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Autore: Ellie_x3    13/09/2009    5 recensioni
Sogni. Quando l'infinito si desta e dice al finito cosa deve essere.
Incubi. Quando paura, dolore e amore diventano un'unica cosa e anche il dettaglio più assurdo sembra importante. Quando tutto inizia a girare troppo velocemente.
Esseri umani, mezzo-demoni e demoni. Saranno poi così diverse le loro speranze nascoste? Nel momento di massima sincerità si manterranno anche le loro distanze?
Una serie di Shot totalmente sperimentali sui Sogni, una per ogni personaggio di Inuyasha.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Gelida Luce

Inu Yasha –

Nightmare


A volte sogno l’insonnia
Alle soglie della gloria trova
La morte
Che gli tende le mani
Ora.
Torna a casa, ora.


Presto, risponde lui. Presto.

Gelo.
Freddo, dolore.
Freddo dolore sofferenza freddo, sangue, gelo nulla vuoto incubo sogno dolore freddo, sangue, agonia sogno morte perdita freddo sofferenza gelo, nulla dolore nulla sogno nulla, nulla, nulla –
sangue.
Lui, lì.
Proprio in mezzo.
Incapace di dire se fosse passato solo un secondo o una vita da quando aveva ripreso conoscenza e aveva trovato ad accoglierlo una segreta, dure catene a mordergli i polsi e quel buco nero al posto dello stomaco. Il dolore alle spalle, tese verso l’alto, poteva essere un indizio utile a fargli capire quanto tempo fosse passato.
Ma era da tanto che Inu Yasha si era abituato al dolore fisico. Troppo. Ormai non ci badava neanche più.
Quindi, eccolo.
Senza tempo. Senza qualcosa che lo aiutasse a cancellare l’altro dolore.
Quello sordido, quello sporco. Quello odioso.
Quello della morte altrui.
Non era nuovo a quelle sensazioni di vuoto, di impotenza, di un peso nello stomaco che sembrava lacerarlo. Eppure non si muore d'amore. Non si può morire di disperazione.
O, almeno, lui non poteva.
Non era giusto. Non era per lui.
Vendicatore che non era mai riuscito ad alzarsi per poter portare a termine il suo incarico.
Soldato senza più capitano. Bushi senza Shogun.
Qualcuno senza più dentro di sé la fiammella della vita.
Cosa avrebbe detto a Kagome, lassù in cielo, quando l'avrebbe rivista?
Mi spiace. Non ti ho potuta salvare, o vendicare. Perché? Semplice: sono stanco di una vita senza nessuna ragion d'essere.
Sarebbe stato imbarazzante, ma sincero. E sapeva che lei avrebbe capito.
Sperava solo di vederla presto purché tutto quel gelo, quel male,avesse una fine.
Pregava come mai aveva fatto prima per trovare la sua pace.
Ma ricordava, nonostante tutto, chi fosse il suo nemico; chi l'avesse condotto lì. E anche cosa dovesse fare.


Non ne aveva la forza. Non ne aveva la voglia.


Sentì la porta cigolare leggermente, aprendosi e lasciando entrare un timido, tiepido spiraglio di luce nera.
Che paradosso. Avrebbe riso, se avesse mai potuto ricordare come si faceva.
Quella era per lui oscurità palpabile, come un fumo che entra e uccide ogni singola molecola d'aria. Però era luce, per quanto buia e tetra.
Da fuori, dove sapeva non esserci luna in un cielo che affogava nel nero.
In passato aveva odiato la sua forma umana. Ora la benediceva, perché sarebbe morto presto, sebbene ignorasse il perché fosse ancora vivo con un buco nello stomaco.
Non aveva più nessun interesse nel vivere.
Persino quelle tenebre che nel loro tetro, patetico brillare gli illuminavano il viso non avevano più valore.
Nulla splendeva più.
-Ti sei svegliato, Inu Yasha?-

Non reagì alla voce sottile di Kikyo, leggera come una brezza tiepida nel silenzio pungente. Al mezzo demone sembrò che quello stesso tono gli accarezzasse la guancia gonfia, arrossata, sporca di terra e sangue, per poi scendere sulle labbra spaccate.
La sacerdotessa si richiuse l'uscio alle spalle, soffocando quella piccola speranza che gli era nata nel cuore: scappare. Rivedere la luna.
Ma in fondo cosa c'era là fuori?
Niente.
Nessuno.
Non c'era ragione per uscire. Tanto valeva morire lì.
Il mezzo demone la sentii avvicinarsi, e solo quando gli fu abbastanza vicina alzò gli occhi d'ametista, guardandola.
Kikyo...com'era bella.
Viva.
Il tocco delle dita di cera e terra della Miko era fresco, piacevole sui lividi. Ma non gli dava altro che fastidio.
Non toccarmi.
Non guardarmi.
Pensa a me come si pensa ad un pezzo di carne.
Morto.
Morto.
Morto.
- Non sei morto, Inu Yasha. Non ancora.- Cosa gli stava dicendo? Lo rassicurava che non era ancora morto.
Davvero? Eppure credeva di esserci così vicino...
Si vedeva già come un cadavere, lì incatenato, morto. Umano e totalmente indifeso.
Vedeva Kikyo e vedeva Naraku. E rideva perché loro erano ancora intrappolati lì, nel mondo, e non sapevano cosa voleva dire essere aria.
Parte della vita stessa.
E sforzandosi ancora un poco già scorgeva Kagome ad aspettarlo, con Sango e Miroku e Koga. Lei lo salutava con la sua espressione più dolce. Gli diceva di avvicinarsi.
E lui voleva andare da lei. Correre. Abbracciarla.
Invece Kikyo gli diceva che era ancora maledettamente ancorato a questa terra crudele. Lui non ci voleva più stare: accanto a Kagome, alla sua Kagome, c'era sua madre. Sul viso era dipinto un meraviglioso sorriso.
Le mancava. Voleva rivederla subito.
Il mezzo demone era come un orologio rotto. Fermo da così tanto tempo che non ricordava nemmeno più il rumore del ticchettio della lancetta del cuore.
Tic, tac, tic, tac. Niente suonava più dentro di lui.
Le ore, che scoccavano quando Kagome gli sorrideva. Sparite.
I minuti, segnati dall'urlare di Sango e dall'assurdo arrampicarsi sugli specchi di Miroku. Finiti.
I secondi, quando combatteva con suo fratello. Esauriti.
I mesi, i giorni, gli anni passati a cercare il nemico di sempre con l'implacabile forza datagli dalla furia.
Non sarebbero mai più tornati.
Game Over. Aveva perso.
- Non piangere.- lo pregò la sacerdotessa dolcemente, accogliendo con l'indice l'unica lacrima che era sfuggita al mezzo demone.
Inu Yasha si chiese con che diritto la donna gli dicesse cosa fare. Lei, poi.
Traditrice. Umana.
Kikyo era morta. L'aveva sempre pregato di accompagnarla nell'ultimo viaggio.
Perché ora non voleva lasciarlo andare? Poteva anche portarla con sé. Non gli importava.
Erano ben poche le cose che avevano valore, per lui, lì rinchiuso.
Di certo le rassicurazioni di Kikyo non erano fra queste.
Sentiva e non sentiva la voce musicale della miko narrargli di cosa avrebbero potuto fare, lui, lei e Naraku insieme. Avrebbero riunito la Shikon.

Sarebbero diventati dei immortali.

In fondo, cosa significa essere immortali? Ritardare di qualche millennio la propria fine? Prolungare una sofferenza già abbastanza pesante da sola?
Il sorriso di Kagome era immortale. Eppure già iniziava a sfumare, nella sua memoria.
Il suo amore per lei lo era. E anche quello sembrava perso nel dolore.
Dei. Demoni completi. Invincibili.
Ascoltava le sue parole come si comprende il significato del fruscio delle fronde degli alberi. Non ci si presta mai abbastanza attenzione, altrimenti lo si potrebbe cogliere.
Tuttavia l'hanyou non voleva, non poteva capire i discorsi di Kikyo.
Una volta erano stati anche i suoi sogni. Ma ora erano cenere.
Troppo difficile parlare di potenza, amore, demoni e dei quando sei incatenato, umano e a pochi passi dalla tanto agognata morte.
La aspettava come un dono, Inu Yasha. La voleva e la bramava.
Poi di nuovo quelle parole. Quella timida, leggera ma importante confessione che già una volta aveva sentito pronunciare dalla sacerdotessa.
Riferita a Onigumo, il suo peggior nemico che probabilmente in quel momento stava facendo i salti di gioia per essere riuscito a piegare Kikyo al suo volere, quell'ammissione gli smbrò strana
- Io lo amo.-

Così candida e perfetta, per essere una frase impura.
Non se la meritava quel...quel...Bastardo? No. Che aveva contro Naraku, ormai?
Tanto Kagome non c'era più. Nemmeno sua madre.
E anche Kikyo ormai gli sembrava priva di valore.
Non aveva nulla da difendere.
Nessuno scopo. Si sentiva vuoto.
Periva lentamente in una tempesta di sentimenti che provocavano nient'altro che oblio. Sentimenti che venivano soppressi dall'apatia più totale.
Non voleva sentire più nulla. Provare più nulla.
Come se stesse affogando in un sogno senza fine e senza inizio, dal quale non poteva uscire.
Se questa è la vita, vi prego, uccidetemi.
I Kami.
Oh, mai li aveva pregati. Cos'aveva da chiedere ad un cielo muto e fermo? Non si fidava.
Ma ora le carte in tavola erano scoperte. E lui non aveva niente.
Sentii la voce di Kikyo pregarlo di comprendere, di tornare in sè. Che la morte non era nient'altro che l'ennesima fuga: scappava da lei rifugiandosi in Kagome. E ora scappava dal dolore rifugiandosi nella luce immacolata della morte.

Non era da demoni. O da mezzi demoni. Nè da umani.
Piuttosto era da sciocchi.

Inu Yasha la guardò. Solo un secondo, in cui la sacerdotessa sentì che il suo cuore di terra mancava un battito, per poi accelerare in una corsa forsennata. Disperata.
Gli occhi del mezzo demone erano un buco nero, profondo e senza una fine o un inizio. Alfa e Omega. A e Z. Vita e morte.
Il mezzo demone vide tutti questi suoi sentimenti riflessi nello sguardo della antica amata e se ne rallegrò vagamente: era così complicato, il suo dolce e semplice nulla?
-Se questo fosse un sogno.- iniziò, con la voce tremolante di chi non sa bene cosa dire. O come formulare una preghiera. -Kikyo, ti prego. Svegliami. Ho paura.-
L'ammise con così tanta facilità che gli sembrò di averlo detto mille altre volte.
Lo ripeté, in un rantolio stanco, come l'ultimo uggiolio di un cane abbandonato sotto la pioggia.
Fradicio.
Stanco.
Solo.
Disilluso.
Così si sentiva. Per la prima volta in vita sua, però, lo ammetteva.
Forse perché non c'era nessuno per cui mostrarsi forte? Nessuno che si affidava a lui?
A cui sorridere e dire "Tranquilla, andrà tutto bene".
Era un uomo senza uno scopo. Un fiore in una stanza buia che appassiva agonizzando, ignorando il raggio di luce che gli era vicino.
Voleva la salvezza. Voleva svegliarsi ora, oppure sapeva che non l'avrebbe fatto mai più.
Improvvisamente tutto si fece più sfocato, un disegno su cui qualcuno avesse rovesciato dell'acqua.
-Ho capito.- il sussurro di Kikyo sembrava lontano. Troppo.
Forse fra poco sarebbe davvero finita. Ogni cosa perdeva sostanza e forma.
Finché la donna non divenne una macchia fatta di rosso, di bianco, nero e rosa. La stanza girava. E lui con lei.
Non stava morendo, lo sapeva.
Una parola, semplice, gelida, gli si insinuò nella mente prepotente. Capì che era la risposta.

Incubo.


Si svegliò di soprassalto, soffocando in gola un urlo spaventato e espirando profondamente l'aria umida della notte. Gli sembrava di aver corso cento miglia, ma il cielo era ancora un'infinita striscia di seta nera puntellata di stelle.
La luna gli illuminava i tratti semidemoniaci, e nessuno sembrava essersi svegliato. Poco male: non avrebbero visto le goccioline di sudore che gli imperlavano il viso e non si sarebbero mai accorti del terrore che traboccava dai suoi occhi. Aveva le lacrime.
Era una vera fortuna che nessuno fosse stato destato a causa del suo sobbalzo.
Guardò sotto di lui, cercando di non perdere l'equilibrio: trasse un sospiro profondo, calmandosi, quando vide Kagome raggomitolata in quel coso rosa...nel "sacco a pelo", come l'aveva chiamato lei.
Sango accanto a lei aveva una mano appoggiata sulla groppa morbida di una gigantesca ed addormentata Kirara. Miroku, poco più in la, sembrava immerso in un sogno piacevole.
Il mezzo demone alzò un sopracciglio, già immaginandosi che tipo di sogno potesse essere e sussurrando un "maiale" fra sé e sé.
Poteva esser vero il suo incubo? Poteva perdere la sua voglia di vivere solo per degli umani?
Ridursi all'ombra di se stesso solo per aver perso Kagome era possibile?
Di certo era assolutamente assurdo che Kikyo si innamorasse di Naraku. Sicuro.
In fondo era solo un parto della sua mente malata, uno sciocco mescolarsi di mente e anima.
Senza senso.
Capita, quando si è agitati, si disse.
Doveva calmarsi. In fondo Kagome era lì, sognava tranquilla.
Ma a lui, almeno per quelle poche ore che mancavano all'alba, il sonno era stato rubato.
Da un sogno su Naraku.
Squallido.
Ma non gli passò nemmeno per la mente di chiedersi "e se fosse vero?". Non voleva portarsi sfortuna da solo. E forse sbagliava.
Perchè quello fu l'ultimo, spaventoso sogno premonitore del mezzo demone, che dopo non ebbe più tempo per bere, mangiare, dormire. Era iniziata la battaglia finale con Naraku.
E prima che se ne potesse accorgere, scoprì che era stato quel fugace momento fra sonno e veglia la vera chimera. Un frammento di illusione.
Fantasia, fatalità o potenza demoniaca?
Non avrebbe saputo spiegarlo. Però in poche ore realtà e fantasia, sogno e realtà, nel suo mondo erano state capovolte come in una strana giostra che non seguiva le sue regole.


...Non sei ancora morto, Inu Yasha. Ma presto spererai di esserlo...

Notes:
Ohayoo, Minna-san! *O* 
Pronti a ricominciare la scuola? Io assolutamente no [Q.Q].
Ma per, come dire?, festeggiare il ritorno di compiti e interrogazioni e salutare l'estate con un pò di sana, giusta, depressione ho deciso di buttarmi su una raccolta di Shot sui sogni dei vari personaggi di Inu Yasha, il cui titolo è lo stesso del terzo libro di Victoria Francès "Favole". 
Questa prima shot è, per l'appunto, un incubo del nostro mezzo-cane preferito. L'ho mandato un pò OOC, ma ho pensato ad un Inu Yasha totalmente disperato, illudendomi che la perdita di Kagome lo possa portare a questi livelli. 
Non posso dare anticipazioni in quanto non so ancora su cosa sarà la prossima, ma non temete: stavolta porterò a termine il progetto U.U
Un bacione, con la speranza che sia piaciuta almeno un pochino.

Elle.

   
 
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