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Autore: Risa_chan    15/04/2023    2 recensioni
[Questa storia partecipa alla Challenge Bingo spring del gruppo fb "Non solo Sherolock #fuorichalenge]
Certi amori non si dimenticano, rimangono scolpiti dentro, e ciclicamente ritornano nei pensieri. Basta poco: chiacchiere con l’amico di sempre, una parola in un libro, un volto di uno sconosciuto che gli somiglia, un incontro casuale.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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#bingospring   #fuorichallenge

FANDOM: Haikyuu!!
TITOLO: La lunga strada che mi porta a te
PERSONAGGI: Ushijima Wakatoshi, Oikawa Tōru
PROMNT: @Elena Altamura
Ossessione
Slogarsi un polso è cosa da nulla, che succede se invece capita ad un campione?
Capitolo uno: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4051489&i=1
PREMESSA: Non ho trovato informazioni su quanto una slogatura al polso possa influire su un pallavolista perché non è tra i principali problemi che affligge chi gioca in questo sport. Ma trattandosi di un alzatore ho creduto possibile che possa dare problemi seri. Ma non ho molte conoscenze in merito, perciò spero sia comunque credibile.


 

Capitolo due

 
 
 
Allstar 2022, Tokyo
 
Oikawa Toruu sventolava il suo asciugamano, fischiettando, mentre si dirigeva verso gli spogliatoi.  Era soddisfatto di come era andata la partita: si era divertito molto di più di quanto si fosse aspettato.
Si accorse quasi per caso che, poco più in là, Ushijima camminava nella stessa direzione.  Gli si fermò davanti quando anche Ushiwaka si accorse della sua presenza.
Tōru appoggiò l’asciugamano su una spalla. “Ushijima, posso parlarti?”
Wakatoshi fu sorpreso di essere stato interpellato proprio da lui, annuì pronto ad ascoltarlo.
“Cosa ne dici del mio inutile orgoglio?” chiese. Wakatoshi sorrise con una luce negli occhi che non aveva mai visto prima in lui: “è meraviglioso.”
“Ah, ah, ah! puoi dirlo forte!”
Una mano comparsa dal nulla colpì sia la sua schiena sia quella di Wakatoshi spingendoli in avanti. Iwazumi si era frapposto fra loro. “Non è il caso di deporre l’ascia di guerra?”
“Non so di cosa stai parlando, Iwa-chan…”
Il preparatore atletico della nazionale giapponese ridacchiò: “non fare il finto tonto, smettila di essere insopportabile con Ushijima.”
“Sai questa tua amicizia con Ushiwaka non mi piace per niente.”
Gli altri due si scambiarono un’occhiata complice. “Forse uscire a bere qualcosa aiuterebbe a risolvere, vi andrebbe?” chiese Wakatoshi.
Iwazumi scosse la testa: “è un ottima idea, ma non posso, andate voi. Ma mi raccomando non accoltellatevi.”
“Beh, se non vai tu…” provò a dire ma la mano di Iwa-chan strinse ancora più forte la sua spalla; Oikawa dovette fare marcia in dietro. “… sarò felice di fargli compagnia io.”
Appena Ushijima scomparve dietro la porta degli spogliatoi della squadra B, l’alzatore si voltò verso il suo migliore amico. “Si può sapere cosa ti è preso?”
Iwazumi non smetteva di fargli paura quando i suoi occhi si infiammavano; all’occhiataccia di Iwa-chan indietreggiò un poco e tacque all’istante. L’amico sbuffò: “smettila con questi comportamenti puerili, potresti conoscere una persona interessante,” gli puntò un dito nel petto, “comportati bene o ti prenderò a calci.”
Oikawa prendeva seriamente ogni sua minaccia, perciò, si mise sulla attenti e annuì: Signorsì.”
Quella che doveva essere una semplice bevuta in un bar o in un pub, quattro chiacchiere veloci poi ognuno a casa sua, si trasformò in una cena super lusso nel ristorante più famoso di Tokio.
“Conosci il proprietario per caso?» chiese Toruu sbalordito, “per mangiare qui bisogna aspettare mesi!”
 “Una specie,” rispose, “è un conoscente fan dei Schweiden Alders: per la squadra ha sempre un tavolo disponibile.”
Il maître li accompagnò al loro tavolo. “Ecco il menù, chiamate quando siete pronti.”
La lista delle pietanze era altisonante e interessante come l’uomo seduto di fronte al lui. Era abituato a vederlo a quadretti, un immagine rimasta impressa nella sua mente: lui col sedere per terra e Ushiwaka svettava in piedi, dietro la rete, con la sua tipica espressione marmorea dipinta nel volto.
In quel momento era rilassato, sempre padrone di sé, e la cosa lo faceva imbufalire non poco, però sembrava molto più umano e meno uomo bionico.  Notò i dettagli degli occhi, il taglio allungato, il colore cangiante, le labbra sottili ma ben disegnate, la mascella forte e squadrata e le spalle larghe: era la virilità fatta a persona.
“Cosa prendi?” gli chiese Ushijima; Tōru stizzito dai suoi stessi pensieri chiuse il menù di scatto: “decidi per me, sorprendimi.”
Ushijima lo fece.  “Prendiamo, gambero rosso con estratto di mandarino, fiori di salvia e ananas; per secondo, l'aragosta blu al vapore con alghe,” ordinò al cameriere e gli restituì il carnet.
Riuscì a comprendere i suoi gusti senza esitazione; indovinò ogni portata che Oikawa stesso avrebbe scelto, con suo sommo dispiacere. Cercava disperatamente un suo solo difetto, nonostante le persone sincere ed oneste come lui non ne avevano.  Voleva che fosse noioso, antipatico, presuntuoso, invece la sua conversazione era brillante, la sua fiducia in se stesso era basata su fatti inoppugnabili e in lui non c’era un briciolo di boria. Era un cuore puro secondo solo a Tobio-chan.
“La partita è stata davvero interessante,” cominciò Ushijima. Oikawa non si lasciò scappare l’occasione per’ schernirlo: “ovvio ti ho stracciato!”
Ushiwaka rise: aveva una bellissima risata e Tōru si maledì per averlo pensato.
 “È stata un’esperienza istruttiva e molto soddisfacente. Kuroo dovrebbe organizzare altri eventi simili.”
Oikawa fu d’accordo. “Un ottimo allenamento, e poi hai visto la gente? È bello sapere che il nostro gioco fa amare la pallavolo.”
 “È una bella sensazione,” confermò Ushiwaka, “anche se l’ho capito tardi.”
“Oh?”
“Un bambino mi ha detto che il mio modo di giocare e la pallavolo erano noiosi; ci sono rimasto male.”
Tōru rischiò di soffocare con un sorso di vino.  “Non ci posso credere! Voglio sapere di più,” si sporse sul tavolo con gli occhi brillanti, “quando è accaduto?”
“Qualche anno fa, gli ho fatto un autografo e quel giorno ho capito che avevi ragione tu,” rispose con un tono basso, di una dolcezza disarmante.
La risatina di Tōru si spense immediatamente; il cuore gli si era stretto in una morsa. Gli faceva scaturire sentimenti talmente forti e contrastanti che Tōru non era capace di contenere e finivano sempre per travolgerlo. L’ossessione che non faceva dormire la notte, un pensiero ricorrente durante le ore del giorno, mentre correva, si allenava, giocava, qualsiasi cosa facesse. Era sì il desiderio di batterlo, ma c’era anche quel sentimento strisciante, invadente, che cercava inutilmente di cacciare indietro perché era insopportabile.
“Lo so, non ho bisogno che me lo dica tu.”
Ushijima scosse la testa: “non è per te ma per me, finalmente ho capito dove sbagliavo; la forza e la tecnica non bastano per giocare a pallavolo; sono necessari anche passione e affiatamento. Probabilmente non avresti dato il tuo massimo alla Shiratorizawa.”
Boom.
Davanti a lui era comparsa una creatura misteriosa con la stessa faccia del suo acerrimo rivale, come faceva ad essere sprezzante ora?  La sua resistenza venne meno talmente tanto che alla fine della serata Tōru accettò di rivedere Ushiwaka.
“Quando parti?” chiese Ushijima.
 Tōru gli scoccò un’occhiata guardinga. “Hmm…rimarrò qui fino alla metà di settembre. Perché?”
“Vuoi uscire con me?”
Tōru fu colpito alla sprovvista da quella richiesta e non fece in tempo a trovare una frase tagliente per troncare di netto ogni possibilità. Wakatoshi fu più veloce. “Mi piaci, vorrei conoscerti meglio.”
“Se avrò tempo, Ushiwaka, perché no?”
“Wakatoshi.”
Oikawa sospirò, forse il vino forse la soddisfazione della vittoria, o l’ammissione che aveva ottenuto come regalo, acconsentì. “Wakatoshi sia… è stata una bella serata, grazie.” Si voltò per andarsene, poi ci ripensò. “Ci vediamo venerdì alle 18:00, vienimi a prendere in Hotel.”
“Ci sarò.”
 
 
 2028 – Hospital for Special Surgery, New York
 


Il dottor Sullivan osservava attentamente la radiografia; borbottava fra sé parole che Tōru non riusciva a comprendere.  Ushijima gli stringeva la mano sana nel vano tentativo di consolarlo.
Durante una partita di allenamento era caduto procurandosi una slogatura al polso; in un primo momento Tōru pensò fosse una semplice distorsione curabile con il ghiaccio, tuttavia, erano passate parecchie settimane ma la sua mano non cessava di essere gonfia e rossa e il polso faceva un male cane. Ushijima aveva preso per lui un appuntamento nel miglior centro ortopedico del mondo e aveva trascinato a forza il suo fidanzato a fare una visita.
L’esame clinico aveva individuato due possibili situazioni: una frattura o una lesione legamentosa senza però dare un risultato certo. Così Tooru aveva dovuto fare una radiografia per indirizzare ulteriormente la diagnosi verso uno o l’altro esito.
“Allora dottore?” chiese Wakatoshi al suo posto.
Il medico si voltò verso di loro. “E’ una lesione legamentosa,” disse, “da quello che posso vedere, è anche abbastanza severa, per cui avrà bisogno di un intervento chirurgico. Prima però, dovrà sottoporsi ad esami più specifici.”
 Visto che Oikawa continuava a fare scena muta, Wakatoshi chiese: “Per cosa sono utili questi esami?”
“Servono per capire bene dov’è la lesione legamentosa, qual è l’entità del danno, per poi procedere con l’intervento chirurgico nel modo più mirato possibile. Ad esempio, se dovrò riparare il legamento, oppure in caso di una rottura, rinfilarlo nell’osso.”
“Ma guarirò?” Tōru chiese di getto, “e quanto tempo ci vorrà?”
“Dipende dalla complessità delle lesioni. Nei casi più gravi potrebbero volerci dalle 8 alle 10 settimane, con buone probabilità di riprendere la totale funzionalità del polso.”
Tōru tirò un sospiro di sollievo. “Bene, potrò tornare a giocare.”
Il dottore tossì. “Beh, questo tipo di lesioni non è tipico per un giocatore di pallavolo, però dovrà considerare che, essendo lei un alzatore, potrebbe comunque avere problemi a tornare a giocare ai suoi livelli. In ogni caso, è presto per fare previsioni precise.”
Senza dirlo l’ortopedico stava dicendo: “Se fossi in lei, considererei un ritiro.”
Il dottore prese un appuntamento per fare una risonanza magnetica e uno per dare a lui il modo di visionarla. Sarebbero rimasti a Ney York per un'altra settimana.
“Grazie dottore,” disse Ushijima.
Uno scambio veloci d strette di mano e furono fuori dallo studio medico.
Oikawa camminava veloce dribblando le persone che incontrava, quasi senza rendersene conto. Voleva uscire più in fretta possibile dall’ospedale. Wakatoshi lo teneva per il braccio, quello sano, stando al suo passo.
Finalmente all’aria aperta, Tōru disse: “scordatelo.”
“Possiamo aspettare di arrivare in hotel?” chiese. Non aveva bisogno di capire a cosa si riferisse il suo ragazzo, conosceva troppo bene la sua testardaggine. Non stava evitando l’argomento, ma voleva discuterne in un posto più tranquillo.
Infatti, appena giunti nella loro camera disse: “potresti almeno considerare l’idea.”
Tōru afferrò la rivista Monthly Volleyball dal tavolo, dove l’aveva lasciata, brandendola come una spada. Era il numero in cui Wakatoshi annunciava il suo ritiro. “Dovrei fare come te? Non è la stessa cosa! Non esiste che io smetta di giocare proprio ora.”
“Fare come me? Intendi accettare che il mio fisico non abbia più vent’anni anziché andare avanti ad oltranza?”
Si prospettava una delle litigate epiche che li contraddistingueva. Tutto nel contegno di Wakatoshi lasciva presagire che non avrebbe mollato l’osso: voleva farlo tornare alla ragione.
“Beh, io…” balbettò non trovando la risposta adatta, “cosa dovrei mettermi a fare? So solo giocare!”
“Non è vero, ci sono moltissime cose che puoi fare. Non solo professionalmente, pensa a quello che potremmo fare insieme.”
Eccolo di nuovo ad un bivio, quello che aveva evitato per sei anni; dire addio alle lunghe chiamate, ai viaggi interminabili per stare insieme la metà del tempo, niente più litigi per appuntamenti mancati e smettere di patire l’assenza. Svegliarsi insieme la mattina, andare a correre insieme e tutto il tempo libero a loro completa disposizione sembrava il paradiso. Ma tutti i desideri hanno un costo da pagare e per Tōru il conto era troppo salato.
Gli montò una rabbia indescrivibile, eccolo di nuovo ad un passo indietro all’aquila reale: lui seduto per terra mentre Wakatoshi rimaneva in piedi.  Quest’ultimo si ritirava per scelta mentre lui era costretto al ritiro.
“Ma non capisci? È la peggior sconfitta! Posso guarire!”
“Perderai comunque la stagione Tōru.  Dovrai smettere di allenarti per un periodo troppo lungo perché tu possa riprendere a giocare ai tuoi livelli. Vuoi davvero continuare sapendo benissimo che finirai come quei giocatori consumati e sfiniti, che si accontentano delle briciole?”
La risposta era ovviamente no.
“Tōru so che è difficile,” Wakatoshi si avvicinò ma Oikawa lo rispinse, “lasciami in pace! voglio stare da solo,” scacciò via la mano del suo uomo, e si rinchiuse nella camera da letto della suite, sconfitto e perso.
Decisero di rimandare ogni decisione a quando il dottore avrebbe potuto dare una diagnosi certa: quella arrivò come un proiettile nel petto.
“Mi dispiace Oikawa-san ma la sua distorsione è di terzo grado, la forma più grave. Due legamenti lesionati, di cui uno completamente fuoriuscito dall’osso, l’altro è danneggiato in maniera consistente,” era stata la diagnosi definitiva del Dr. Sullivan dopo aver visionato le lastre della risonanza.
Possibilità di tornare a giocare: Zero.  L’intervento chirurgico poteva ridare la completa mobilità al suo polso ma non avrebbe potuto più sopportare gli sforzi a cui era abituato. Game over per Oikawa Tōru.
“Sei sicuro di voler tornare a casa?”
Oikawa fissava il tutore al polso e non alzò lo sguardo sul suo ragazzo. “Cosa dovremmo fare qui? l’intervento è fra un mese.”
“Prendersi qualche giorno in più e visitare New York,” propose Wakatoshi.
“Non sono in vena di fare il turista,” sputò velenoso, “come te che sembri quasi contento.”
Ushijima fece per dire qualcosa ma cambiò idea, disse solo: “compro i biglietti.”
 

Sei mesi dopo…


“Mi hanno offerto un contratto come allenatore in Brasile, ho deciso di accettare.”
Ushijima era seduto sul divano, gli occhi vitrei ed inespressivi. “Hai già firmato?”
“No, ma è cosa fatta, ho deciso e non tornerò indietro nelle mie posizioni.”
“Non ci ho pensato lontanamente, Oikawa Tōru pensa solo a se stesso, “disse Wakatoshi, “cosa ne sarà di noi?”
“Sii forte, è la decisione migliore” pensò.
L’intervento era andato bene e quando era completamente guarito aveva iniziato a pensare a cosa fare della sua vita da quel momento in poi. Nessuna delle prospettive che gli proponevano sembravano allettarlo, e più rimaneva a riposo più si sentiva un leone in gabbia. IL suo malumore continuava a crescere, le litigate con Wakatoshi aumentavano di frequenza sempre di più. Non poteva funzionare, se fossero rimasti insieme avrebbero finito per bruciare qualsiasi cosa.
Drizzò le spalle: “E’ da un po’ che ci penso, ma non sono più sciuro di amarti…” si bloccò; perse il coraggio di fronte a quella menzogna spudorata.
“Di quello che devi dire, fallo ora,” la voce di Ushijima era tagliente come una lama, Tōru era bravo a farlo arrabbiare, ma non era il giorno giusto. “Penso sia meglio chiuderla qui,” disse.
Aveva cercato la fine ed ora l’aveva ottenuta; Wakatoshi si alzò e si diresse verso la porta prima di andarsene, si voltò, e disse: “Non ci credo a quello che stai dicendo, ma se è quello che vuoi, va bene. Ti amo, ma non posso perdere la stima in me stesso, pregandoti di restare. Addio, Tōru.”
   
 
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