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Autore: Aracne90    13/04/2023    0 recensioni
Dal capitolo 1: [...] -Sai, Vivian… Non dovresti fumare così tanto.- disse alla fine l’uomo, carezzandosi la lunga barba argentea, mentre gli occhi blu dietro alle lenti a mezzaluna scrutavano con attenzione la giovane che aveva appena chiamato Vivian.
-Lei non dovrebbe bere tanto zucchero, professore.- rispose alla fine lei, spegnendo la sigaretta fumata a metà e dando solo un colpo di bacchetta in direzione della finestra, che si aprì immediatamente. [...]

Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Crack.
Il suono secco della smaterializzazione in salotto fece alzare di scatto l’uomo, che sbattendo un paio di volte le palpebre si fissò intorno con l’unico occhio sano che aveva, con aria leggermente confusa ma i sensi da Auror ben svegli ed attenti nonostante l’enorme mal di testa che gli fracassava il cranio. Con un paio di movimenti riuscì a riappropriarsi della protesi blu elettrico posata sul comodino, rinfilandosi l’occhio posticcio nella cavità oculare vuota, e spingendosi sul lato del letto si infilò la gamba di legno appoggiata alla parete al moncherino sinistro, allacciandosela con una velocità e perizia che potevano essere determinati solo dall’esperienza.
Diamine, quanto ho bevuto ieri sera?
Dal lato sinistro del letto provenne un sospiro, seguito a ruota da un mugolio e da un leggero fruscio di lenzuola. -Mmmmh… Chi è, Al?
-Schhh, Rosmerta…- mormorò piano l’uomo, carezzando la testa bruna dietro le sue spalle con la mano piena di cicatrici, mentre cercava con l’altra la vestaglia piegata sulla sedia accanto al letto. -Non è suonato l’allarme, quindi non ti preoccupare. Continua a dormire, non è nulla.
Un sonoro sbadiglio seguì queste parole, e con un altro mezzo mugolio la donna si girò dall’altra parte del letto, mentre l’uomo si alzava finalmente in piedi, testando leggermente la sua stabilità prima di infilarsi la vestaglia e dirigersi verso la porta, che aprì il più silenziosamente possibile nonostante i suoi passi fossero fin troppo udibili data la protesi di legno.
Finalmente fuori, l’uomo si portò la mano alla bocca appena abbozzata sul suo viso pieno di cicatrici per celare anche lui uno sbadiglio, zoppicando piano in direzione della cucina dove sapeva avrebbe trovato il nuovo arrivato, e stiracchiandosi piano si piazzò sulla soglia della stanza con l’occhio sano leggermente chiuso e quello blu elettrico che schizzava da ogni parte.
-Ah, tesoro, sei tu… Pensavo che fosse Agatha.- esclamò alla fine Alastor Moody, zoppicando verso la figura femminile che gli dava le spalle, ferma davanti al tavolo di marmo con le mani posate sulla superficie fredda, alla sua sinistra una sedia foderata di velluto su cui era abbandonata la sua divisa di ordinanza. -Che ci fai qui, Suzie? Pensavo che saresti andata diretta al San Mungo dopo essere passata da Vivian Ellins… Non che non sia felice di vederti, è pur sempre una settimana che…
-Zio, tu pensi che io sia stupida?
La voce di Susan era talmente tanto dura che per un secondo il vecchio Auror ebbe paura che chi gli si stava parando davanti non fosse effettivamente la nipote, e con un mezzo movimento andò ad afferrare la bacchetta, stringendola con attenzione verso di lei. Però l’allarme non ha suonato… -Stupida?- domandò alla fine, incerto.
Susan si prese un secondo prima di voltarsi verso di lui, socchiudendo gli occhi scuri attorniati da un sottile strato rosso dietro le lenti squadrate con un’espressione così intensa che Moody abbassò la bacchetta. -Già, zio, stupida. Altrimenti non avresti dubitato un secondo del fatto che lo avrei scoperto.
Moody deglutì un attimo, spostando l’occhio blu elettrico in direzione della sua camera da letto e constatando che la donna stava ancora dormendo, mentre quello castano non lasciava gli occhi della nipote. -Davvero Susan, non è come pensi… È stata solo una notte…
-Una notte?- chiese stupita Susan, aggrottando leggermente la fronte per poi rilassarla comprendendo la direzione dell’occhio blu elettrico dell’uomo. -Non mi interessa chi ti porti a letto, zio, sono affari tuoi. Almeno questi. Non mi riferisco a questo.
-No?- gracchiò appena Moody, portandosi la sinistra al mento e massaggiandoselo piano. -Ma allora…- mugolò appena, prima che un lampo di comprensione attraversasse il suo viso. -Oh, no…
-Già.- sussurrò appena Susan, stingendo la mascella e il pugno sinistro mentre tentava di non urlargli addosso per la rabbia. -Tobias mi ha detto il piccolo segreto che ha con Mark da circa una settimana, e sono riuscita a fare due più due. Sul serio, zio Al, trovate Andy e non me lo dici? Con tutto ciò che è successo ti azzardi persino a mantenere un segreto del genere con me?
-Non è come credi.- gracchiò l’uomo, facendo un passo in avanti verso la nipote. Se mi vedessero le reclute, pensò Moody mentre si avvicinava a Susan; il suo comportamento verso la giovane Edmound era sempre stato ben diverso da quello che riservava al resto del mondo, e di questo tutti quanti quelli che avevano avuto a che fare coi due ne erano consapevoli. D’altronde cosa avrebbe potuto fare? Susan e sua madre, Agatha, erano l’unica famiglia che il vecchio Auror avesse o desiderasse, e lui avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per proteggerle. -Io volevo solo…
-Zio Al, a questo punto non mi interessa.- lo interruppe nuovamente lei, afferrando dalla sedia alla sua destra i vestiti e porgendoglieli con malagrazia, per poi girarsi verso la parete in modo da lasciarlo vestire e mettersi a braccia conserte subito dopo. -Ora abbiamo altri problemi da risolvere.
-Problemi?- domandò sbattendo le palpebre Moody, sfilandosi la vestaglia. -Cosa è successo? Non mi è arrivato alcun messaggio né un patronus…
-Un patronus?- ridacchiò Susan, scuotendo la testa con ancora gli occhi rivolti al muro bianco. -Oh, se Mark ti avesse mandato un patronus allora la giovane donzella che si trova in camera tua avrebbe avuto ben poco tempo per uscire prima di ritrovarsi le sopracciglia bruciacchiate. Quel coglione non riesce ancora a dosare per bene gli effetti della sua stamaledettissima fenice.
-Mark?- Moody strabuzzò l’occhio sano, allacciandosi con le dita tozze la camicia leggermente stropicciata. Suzie ha appena definito Hills un coglione? Era davvero raro che sua nipote apostrofasse una persona in quel modo, ma con Mark era andata anche ben più pesante. -Che ha combinato adesso Hills?

All’improvviso una leggera brezza si alzò, accompagnando il silenzio che si era appena venuto a creare nel sovraffolato al momento giardino di casa Potter; se non fosse stato per il cadenzato rumore dei respiri delle sei persone che ancora si stavano scrutando con espressioni una più stupita dell’altra, si sarebbe potuto benissimo prendere la scena come una muta fotografia immortalata in un solo istante.
Il primo a rompere la scena fu Tobias, che con aria meditabonda si portò nuovamente la mano alla guancia solcata dalla sua cicatrice bianco latte, grattandosela senza nemmeno accorgersene, e voltandosi dopo neanche due secondi verso Alice sulla destra.
-Alice, credo che dovresti tornare a casa. Oggi non hai turni, e Neville…
-Neville è da Augusta e Gerald, Toby.- ribatté la donna. -L’ho portato lì subito dopo aver visto il messaggio.
-Ok, un attimo fermi tutti.- prese la parola Sirius, facendo un paio di passi in avanti e ponendosi in mezzo agli altri cinque. -Alice, anche tu sapevi che Mark Hills aveva localizzato Scott?
La bionda rimase un paio di secondi in silenzio, valutando nella sua mente la risposta, prima di abbassare lo sguardo e chinare leggermente il capo in segno di affermazione. -Sì. Frank mi ha avvisato l’altro giorno, dicendo che probabilmente avremmo dovuto coprire un paio di ruoli in più per poter valutare l’informazione di Mark. Non avrei mai pensato che ci avrebbe pensato lui da solo però…
-E potrei sapere per quale razza di motivo non ne sono stato informato?- la interruppe Sirius, voltandosi verso Tobias e scrutandolo con i suoi occhi grigi ridotti a fessure.
-Informato?- ripeté con tono distaccato Tobias, scuotendo leggermente la testa. -Avremmo dovuto informarti? Perché?
-Perché nonostante tutto sono ancora tuo superiore, Paciock.- rispose Sirius, senza farsi intimidire né dalla stazza né dal tono di Tobias. -Sono superiore di entrambi voi.- continuò, indicando sia lui che Alice. -E sopra ogni cosa, sono il responsabile in seconda della sicurezza di James e Lily, e questo…
-Sarai anche il mio superiore- lo interruppe Tobias, avanzando di qualche millimetro verso di lui e mettendosi diritto. -Ma io stavo seguendo i diretti ordini di Moody, che mi sembra di ricordare sia ancora l’Auror Capo, Black.
-Toby…- sussurrò Magdalene, toccando leggermente il braccio del fidanzato, ma venendo completamente ignorata dallo stesso.
-Inoltre- continuò il giovane Paciock con tono sempre più distaccato, sebbene con le labbra ridotte ad una linea appena abbozzata. -come hai detto anche tu, sei il responsabile in seconda della sicurezza di James e Lily, perché il responsabile vero e proprio è Frank. E lui, come ho detto prima, è stato uno dei primi ad essere informato della cosa.
-Toby, calmati.- provò anche Alice, affiancandosi all’uomo e fissandolo per qualche secondo. -Non c’è bisogno di essere così aggressivi, nessuno di noi ha questa necessità. Non è vero, Lils?- terminò, spostando gli occhi verso Lily ed implorarle aiuto in un solo sguardo.
-Se è davvero così importante come sembra, Paciock, come minimo avrei dovuto saperlo anche io.- disse Sirius, sordo alle parole della bionda.
-E dimmi, Black, quando avrei dovuto informarti?- chiese Tobias, a denti stretti. -Sei stato in ufficio sì e no un paio d’ore, in quest’ultima settimana. Cosa avrei dovuto fare, secondo te? Il fatto che tu sia un Caposezione ed io un semplice Auror non mi impone assolutamente di farmi passare del tempo in cui dovrei lavorare a cercarti.
-Oh beh, allora forse…
-Basta così.
La voce di James Potter era appena poco più alta del volume che normalmente utilizzava, ma il tono imperioso che aveva impresso in quelle due parole fece smettere di parlare quasi all’istante i due uomini, che riluttanti si voltarono verso di lui.
-Magdalene.- continuò James, voltandosi verso la bionda sulla destra di Tobias, osservandola con attenzione dietro le sue lenti rotonde. -Allora è proprio vero? Puoi giurarmi che tutto questo… È vero?
Non c’era più nemmeno un accenno di risata nelle sue parole, segno evidente che l’uscita di scena da parte di Susan aveva fatto in modo di cancellare l’idea assurda che gli era affiorata nella testa solo qualche minuto prima. Con un sospiro, Magdalene annuì, facendo muovere i suoi boccoli biondi sulla testa, e lasciando finalmente il braccio del fidanzato. -Sì, è vero, James.
-Dunque, possiamo fare solo una cosa.- sospirò James, riponendo finalmente la bacchetta di mogano nei pantaloni.
-Jim, ma che…- domandò Sirius, zittito da uno sguardo del suo migliore amico.
-Susan ha ragione, dobbiamo evitare che Mark vada ad Azkaban.- continuò James. -Non per qualcosa, ma se davvero Andrew Scott è con Peter… Credo che bisogna discutere la situazione a fondo. Inoltre, Remus ha appena accettato il lavoro all’Ufficio Misteri, non posso tollerare il fatto che probabilmente per la pazzia di Mark Hills possa perderlo.- disse, facendo un passo di lato e cominciandosi a girare per raggiungere il cancelletto della sua proprietà.
-Non abbiamo bisogno dell’aiuto di estranei alla faccenda.- mormorò allora Tobias, a denti stretti, facendo bloccare James e costringendolo a voltarsi nuovamente verso di lui. -E poi, penso che nessuno di voi debba allontanarsi da questa casa.
Non aveva indicato con l’indice nessuno dei presenti, ma l’allusione rivolta a James, Lily e Sirius era evidente.
-Toby, io non credo che…- provò di nuovo ad intromettersi Alice, senza alcun tipo di successo; il cognato non aveva neanche un briciolo di attenzione da poterle fornire.
-Il bambino ha ancora bisogno di protezione.- continuò Tobias, con la voce ancora spaventosamente bassa. -Non è pienamente al sicuro qui, non ancora almeno.
-Non avevo alcuna intenzione di abbandonare mio figlio da solo in questa casa, Tobias.- rispose con le labbra strette James, portandosi la mano destra al suo ciuffo ribelle per spostarselo con un solo unico gesto. -Mio padre e Lily rimarranno qui, ma io vengo al Ministero.
-Cosa?- domandò Lily.
-James, io non credo che…- provò Sirius.
-Sì, io vado.- continuò James, voltandosi appena verso i due con uno sguardo duro, quasi digrignando i denti. -E puoi stare a dirmi tutto il giorno che non vuoi che io sia dei vostri, Tobias, ma la cosa non mi fa cambiare assolutamente idea.
Tobias Paciock rimase un secondo fermo, valutando con uno sguardo intelligente la figura di James, ma finalmente dopo aver deglutito piano i muscoli del collo si rilassarono, ed alla fine abbassò il capo per acconsentire, ripetendo senza saperlo le parole di Sirius Black di qualche ora prima. –Va bene, James. Se davvero vuoi venire, allora sarà meglio muoversi.

Con un’ultima occhiata al libro che aveva in mano, Regulus Black si rilassò sullo schienale della sua poltrona, chiudendo il tomo con un colpo secco e lanciando un’occhiata verso la finestra coperta dalle pesanti tende di velluto. Non si sentiva praticamente nulla del mondo esterno in quella stanza se non i rintocchi dell’orologio che, puntuali e limpidi, scandivano con fastidiosa precisione il tempo che scorreva; a volersi fidare delle campane era appena passata l’una e mezza, e nonostante le sue abitudini, Regulus non avvertiva il minimo senso di fame.
Senza nemmeno accorgersene l’uomo andò a fissare con leggero nervosismo la porta del Salotto, aperta, spostando con un movimento rigido la gamba offesa dal pouf su cui era posata per poggiarla a terra, così da poter poi far leva sul bastone intarsiato e mettersi in piedi.
Mai come in quel momento avvertiva il serio bisogno di uscire dalla stanza e raggiungere il piano superiore, e mai come in quel momento sapeva che quella poteva essere una delle sue idee peggiori, e in passato ne aveva avute di pessime.
Con un movimento di stizza, Regulus si avvicinò alla soglia del Salotto, fermandosi ad un paio di passi di distanza. Non sono nemmeno più padrone dei miei corridoi, pensò con una smorfia l’uomo prima di fare dietro-front ed avvicinarsi di nuovo alla poltrona rivestita di pelle, sfiorando con il dorso della mano lo schienale.
Ormai era passata un’ora e mezza da quando i suoi ospiti erano andati via, e poco più di sessanta minuti dal momento in cui Vivian lo aveva abbandonato da solo, rifugiandosi nella sua stanza. Regulus deglutì appena, ripensando con un minimo di rancore alle azioni della donna; inconsciamente era riuscita ad allontanarsi da lui puntando sulla sua debolezza più grande al momento, sfuggendogli con una velocità che lui non poteva avere se non con la magia.
E tutto per colpa di Potter e di Sirius.
Regulus strinse la mano destra sul pomello del suo bastone intarsiato, con tanta forza da farsi diventare le nocche bianche. Perché era venuto anche lui? Vivian era stata calma prima di incontarlo; era divertita, serena, tranquilla, felice di poter finalmente vedere le sue amiche e la zia dopo quella settimana di reclusione, e Regulus aveva sorvolato sul fatto che fosse presente suo fratello, per poterla guardare sorridere come aveva fatto quella mattina. Diamine, aveva addirittura messo il suo vestito migliore per accogliere al meglio le tre donne, per poter fare colpo di loro, mascherandosi con la sua espressione più accattivante e maliziosa così da affascinarle con i suoi modi…
-Ciao.
Ci mise quasi due secondi a capire che quelle quattro lettere non se le era immaginate, anche perché non avevano nulla a che fare con il filo dei suoi pensieri, e che chi le aveva pronunciate si trovava sullo spazio vuoto che divideva il Salotto dal corridoio. Si voltò di scatto in quella direzione, come a voler recuperare gli attimi perduti dalle sue connessioni neurali abbastanza lente, e quasi perse l’equilibrio, poggiandosi con la mano aperta sullo schienale della poltrona per evitare di cadere.
-Ciao.- ripeté l’uomo, avvertendo un minimo rossore che gli inondava le guance e sperando con tutto se stesso che lei non avesse visto la sua defaiance.
Vivian scosse leggermente la testa, facendo un passo in avanti e lasciando la mano dallo stipite della porta su cui si era appoggiata. Con sorpresa Regulus si accorse che si era cambiata; non indossava più il pantalone scuro e la maglietta a maniche corte con cui l’aveva vista fino a poco più di un’ora prima, ma ora portava un semplice vestito grigio tagliato sotto il seno che terminava poco sopra al ginocchio e con le maniche lunghe, le quali coprivano perfettamente l’elaborata fasciatura che portava sul braccio destro. Deglutendo impercettibilmente, l’uomo si accorse che senza la bragatura che le aveva bloccato tutta la parte destra del corpo per tutta la settimana precedente, lei aveva un fisico molto ben proporzionato, e le curve erano tutte al posto giusto.
-Posso entrare?- domandò lei, a disagio.
Regulus aggrottò appena le sopracciglia, mentre le faceva un cenno affermativo con la testa. -Ovvio.- disse poi, rendendosi solo conto di quanto potessero sembrare dure quelle due sillabe, e maledicendosi mentalmente della sua voce fredda.
Lei non parve darci peso e si insinuò nella stanza con un paio di falcate, posandosi poi sul divano. Senza perderla d’occhio anche Regulus si spostò per accomodarsi, questa volta sulla poltrona di fronte a lei, frapponendo tra di loro il tavolino di vetro ed il pouf su cui posò la gamba rigida.
-Devi dirmi qualcosa, Vivian?- domandò dopo qualche istante di silenzio Regulus, sempre più stupefatto ed angustiato dal modo freddo in cui la sua voce stava articolando le parole.
Ma che diamine mi sta prendendo?
Lei annuì piano un paio di volte osservandolo con attenzione, per nulla stupita come lo era lui dal suo tono gelido. -Sì, Regulus. Ho qualcosa da dirti, sì.
-Bene. Cosa?
Vivian deglutì abbassando gli occhi verso il tavolino di vetro, focalizzando lo sguardo verso una macchia immaginaria per poter trovare il coraggio di pronunciare le parole successive. -Io… Io sono qui perché devo chiederti scusa, Regulus.
L’uomo aprì la bocca per controbattere, ma la voce non riuscì ad attraversare la gola. Vivian approfittò del suo momento di silenzio per continuare il discorso, quasi grata dello sbigottimento evidente ora sul viso del più giovane dei Black; sembrava che avesse provato il discorso da fargli un paio di volte prima di scendere e parlargli davvero, vista la velocità con cui cacciò le sue successive parole. -Sono stata terribilmente scortese a lasciarti qui da solo, poco fa, e mi dispiace davvero molto di non averti permesso di terminare il discorso che avevamo cominciato. So bene che questa è casa tua e che io sono qui come ospite; quindi, voglio solo pregarti di accettare le mie scuse e sperare che possiamo continuare a comportarci come facevamo stamattina. E non voglio addurre nessuna possibile attenuante al mio comportamento; sono stata rude e maleducata, e non ho alcuna scusante per questo, ma al contempo vorrei che tu non ce l’abbia troppo con me per quello che posso averti detto poco fa.
Terminò di pronunciare le parole quasi senza fiato, prendendo un paio di respiri profondi così da colmare il suo bisogno d’aria, ed all’improvviso il suo viso si atteggiò ad una smorfia di consapevolezza.
Quasi due ore prima aveva avuto in quella stessa stanza una conversazione molto simile a quella in cui si era catapultata in quel momento, solo che in quel momento era lei quella che si permetteva il tono freddo e distaccato, e James ricopriva il ruolo che ora stava recitando lei.
Vivian riprese fiato altre due volte prima di alzare finalmente gli occhi dal tavolino e posarli sul suo interlocutore, ben consapevole che l’espressione di lui sarebbe stata lo specchio di quella che lei stessa aveva avuto solo qualche ora prima nei confronti di James, tuttavia quando raggiunse con lo sguardo il viso di Regulus Black qualcosa in lei si bloccò, stupita.
-Tu…- mormorò Regulus esitante.- Tu mi stai chiedendo scusa?
Vivian aprì la bocca, ma non riuscì a pronunciare nemmeno una sillaba. Si limitò quindi a muovere la testa in segno affermativo, sempre più stupita dall’intonazione perplessa che avevano avuto le parole di Regulus.
Regulus socchiuse appena gli occhi, abbassando la gamba rigida dal pouf e poggiando i gomiti piegati sulle ginocchia ed in seguito il mento sulle sue mani intrecciate. -Fammi capire bene, Vivian. Sono stato io a voler cominciare la discussione di prima, io ti ho chiesto informazioni che evidentemente erano fin troppo personali, io ti ho provocato un enorme stress dopo tutta la pratica che hai dovuto subire stamattina e tu mi stai chiedendo scusa?
Vivian deglutì, incapace di parlare.
Oh, Merlino, pensò allora lui, scuotendo la testa e cominciando a ridere, di gusto, senza riuscire a smettere. -Diamine, Vivian, hai idea di quanto sia surreale questa situazione per me?
La donna rimaneva ancora immobile, la bocca che le si stava seccando per quanto tempo la aveva tenuta aperta. Lui sta ridendo? Non lo aveva mai sentito ridere, non fino a quel momento, e con stupore sempre crescente si rese conto che le piaceva molto il suono di quella risata. Ed il suo viso sereno e divertito. E la linea che si formava intorno alle sue labbra, quasi da allargare il sorriso sincero che ben poco aveva visto da quando aveva attraversato la soglia di quella casa. E le fossette appena accennate sulle guance…
Ok, Vivian Ellins, cosa stai facendo?
-Surreale?
Con un paio di colpetti di tosse finalmente Regulus si calmò, tirandosi indietro sulla poltrona e poggiando la schiena all’imbottitura rivestita di pelle, il viso ornato dagli ultimi rimasugli di ilarità che ancora non lo abbandonavano. -Già, surreale. Dal mio punto di vista, Vivian, sono io ad averti costretta a comportarti in quel modo prima, e quindi sono io a doverti domandare scusa; stavo quasi per venire a parlartene in camera tua, poco fa, ma tu mi hai preceduto… Wow, questa proprio non me l’aspettavo!
Un sorriso gemello a quello dell’uomo si cominciò a palesare sul viso di Vivian senza che nemmeno se ne accorgesse, ed in un secondo tutto il suo corpo si rilassò, comprendendo solo in quel momento quanto il giudizio di Regulus la avesse fatta stare in ansia.
-Certo che però devo ammettere che sei dannatamente brava nelle uscite di scena.- continuò lui, afferrando con nonchalance il bastone e facendoselo passare tra le dita. -Davvero, mi hai fatto sentire quasi dentro una performance teatrale, senza nemmeno sapere il copione.
Ora era il turno di Vivian di ridere, e lo fece con gusto, socchiudendo gli occhi. -Thetis mi dice sempre che sono nata per essere un’attrice, per le mie entrate ed uscite ad effetto.- confessò la donna tra una risatina e l’altra, scuotendo leggermente la testa al ricordo del viso della sorella. -Voleva mandarmi all’Accademia Magica di Arti Drammatiche invece di quella per Trasfiguranti, subito dopo Hogwarts. E non sai quante volte mi ripete che secondo lei sarei stata moolto più brava in quello!
Regulus annuì un paio di volte, senza smettere di sorridere. -Thetis è tua sorella, vero?
-Già.- rispose Vivian, accavallando le gambe e facendo oscillare piano la punta dello stivaletto. -Sai, dovresti conoscerla, ti piacerebbe tanto.
-Pensi che potremmo discutere delle tue inestimabili capacità attoriali?
Vivian fece una smorfia, senza smettere di sorridere. -Per essere una persona che fino a qualche secondo fa ha ammesso di essere stato in torto, ti comporti fin troppo da gradasso, Regulus Black. Sai, quasi quasi mi viene voglia di non accettare le tue scuse…
-E quindi ora ti alzi e te ne scappi di nuovo sopra, magari portandoti un fazzoletto alla nuca come gesto di sconforto?
E di nuovo entrambi scoppiarono a ridere, mettendoci qualche minuto prima di riuscire a tranquillizzarsi. Un leggerissimo formicolio si espanse appena sotto le bende appena cambiate del braccio destro di Vivian, e con respiri profondi la donna chiuse gli occhi e smise di ridere, tranquillizzandosi con una leggera smorfia che però non cancellava il sorriso che ancora persisteva sul suo volto.
-Fa male?
La donna scosse la testa, riaprendo le palpebre e focalizzando lo sguardo su Regulus, che ora era di nuovo sporto verso di lei. -No, ma devo stare attenta. Non ci dovrebbero essere più problemi per il cuore, ma tre pietre sono ancora piene.
Lui annuì piano, sondandola con attenzione, prima di rivolgerle un nuovo leggerissimo ghigno. -Sai, senza più quella cosa che ti bloccava sei molto più… Simmetrica.
-Davvero?- chiese Vivian, alzando il sopracciglio destro.
-Davvero.
-E tu lo sai che nessuno mi aveva mai fatto un complimento definendomi simmetrica?
-Complimento?- sussurrò Regulus, spostando appena la testa più a destra per osservarla meglio con i suoi occhi grigi. -Chi ti dice che ti sto facendo un complimento, Vivian?
Morgana, pensò la più giovane degli Ellins con il fiato leggermente mozzo. È adorabile.
Sul serio, Vivian Ellins, che cosa ti passa per la testa?
-Beh, mi pare ovvio.- riprese lei riscuotendosi appena. -Chi si sente in colpa deve fare i complimenti all’altra persona, è la regola.
-Ah, sì?
-Eh, sì.- sospirò la donna, prima di rivolgergli un enorme sorriso che riuscì a lasciare senza fiato Regulus. -È la regola.

-Qui.- sibilò piano l’aria alla sua destra.
Remus Lupin deglutì piano, fermandosi con aria distratta accanto alla porta dell’ennesimo studio, con il naso infilato tra le scartoffie che apparentemente stava analizzando e la coda dell’occhio puntata verso le due figure che gli stavano praticamente a tre passi di distanza, invisibili a tutti i presenti nell’Ufficio Misteri tranne che a lui.
Ormai era più di mezz’ora che aveva Disilluso Mark Hills e Frank Paciock, infilandosi a gamba tesa nella loro missione del giorno, ed andava particolarmente fiero dell’Incantesimo che aveva applicato sulla loro pelle; la variante che vi aveva aggiunto era necessaria in quella situazione, dato che stavano pur sempre per intrufolarsi in una zona che per loro era vietata, e lui doveva avere la certezza che non si andassero ad imboscare chissà in quale delle Stanze (era pur sempre un Indicibile, dopotutto). Non che temesse che i due che lo accompagnavano potessero andarsene in giro a bighellonare e curiosare, anzi; tuttavia, dopo quei trenta minuti in cui non avevano trovato assolutamente nulla, Remus doveva ammettere che forse aveva dato troppa importanza alle azioni dei due, e stava lentamente cominciando a pensare che probabilmente avrebbe dovuto accompagnarli alla porta nera che dava sul corridoio esterno all’Ufficio Misteri prima che qualcuno li potesse scoprire.
Deglutendo appena un’altra volta Remus appoggiò la schiena alla parete, corrucciando le sopracciglia davanti ad un passaggio apparentemente ostico delle sue carte. -Allora?- sussurrò ai due alla sua destra, spostando appena la testa per poterli fissare meglio, l’unico in tutto il Dipartimento che ne avesse la possibilità
Il primo a rispondere fu Frank, il quale scosse la testa in segno di diniego. -Le scintille sono blu. Niente.
Remus sospirò di nuovo, riscuotendosi e rimettendosi diritto. Forse Mark ha capito male, forse Andy non intendeva l’Ufficio Misteri, pensò tra sé e sé mentre si incamminava verso l’ennesimo ufficio, attardandosi appena un attimo per guardare il protagonista delle sue ultime riflessioni.
Mark era concentrato, la fronte aggrottata nell’osservare con estrema attenzione le scintille che fuoriuscivano dalla sua bacchetta e, Remus era sicuro, in trepidante attesa che quei bagliori assumessero un colore che fosse anche solo diverso dal blu notte che avevano mostrato da quando avevano cominciato a controllare gli studi. In fondo al suo animo il licantropo riusciva anche a capire cosa spingesse il giovane Hills a voler continuare a controllare quelle stanze; Andy era stata una persona troppo importante per Mark, non poteva lasciare nulla di intentato. Doveva aiutarlo.
Il problema era che ormai Remus Lupin non era più nemmeno certo che ci fosse stata effettivamente una richiesta di aiuto.
-Remus?- trillò una voce femminile dal corridoio alla sua sinistra, e dopo nemmeno il licantropo venne intercettato da un turbinio di pizzi e raso, che lo afferrò saldamente per il braccio. -Remus, meno male che sei qui! Ho un problema grravissimo!!!
Merlino, sta ancora accentuando quella maledetta r, pensò tra sé Lupin, rivolgendo alla donna che gli aveva appena preso il braccio un mesto sorriso che era palesemente falso. -Bertha! Cosa posso fare per te?
La donna che era stata appena chiamata Bertha sospirò platealmente, indirizzando Remus in avanti verso la saletta che usavano per rilassarsi. -Remus, non ricordo assolutamente dove ho messo gli ultimi rapporti relativi alla Stanza dello Spazio, tu li hai visti? Ho cercato dappertutto, ma non li ho trovati!
Remus strinse i denti, maledicendo silenziosamente l’essere femminile che ora lo stava allontanando con velocità dai due uomini che erano invisibili per tutti tranne che per lui. Ora anche questa ci si mette? Doveva trovare un modo veloce per liberarsi di lei; non poteva lasciare Frank e Mark in quella situazione da soli, nonostante tutto aveva preso l’impegno di aiutarli, e li avrebbe aiutati.
-Hai provato a vedere sulla scrivania di Bode? Anche lui lavorava oggi nella Stanza dello Spazio. Magari si è sbagliato ed ha preso oltre i suoi anche i tuoi rapporti.
Il viso della donna si illuminò di comprensione, e bloccandosi Bertha si portò una mano alla testa, colpendola con il palmo aperto. -Che sbadata, hai ragione! Ora vado a controllare… Grazie, Remus!- terminò lei alla fine, andando con andatura leggermente incerta e ticchettante (il rumore dei suoi tacchi dava sui nervi a metà dell’Ufficio) verso la stessa direzione in cui era arrivata, senza nemmeno più alzare lo sguardo verso di lui.
Dal canto suo anche Remus tornò sui suoi passi, accelerando con disinvoltura e fingendo ancora di leggere le carte che dovevano sembrare assurdamente complicate, visto l’impegno che ci stava mettendo nel decifrarle, ma l’attenzione completamente rivolta a cercare un minimo barluginio che indicava la posizione dei suoi due accompagnatori.
Improvvisamente l’uomo si fermò, senza nemmeno più tentare di osservare i fogli che ormai gli erano scivolati dalle dita, svolazzando veloci verso il pavimento.
Sì, perché dalla bacchetta di Mark stavano uscendo delle scintille, e quelle erano palesemente non blu.
-Verdi?- sussurrò Frank all’amico con tono preoccupato. -Che cosa significa che sono verdi?
Mark aggrottò ancora di più la fronte, se possibile, prima di rilassarla completamente e di mettersi diritto, evidente manifestazione che il terrore che gli aveva attanagliato le viscere stava pian piano scomparendo. -Un’Illusione. Ingegnoso, devo ammettere, e furbo. Molto furbo.- Poi si voltò verso Remus, il quale non si era ancora curato di raccogliere i fogli che sostavano ormai inanimati tutti intorno ai suoi piedi. -Di chi è quest’Ufficio?
L’uomo spostò appena lo sguardo dalla porta davanti la quale si trovavano al momento per posarlo su Mark quando si sentì interpellato, ma non rispose subito alla domanda, e non perché non sapesse a chi apparteneva quello studio.
Oh, no, lo sapeva bene.
Era la stessa persona che gli aveva dato il lavoro.
Remus inghiottì un po’ d’aria due volte, cercando di trovare le parole più adatte alla situazione, ma dalla bocca ne uscirono solo quattro, e non è che fossero chissà quanto originali.
-Ragazzi, abbiamo un problema.
   
 
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