Gelida Luce
Inu Yasha –
Nightmare
A
volte sogno l’insonnia
Alle soglie della gloria trova
La
morte
Che gli tende le mani
Ora.
Torna a casa, ora.
Presto,
risponde lui. Presto.
Gelo.
Freddo,
dolore.
Freddo dolore sofferenza freddo, sangue, gelo nulla vuoto
incubo sogno dolore freddo, sangue, agonia sogno morte perdita freddo
sofferenza gelo, nulla dolore nulla sogno nulla, nulla, nulla –
sangue.
Lui,
lì.
Proprio in mezzo.
Incapace di dire se fosse passato solo
un secondo o una vita da quando aveva ripreso conoscenza e aveva
trovato ad accoglierlo una segreta, dure catene a mordergli i polsi e
quel buco nero al posto dello stomaco. Il dolore alle spalle, tese
verso l’alto, poteva essere un indizio utile a fargli capire quanto
tempo fosse passato.
Ma era da tanto che Inu Yasha si era abituato
al dolore fisico. Troppo. Ormai non ci badava neanche più.
Quindi,
eccolo.
Senza tempo. Senza qualcosa che lo aiutasse a cancellare
l’altro dolore.
Quello sordido, quello sporco. Quello
odioso.
Quello della morte altrui.
Non era nuovo a quelle
sensazioni di vuoto, di impotenza, di un peso nello stomaco che
sembrava lacerarlo. Eppure non si muore d'amore. Non si può morire
di disperazione.
O, almeno, lui non poteva.
Non era giusto. Non
era per lui.
Vendicatore che non era mai riuscito ad alzarsi per
poter portare a termine il suo incarico.
Soldato senza più
capitano. Bushi senza Shogun.
Qualcuno senza più dentro di sé la
fiammella della vita.
Cosa avrebbe detto a Kagome, lassù in
cielo, quando l'avrebbe rivista?
Mi
spiace. Non ti ho potuta salvare, o vendicare. Perché? Semplice:
sono stanco di una vita senza nessuna ragion d'essere.
Sarebbe
stato imbarazzante, ma sincero. E sapeva che lei avrebbe
capito.
Sperava solo di vederla presto purché tutto quel gelo,
quel male,avesse una fine.
Pregava come mai aveva fatto prima per
trovare la sua pace.
Ma ricordava, nonostante tutto, chi fosse il
suo nemico; chi l'avesse condotto lì. E anche cosa dovesse fare.
Non ne aveva la forza. Non ne aveva la voglia.
Sentì
la porta cigolare leggermente, aprendosi e lasciando entrare un
timido, tiepido spiraglio di luce nera.
Che paradosso. Avrebbe
riso, se avesse mai potuto ricordare come si faceva.
Quella era
per lui oscurità palpabile, come un fumo che entra e uccide ogni
singola molecola d'aria. Però era luce, per quanto buia e tetra.
Da
fuori, dove sapeva non esserci luna in un cielo che affogava nel
nero.
In passato aveva odiato la sua forma umana. Ora la
benediceva, perché sarebbe morto presto, sebbene ignorasse il perché
fosse ancora vivo con un buco nello stomaco.
Non aveva più nessun
interesse nel vivere.
Persino quelle tenebre che nel loro tetro,
patetico brillare gli illuminavano il viso non avevano più
valore.
Nulla splendeva più.
-Ti sei svegliato, Inu
Yasha?-
Non reagì alla voce sottile di Kikyo,
leggera come una brezza tiepida nel silenzio pungente. Al mezzo
demone sembrò che quello stesso tono gli accarezzasse la guancia
gonfia, arrossata, sporca di terra e sangue, per poi scendere sulle
labbra spaccate.
La
sacerdotessa si richiuse l'uscio alle spalle, soffocando quella
piccola speranza che gli era nata nel cuore: scappare. Rivedere la
luna.
Ma in fondo cosa c'era là fuori?
Niente. Nessuno.
Non
c'era ragione per uscire. Tanto valeva morire lì.
Il mezzo demone
la sentii avvicinarsi, e solo quando gli fu abbastanza vicina alzò
gli occhi d'ametista, guardandola.
Kikyo...com'era
bella.
Viva.
Il
tocco delle dita di cera e terra della Miko era fresco, piacevole sui
lividi. Ma non gli dava altro che fastidio.
Non
toccarmi.
Non
guardarmi.
Pensa
a me come si pensa ad un pezzo di carne.
Morto.
Morto.
Morto.
-
Non sei morto, Inu Yasha. Non ancora.- Cosa gli stava dicendo? Lo
rassicurava che non era ancora morto.
Davvero? Eppure credeva di
esserci così vicino...
Si vedeva già come un cadavere, lì
incatenato, morto. Umano e totalmente indifeso.
Vedeva Kikyo e
vedeva Naraku. E rideva perché loro erano ancora intrappolati lì,
nel mondo, e non sapevano cosa voleva dire essere aria.
Parte
della vita stessa.
E sforzandosi ancora un poco già scorgeva
Kagome ad aspettarlo, con Sango e Miroku e Koga. Lei lo salutava con
la sua espressione più dolce. Gli diceva di avvicinarsi.
E lui
voleva andare da lei. Correre. Abbracciarla.
Invece Kikyo gli
diceva che era ancora maledettamente ancorato a questa terra crudele.
Lui non ci voleva più stare: accanto a Kagome, alla sua Kagome,
c'era sua madre. Sul viso era dipinto un meraviglioso sorriso.
Le
mancava. Voleva rivederla subito.
Il mezzo demone era come un
orologio rotto. Fermo da così tanto tempo che non ricordava nemmeno
più il rumore del ticchettio della lancetta del cuore.
Tic,
tac, tic, tac. Niente
suonava più dentro di lui.
Le ore, che scoccavano quando Kagome
gli sorrideva. Sparite.
I minuti, segnati dall'urlare di Sango e
dall'assurdo arrampicarsi sugli specchi di Miroku. Finiti.
I
secondi, quando combatteva con suo fratello. Esauriti.
I mesi, i
giorni, gli anni passati a cercare il nemico di sempre con
l'implacabile forza datagli dalla furia.
Non sarebbero mai più
tornati.
Game Over. Aveva perso.
- Non piangere.- lo pregò la
sacerdotessa dolcemente, accogliendo con l'indice l'unica lacrima che
era sfuggita al mezzo demone.
Inu Yasha si chiese con che diritto
la donna gli dicesse cosa fare. Lei, poi.
Traditrice. Umana.
Kikyo
era morta. L'aveva sempre pregato di accompagnarla nell'ultimo
viaggio.
Perché ora non voleva lasciarlo andare? Poteva anche
portarla con sé. Non gli importava.
Erano ben poche le cose che
avevano valore, per lui, lì rinchiuso.
Di certo le rassicurazioni
di Kikyo non erano fra queste.
Sentiva e non sentiva la voce
musicale della miko narrargli di cosa avrebbero potuto fare, lui, lei
e Naraku insieme. Avrebbero riunito la Shikon.
Sarebbero diventati dei immortali.
In
fondo, cosa significa essere immortali? Ritardare di qualche
millennio la propria fine? Prolungare una sofferenza già abbastanza
pesante da sola?
Il sorriso di Kagome era immortale. Eppure già
iniziava a sfumare, nella sua memoria.
Il suo amore per lei lo
era. E anche quello sembrava perso nel dolore.
Dei. Demoni
completi. Invincibili.
Ascoltava le sue parole come si comprende
il significato del fruscio delle fronde degli alberi. Non ci si
presta mai abbastanza attenzione, altrimenti lo si potrebbe
cogliere.
Tuttavia l'hanyou non voleva, non poteva capire i
discorsi di Kikyo.
Una volta erano stati anche i suoi sogni. Ma
ora erano cenere.
Troppo difficile parlare di potenza, amore,
demoni e dei quando sei incatenato, umano e a pochi passi dalla tanto
agognata morte.
La aspettava come un dono, Inu Yasha. La voleva e
la bramava.
Poi di nuovo quelle parole. Quella timida, leggera ma
importante confessione che già una volta aveva sentito pronunciare
dalla sacerdotessa.
Riferita a Onigumo, il suo peggior nemico che probabilmente in quel
momento stava facendo i salti di gioia per essere riuscito a piegare
Kikyo al suo volere, quell'ammissione gli smbrò strana
- Io lo amo.-
Così candida e perfetta, per essere una frase impura.
Non
se la meritava quel...quel...Bastardo? No. Che aveva contro Naraku,
ormai?
Tanto Kagome non c'era più. Nemmeno sua madre.
E anche
Kikyo ormai gli sembrava priva di valore.
Non aveva nulla da
difendere.
Nessuno scopo. Si sentiva vuoto.
Periva lentamente
in una tempesta di sentimenti che provocavano nient'altro che oblio.
Sentimenti che venivano soppressi dall'apatia più totale.
Non
voleva sentire più nulla. Provare più nulla.
Come se stesse
affogando in un sogno senza fine e senza inizio, dal quale non poteva
uscire.
Se
questa è la vita, vi prego, uccidetemi.
I
Kami.
Oh, mai li aveva pregati. Cos'aveva da chiedere ad un cielo
muto e fermo? Non si fidava.
Ma ora le carte in tavola erano
scoperte. E lui non aveva niente.
Sentii la voce di Kikyo pregarlo
di comprendere, di tornare in sè. Che la morte non era nient'altro
che l'ennesima fuga: scappava da lei rifugiandosi in Kagome. E ora
scappava dal dolore rifugiandosi nella luce immacolata della morte.
Non era
da demoni. O da mezzi demoni. Nè da umani.
Piuttosto era da
sciocchi.
Inu
Yasha la guardò. Solo un secondo, in cui la sacerdotessa sentì che
il suo cuore di terra mancava un battito, per poi accelerare in una
corsa forsennata. Disperata.
Gli occhi del mezzo demone erano un
buco nero, profondo e senza una fine o un inizio. Alfa e Omega. A e
Z. Vita e morte.
Il mezzo demone vide tutti questi suoi sentimenti
riflessi nello sguardo della antica amata e se ne rallegrò
vagamente: era così complicato, il suo dolce e semplice nulla?
-Se
questo fosse un sogno.- iniziò, con la voce tremolante di chi non sa
bene cosa dire. O come formulare una preghiera. -Kikyo, ti prego.
Svegliami. Ho paura.-
L'ammise con così tanta facilità che gli
sembrò di averlo detto mille altre volte.
Lo ripeté, in un
rantolio stanco, come l'ultimo uggiolio di un cane abbandonato sotto
la pioggia.
Fradicio.
Stanco.
Solo.
Disilluso.
Così
si sentiva. Per la prima volta in vita sua, però, lo
ammetteva.
Forse perché non c'era nessuno per cui mostrarsi
forte? Nessuno che si affidava a lui?
A cui sorridere e dire
"Tranquilla, andrà tutto bene".
Era un uomo senza uno
scopo. Un fiore in una stanza buia che appassiva agonizzando,
ignorando il raggio di luce che gli era vicino.
Voleva la
salvezza. Voleva svegliarsi ora, oppure sapeva che non l'avrebbe
fatto mai più.
Improvvisamente tutto si fece più sfocato, un
disegno su cui qualcuno avesse rovesciato dell'acqua.
-Ho capito.-
il sussurro di Kikyo sembrava lontano. Troppo.
Forse fra poco
sarebbe davvero finita. Ogni cosa perdeva sostanza e forma.
Finché
la donna non divenne una macchia fatta di rosso, di bianco, nero e
rosa. La stanza girava. E lui con lei.
Non stava morendo, lo
sapeva.
Una parola, semplice, gelida, gli si insinuò nella mente
prepotente. Capì che era la risposta.
Incubo.
Si
svegliò di soprassalto, soffocando in gola un urlo spaventato e
espirando profondamente l'aria umida della notte. Gli sembrava di
aver corso cento miglia, ma il cielo era ancora un'infinita striscia
di seta nera puntellata di stelle.
La luna gli illuminava i tratti
semidemoniaci, e nessuno sembrava essersi svegliato. Poco male: non
avrebbero visto le goccioline di sudore che gli imperlavano il viso e
non si sarebbero mai accorti del terrore che traboccava dai suoi
occhi. Aveva le lacrime.
Era una vera fortuna che nessuno fosse
stato destato a causa del suo sobbalzo.
Guardò sotto di lui,
cercando di non perdere l'equilibrio: trasse un sospiro profondo,
calmandosi, quando vide Kagome raggomitolata in quel coso rosa...nel
"sacco a pelo", come l'aveva chiamato lei.
Sango accanto
a lei aveva una mano appoggiata sulla groppa morbida di una
gigantesca ed addormentata Kirara. Miroku, poco più in la, sembrava
immerso in un sogno piacevole.
Il mezzo demone alzò un
sopracciglio, già immaginandosi che tipo di sogno potesse essere e
sussurrando un "maiale" fra sé e sé.
Poteva esser vero
il suo incubo? Poteva perdere la sua voglia di vivere solo per degli
umani?
Ridursi all'ombra di se stesso solo per aver perso Kagome
era possibile?
Di certo era assolutamente assurdo che Kikyo si
innamorasse di Naraku. Sicuro.
In fondo era solo un parto della
sua mente malata, uno sciocco mescolarsi di mente e anima.
Senza
senso.
Capita,
quando si è agitati, si
disse.
Doveva calmarsi. In fondo Kagome era lì, sognava
tranquilla.
Ma a lui, almeno per quelle poche ore che mancavano
all'alba, il sonno era stato rubato.
Da un sogno su
Naraku.
Squallido.
Ma non gli passò nemmeno per la mente di
chiedersi "e se fosse vero?". Non voleva portarsi sfortuna
da solo. E forse sbagliava.
Perchè quello fu l'ultimo, spaventoso
sogno premonitore del mezzo demone, che dopo non ebbe più tempo per
bere, mangiare, dormire. Era iniziata la battaglia finale con
Naraku.
E prima che se ne potesse accorgere, scoprì che era stato
quel fugace momento fra sonno e veglia la vera chimera. Un frammento
di illusione.
Fantasia, fatalità o potenza demoniaca?
Non
avrebbe saputo spiegarlo. Però in poche ore realtà e fantasia,
sogno e realtà, nel suo mondo erano state capovolte come in una
strana giostra che non seguiva le sue regole.
...Non
sei ancora morto, Inu Yasha. Ma presto spererai di esserlo...
Notes:
Ohayoo,
Minna-san! *O*
Pronti a ricominciare la scuola? Io
assolutamente no [Q.Q].
Ma per, come dire?, festeggiare il
ritorno di compiti e interrogazioni e salutare l'estate con un pò di
sana, giusta, depressione ho deciso di buttarmi su una
raccolta di Shot sui sogni dei vari personaggi di Inu Yasha, il cui
titolo è lo stesso del terzo libro di Victoria Francès "Favole".
Questa prima shot è, per l'appunto, un incubo del nostro
mezzo-cane preferito. L'ho mandato un pò OOC, ma ho pensato ad un
Inu Yasha totalmente disperato, illudendomi che la perdita di Kagome
lo possa portare a questi livelli.
Non posso dare
anticipazioni in quanto non so ancora su cosa sarà la prossima, ma
non temete: stavolta porterò a termine il progetto U.U
Un
bacione, con la speranza che sia piaciuta almeno un pochino.
Elle.