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Autore: starlight1205    08/04/2023    3 recensioni
Edimburgo, 1996
Diana Harvey è una normale ragazza che vive con la zia e lavora nel negozio di antiquariato di famiglia. Una serie di circostanze e di sfortunati eventi la porteranno a confrontarsi con il mondo magico, con il proprio passato e con un misterioso oggetto.
Fred Weasley ha lasciato Hogwarts e, oltre a dedicarsi al proprio negozio Tiri Vispi Weasley insieme al gemello George, si impegna ad aiutare l'Ordine della Fenice nelle proprie missioni.
Sarà proprio una missione nella capitale scozzese a far si che la sua strada incroci quella di una ragazza babbana decisamente divertente da infastidire.
[La storia è parallela agli eventi del sesto e settimo libro della saga di HP]
- Dal Capitolo 4 -
"Diana aveva gli occhi verdi spalancati e teneva tra le dita la tazza di tè ancora piena.Non riusciva a credere a una parola di quello che aveva detto quel pazzo con un'aria da ubriacone, ma zia Karen la guardava seria e incoraggiante. Il ragazzo dai capelli rossi nascondeva il suo ghigno dietro la tazza di ceramica, ma sembrava spassarsela un mondo. Diana gli avrebbe volentieri rovesciato l'intera teiera sulla testa per fargli sparire dal viso quell'aria da sbruffone."
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Fred Weasley, George Weasley, Mundungus Fletcher, Nuovo personaggio | Coppie: Bill/Fleur
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Benjamin Murray si trovava nella periferia della Londra babbana.
La luce della sera disegnava lunghe ombre sul selciato, mentre poche vie lo separavano dalla sua meta. 
Diede un’occhiata al suo orologio da polso e, sbuffando, si rese conto che era ancora troppo presto per entrare in azione, così, per ingannare il tempo, cominciò lentamente a camminare in direzione del Bedlam Royal Hospital. Diana gli aveva fatto parecchie domande in merito al ricovero di suo padre ed era assolutamente plausibile che si fosse recata a cercare informazioni presso il vecchio ospedale.
Mentre i suoi piedi incedevano sul marciapiede ancora umido per l’ultimo scroscio di pioggia, si strinse nella giacca.
Nonostante la studiata lentezza con cui si era mosso, arrivò ben presto di fronte al grigio edificio le cui finestre erano ancora illuminate, segnale che le attività, all’interno erano ancora in pieno svolgimento.
Sospirò e lanciò un altro sguardo al quadrante dell’orologio.
Era presto.
Aspettare non sarebbe stato un problema.

Sin da quando era bambino ed era stato smistato nella casa di Serpeverde una volta arrivato a Hogwarts, Benjamin Murray era stato una persona paziente e caparbia.
Era stato paziente e non si era curato di tutti i pregiudizi nascenti riguardo a coloro che vestivano i colori verde e argento.
Aveva studiato e lavorato sodo per scrollarsi di dosso le voci, i sussurri e i pettegolezzi che lo volevano come un seguace dell’Oscuro Signore solo perchè era costretto a dividere le aule, la Sala Comune e il dormitorio con quelli che poi si sarebbero pomposamente fatti chiamare, una volta fuori dalla scuola, Mangiamorte.
Quante volte aveva condiviso il tavolo di pozioni con Barty Crouch Jr e Regulus Black, sentendoli sussurrare cattiverie sui Sanguesporco, mentre lo scrutavano con diffidenza.
Quante volte li aveva sentiti mormorare di sogni di gloria e di un un ideale mondo in cui i babbani erano sottomessi come schiavi. 
Non condivideva le loro arcaiche ideologie sulla purezza del sangue e ammirava certi aspetti della vita babbana, così normale per lui, che aveva in famiglia ben due cugini Maghinò.
Per questo era sempre stato solo e senza amici: nessuno dei suoi altezzosi compagni aveva il coraggio di avvicinarsi a un ragazzino con una tale parentela di dubbia provenienza e tutti si domandavano ancora come avesse fatto a essere smistato nella casa di Serpeverde.
Eppure qualcosa in comune con quei maghi snob ce l’aveva per forza o si sarebbe trovato a dormire in una delle torri più alte del castello e non negli umidi sotterranei sprofondati al di sotto del livello del Lago Nero.
Era ambizioso e l’essere stato messo da parte da tutti aveva fatto scaturire in lui un bruciante desiderio di riscatto. Di dimostrare che lui non era quello che tutti credevano fosse. 
Non era come suo fratello maggiore Robert: lui era un leale e gioviale Tassorosso, generoso, affidabile e sempre pronto a spalleggiare il fratello minore anche quando veniva preso di mira dai compagni di scuola più insolenti.
Benjamin voleva di più. Voleva essere visto per quello che era veramente e non come un qualunque rappresentante della casa di Salazar Serpeverde.
A causa degli interessi e della professione di parte della sua famiglia, era sempre stato appassionato di storia e di archeologia e soprattutto del legame tra la storia magica e quella babbana e di come spesso i due mondi corressero su due binari differenti che finivano per incrociarsi in determinate occasioni storiche.
Per questo, dopo aver conseguito i M.A.G.O., aveva deciso di viaggiare, di lasciarsi alle spalle i preconcetti che lo avevano inseguito per tutti gli anni a Hogwarts e cercare reperti, antichi pezzi intrisi di magia e riconducibili ai grandi eventi della storia babbana e magica che avrebbero testimoniato che lui ce l’aveva fatta a non essere come tutti gli altri.
Tra gli studi che aveva affrontato, alcuni manufatti magici in particolare avevano attirato la sua attenzione, proprio perchè nemmeno il mondo magico ne conosceva a fondo il potere e la storia: i Blackhole.
Erano oggetti leggendari e quasi scomparsi dalla circolazione che non affascivano solo lui, ma erano anche il chiodo fisso di suo cugino, Daniel Harvey.
A maggior ragione, Daniel, essendo un Magonò che non aveva mai accettato del tutto la propria condizione, desiderava con tutto sè stesso trovare un rarissimo Blackhole: si diceva che quei particolari manufatti potessero conferire poteri anche a chi non possedeva la magia, ma nessuno di sua conoscenza ne aveva mai avuto la prova tangibile ed era proprio questo che Benjamin cercava di scoprire.
Benjamin aveva da sempre intrattenuto una fitta corrispondenza con il cugino per informarlo di ciò che man mano scopriva e quando, invece, era stato il cugino a comunicargli di aver finalmente trovato, tramite i suoi traffici di oggetti magici e non, quello che a tutti gli effetti sembrava essere un Blackhole, Ben si era quasi sentito mancare per l’emozione di avere finalmente, potenzialmente, sottomano uno di quei mitici oggetti.
La difficoltà nel trovarli e nel riconoscerli era insita nel fatto che fossero comunissimi oggetti su cui erano stati applicati complicati incantesimi di magia oscura su cui ancora non era riuscito a fare chiarezza. Forse, studiandone uno da vicino, avrebbe potuto finalmente districare il mistero della creazione dei Blackhole ed essere ricordato per sempre come il maggiore studioso della materia. 
Appena aveva potuto, si era recato a Edimburgo per vedere di persona il vecchio orologio da taschino che Daniel gli aveva descritto dettagliatamente per lettera.

[Febbraio 1988]

- Dallo a me, Danny - aveva detto Benjamin prima di partire nuovamente per l’ennesimo viaggio.
- No - aveva risposto di getto Daniel, quasi oltraggiato da quella richiesta e stringendo nel palmo della mano l’orologio, come se fosse un tesoro da custodire gelosamente.
- Ascolta, non ne sappiamo ancora abbastanza - aveva sibilato Benjamin tentando di convincerlo - e se fosse pericoloso?
Daniel aveva scrollato le spalle mentre con aria assente fissava l’orologio nella sua mano.
Una voce femminile li aveva raggiunti dal soggiorno.
- Amore, sei a casa?
- Sì, sono in cucina, tesoro! - aveva esclamato in risposta Daniel alzando la voce per farsi udire dalla moglie.
Sarah McKinnon in Harvey, i corti capelli castani spettinati, un’espressione affaticata e una busta della spesa per ogni mano, era entrata in cucina.
- Ciao Benjamin - lo aveva salutato caldamente appoggiando le buste a terra e sfilandosi il giubbotto.
- Ciao Sarah - aveva risposto Benjamin sforzando un sorriso, ancora teso per la conversazione con il cugino - come stai?
- Bene - aveva sorriso lei sfoderando la bacchetta e iniziando a dirigere latte, yogurt e frutta verso il frigorifero e pane, cereali e biscotti verso la dispensa - starò meglio quando la spesa sarà sistemata, visto che tra cinque minuti devo letteralmente volare a prendere Diana a scuola! - aveva sorriso scherzosamente a Daniel per aggiungere - quello sfaticato di mio marito non mi dà mai una mano!
- Scusa, tesoro! Io e Benjamin ci siamo persi in chiacchiere! 
Sarah aveva abbassato lo sguardo sulla mano di Daniel e incuriosita aveva esclamato: - Che bello questo orologio, Dan! 
Daniel era parso solo vagamente preso in contropiede di fronte a quella frase, ma poi il suo sguardo era stato attraversato da un lampo di consapevolezza.

- Oh, no! - si era lamentato lui con espressione contrita - mi hai scoperto! Era il regalo che volevo farti per il tuo compleanno!
Benjamin aveva assistito, impotente, alla scena allargando gli occhi per cercare di comunicare in silenzio con il cugino, in modo da dissuaderlo in ciò che sembrava aver intenzione di fare.
- Gli ho fatto mettere anche questa catenella in modo che tu lo possa portare come una collana! - aveva continuato Daniel, ormai porgendo l’orologio a Sarah.
Lo sguardo della donna si era illuminato di sincera meraviglia e si era lanciata tra le braccia del marito per scoccargli un bacio sulle labbra come se le avesse regalato un diamante dal valore inestimabile.
Benjamin, contrariato, aveva distolto prontamente lo sguardo.

Sarah, con un sorriso sfavillante, aveva afferrato l’orologio e se lo era infilato al collo, ammirandolo rapita: - Beh, grazie amore per questo regalo in anticipo! Lo adoro!
- Sarah, io... - Benjamin non era riuscito a frenare la lingua senza sapere bene che cosa fare o cosa dire.
Sarah aveva alzato lo sguardo su di lui, in attesa, mentre Daniel, a braccia conserte, inarcava le sopracciglia per capire che cosa avesse intenzione di dire Benjamin.
Benjamin avrebbe tanto voluto gridare che Daniel fosse la più grande carogna mai esistita sulla faccia della terra, perchè sapeva che, una volta regalato il medaglione alla moglie, Benjamin non avrebbe avuto il coraggio di farselo restituire.
- Dimmi, Ben - lo aveva esortato Sarah dolcemente e osservandolo con i suoi grandi occhi color nocciola.
- Oh, beh...allora buon compleanno! - Benjamin le aveva sorriso falsamente.
Sarah lo aveva ringraziato e, felice del suo nuovo regalo, si era diretta a prendere Diana a scuola.
Non appena la donna aveva lasciato la casa, Benjamin si era avventato sul cugino.
- Ma cosa ti viene in mente? - aveva ringhiato minaccioso e a denti stretti, puntandogli un dito contro.
- Ben, tu non capisci - aveva iniziato a dire Daniel allontanando Ben che torreggiava su di lui - ho sentito delle voci a riguardo...
- Quali voci? - Benjamin aveva raddrizzato la schiena, improvvisamente interessato.
- Dicono che il Blackhole possa conferire la magia a chi non ce l’ha! Certo, non è la vostra stessa magia - aveva sospirato Daniel, carico di invidia - ma è qualcosa di potente! E sai come si fa?

Benjamin era rimasto in silenzio, carico di aspettativa, perchè era proprio ciò che stava cercando di scoprire da mesi.
- Il Blackhole instaura una connessione con un mago o una strega - aveva rivelato Daniel con lo sguardo totalmente ammaliato dalla propria sete di potere - e assorbirà una piccola parte della sua magia e poi la conferirà a me quando me lo riprenderò.
Benjamin aveva inarcato un sopracciglio con estremo scetticismo: - E questa dove l’hai sentita?
- In uno dei miei ultimi giri a Notturn Alley - aveva spiegato Daniel in modo evasivo.
- Ti prego, Danny! Non ti metterai a credere alle chiacchiere della gentaglia che bazzica quel quartiere?!
- Se tu non ci vuoi credere, affari tuoi! Intanto, almeno io ho scoperto qualcosa di utile, anche senza andarmene in giro per il mondo! - lo aveva apostrofato in tono tagliente Daniel.
- E allora perchè non lo hai dato a me? - aveva chiesto Benjamin scandalizzato dal fatto che il cugino avesse preferito dare il Blackhole a Sarah, ignara di ogni aspetto di quella storia, piuttosto che a lui.
Daniel aveva riso di quella domanda: - Si, così saresti fuggito con il mio Blackhole! Bel tentativo, Ben, davvero! Ti credi davvero così furbo? Fidati, non lo sei!
Benjamin aveva deglutito il bolo di rabbia che gli si era annodato in gola e aveva stretto le mani a pugno per le parole irrispettose che Daniel gli aveva rivolto.
- E se fosse pericoloso? - aveva domandato Benjamin con sospetto e con la stessa cautela che riservava ad uno scavo archeologico - per Sarah, intendo!

- Ma no - lo aveva rincuorato Daniel con un sorriso compassionevole, come se si stesse preoccupando per niente.
- Non venirmi a dire che non ti avevo avvisato - lo aveva minacciato Benjamin puntando un dito contro il cugino prima di smaterializzarsi fuori dalla stanza e di lasciare la Scozia.


Nonostante gli screzi, la sete di conoscenza di Benjamin era troppo forte per farsi da parte, quindi continuò a intrattenere una fitta corrispondenza con Daniel per rimanere informato sul Blackhole.
Fu proprio grazie alla corrispondenza con Daniel e con Karen che Benjamin venne a conoscenza dei problemi di salute di cui Sarah Harvey aveva iniziato a soffrire. Quello che era sembrato un iniziale malessere passeggero caratterizzato da una profonda stanchezza si era trasformato in pochi mesi in una grave malattia che l’aveva portata ad una precoce e straziante morte.
I medici babbani non erano stati in grado di diagnosticare nessuna patologia e non erano riusciti a dare una spiegazione al quadro clinico della donna che, fino a pochi mesi prima, godeva di ottima salute.
Quando Benjamin tornò a Edimburgo per stare vicino alla sua famiglia, la trovò profondamente cambiata rispetto a quanto ricordasse.
Diana era diventata un’atterrita e insicura ragazzina di undici anni profondamente segnata dalla morte della madre, ignara dell’esistenza del mondo magico e che, non ricevendo la propria lettera per Hogwarts, aveva dimostrato di aver ereditato l’assenza di magia dal padre. 
Daniel era fuori di sè dal dolore: non riusciva a darsi pace per la morte di Sarah e si era trincerato nella sua sofferenza escludendo totalmente la figlia che non riusciva a capire cosa avesse fatto di male per meritarsi un trattamento simile.
Karen e Robert cercavano affannosamente di fare da mediatori, di occuparsi di Diana e di rimettere in piedi Daniel, che scivolava sempre più spesso in atteggiamenti sconvenienti a causa dell’alcool di cui aveva iniziato ad abusare.
Benjamin ricordava esattamente il momento in cui, qualche tempo dopo il funerale di Sarah, fu svegliato nel cuore della notte dal telefono che squillava in maniera persistente. 

[Gennaio 1990]

Le grida sconvolte di sua cugina Karen gli avevano quasi perforato i timpani attraverso il ricevitore telefonico.
Si era smaterializzato sul retro del negozio Harvey in un lampo: nell’ingresso, Karen aveva fatto sedere Diana sul bancone del negozio e le stava tamponando la fronte. Karen si era voltata verso di lui e, solo in quel momento, era riuscito a scorgere Diana: gli occhi verdi erano sbarrati dal terrore, aveva un’espressione vuota e incredula sul viso, le mani e i capelli biondi erano sporchi di sangue e una ferita le solcava il sopracciglio sinistro.
Sentiva il petto abbassarsi e alzarsi velocemente per la foga e la rabbia che iniziava a ribollire dentro di lui.

Karen gli aveva intimato di calmarsi con un rapido gesto della mano per evitare che la ragazzina si spaventasse ulteriormente e gli aveva indicato con un cenno del capo il piano superiore.
Come in un tetro film dell’orrore di cui era lo sfortunato spettatore, Benjamin si era precipitato verso l’appartamento.
Il soggiorno era in perfetto ordine.
Aveva chiamato Daniel, ma nessuno aveva risposto, così si era incamminato lungo il corridoio dove una chiazza di sangue, su cui qualcuno era evidentemente scivolato, gli indicava l’esatta ubicazione del cugino.

Aveva sfoderato la bacchetta e aveva aperto lentamente la porta senza riuscire ad immaginare a cosa si sarebbe trovato di fronte.
Daniel Harvey era accovacciato sul pavimento della sua camera con la testa tra le mani.
Altre chiazze di sangue costellavano il pavimento di legno scuro e, in un angolo c’era il vecchio orologio da taschino, abbandonato a terra come spazzatura. Poco lontano, un vecchio martello rotto gli aveva fatto desumere che Daniel avesse tentato di distruggere il Blackhole, senza riuscirci.
- Sono stato io... - aveva mormorato in un soffio Daniel passandosi una mano sul viso e appoggiandosi debolmente alla parete con la testa.
L’altra mano premeva su una ferita all’addome per cercare di fermare il sangue che scorreva copioso
.
Benjamin, tra le dita del cugino, aveva intravisto un grosso frammento di vetro che era ancora dolorosamente conficcato nella carne: solo allora Benjamin si era reso conto di quanto facesse freddo in quella stanza e che parte della finestra era andata in frantumi.
- Sono stato io... - aveva ripetuto Daniel con la testa che ciondolava.
- Brutto pezzo di merda - era riuscito a sillabare Ben con il petto che si alzava e si abbassava per lo sdegno - che cosa le hai fatto? E’ solo una bambina! Le hai messo le mani addosso?! - non si era nemmeno reso conto di aver sollevato di peso ciò che restava di Daniel per sbatterlo con forza contro il muro.
- No no Ben, non sono stato io... - la voce di Daniel era ormai poco più di un sussurro, mentre le palpebre sfarfallavano e perdeva i sensi.

- Sei un bugiardo del cazzo! Lo hai appena ammesso! - aveva scrollato con forza il cugino, ma quello si era afflosciato a terra, svenuto.
Nel frattempo, Robert aveva varcato la soglia della stanza, trafelato e sconvolto.
Benjamin era immobile come una statua: alternava solo lo sguardo tra le sue mani tremanti, il Blackhole abbandonato sul pavimento e Daniel Harvey disteso sul pavimento.
- Non può restare con Diana e Karen - era riuscito ad articolare Robert con il fiato corto di fronte a quella scena.
- No - aveva risposto Benjamin risoluto, cercando di ragionare sulla cosa migliore da fare e osservando il vecchio orologio con crescente timore.


E così fu Ben a portare Daniel in una centro di recupero per proteggere Diana e Karen.
Quando Daniel, durante il viaggio in ambulanza, aveva ripreso i sensi non aveva fatto altro che ripetere “Non volevo...è stato il Blackhole...”
Non era stato in grado di dire altro e Ben non era sorpreso, perchè sapeva quanto Daniel, da un po’ di tempo a quella parte, facesse uso di sostanze stupefacenti e di alcool.
Quando Benjamin era tornato al negozio, aveva cercato dappertutto il vecchio orologio, senza riuscire a trovarlo e aveva dovuto presto rassegnarsi al fatto che Karen o Robert, ignari, lo avessero per sbaglio venduto insieme ai vari oggetti che si trovavano al negozio Harvey.
Fu semplice abbandonare Daniel in quell’ospedale e dimenticare l’orrore dipinto negli enormi occhi verdi di Diana e di Karen. Robert, empatico per natura, era rimasto con loro, mentre Benjamin era tornato a fuggire e ad immergersi in estenuanti viaggi di lavoro.
Il vedere come Daniel non fosse stato in grado di distruggere il Blackhole aveva acuito il suo desiderio di sapere sempre di più su quell’oggetto così spaventoso e affascinante allo stesso tempo.
Aveva fatto ritorno in Gran Bretagna solo parecchi mesi dopo, su esortazione di Robert, il quale aveva ricevuto comunicazione dall’ospedale in cui si trovava Daniel che il paziente aveva concluso il proprio percorso di riabilitazione ed era perfettamente in salute e idoneo a tornare alla vita quotidiana.


[Novembre 1990]

Benjamin si trovava seduto su una lurida poltroncina in pelle con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani a reggersi il mento, mentre lo sguardo era abbassato sul pavimento immacolato su cui era appoggiato un borsone appositamente incantato con un Incantesimo Estensivo per contenere gli oggetti personali di Daniel Harvey.
La sala d’attesa del Bedlam Royal Hospital era impregnata dello stesso odore di disinfettante che gli aveva artigliato la gola la notte in cui Daniel era stato ricoverato, facendo tornare vividi i ricordi.
Le porte a vetri del reparto si erano aperte e un’infermiera tarchiata dai capelli di un biondo slavato aveva accompagnato da lui Daniel Harvey.
- Ciao Ben - lo aveva salutato il cugino allargandosi in un sorriso incerto.
Portava i capelli corti e la barba curata; aveva perso qualche chilo, ma tutto sommato sembrava essere davvero in salute.
- Ciao - si era costretto a rispondere Benjamin, ma, man mano che Daniel si avvicinava, sentiva crescere il disgusto nei confronti dell’uomo.

Karen si era rifiutata categoricamente di avere di nuovo tra le mura di casa il fratello con il rischio che potesse fare del male a lei o a Diana; dopo una feroce litigata tra lei, Benjamin e Robert, nessuno dei tre si era sentito di addossarsi la responsabilità di occuparsi di lui.
Karen aveva sentenziato che, per quanto la riguardava, per lei il fratello era come morto.
Robert non aveva una vera e propria opinione a riguardo, ma se se ne fosse occupato lui, Daniel avrebbe potuto frequentare il negozio Harvey in qualsiasi momento, ma quell’opzione era fuori discussione.
Benjamin aveva proposto di portare con sè Daniel nei suoi viaggi, in modo da poterlo tenere lontano dal resto della famiglia, ma allo stesso tempo di poter controllare che non finisse nuovamente schiavo delle cattive abitudini in cui era incappato nel periodo precedente al ricovero.

Ma lì, in quella sala d’attesa spoglia e davanti al sorriso di Daniel che sembrava comportarsi come se nulla fosse accaduto, Benjamin aveva repentinamente cambiato idea.
- Venga, signor Murray - l’infermiera bionda lo aveva invitato ad avvicinarsi a una scrivania - deve mettere un paio di firme per le dimissioni.
Benjamin si era avvicinato al modulo che la donna gli stava indicando e, senza nemmeno prendersi la briga di leggerlo, aveva apposto velocemente la propria firma.
- Molto bene - aveva sorriso l’infermiera - signor Harvey, ci vedremo una volta alla settimana per gli incontri di supporto. Arrivederci.
- Andiamo a casa? - aveva proposto Daniel indicando a Ben l’uscita dell’ospedale.

Benjamin aveva stretto i denti tanto da farsi male e gli aveva fatto strada lungo il corridoio, in silenzio.
- Come stanno Diana e Karen? - aveva domandato Daniel una volta che furono in strada - non vedo l’ora di riabbracciarle...
Benjamin si era bloccato di colpo in mezzo al marciapiede e, sentendo la rabbia risalire, aveva sibilato a denti stretti: - Non le riabbraccerai, Danny.
Il cugino lo aveva guardato: lo sguardo attraversato da un velo di confusione.
- Mentre tu eri in ospedale, ho messo insieme i pezzi e ho fatto altre scoperte! E’ stato il Blackhole a uccidere Sarah! Tu hai sempre saputo che sarebbe potuta andare così! E te ne sei fregato! Che razza di... - la sua voce tremava per il disgusto che sentiva corroderlo da dentro come un acido che scavava un solco profondo nella sua pelle - sei un mostro! Sei...non penserai che io ti permetta di avvicinarti ancora a Diana e a Karen!
Daniel aveva sorriso a disagio, ma era chiaro che Benjamin ci avesse preso in pieno.
- Glielo hai detto? - aveva mormorato Daniel in un filo di voce.
- Non l’ho detto a nessuno! - aveva sbottato Benjamin - e non ho intenzione di farlo a patto che tu sparisca dalla mia vista e te ne stia lontano dalla nostra famiglia! Oppure tutti verranno a sapere che sei un lurido assassino!
- Ma io, dove... - aveva tentato di protestare Daniel smarrito.
- Non mi importa! - aveva sibilato Ben puntando un dito contro Daniel e trascinandolo minacciosamente in un vicolo deserto - non mi importa niente di te! Per quello che vale puoi anche morire e non mi importerebbe niente! E nemmeno a tua sorella importerebbe!
- Ma Diana...
- Diana, per uno strano meccanismo psicologico, non ha ricordi di quella notte ed è meglio che rimanga all’oscuro! Non credi di averla fatta già soffrire abbastanza?
Daniel aveva deglutito, senza sapere cosa dire.
- Sparisci dalle nostre vite se ci tieni alla pelle! E non azzardarti a tornare!- lo aveva minacciato Ben prima di smaterializzarsi e abbandonare il cugino nel bel mezzo della Londra babbana, senza un posto dove andare.


Era stata una scelta crudele ed egoista, Benjamin ne era sempre stato consapevole, ma non voleva ridurre la sua carriera e la sua esistenza a fare da balia a Daniel Harvey.
Aveva ripreso i suoi viaggi per cercare di lasciarsi tutto alle spalle: i drammi, i problemi famigliari.
La ricerca di fonti concrete sui Blackhole lo portò a incrociare il suo cammino con un intelligente studioso che, come lui, era desideroso di mettersi alla prova e di stupire il mondo magico: Quirinus Raptor.
Lo ricordava solo vagamente ai tempi della scuola, quando era solo uno scheletrico Corvonero brufoloso e balbuziente: ora era un giovane e stimato professore con una cattedra di Babbanologia alla scuola di Magia di Hogwarts con la passione smodata per le antiche leggende.
In entrambi ardeva il fuoco della conoscenza e del desiderio di rivalsa nei confronti di chi non faceva altro che sottovalutarli e trattarli come perdenti.
Dopo un sodalizio accademico che provocò in entrambi una reciproca ammirazione, si decisero a mettersi alla ricerca di informazioni sui Blackhole insieme, addentrandosi nelle foreste della penisola balcanica, dove si diceva vivessero i massimi esperti sull’argomento e dove le prima leggende a riguardo avevano visto la luce.
Quello che all’epoca Benjamin Murray non sapeva era che Quirinus Raptor stava solo sfruttando le sue vaste conoscenze per raggiungere il suo vero scopo: trovare ciò che si diceva rimanesse di Lord Voldemort, dopo che Harry Potter, il bambino che era sopravvissuto, inspiegabilmente, lo aveva sconfitto.
Quando, esplorando una sinistra foresta, nel tronco marcio e distrutto di un vecchio albero trovarono annidato un grosso serpente che sembrava molto più intelligente dei suoi simili, Benjamin non si preoccupò più di tanto: nei suoi viaggi si era imbattuto in così tante strane creature, che ben poco riusciva a stupirlo. Iniziò, però, a meravigliarsi, quando la grossa anaconda si rivelò in grado di penetrare nelle loro menti, insinuando in loro immagini confuse che li convinsero ad usare la Legilimanzia sullo strano rettile per saperne di più.
Ciò che Quirinus sospettava sin dall’inizio si rivelò realtà: Lord Voldemort, uno dei maghi più malvagi e potenti del suo tempo, era vivo. Frammentato, moribondo, ridotto a una specie di parassita che doveva aggrapparsi ad altri esseri per sopravvivere, ma vivo. Insieme a quella scoperta, Benjamin ne fece un’altra altrettanto sconvolgente: si vociferava infatti di una strana leggenda per cui Lord Voldemort avrebbe potuto sconfiggere Harry Potter solo con l’aiuto di un babbano che possedesse i poteri del Blackhole.
La gioia di Quirinus era stata incontenibile. Il suo entusiasmo lo aveva portato a figurarsi scenari in cui i due amici trionfanti riformavano l’esercito del Signore Oscuro e venivano acclamati come coloro che lo avevano riportato in vita. Loro due: i reietti, coloro che ai tempi di Hogwarts nessuno degnava di uno sguardo, i perdenti.
Benjamin aveva tentato di metterlo in guardia, di farlo ragionare e convincerlo a riflettere prima di agire, perchè nei suoi vaneggiamenti, Quirinus, somigliava così tanto a Barty e Regulus ai tempi della scuola, da mettergli i brividi.
Quei due vecchi compagni Serpeverde, tra l’altro, non avevano fatto una bella fine: Regulus Black era morto tragicamente in circostanze misteriose, mentre Barty Crouch, come tanti altri Mangiamorte, era rinchiuso ad Azkaban.
Nonostante le iniziali remore, Benjamin non era riuscito a non cedere ai sogni di gloria e di rivalsa promessi da Voldemort. Quirinus bramava talmente tanto il potere che, quando il Signore Oscuro si era proposto di traslocare la propria mente dal serpente per prendere dimora in una forma umana, si era quasi prostrato a lui dalla gioia.
E così, Benjamin aveva visto quel minuscolo frammento che ben poco aveva di umano, annidarsi nel corpo dell’insospettabile professor Raptor. Con orrore, aveva assistito a quel volto serpentino prendere forma sulla nuca del fidato amico e prendere possesso della sua mente.
I primi tempi erano stati terribili: il corpo di Quirinus sembrava rigettare il nuovo ospite come un organo trapiantato; il giovane uomo era scosso da spasmi, tremori, febbre altissima, tanto che Benjamin, una notte accampati in una grotta buia e umida, aveva temuto che l’amico non ce la facesse.
Poi tutto si era stabilizzato: i due, uomo e mostro, erano entrati in sintonia, in simbiosi, tanto che era bastato poco affinchè Voldemort prendesse il sopravvento sulla coscienza di Raptor e che lo controllasse, nonostante il professore tentasse una vana resistenza.
Non avevano più bisogno di Ben, ma Ben non riusciva ad abbandonare l’amico. 
Voleva proteggerlo. Controllare che Voldemort non prendesse troppo il sopravvento per trascinarlo in una zona oscura da cui non sarebbe più riuscito a fare ritorno.
E così rimase al suo fianco.
Nella ricerca dell’Elisir di Lunga Vita. 
Del sangue di unicorno. 
Della pietra filosofale. 
Nella rapina alla Gringott.
Ogni volta si diceva che lo faceva solo per aiutare Quirinus. 
Che lo faceva solo perchè la sua mente non venisse corrotta interamente.
Dopo ogni creatura morta si ripeteva che quella sarebbe stata l’ultima volta.
Dopo ogni omicidio giustificava il sangue sulle proprie mani come un’uccisione in meno commessa dall’amico.
Fino a che tutto non divenne una routine e i sogni e le aspirazioni di Voldemort, intrappolato in un corpo non suo, divennero anche quelle di Benjamin.
Fu il primo che Voldemort, tramite Raptor, ammise nella sua rinnovata cerchia di servitori e marchiò come suo nuovo adepto.
Il tatuaggio nero che gli oscurava l’avambraccio non faceva altro che ricordarglielo.

Tutto cambiò e precipitò dopo che Quirinus venne sconfitto e ucciso da Harry Potter.
Quando apprese la scioccante notizia, Benjamin si trovava in Sudamerica e, distrutto e sconvolto dal dolore, si nascose perchè sapeva che Voldemort avrebbe potuto cercarlo per poter reclamare nuovamente il suo aiuto. Non si sentiva abbastanza forte per sobbarcarsi quella nuova responsabilità.
Non riusciva ad avercela con nessuno se non con sè stesso per ciò che era accaduto. Per aver lasciato che il Signore Oscuro corrompesse con tale facilità la sua mente e quella dell’amico.
Per sfuggire al senso di colpa, continuò a viaggiare senza fermarsi mai ed evitando accuratamente di tornare a Edimburgo, nonostante le continue lettere di Karen e Robert.
Ben cercò di allontanarsi da quel lato della sua vita e di dimenticare quanto era accaduto, fino a che, anni dopo, una notte di giugno il suo braccio prese a bruciare come non aveva mai fatto prima.
Il Marchio si era fatto più nitido, nero come la pece, e il serpente aveva iniziato a strisciare intorno al teschio provocandogli conati di vomito e tremori per il dolore, fino a che non si era arreso e la sua forza di volontà aveva ceduto il passo all’antica ricerca di potere; quindi con il viso celato da una sottile maschera argentata si era materializzato in un grande cimitero.
In cerchio, intorno a una grossa lapide, c’erano altre figure nere e argentate come la sua.
Nomi che ricordava dai tempi della scuola.
Sguardi che saettavano su di lui perchè non sapevano chi fosse nè quanto fosse stato importante per Lord Voldemort, quando tutti loro lo avevano dato per morto.
Al centro del cerchio il corpo di un ragazzo riverso con gli occhi spalancati vestiva i colori di Tassorosso. La sua vista gli strinse lo stomaco mentre pensava, istintivamente, a Robert.
Intrappolato da un incantesimo e incatenato a una lapide, Harry Potter, ferito e sanguinante, vedeva il Signor Oscuro risorgere e prendere possesso nuovamente del proprio corpo.
Nessuno sapeva di Ben, che aveva vissuto tra i Babbani e lontano dal proprio fratello, che invece, per  quanto ne sapeva, era corso in aiuto dei seguaci dell’Ordine della Fenice.

Le azioni successive erano state come un susseguirsi di coincidenze fortuite: Lucius Malfoy che scopriva che proprio Diana, la figlia di Sarah e Daniel Harvey, possedeva il Blackhole e che casualmente era lontana parente di Ben. Ben che convinceva l’ingenuo fratello a rilevare il vecchio negozio appartenuto a Karen, deceduta in circostanze misteriose.
Quando Benjamin aveva scoperto che Karen era morta accidentalmente in una spedizione dei Mangiamorte per recuperare il Blackhole, aveva rischiato di perdere definitivamente la testa.
Aveva fatto di tutto affinchè Voldemort affidasse a lui il compito di occuparsi del Blackhole.
Non sapeva nemmeno spiegarsi il motivo per cui si fosse offerto volontario: sapeva soltanto che voleva evitare che accadesse qualcosa a Diana, soprattutto dopo l’accidentale morte di Karen che non era riuscito in alcun modo ad impedire. 
Forse occupandosi personalmente del Blackhole avrebbe potuto recuperare il vecchio orologio senza che a Diana venisse torto un capello.

Portami quel Blackhole! Non mi importa come
Erano quelle le parole che il Signor Oscuro gli aveva rivolto la notte stessa in cui Karen aveva perso la vita.

Era stato semplice entrare nelle grazie dell’Ordine della Fenice e nominarsi protettore della giovane Diana Harvey.
Durante i mesi di convivenza aveva tenuto d’occhio ogni mossa della bambina che un tempo conosceva e che ora era diventata una giovane donna. Non era stato semplice: Diana era riservata e sospettosa nei suoi confronti e lui, di certo, non era empatico come Robert o chiacchierone come Karen. Ciò che voleva fare non era solamente presentarsi a Lord Voldemort con un Blackhole, ma voleva essere certo che il vecchio orologio funzionasse prima di fare mosse avventate e di mettere a dura prova la poca pazienza del Signore Oscuro.
Lentamente, lui e Diana erano riusciti a trovare un equilibrio e quando Diana gli aveva confessato di riuscire a utilizzare il Blackhole, Benjamin aveva finalmente intravisto in lontananza il riverbero luminoso della gloria che da sempre aveva sognato. 
Anche se Diana non gli aveva mai mostrato il Blackhole in azione, l’aveva sentita parlare con Fred Weasley e l’aveva spiata più volte mentre si allenava.
Aveva visto che cos’era in grado di fare ed era certo che fosse Diana la babbana di cui parlava la leggenda del Blackhole. Con lei al suo fianco, Lord Voldemort sarebbe stato definitivamente in grado di sconfiggere Harry Potter. 
A Benjamin non importava che quel ragazzo sopravvivesse o no: gli importava soltanto che Diana fosse al sicuro e della gloria che sarebbe a lui derivata per l’aiuto fornito nell’ascesa del Signore Oscuro. Era certo che Voldemort lo avrebbe generosamente ricompensato.
Quindi aveva preso tempo con Voldemort, spiegando che il Blackhole era ormai in suo possesso, ma che sarebbe stato nettamente più semplice se Diana avesse collaborato spontaneamente e che di certo questo avrebbe portato a loro maggiori vantaggi.
Il Signore Oscuro aveva accettato di buon grado solo perchè era troppo impegnato a mettersi sulle tracce di Harry Potter e a ricercare la leggendaria Bacchetta di Sambuco.

C’era solo un noioso dettaglio a infastidire i progetti di Benjamin e quel dettaglio si chiamava Fred Weasley.
Quel borioso e pieno di sè pel di carota con la battuta sempre pronta e la lingua tagliente era costantemente in mezzo ai piedi di Diana e, di conseguenza tra quelli di Ben, che non riusciva a spiegarsi come la ragazza riuscisse a sopportarlo.
Inspiegabilmente, Diana non solo sopportava Fred, ma ne era totalmente affascinata. Non lo diceva apertamente, ma Ben era ormai in grado di leggerla come un libro aperto: vedeva i suoi occhi verdi sbattere le ciglia e le sue guance diventare rosse mentre Fred Weasley faceva lo spaccone.
Vedeva come si apriva in un sorriso felice quando quell’idiota veniva a farle visita.
Fred, probabilmente, ricambiava l’antipatia di Ben, perchè quando non si inventava qualche scherzo per infastidirlo all’inverosimile, si limitava a guardarlo storto o ad esprimere le sue riserve con la ragazza.
Ben era convinto che sarebbe riuscito a convincere Diana a dargli ascolto, nonostante la famiglia Weasley fosse sempre pronta a mettere le grinfie su di lei.
E poi Daniel era riapparso dal nulla e Ben era stato travolto da tutti i ricordi e da tutta la rabbia che aveva riposto in un angolo della sua memoria.
Perchè quel giorno aveva rivisto in Diana lo stesso sguardo della bambina spaventata con le mani ricoperte di sangue e aveva capito che, nonostante non lo avesse mai voluto, si era affezionato a lei.
Avrebbe voluto raccontarle ogni cosa, ma questo lo avrebbe reso complice, se non colpevole quanto il cugino, della sofferenza della ragazza. Forse sarebbe riuscito a convincerla a stare dalla sua parte, perchè era certo che Daniel fosse tornato per prendere il Blackhole: lo conosceva troppo bene per fidarsi di lui e credere che fosse tornato solo per riallacciare i rapporti con la figlia che non vedeva da anni.
Tutti i suoi piani di rivelare la verità a Diana erano andati in fumo quando Fred Weasley aveva invitato la ragazza al matrimonio del fratello perchè non si era potuto opporre senza destare sospetti.
L’unica cosa che avrebbe potuto fare era pattugliare il perimetro della Tana insieme agli Auror inviati dal Ministero e portare Daniel con sè per tenerlo d’occhio.
Era certo che il cugino stesse tramando qualcosa e l’unico modo per evitare sorprese era non perderlo di vista: aveva il vago timore che Daniel fosse in qualche modo venuto a conoscenza dell’antica leggenda riguardante Voldemort e il Blackhole e voleva essere sicuro che Daniel non si fosse cacciato in ulteriori guai.
Dopo gli eventi del passato, era impossibile fidarsi di Daniel Harvey.
Benjamin sapeva bene che nel giorno del matrimonio tra Bill Weasley e Fleur Delacour i Mangiamorte avessero in programma l’assalto finale al Ministero e che se Rufus Scrimgeour non si fosse piegato al volere di Lord Voldemort sarebbe capitolato.
Durante i festeggiamenti aveva cercato di torchiare Daniel per tentare di fargli confessare il vero motivo per cui era tornato e di capire se fosse a conoscenza della leggenda del Blackhole, ma era stato tutto inutile, perchè poco dopo aveva sentito l’avambraccio bruciare e aveva dovuto smaterializzarsi in fretta e furia al Ministero della Magia ad aiutare i loschi compagni.
Quando era tornato alla Tana, non c’era più traccia di Diana, di Fred e di Daniel, così aveva seguito le tracce dei suoi malvagi alleati che stavano seminando il panico tra le strade di Londra, ed era arrivato in tempo per assistere a ciò che temeva.
Daniel Harvey, in piedi accanto a Fenrir Greyback che stava per uccidere Diana. Questo poteva solo significare che Daniel, di nascosto, stesse collaborando con Lord Voldemort convinto di essere lui il babbano di cui la leggenda del Blackhole narrava.
Ben aveva sentito la rabbia montare e stava per brandire la bacchetta per difendere la ragazza, quando un altro Weasley, questa volta il gemello di Fred, si era lanciato all’attacco e lo aveva preceduto.
Un’esplosione di vetri infranti lo aveva quasi tramortito e quando si era ripreso un folto gruppo di curiosi si spintonava per vedere cosa fosse accaduto. Aveva osservato da lontano la scena, cercando febbrilmente informazioni fino a che non aveva visto Fred Weasley incedere furibondo verso di lui.
Si era smaterializzato appena in tempo per non far saltare la propria copertura.

Da quel momento era sempre rimasto un passo indietro a quel pallone gonfiato dai capelli rossi che tentava in tutti i modi di proteggere Diana.
Aveva cercato disperatamente di mettersi sulle loro tracce, ma senza riuscire nel proprio intento; parallelamente, cercava di scoprire anche dove si nascondesse Daniel Harvey, senza cercare di destare sospetti negli altri Mangiamorte e far capire loro che lui sospettasse della collaborazione del cugino con il Signore Oscuro, il quale, per ragioni che Benjamin non comprendeva, non si era sentito in dovere di dargli alcuna spiegazione.
La pazienza era una delle doti di Benjamin: conosceva bene la delicatezza e la reverenza con cui disseppellire un antico tesoro durante uno scavo archeologico. Un’esitazione o una mossa troppo avventata avrebbero potuto mandare in fumo un lavoro di anni interi.

Il rintocco proveniente dalle campane della chiesa poco lontana lo riscosse.
Era ora di agire.
Attraversò la strada per infilarsi nella porta girevole che lo avrebbe condotto all’interno del Bedlam Royal Hospital ormai quasi deserto e prossimo all’orario di chiusura delle visite.
Una donna procedeva verso di lui ancheggiando su dei vertiginosi tacchi a spillo e portando sotto al braccio una pila di documenti.
Benjamin lesse velocemente la targhetta con il nome “Patricia” appuntata sulla camicetta della donna.
Urtò la donna con la spalla, la quale barcollò e lasciò cadere i fogli che si sparsero sul pavimento in linoleum.
- Oh, mi scusi! - le sorrise Benjamin educatamente e chinandosi ad aiutare la donna che già si stava affaccendando per raccogliere i documenti, scocciata e ansiosa di terminare la propria giornata lavorativa.
- Non fa niente... - borbottò la donna impilando i fogli il più in fretta possibile.
Benjamin ricordava molto bene l’antipatica e onnipresente impiegata dell’accettazione che lavorava lì fin dai tempi del ricovero di Daniel.
Se Diana era stata a cercare informazioni presso l’ospedale, Patricia non poteva non esserne al corrente.
Benjamin diede una rapida occhiata alla sala d’attesa deserta e, infine, sfoderò la bacchetta dalla tasca dei pantaloni puntandola contro Patricia mormorando: - Legilimens!

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Ehilà! Eccomi tornata!
Vi chiedo scusa per questo immenso ritardo ma è stato un periodo un po' difficile in cui il tempo e la voglia di scrivere se ne sono andati! In più questo capitolo non è stato affatto semplice da partorire XD
Io spero davvero che ciò che ho scritto sia sensato (a me pare di sì, ma aspetto di avere le vostre opinioni)!
Come preannunciato, oggi niente Diana e niente Fred, ma solo Benjamin e, finalmente, i fatti del passato che vengono alla luce!
Fatemi sapere che ne pensate, perchè questo capitolo è ovviamente fondamentale per lo svolgimento dei fatti e per la storia di Benjamin!
A presto :)
 
  
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