Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: ElenoraBumBum    30/03/2023    0 recensioni
Completamente esasperato da tutto, sospiro: «Prima o poi me ne andrò da qui». Ne sono certo, mi lascerò questa vita assurda alle spalle e troverò qualcosa di meglio. Una casa migliore, un lavoro migliore, magari pure qualcuno con cui condividere la mia nuova vita. Qualcuno che scelga di stare con me, non che venga obbligato. Qualcuno che io possa veramente considerare famiglia.
«E perché?»
«Ma come perché? Dammi un solo buon motivo per restare». E ce l’avrei pure, ce l’ho davanti e occupa tutto il mio campo visivo visto che è gigante quanto il massiccio del Monte Bianco, ma ogni giorno che passa diventa sempre più difficile gestirlo e a volte la spina va staccata. Anche se non sembra, ce l’ho ancora un po’ di amor proprio.
Neanche mi avesse letto nel pensiero, sorride e sussurra: «Dalle altre parti non ci sono io».
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2 – Taser dodici volt

In fretta e furia, raggiungo il parcheggio sterrato dell’enoteca “Pastorelli”. Storico punto di ritiro per il territorio, la gente manco ci viene a vedere che abbiamo: chiamano, ordinano le stesse dodici bottiglie di vino che bevono da sei generazioni e passano a ritirare. Il che è un bene, tanto lo stipendio lo prendo lo stesso e così non devo spiegare dettagli, aromi e fragranze di questo e quell’altro vino a gente a cui alla fine, non importa un fico secco. “È alcolico? Benissimo, prendo quello”. 
Spengo il motore, scendo, metto lo scooter sul cavalletto e mi tolgo il casco, abbassandomi immediatamente quel tanto che basta per vedermi nello specchietto. Mi metto a posto i capelli, cercando di dare un senso alla riga centrale, mi pettino le ciocche mosse, che ormai hanno raggiunto i lobi delle orecchie e mi metto bene eretto. Diamo un senso a questo mercoledì mattina.
Apro la porta sul retro e appoggio il casco in cima allo scaffale della nostra roba privata, infilo il grembiule e saltello fino in sala, contento di poter avere contatti umani solo con Elisa per almeno una buona mezz’oretta.
«Ciao, Eli» cinguetto, lieto, inspirando il profumo di sughero.
«Ciao, Gian…» brontola lei, funerea. Il buongiorno si vede dal mattino. «Si è rotta la cassa, non funziona, papà ha detto che la devi mettere a posto tu.»
«E perché io?»
«Perché sei un perito elettrotecnico, Gian»
«Ah… già» esalo. Grazie mamma e papà per aver mandato vostro figlio svolazzante in un ITIS, sono stati cinque anni fantastici. Mi approccio al registratore con fare sospettoso, come se silicio e alluminio potessero mordermi. Dio, non mi ricordo proprio una fava di elettrotecnica, o di quelle altre boiate lì. Vabbè, cerchiamo di non prenderci delle scosse, o di lasciarci delle dita. 
«Comunque, sei conciato in maniera decente oggi»
«Grazie, Eli, ma non ti perdonerò il tradimento della cassa»
«Non è un tradimento, se io tocco quella roba, muoio fulminata…»
«Ah, beh, perché io no»
«Tu teoricamente dovresti avere delle basi…»
«L’unica base che mi ricordo è di quanto avrei voluto chinarmi davanti al professore neolaureato di sistemi automatici»
«Bleah» sbotta, ironica. Vive qui pure lei, deve perlomeno far finta di essere omofoba, è nel contratto. Che poi sia una frociarola di tutto rispetto, è un altro discorso. Provo ad accendere la cassa, sia mai che funzioni. No, ottimo. Sospiro, non saprei nemmeno cosa cercare per metterla a posto. «Comunque, ti devo abbandonare, devo andare a ritirare quei due libri da mettere in vetrina.»
«Assolutamente no. Se muoio, non c’è nessuno che mi soccorre…!» mi affretto ad esclamare. 
«Ma se sei morto, non serve qualcuno che ti soccorra.»
«E poi cosa mettiamo dei libri in vetrina? A che servono?»
«E chiedilo a mio padre, Gian.»
«Si degnasse di venire qualche volta nel suo negozio…» borbotto, dando dei colpetti a lato della cassa. 
La sento sospirare e mi volto, mentre lei si avvia verso la porta del retro. «Ci vediamo dopo! Non morire!» esclama, facendomi “ciao, ciao” con la mano.
«Non prometto niente, brutta stronza!» piagnucolo, totalmente abbandonato. Non so nemmeno usare un cacciavite. Aiuto. Scollego tutti i cavi, tra alimentazione, internet e cose varie, poi la tiro su e mi metto seduto a terra. Ho bisogno di spazio. Non che ne sia veramente a conoscenza, sto facendo tutto a caso. Schiaccio lo zero. Non funziona. Mi alzo, frustrato e la guardo dall’altro. «Ma porca troia» ringhio. Che devo fare? Non ne ho idea. Non so manco come funzioni un registratore di cassa fiscale. Non so manco cosa si sia rotto, come faccio ad aggiustarlo? Cristo santissimo. Mi accovaccio e gli do un pugnetto leggero, sperando in un miracolo. 
«Buongiorno?» sento dire da una voce incerta, da dietro il bancone. Sobbalzo per la sorpresa, facendo sbattere la mia testa bacata contro lo spigolo del piano in legno. Mi porto d’istinto la mano sul capo, stringo gli occhi per il dolore e uggiolo qualcosa di insensato. «Oh, si è fatto male?» domanda la voce. Ma no, guarda. Sicuramente è quello intelligente della cucciolata. E davvero vorrei rispondergli, ma non riesco a pensare a nulla di sensato. «Mi faccia vedere» continua e, in un millisecondo, mi ritrovo davanti un cazzo. Non vedo niente se non dei pantaloni beige e una cintura marrone, ma sento un paio di dita leggere scansare le mie e ravanarmi tra i capelli. Il mio cervello si riprende dal trauma e collego le sinapsi: un tizio sconosciuto mi sta dando del lei e sta ravanando tra i miei capelli, dal lato del bancone, in cui non dovrebbe essere. 
«No, no, tutto a posto» mi affretto a dire e mi metto in piedi istantaneamente. Non la migliore delle idee, visto il pulsare del mio cranio. Finalmente lo vedo in faccia e mi incanto un secondo, sia per la sorpresa del viso sconosciuto, sia perché… beh, wow. Un attimo fa ero completamente solo e ora mi trovo davanti questo ragazzo con la stessa stazza di una montagna, capelli e barba scuri, ben curati, occhi chiari, sorriso gentile ed espressione disponibile. «Sì, buongiorno… ehm, guardi, le dico la verità: c’è la cassa rotta, dovrei aggiustarla, ma non ne sono assolutamente in grado, quindi non posso battere gli scontrini e non posso venderle nulla. Sono mortificato per il disturbo, ma se non le dispiace, può tornare questo pomeriggio, o comunque dopo che ho guardato un tutorial su youtube e sono riuscito a non folgorarmi, ecco. Sa, facciamo orario continuato, quindi potrebbe venire anche durante la pausa pranzo» balbetto, nervoso, catapultandomi nel bel mezzo del negozio sperando di farmi seguire. Invano, dato che questa sottospecie di colosso di Rodi rimane immobile dov’era prima. 
Mi squadra per un secondo, poi ridacchia. Ma sei serio? «La sfido a rimanerci folgorato con una cassa che lavora sulla dodici volt». Sì, ciccio, fai poco il saputello. Ma da dove è uscito sto tipo qui? «Se vuole, posso aggiustarla io. Sono un tecnico informatico»
«No, guardi, non mi sembra una buona idea, la ringrazio molto per la disponibilità, ma non posso farle mettere mano su…»
«Beh, se preferisce, io dico a lei cosa fare e lei lo fa, così non metto mano su niente» mi interrompe, cordiale. Sospiro. Quali sono le altre opzioni? Non fare niente e beccarmi una lavata di capo da Beppe, o chi per lui, oppure fare qualcosa a random e peggiorare la situazione. 
«Peggio di così non può andare» brontolo, tra me e me, poi rialzo lo sguardo fino a incrociare il suo. «Che devo fare?»
«Se non l’attacca alla corrente, è difficile capire se funziona o no»
«Se non l’attacco alla corrente, sono certo che non ci rimango secco»
«La smetta, non ci può rimanere secco, magari non serve nemmeno aprirla». Sbuffo, roteo gli occhi al cielo e mi abbasso per riprenderla e rimetterla sul bancone. Riattacco correttamente tutti i cavi e i cavetti e rimango in attesa. Bene, siamo punto e a capo. «La accenda, magari era solo collegata male». Dubbioso, premo il pulsante di accensione e, magicamente, lo schermetto diventa blu. Dio, se odio questo tizio. E manco lo conosco.
Chiudo gli occhi un secondo, cerco di ripetermi che questo è un cliente e non posso mandarlo al diavolo. «Grazie per l’aiuto» riesco a dire, sforzandomi di fare un sorriso. 
«Ora può vendermi del vino?» domanda. Ora lo prendo e lo sbatto fuori dal non-mio negozio. 
«Certo» mormoro, invece, con tanto di gesto della mano. Mentre gli spiego i dettagli di una bottiglia non esageratamente pregiata, sento il suo sguardo addosso e mi mordo la lingua per non sbottargli uno sgarbato “che ti guardi?” in faccia.
«Mi sono appena trasferito, ho comprato e ristrutturato una casetta qui in paese» asserisce, poi. Ah, è il nuovo proprietario della villa che ho visto prima.
«Pessimo acquisto» ribatto, leggermente acido. 
«La settimana prossima inizio a lavorare in un’azienda di laminati come responsabile IT, potevo trovare un posto in città, ma preferisco la campagna… Fatto sta che… sono nuovo e non conosco nessuno qui.»
«Presto conoscerà tutti, non si disperi.» brontolo. «Saranno gli altri ad assaltare casa sua per conoscere il nuovo compaesano»
«Posso tenere lontano la folla con un taser dodici volt» ammicca, con un sorrisino. Che lo linciassero, guarda. Me la immagino la signora Teresa con la torcia e il forcone.
«C’è un rincaro per il sarcasmo»
«E uno sconto per quello del commesso?»
«Non siamo in periodo di saldi» asserisco, raccogliendo le braccia al petto.
«Peccato…» commenta. «Quindi come rosso, lei consiglia questo?» chiede, indicando l’etichetta bianca del vino che gli stavo spiegando prima. 
«Sì, niente di troppo impegnativo, va bene da bere mentre si mangia. Un passe-partout, insomma»
«Allora prendo sei di queste e sei di… spumante secco, magari brut, se l’avete» conclude, soddisfatto. Annuisco, con un sorriso e vado a preparargli i due cartoni, portandoli alla cassa nuovamente funzionante. Guardo lui, già pronto con la carta in mano, il registratore e le bottiglie e decido di battergliene undici. Mi ha aiutato a mettere a posto tutto quanto, sono uno spirito buono e riconoscente. Non capisco perché non mi sia ancora arrivato l’attestato di santificazione. San Gianluca, il protettore dei commessi. 
«Una la offre la casa. Metà per la cassa e metà come sconto per il sarcasmo del commesso» gli riferisco, spingendo i cartoni verso di lui.
Si apre in un sorriso a trentadue denti e, con l’espressione più riconoscente che mi sia mai stata rivolta, esclama: «Grazie mille!». Mi passa la carta, effettuo la transizione, poi gli restituisco scontrino e tessera. «Allora, alla prossima…!». Questo è un tipo strano. Perché è così entusiasta dalla vita? Boh. Ha comprato del vino, deve annegarci i suoi dispiaceri, mica essere così raggiante. E che cavolo.
«Certo, arrivederci» concludo dubbioso, mentre lui si volta e va via. Sì, proprio strano questo tipo.
~
Appoggio il mento sulla mano. Mi annoio. Sono veramente annoiato. Guardo l’ora sul cellulare, le sei e cinquantacinque. Tra dieci minuti, Beppe farà la sua miracolosa apparizione per prendere quei tre spicci dalla cassa per poi eclissarsi nuovamente nel nulla fino a domani sera, io ed Eli faremo chiusura, pulendo quel minimo indispensabile per rendere questo posto presentabile e, infine, ce ne andremo a casa, benedicendo lo scorrere del tempo per aver fatto passare un’altra giornata. 
«Che fai stasera?» mi chiede Eli, dal suo sgabello.
«Evito la mia famiglia come una pestilenza e, probabilmente, mi sparerò una sega, tu?»
«Raccapricciante, Gian…»
«Tu me l’hai chiesto»
«Comunque, mamma fa la passata, mi sa che l’aiuterò»
«Ci sta. Avete tanti pomodori?»
«Non più dell’anno scorso, mi scoccia, ma almeno non mi fa incazzare quanto guardare un film in streaming…». Già, il wi-fi è una tecnologia non del tutto supportata in questo posto. Credo che metà della gente pensi che l’ADSL sia una malattia. E che la fibra ottica sia un integratore alimentare. «Sabato andiamo dallo storto?»
«Come ogni sabato, Eli, come ogni sabato» piagnucolo. E non ho nemmeno il tempo di disperarmi per i nostri disastrosi piani per il sabato sera, che la porta si apre e appare il ragazzo nuovo. 
«Hey» saluta, con una mano alzata.
«Le ha già scolate tutte le bottiglie?» domando, ironico. 
«No, no» risponde, ridacchiando. «Volevo ricambiare la gentilezza di oggi… e ti dispiace se ti do del tu?». Scuoto la testa, onestamente sono più preoccupato per altro. Tipo tutto il resto. «D’accordo… ehm… volevo chiederti se ti andasse… boh, di farti offrire una birra. Appunto, per ricambiare il vino». La mia mascella cede e quasi sento il fresco delle piastrelle contro il mento. Ma dico, non mi vede? È una clausola obbligatoria essere ciechi per abitare qui? Cioè, ok i gusti sessuali deviati, i capelli leggermente lunghi, gli orecchini e tutta la mercanzia che mi porto appresso, ma sono un uomo. E per quante battute possa farci sopra, mi sento abbastanza a mio agio con i miei testicoli al loro posto. Forse si accorge del mio stupore leggermente eccessivo e prova ad aggiungere: «Cioè, senza impegno, così mi fai anche vedere un po’ di questo posto…».
Quasi tiro un sospiro di sollievo, riaggancio la mascella alla testa ed esalo: «Ah, ok, vuoi che ti faccia da guida turistica.»
«No, no, macché» si affretta a dire. «Voglio solo ricambiare, davvero. Te l’ho detto, non conosco nessuno qui e, per quanto non disprezzi certe qualità dei compaesani più anziani, magari tu sei in una fascia d’età più simile alla mia…»
«C’è Elisa, qui» asserisco, provando a sbolognarlo alla mia fidata compagna di avventure. Lei si gira robotica verso di me, con gli occhi sgranati e iniettati di sangue. 
«Gian, devo aiutare mia madre coi pomodori» sibila in mia direzione.
«Beh, era una cosa senza impegno, se non vuoi, non fa niente.» ripete lui, con una faccia mogia. Mannaggia… no, anzi, vaffanculo. Vaffanculo a me e alla mia cazzo di gentilezza.
«No, va bene, facciamoci una birra.» ribatto, provando a fare un’espressione disponibile. Praticamente, risorge dalla sua depressione, fa un sorrisone e gli si illuminano pure gli occhi. Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo. «Alle nove?»
«Certo»
«In piazza va bene? Sai dov’è?» domando. Annuisce, tutto contento e, giuro, se si mette a scodinzolare, lo prendo sotto col motorino. «Allora, alle nove in piazza…»
«D’accordo, a dopo!» esclama e sparisce alla velocità della luce, dandomi l’occasione di salutarlo per un pelo. Ok. Ma-che-cazzo?
«Giuro, non ho capito» provo a dire, non troppo convinto.
«È il tuo ragazzo?» chiede Eli.
«Dico, ma sei matta? Ma perché mai dovrei spingere il mio ragazzo tra le tue braccia, scusami?»
«E allora chi è?»
«È quello nuovo che ha comprato la casa di Nella, stamattina ha comprato delle bottiglie…»
«E perché ti ha chiesto di uscire?»
«Che cavolo ne so, Eli…» esalo, ancora sbigottito.
«Ma non è che ci siamo fatti una canna e stiamo avendo la stessa allucinazione?»
«Sai che non mi viene da scartarla, come opzione?»
«Ah beh, almeno è carino…»
«Ma che me ne faccio di un tipo carino etero?» chiedo, scocciato. Almeno, credo. Beh, sì, quale omosessuale sano di mente verrebbe qui? Dio aveva dei piani particolari per me, ma gli altri gay sparsi per il mondo hanno l’opportunità di non mettere mai un singolo alluce in questo deserto edificato. Poi, carino ok, ma mi sembra un po’… too much per me. Non so, mi lascia perplesso. Poi non lo conosco, eh, magari parlandoci per più di dieci minuti, risulta la persona migliore al mondo. Ma che cazzo, non so nemmeno il suo nome e accetto un invito per uscire. Sono proprio tonto. Con la ‘t’ maiuscola.
«Magari può essere un nuovo amico…»
«Che? Sei diventata mia madre?» brontolo. Non me ne faccio niente di nuovi amici. Già ho quelli vecchi che bastano e avanzano. Tra Fra, Lori, Eli e Auri, non c’è di che lamentarsi. Tre su cinque abitano in città, fortunatamente, così almeno abbiamo una scusa per non rinchiuderci in questo paese degli orrori e andiamo ogni sabato dallo storto a bere birra scadente, o vodka mischiata col listerine. A volte mi basta così, altre vorrei espatriare in una metropoli degna del suo nome. Andare a bere un cosmopolitan e tornare nel mio attico con un taxi, come le signore di città. Poi mi rendo conto che, anche se fosse, farei le stesse cose che già faccio qua: bere birre scadenti, o vodka mischiata col listerine. Forse sarei anche più solo. Già ho fatto una fatica immensa a raccattare sti quattro disadattati, figuriamoci conoscere persone nuove in un enorme posto sconosciuto.
«Vabbè, Gian, escici e se non è un pazzo omicida, invitalo sabato. E indaga sul suo orientamento sessuale, così se fosse lo accoppiamo ad Auri»
«E tu, scusa?»
«Non è il mio tipo»
«Ma se hai detto cinque minuti fa che è carino»
«E che vuol dire? Anche tu sei carino, ma sicuramente non cercherei di accoppiarmi con una checca come te»
«Questo è perché noi due abbiamo lo stesso tipo» preciso, annuendo convinto. Lei scrolla le spalle e mi lancia uno straccio. Sospiro. Puliamo questo posto, così poi potrò uscire col tipo misterioso.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: ElenoraBumBum