Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: drisinil    19/04/2023    9 recensioni
Non è comandante per caso, Erwin Smith. Pensa al triplo della velocità di un qualsiasi nano dei bassifondi, anticipa chiunque di almeno dieci mosse, è educatamente impietoso e armato fino ai denti di parole suasive e sguardi ispirati, che colpiscono durissimo sui tessuti molli delle più invisibili debolezze.
Questa è una raccolta di oneshot Eruri canonverse, che segue i miei personali headcanon.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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SE LUI TORNASSE



«No!» ripete, in piedi di fronte alla scrivania del comandante. «Non ti azzardare, quattrocchi di merda.»

«Perché?»

Non le risponde. Non c’è una risposta. C’è un dolore sordo che si deposita insieme alla polvere sul ripiano della scrivania, sugli intarsi della sedia, fra le pagine dei libri.

C’è il fantasma del fantasma di un bastardo, perché se bastardo non fosse si degnerebbe di tornare, di parlargli, di comparire almeno nei sogni. E invece tace, pigro come sempre, addormentato sotto dieci metri di terra, troppo impegnato a farsi divorare dai vermi senza battere ciglio.

Ma potrebbe tornare, e se tornasse è certo che se ne andrebbe lì nel suo ufficio, ad appollaiarsi sul fottuto divanetto smollato. Potrebbe tornare e se tornasse apparirebbe nello scintillio della polvere controluce, sullo sfondo dei vetri sporchi e farebbe quella sua espressione di disappunto cortese, di superiorità, di educato, deluso rammarico per ogni minimo cambiamento fra le sue cose.
Potrebbe tornare e se tornasse vorrebbe il suo taccuino macchiato di caffé d’orzo, i suoi calzini, buttati per terra da qualche parte, la sua camicia con il collo rovinato e una macchiolina rotonda color ruggine che non viene più via sulla manica vuota, e quella cinghia vecchia che pende dalla mensola, insieme alla briglia logora del cavallo che amava quando era ragazzo.

«E' passato un mese. Lo dobbiamo pulire, quel posto. Fallo tu, se vuoi. Ma fallo.»

«Perché?»

«Perché è un modo come un altro di accettare le cose.»

«Quali cose?»

Lo vuole sentire, adesso. Vuole fremere di indignazione, di dolore e di rabbia. Vuole lasciar sfrigolare le parole sui nervi finché, senza controllo, i muscoli scatteranno come armi cariche, molto prima della coscienza, e le arriverà alla gola in un attimo, sentirà la rotondità della carotide sotto i polpastrelli. Forse la ucciderà prima di rendersene conto e troverà pace, in qualche modo. «E' solo una stanza, di cui non ti è mai fregato niente. Cosa cazzo dobbiamo accettare, quattrocchi di merda?»
Dillo, se hai il coraggio.

«Levi, non sei solo» mormora senza guardarlo.

Spiazzante come sempre. E bugiarda, come sempre, perché non esiste solitudine più profonda di quella di uno schiavo in ceppi, che si trascina dietro le sue catene non più attaccate a nulla, perché non ha saputo né obbedire né morire al momento giusto.

Non esiste solitudine più grande che perdersi sapendo che nessuno al mondo sarà mai più capace di ritrovarti, rimetterti insieme, mostrarti la direzione con una chiara, onesta scia di fumogeno verde (e un cazzo di cielo glorioso negli occhi).

I dolori ingurgitati troppo in fretta si trasformano: marciscono e diventano astio, diventano furore. «Il primo che mette piede lì dentro lo faccio a pezzi.».

«Sii ragionevole, per favore… »

«Te lo ripeto, comandante: il primo che mette piede lì dentro senza il mio permesso lo sgozzo. Anche se dovessi essere tu.»

«Allora prendi una scopa e un secchio e datti da fare. Chiuditi dentro a doppia mandata, disperati da solo come uno stronzo masochista mentre lavi i pavimenti, ma non crearmi problemi. Per inciso, tecnicamente quello è il mio ufficio.»

«Quindi tutta questa storia è per mettere il tuo culo sulla sedia padronale? E hai bisogno che sia spolverata così bene? Parliamone: la tua igiene personale è incommentabile, questa stanza è una discarica, devi farmi la predica proprio tu?»

«Anche se la cosa ti fa incazzare, non l’ho deciso io di diventare comandante. Non l’ho decisa io la strategia in battaglia. E non ho deciso io a chi dare… » si blocca, si massaggia il naso sotto il ponte degli occhiali, si strofina forte la fronte «Io non ho fatto proprio un cazzo.»

Un pugno esplode sulla scrivania con un boato, la mano penetra nel ripiano di legno e lo sfonda, una crepa insanguinata si propaga verso il bordo.
Il comandante si limita a scuotere il capo, spingendosi su gli occhiali. Gli porge un fazzoletto tirato fuori dalla tasca.

E’ vero che lei non ha fatto niente e lui lo sa benissimo. Hanno deciso tutto loro e la cosa tragica è che ognuna di quelle scelte era, nel contesto, assolutamente giusta. Che le rifarebbero identiche.
Le spalle del soldato più forte dell’umanità si abbassano una spanna. «Va bene. Lo faccio io. Ma non ancora. Non subito.»

Hange sospira, un sospiro così lungo e profondo che sposterebbe un gigante «Adesso o dopo, pensi che farà differenza?»

Moltissima. Finché non entra lì dentro, l’assenza di lui è incidentale, fortuita, un errore madornale che si può ancora correggere, riavvolgendo tutto, tornando all’idea brillante di spezzargli le gambe.
In tasca, la mano ferita si scontra con l’ostacolo liscio e freddo della pietra verde e dei laccetti di cuoio: nostalgia condensata nel palmo della mano.

«Lo faccio domani.»

«Domani» concede il comandante.

«Domani» ripete lui. Domani va bene.

Domani è incerto, lontano, di mezzo c’è una lunghissima notte di veglia, in cui qualsiasi cosa potrebbe accadere.
Monterà la guardia alla porta, dall'esterno. Se lui tornasse, vorrebbe trovarlo lì.


***
Questa storia è stata scritta per la bellissima dropschallenge del gruppo fb "Non solo Sherlock"


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Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna https://feriscelapenna.forumfree.it/?t=79854039
   
 
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