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Autore: Nuvolotto    25/04/2023    0 recensioni
Artemide.
Una nome bizzarro per una ragazza.
Se si pensa poi che abbia un gemello di nome Apollo, si potrebbe tranquillamente supporre di essere finiti in una storia di mitologia greca.
Niente affatto.
Da sempre Artemide ha fatto del suo nome un vanto, una caratteristica speciale della sua persona. Come se avesse in un certo senso decretato chi fosse fin dal suo primo lamento.
Solo quando però Apollo muore, il suo mondo fatto di certezze crollerà come un castello di carte posizionato su un tavolo poco stabile.
Può un bacio rubato al sapore di fragole ristabilire un ordine nella sua vita? Può farle capire chi era in realtà suo fratello? Ma soprattutto può farle capire chi è lei veramente?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Era passata una settimana da quell’evento. Una settimana in cui mi ero infischiata del rischio di essere bocciata. Non ero andata a nessun corso e la mia casella postale cominciava ad essere piena solo di mail da parte della segreteria della scuola. 

Non era solo quello che era successo la causa della mia assenza, ma quella settimana purtroppo sapevo che sarebbe inesorabilmente arrivata. 

Era passato esattamente un anno dal giorno più brutto della mia vita. Un anno da quando non vedevo più il suo sorriso e i suoi capelli dorati spettinati di prima mattina. 

Un anno prima Apollo era uscito a fare una passeggiata quando una macchina lo aveva investito e ucciso sul colpo. Il guidatore stava tornando a casa di prima mattina, dopo una notte passata a bere in qualche locale. Per quel che ne sapevo era ancora in qualche cella. Non mi importava, fino a quando non mi avessero detto che sarebbe stato liberato. 

Lui mi aveva tolto la persona più importante della mia vita e nemmeno lo sapeva. Non avevo voluto guardarlo negli occhi. Da quel giorno smisi anche io di andare a bere in qualche prato sperduto. Mi resi conto di quanto stessi perdendo ogni briciolo di dignità facendolo, forse l’unica cosa buona che comportò la sua morte. 

Quella settimana non riuscì ad uscire dalla mia stanza, e quella dell’anno successivo non fu diversa. 

Per mia fortuna i miei genitori mi lasciarono a casa, nemmeno loro avevano voglia di fare qualcosa quella settimana. L’unica cosa per cui mi mossi di casa fu andare con loro al cimitero a posare qualche fiore sulla sua tomba. Ebbi la conferma che non erano loro a portare i fiordaliso blu, quando mia mamma mi chiese se fossi io a farlo. 

Quella settimana era un mazzetto più corposo, racchiuso grazie ad un piccolo nastro bianco. Sorrisi, perché chiunque fosse il misterioso mittente di fiordaliso doveva essere una persona davvero intima e vicina a mio fratello. Allo stesso tempo però provavo un moto di involontaria rabbia nei suoi confronti. Dopo un anno non era riuscito a venire a parlarmi del loro rapporto. Erano amanti? Era un amico o amica stretta? Fino a che l’unico indizio che avevo erano solo mazzi di fiordaliso non avrei potuto dare una rispostaa tutti questi quesiti che vorticavano nella mia testa. 

Avrei aspettato anche tutta la vita affinché venisse da me a spiegare tutto. 

Quella sera i miei genitori andarono a dormire molto presto. Io rimasi sveglia a coccolare Apollo assorta completamente dal dolore che mi trascinavo da un anno a quella parte. 

Un rumore alla mia finestra distolse la ragnatela intricata dei miei pensieri che mi aveva fatto scendere involontariamente alcune lacrime dagli occhi. Apollo drizzò le orecchie. Io invece continuai ad intrecciare il filo spezzato, pensando che fosse il vento. 

Un altro colpo mi interruppe di nuovo. Apollo si avvicinò svelto alla finestra.Il vetro tuttavia era troppo in alto però per lui per vedere cosa provocasse quei rumori. 

Mi affacciai, pensando di dover chiudere le tapparelle, ma quando il mio sguardo finì in giardino non potei fare altro che bloccarmi davanti alla finestra. 

Alessandro era nel mio giardino che cercava qualche corteccia o piccolo sasso da tirare alla mia finestra. 

Doveva essere uno scherzo, anche perchè io non gli avevo mai detto dove abittassi e dove fosse la finestra della mia camera. Ero al secondo piano, quindi si era dovuto impegnare non poco per far arrivare qualunque cosa avesse lanciato fin lassù. 

Sorrisi, anche se non riuscivo a capire cosa ci facesse lì, in quella settimana così complicata per me, dove al massimo potevo sopportare i miei genitori. I miei migliori amici lo sapevano e per questo si sarebbero fatti sentire solo il giorno dopo. 

Andai alla mia scrivania e presi tre penne. Una dopo l’altra le lanciai fuori dalla finestra. Capì di averlo beccato con l’ultima, quando sentì un suono di dolore simile alla sua voce.  

Uno a zero per me. 

Mi affacciai a fatica alzandomi dalla carrozzina e gli intimai di fare silenzio e smetterla di lanciare cose alla mia finestra. Non volevo che i miei genitori scoprissero che era venuto sotto casa, specialmente mia madre, la quale avrebbe già programmato i nomi dei suoi nipotini. 

Lui però non sembrava aver preso troppo bene il mio colpo di penna e lanciò una corteccia che mi arrivò dritta dritta sulla fronte. Caddi seduta sulla carrozzina.

Non riuscivo a farmi vedere, se non per qualche ciuffo di capelli. Avrei tanto però voluto fargli vedere lo sguardo di sfida che avevo lanciato al muro in quel momento. Se voleva una battaglia, una battaglia era quello che avrebbe avuto. 

Andai al mio astuccio e cominciai a tirare alla cieca tutte le cose al suo interno, una dopo l’altra. Almeno una, mi dissi, avrebbero dovuto colpirlo. Intanto nella mia stanza continuavano a entrare cortecce e piccoli sassi. Apollo continuava a saltellare per la stanza tutto felice di quel nuovo gioco. Andammo avanti così per alcuni minuti, fino a che non mi accorsi che con tutto quel chiasso avremmo presto svegliato i miei. Presi un foglio e scrissi velocemente:

“Tregua. Non pensare che mi sia arresa!”

Sentì una risata inconfondibile e non potei fare altro che sorridere anche io. 

Su un altro foglio scrissi che sarei scesa a breve. 

Se solo avessi saputo che a breve sarebbero stati almeno dieci minuti, non lo avrei mai scritto. A causa della mia condizione i miei erano soliti portarmi al piano terra, ma sicuramente non potevo svegliarli per dire loro che c’era un ragazzo sotto casa mia. Fu più difficile del previsto scendere le scale senza fare rumore e, soprattutto, senza farmi ancora più male. Aggrappandomi alla parte inferiore dello corrimano e scendendo con il sedere sui gradini gelidi, in un modo o nell’altro arrivai in fondo dove mi aspettava la seconda carrozzina.

Apollo mi aspettava davanti alla porta con impazienza, non riuscendo a capire lo sforzo che avevo fatto solo per arrivare fino a là. 

Nel momento in cui aprii la porta si fiondò in giardino alla ricerca del ragazzo che era venuto a farci quella visita inattesa. 

Non appena lo raggiunse gli saltò addosso e cominciò a scondinzolare tutto felice. 

Potevo essere gelosa del fatto che il mio cane preferisse un estraneo a me?

Cercai di ignorare quel sentimento e andai incontro alla persona che era venuta presumibilmente per vedere me, non il mio cane. 

“Che ci fai qua?”, esordì fredda. 

“Dai sempre questi caldi benvenuti agli ospiti?”, rispose lui ironico, non capendo che non era la serata per le battute.

“Solo a quelli che sanno dove abito nonostante io non glielo abbia detto. Potrei anche aggiungere a coloro che provano a rompere la mia finestra con dei sassi, ma non è la serata per infierire ulteriormente.”

“Non volevo svegliare tutta la casa.”, si scusò lui, non facendo comunque una piega al mio tono così poco amichevole. 

“Non mi ha comunque risposto: che ci fai qua?”

“Dritta al punto vedo. Sai com’è? La mia unica studentessa non si presenta per una settimana, deve recuperare.”

“Alle undici di sera?”

“La conoscenza non ha orari.”
“Il mio sonno sì.”

“Quante volte l’hai morsa la tua padrona per renderla così acida, piccolo?”, disse con un tono buffo al mio cane. 

“Non cominciare a parlare con il mio cane.”, dissi enfatizzando l’aggettivo mio. 

“Lo so, lo so. Se ti dovesse tirare qualche penna puoi venire da me, ok?”, si era abbassato alla sua altezza e mentre gli parlava lo guardava negli occhi. 

“Vuoi finirla?!- dissi esasperata- Cosa sei veramente venuto a fare qua? C’è per caso la tua amica biondina nascosta tra qualche albero che ci guarda?”

Dopo quelle parole tutto il suo tono scherzoso sparì. Si alzò in piedi. 

“Sono venuto anche per questo. Vorrei chiarire quella situazione, ma per farlo vorrei che tu facessi prima un sorriso. Dopo una settimana che non ti ho visto mi sono preoccupato. Emma mi ha detto dove trovarti.”

Dopo quella rivelazione avrei tanto voluto andare a casa della mia migliore amica per dirle qualcosa a proposito di non dare il mio indirizzo di finestra senza il mio permesso.  Mi limitai invece ad incrociare le braccia aspettando cosa avesse da dire. 

“Davvero non riesci a sorridere?”

La sua insistenza per fare un sorriso finto mi stava sfinendo, fino a che non disse delle parole che involontariamente fecero muovere alcuni muscoli facciali, che in quella settimana si erano probabilmente dimenticati come fare. 

“Mi è mancato.”

Calò il silenzio, in cui finalmente incrociai il suo sguardo al buio. Il mio stomaco e la mia testa andarono in subbuglio a causa di sensazioni che solo lui sapeva farmi provare. 

“Sei bellissima quando sorridi.”

Una capriola. È quello che sentii fare al mio stomaco in quel momento. 

“Io e Giada- cominciò poi- siamo amici d’infanzia. Forse Emma non se lo ricorda, ma sono stato con lui tutte le elementari. Forse era troppo presa a litigare ogni tre secondi con Giada e farsi mandare in presidenza. Sta di fatto che la conosco.”

Le sue parole mi ricordarono del doloroso passato della mia migliore amica. Lei non me ne aveva mai parlato, poiché come diceva lei: “Il passato deve rimanere nel passato.”, non però quando incideva ancora sul presente. Da quel poco che avevo intuito era cresciuta in un ambiente dove solo chi fosse ricco poteva essere preso in considerazione. I suoi genitori le avevano fatto fare, fin dall’asilo, le scuole più prestigiose, aspettandosi che poi avrebbe scelto di andare al Pascoli, così come tutti quelli come lei. Lei però aveva coraggiosamente deciso d’iscriversi al D’annunzio, rompendo così quel poco affetto che aveva in famiglia. 

Anche Giada era cresciuta in una famiglia ricca, ed era proprio grazie a ciò che le due si erano incontrate e mai sopportate. Dopo le parole di Alessandro intuì quindi che anche lui doveva provenire da qualche famiglia benestante. Se prima lo avevo intuito, ora ne avevo la certezza. 

“Per me è come quasi una sorella, nonostante il più delle volte non sopporti il suo comportamento. - ammise. - Lei ha sempre voluto qualcosa di più, ma io mi sono sempre tenuto alla larga. Solo che nell’ultimo periodo è diventata ossessiva, tanto che quella domenica è venuta al teatro perchè sapeva dove fossi grazie alla posizione di Snapchat. Quello che non si aspettava eri te. Abbiamo litigato, perché lei dice che io non posso...non posso….uscire con una ragazza come te.”

Arrossì, come se ammettere che forse quell’incontro potesse essere un appuntamento gli fosse costato un grandissimo sforzo. 

“Non mi devi nessuna spiegazione.”, dissi senza pensare, fermandolo dal andare avanti con il discorso. 

Quella volta si fermò e si stupì per la prima volta per la freddezza delle mie parole. Si fermò anche Apollo, il quale probabilmente aveva capito che avevo ferito la sua persona preferita. 

“Sì…giusto. Non so nemmeno perché sia venuto.”

La delusione nella sua voce era tagliente e percepivo che più avessi parlato, più mi sarei pentita di quello che stavo per dire. Stava per andarsene senza aggiungere altro, ma una parte di me voleva ancora infierire e fare male ad entrambi.

“Cosa sei venuto effettivamente a fare a qua allora?!”

Fermò il suo cammino e si girò verso di me con un'espressione mista a delusione e tristezza. 

“So cosa è successo un anno fa.- esordì lui- So perché sei da una settimana chiusa in casa. Pensavo che un po’ di compagnia non ti avrebbe fatto male.”

Ed ecco come toccò il tasto dolente. Quel tasto che era in mezzo a noi, aleggiava nell’aria minaccioso pronto per essere schiacciato da un momento all’altro e portare tutto il dolore di cui disponeva.  

Lui non sapeva nulla, come poteva. Aveva letto la notizia su qualche giornale un anno prima e ora si presentava davanti a casa mia, un anno dopo, per consolarmi. Come se avesse saputo a cosa ero andata incontro, quale dolore avevo dovuto sopportare per tutto quel tempo. La rabbia esplose dentro di me come una bomba a cui era stata data la miccia troppo tardi. 

“E come vorresti consolarmi? Dicendomi che con il tempo riuscirò a stare senza di lui?! Cazzate. Non mi abituerò mai alla sua assenza! Non sai niente. Nessuno sa un cazzo di nulla di tutto ciò. Ecco perchè sto da sola! Perchè solo io so cos’è questo dolore che mi schiaccia il cuore ogni mattina, pomeriggio, sera e notte.”

Non mi accorsi che nel mentre alcune lacrime scesero dai miei occhi, tanto che mi ritrovai il viso bagnato. Apollo si avvicinò a me e mi leccò la mano, come se avesse percepito tutto il dolore che stavo buttando fuori in un solo colpo. 

Alessandro invece rimase immobile davanti ad una sofferenza così immensa. Mosse una mano nella mia direzione, come a voler creare un contatto che però in quel momento nessuno dei due era pronto ad accogliere. Ritrasse celere la mano e se la portò nervoso tra i capelli, per poi esplodere anche lui. 

“No, hai ragione che non so che cazzo tu abbia passato! Ma non per questo nessuno in questo pianeta ti può aiutare. Non puoi passare ogni anno una settimana isolata da tutto e tutti. Forse dovresti capire che il dolore, seppur immensamente grande, si può anche alleggerire lasciando che altri si portino un pezzetto di esso nel loro cuore. Evidentemente però questo concetto non l’hai ancora capito. Stai pure qua a trattare male tutti coloro che vorrebbero poterti aiutare, diventerai sempre più sola ed allora sì che il dolore sarà insostenibile.”

“Non mi serve anche l’uccello del malaugurio. Vattene, per favore!"

Mi guardò ancora più deluso, per poi voltarsi e lasciarmi per davvero da sola nel mio giardino, con la sola presenza del mio cane.

Presa dalla rabbia presi tutte le penne che avevo lanciato dalla finestra e le scaraventai contro un albero. 

Poi piansi.

Piansi come non avevo mai fatto da quando quel terribile giorno era accaduto. Piansi tutto quello che in un anno avevo camuffato grazie alla mia insolenza e arroganza.

Piansi fino a quando non sentì che mi mancarono le forze, fino a quando anche aprire gli occhi era diventato troppo faticoso. 

Poi improvvisamente un senso di calma mi pervase. 

Aprii gli occhi e mi resi conto che ero completamente da sola, avvolta nel buio della notte.

Sfortunatamente Alessandro aveva ragione. 

Avevo allontanato tutti. Quel dolore era solo mio. Nessuno aveva preso nemmeno un briciolo di esso per alleggerirne il peso. Non perché non ci fosse nessuno disposto a farlo. Mi resi conto che se solo avessi reso partecipi a tutto questo i miei migliori amici, si sarebbero presi anche metà di esso sulle loro spalle. 

Io, tuttavia, avevo preferito portarlo tutto su di me e piano piano esso mi stava inesorabilmente schiacciando al suolo. 

Mi resi improvvisamente conto che avrei voluto che fosse rimasto, che fosse venuto verso di me e mi avesse abbracciato sussurrando al mio orecchio stupide frasi consolatorie. 

Eppure ero stata io stessa a dirgli di andare, a rifiutare la sua proposta. E ora ne pagavo la conseguenza di essermi creata un dolore ancora più grande. 

Capì che Emma aveva ragione: il passato deve rimanere passato. Avrei però tanto voluto che mi avesse insegnato a fare come lei, a fare finta che esso non incidesse nel presente come un pennarello indelebile.

   
 
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