi: se avesse ricompensato Cerbero, non le sarebbe rimasto nulla per tenerlo a bada.
La lanciò lo stesso. La bocca sinistra del mostro l'addentò subito, solo per vedersi attaccata un istante dopo dalla testa di mezzo, mentre quella di destra uggiolava in segno di protesta.
Sfruttando l'attimo di distrazione del mostro, Annabeth sfrecciò rapidamente sotto la sua pancia e ci raggiunse al metaldetector.
«Come hai fatto?» le chiese Percy, sbigottito.
«Scuola di addestramento.» rispose lei, senza fiato, mentre le stringevo una spalla. «Da piccola, a casa di papà avevamo un doberman.»
«E tu, Avie?» si voltò vero di me. «Perché non ti ha mangiato?»
«Lascia perdere.» fece Grover, tirandolo per la maglietta. «Muoviamoci!»
Stavamo per infilarci nella fila della MORTE FACILE quando Cerbero guaì penosamente con tutte e tre le bocche. Io e Annabeth ci fermammo e ci voltammo verso il cane, che ci stava guardando e tirò fuori le lingue, ansimando speranzoso, con la minuscola palla rossa ormai maciullata ai suoi piedi, in una pozza di bava.
«Buoono.» ripeté Annabeth, ma in tono malinconico, titubante.
Le teste del mostro si piegarono di lato, come se fossero preoccupate per lei.
«Ti porteremo presto un'altra palla.» promisi. «E ti farò tante altre coccole. Ti piacerebbe?»
Il mostro guaì.
«Bravo. Verremo a trovarti presto. Te lo prometto.» confermai.
Annabeth mi osservò per qualche istante. «Cerbero ti ha fatto bene, non sei più verde.» osservò. «Grazie.» aggiunse.
Sapevo quanto stesse cercando di nascondere la malinconia che sentiva in quel momento.
Le feci un sorriso, prima di voltarmi verso gli altri. «Andiamo.»
Percy e Grover passarono sotto il metaldetector. L'allarme scattò subito, facendo partire una serie di lampeggianti rossi. «Articoli non autorizzati! Identificata magia!»
Alzai gli occhi al cielo.
Cerbero si mise ad abbaiare.
Ci precipitammo oltre la porta della MORTE FACILE, che fece scattare altri allarmi, ed entrammo a rotta di collo negli Inferi.
Pochi minuti dopo eravamo nascosti, senza fiato, nel tronco marcio di un immenso albero nero, mentre dei demoni della vigilanza ci superavano di corsa, chiamando a gran voce i rinforzi delle Furie.
Grover mormorò: «Beh, Percy, che cos'abbiamo imparato oggi?»
«Che i cani a tre teste preferiscono le palle di gomma rossa ai bastoni?»
«No.» ribattè lui. «Abbiamo imparato che i tuoi piani hanno decisamente del mordente, ma che alla fine sono una bidonata!»
«Non è del tutto esatto.» commentai io, ripensando a quel cane.
Persino lui si sentiva solo.
Cerbero guaiva sconsolato in lontananza, rimpiangendo le sue nuove amiche. Quando Annabeth si asciugò una lacrima dalla guancia, le strinsi una mano. Sapevo esattamente come si sentiva: anche a me dispiaceva lasciarlo lì. Ma avrei fatto di tutto per poterlo rivedere, come gli avevo promesso. Non lo avrei lasciato abbandonato a sè stesso. Non se lo meritava, povero cucciolo.
Dovevo assolutamente parlarne con Zio Gioiello.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Josy_98