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Autore: blackjessamine    30/04/2023    7 recensioni
È una verità universalmente riconosciuta che i maghi non sappiano nulla di leggi economiche. Tuttavia, Gilderoy Allock una cosa la sa: in un mercato stagnante e chiuso come quello dell'editoria magica non c'è posto per due regine.
Per questo Queenie Royal, la misteriosa autrice capace di fare impazzire ogni strega con i suoi libri d'amore, rappresenta una minaccia pericolosissima per chiunque voglia indossare una corona d'inchiostro.
Una minaccia resa ancor più pericolosa dal suo essere invisibile, dal momento che nessuno, nemmeno gli editori più scaltri, sembrano aver mai posato lo sguardo su questa gallina dalle uova lilla.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gilderoy Allock, Kingsley Shacklebolt, Rita Skeeter, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nodi al pettine



 

La strategia di difesa di Gilderoy era sempre stata l’attacco. Non con la bacchetta, quella tendeva a sfoderarla il meno possibile, ma con le parole. Chiacchiere esagerate, lodi, frasi affastellate in maniera così fitta e caotica da lasciare spaesato chiunque avesse davanti, costringendolo ad arrendersi prima ancora di cominciare ad attaccare. Talvolta erano parole con cui Gilderoy costruiva una realtà tutta nuova, differente quanto bastava dalla verità per creare un velo di confusione a cui era facilissimo credere. Altre volte era solo un trucco da mago babbano, tante parole scintillanti ed esagerate per distogliere l’attenzione mentre qualcosa di molto più prosaico veniva nascosto dietro il suo sorriso abbagliante.

Quella sera, però, mentre Kingsley attraversava il salotto e Gilderoy se ne stava immobile con gli occhi persi sul ritratto di Zara-Queenie Battanberg-Royal, lui non trovò niente da dire. Neanche una piccola, minuscola parola incastrata in fondo alla gola. Non un cenno di avvertimento, non un saluto, neanche un grido arrabbiato – tradito.

Se ne rimase semplicemente immobile, il cuore che gli pulsava così intensamente nelle vene e nelle orecchie da rendere difficile anche solo sentire i passi di Kingsley farsi sempre più vicini e fermarsi con un movimento brusco sulla soglia.

“Bacchetta in vis… ah, Gilderoy! Sei tu! Mi avevi spaventato!”

Gilderoy riuscì a vedere la trasformazione sul viso di Kingsley: l’espressione dura e priva di qualsiasi emozione dell’Auror con la bacchetta spianata che si addolcì in un sorriso morbido. Un sorriso luminoso, che sembrava nascergli da dentro e riscaldargli il viso e il cuore. Un sorriso che sembrava così maledettamente sincero.

Fu in quel momento che Gilderoy sentì il proprio cuore andare in pezzi: non come la brutta metafora di una pagina qualsiasi di un romanzo di  sua sorella, ma lo sentì proprio spezzarsi, infrangersi in centinaia di crepe acuminate pronte a conficcarsi in ogni ricordo felice e a tingerlo di dolore e vergogna per il modo in cui Gilderoy era caduto in quello sciocco tranello.

“Gilderoy? Stai bene?”
Quando aprì la bocca per parlare, Gilderoy era certo che sarebbe scoppiato a piangere. Invece, del tutto inaspettata, una fredda calma emerse da qualche parte dentro di lui.

Fu con voce di porcellana, pulita e priva di alcuna inflessione, che riuscì a pronunciare poche parole:

“No, non sto bene. Ma sono contento di aver finalmente scoperto la verità su di te e su tua sorella”.

Il sorriso di Kingsley svanì con la stessa rapidità con cui era apparso.
Gilderoy non sapeva cosa si sarebbe aspettato di veder comparire sul suo viso: timore per il piano crollato, vergogna, forse avrebbe sperato anche in un pizzico di rimorso. Quello che era certo, però, era che mai si sarebbe aspettato di vedere una confusione così genuina da farlo quasi abboccare. Quasi, perché ormai era evidente che Kingsley fosse uno degli attori migliori di tutta l’Inghilterra, e cosa poteva essere per lui un piccolo sforzo in più?

“Mia sorella? Non sto capendo…”
“Sì, Kingsley, tua sorella. Tua sorella, Zara Battenberg”.

Un lampo di freddo dolore, qualcosa di simile alla rabbia, fu tutto ciò che fece capolino sul viso di Kingsley.

“Quello non è più il suo cognome. Come fai a conoscerlo?”
Allora Gilderoy sentì una risata amara risalire gorgogliando lungo le pareti della sua gola.
“Ah, non è più il suo cognome? Preferisce farsi chiamare Royal, vero? Un cognome da vera regina”.

Ed eccola, dunque: la comprensione coprì il viso di Kingsley come un grigio sudario, distorcendogli i lineamenti in un misto di vergogna e dolore. Qualche ora prima, Gilderoy si sarebbe sentito il cuore andare in pezzi vedendo una simile espressione sul viso di Kingsley. Ora riusciva solo a trattenere a stento una risata amara. Una risata un po’ folle, forse, ma Gilderoy non aveva più voglia di conservare un’apparenza di sanità mentale. 

“Gilderoy…”
Kingsley allungò una mano in un gesto che aveva il sapore di un’implorazione, ma a Gilderoy non importava. Si scostò con un gesto brusco, sentendo improvvisamente il bisogno di mettere quanto più spazio possibile fra sé e quell’appartamento in cui si era illuso di essere stato felice. Una bugia anche quella felicità, e maledizione, quanto faceva male non essere dalla parte di chi le bugie le confezionava con splendide copertine.

“Dimmi solo una cosa… te lo ha chiesto lei, o è stata una tua idea?”
In un attimo, il viso di Kingsley tornò a distorcersi nella confusione.

“Chiesto che cosa?”
“Tutto questo”, Gilderoy fece un ampio gesto con la mano, indicando l’appartamento babbano di Kingsley, indicando sé stesso nell’appartamento di Kingsley, cercando di comprendere tutto quello che erano stati, quello che Gilderoy aveva creduto fossero stati. 

“Tutto questo, il fatto che tu abbia insistito per aiutarmi, per sedurmi, per distrarmi… era quello il piano, no?”
“Di che cosa stai parlando?”
“Oh, andiamo”, sbottò Gilderoy, non riuscendo più a trattenere la rabbia, “vuoi dirmi che è solo un grande caso, una coincidenza, se proprio il fratello di Queenie Royal ha insistito così tanto per uscire con l’unico degno rivale di sua sorella?”
Poteva essere un caso? In un mondo di persone giuste, in un mondo di persone governate dall’etica e dalla morale dell’uomo che Kingsley aveva finto di essere, forse sì. Ma Gilderoy sapeva come funzionava il mondo che condivideva con Queenie Royal, e no, in quel mondo non c’era alcuno spazio per quel tipo di coincidenze. 

“Aspetta, io… cosa? Ma mia sorella non è Queenie Royal!”
Questa volta, Gilderoy non dovette neanche sforzarsi di trattenere la sua risata fredda. La lasciò semplicemente uscire, amara e frastagliata in qualcosa che assomigliava pericolosamente a dei piccoli singhiozzi. 

“Smettila! Ti ho detto che so tutto, puoi smetterla di prendermi in giro!”
Ma Kingsley era serio. Mortalmente serio.
Serio come Gilderoy non l’aveva mai visto, il viso atteggiato in un’espressione grave, la bocca incurvata verso il basso, un dolore acuto a incupirgli lo sguardo.

“Non ti sto prendendo in giro. Non so cosa tu pensi di sapere, e non è così che avrei voluto parlartene, ma ti assicuro che Queenie Royal non è mia sorella”.

Gilderoy però ne aveva avuto abbastanza. Si era già mostrato sciocco, così sciocco da essere preso in giro con la stessa facilità con cui si prende in giro un bambino, e non aveva più intenzione di assecondare quella follia. 

“Smettila. Per favore, smettila. Non ti sembra di aver già fatto durare fin troppo questa follia?”
E allora l’espressione di Kingsley si fece ancora più cupa, come se avesse infine trovato il coraggio di prendere una decisione dolorosa. 

“Ti ho detto che Queenie Royal non è mia sorella, ed è la verità. Perché… Queenie Royal sono io”. 

Questo era veramente troppo. 

Gilderoy era stato disposto a farsi prendere in giro, ma Kingsley gli doveva almeno un ultimo istante di sincerità. Una spiegazione, un’ammissione di colpa, una confessione.

L’ennesima, sfacciata presa in giro non poteva essere tollerabile.

“Sei davvero meschino. Non riesci a fare uscire da quelle labbra neanche una briciola di sincerità, vero?”
“Gilderoy!”
Ma Gilderoy non aveva davvero abbastanza: certo che non sarebbe riuscito a trattenere le lacrime, voltò le spalle a Kingsley e, senza più badare alla propria dignità ormai ridotta a brandelli, corse verso la Metropolvere.

 

***

 

Quando Septimus arrestò l’incespicare di Gilderoy sul tappeto del salotto del suo appartamento, Gilderoy nemmeno ci fece caso.
Si lasciò aiutare dal suo editore, grato di avere accanto un viso amico.
Il viso di chi sapeva sempre come fare, di chi sapeva trovare una soluzione a qualsiasi situazione. Di chi gli aveva sempre detto come comportarsi, dandogli indicazioni precise e sollevandolo dall’ingrato compito di pensare. 

“Sssh, Gilderoy, sssh, non è successo niente. Vieni qui. Respiri profondi, da  bravo, adesso ci alziamo e andiamo a lavarci la faccia con un po’ di acqua fresca, che ne dici? Te la senti?”
Gilderoy annuì, e  cominciò a fare esattamente quello che Septimus gli aveva chiesto. Prese a fare lunghi respiri controllati, scacciando il pianto e tornando almeno in parte padrone di sé stesso. Si raddrizzò, notando il sollievo sul viso di Septimus, quando si allontanò da lui, ed era pronto ad avanzare piano verso il bagno, quando due rumori si sovrapposero. 

Dalla cucina venne il suono di una voce femminile leggermente arrochita che chiamava il nome di Septimus, mentre alle sue spalle si avvertì il suono inequivocabile di una Materializzazione. 

Kingsley riempiva gran parte del salotto di Gilderoy, il viso sempre stravolto da quell’espressione piena di dolore. Ignorò completamente Septimus e le sue deboli proteste, dirigendosi a passi decisi verso Gilderoy.

“Oh, ma abbiamo anche l’ospite d’onore!”, esclamò avidamente la donna  che poco prima aveva fatto il nome di Septimus. Fu con un moto di orrore che Gilderoy si voltò e vide, dritta contro lo stipite della sua porta, una Rita Skeeter fin troppo a suo agio in un orribile completo di uno slavato giallo canarino, intenta a sorseggiare con evidente soddisfazione del vino versato nel bicchiere di uno dei servizi preferiti di Gilderoy. 

Gilderoy non fece in tempo a domandarsi che cosa ci facessero Septimus e Rita Skeeter così a proprio agio in casa sua, perché Kingsley ormai lo aveva raggiunto e gli aveva afferrato il polso. Un tocco leggero, quasi a chiedere il permesso, o a implorare ancora un po’ di tempo e di considerazione da parte di Gilderoy. 

“Gilderoy, cosa ci fa tutta questa gente in casa tua?”
“Questa gente è il mio editore, Kingsley, ed è sicuramente più titolato lui di te per restare qui”.

Prima che Kingsley potesse protestare, Rita Skeeter si intromise con la sua voce più melliflua di sempre:
“Oh, non litigate, vi prego! Non sono ancora riuscita a scattare una vostra fotografia e ci terrei tanto a farvi finire in prima pagina insieme, perché siete davvero carini, ma quando litigate siete meno affascinanti del solito”.

Gilderoy sentì il sangue tramutarsi in ghiaccio nelle sue vene. 

Le parole di Rita erano inequivocabili, ma Gilderoy non poteva davvero prendere in considerazione l’idea che, fra tutti, proprio Rita Skeeter avesse scoperto qualcosa su di lui e Kingsley, perché quello avrebbe significato semplicemente la fine di ogni cosa. 

Uno sguardo rapido a Septimus fu sufficiente a chiarirgli che l’editore era all’oscuro di tutto: Septimus, sempre così controllato, sempre pronto ad abbandonarsi all’entusiasmo e a prendere in mano la situazione, se ne stava immobile, le guance tinte di un vago color grigio disgrazia, gli occhi spalancati sulla sua totale incapacità di intervenire per dire qualsiasi cosa. 

“Gilderoy, hai invitato tu la signora?”
L’unico che ancora sembrava aver conservato un briciolo di calma, per quanto tutto nel suo viso esprimesse circospezione, era Kignsley.

“No, non l’ho invitata io, ma…”
Gilderoy non sapeva che cosa dire. Non voleva che Kingsley cacciasse Rita Skeeter, perché aveva bisogno di scoprire che cosa lei sapesse di preciso, e aveva bisogno di tenerla sotto controllo. Cacciarla aveva lo stesso sapore di infiocchettare tutti i propri segreti e porgerglieli in un bel pacchetto, ma anche trattenendola non avrebbe saputo che cosa fare.

“Sono stata invitata dal nostro caro Septimus, che ci teneva molto a esaminare insieme le alternative che mi si aprono davanti ora che ho scoperto la vera identità di Queenie Royal”.

Ora Gilderoy non potè trattenersi dal guardare Kingsley, ma sul suo viso era tornata la maschera impassibile dell’Auror, e non c’era traccia anche della più piccola emozione, nonostante i suoi occhi non si staccassero da Rita Skeeter neanche per il tempo di un battito di ciglia. 

Rita prese un altro sorso di vino, schioccando le labbra soddisfatta come un bambino dopo una tazza di cioccolata.

“E comunque hai ragione, Septimus, il vino della cantina di Gilderoy è decisamente buono”. 

Gilderoy si sentì avvampare: lui poteva anche scegliere di pensare alla linea e non bere quelle pregiate bottiglie che spesso gli venivano regalate da fan o da entusiasti collaboratori, ma questo non significava che Septimus potesse invitare gente come Rita Skeeter a casa sua e aprire per lei quel vino!

Tutti, nella stanza, fissavano Rita: Septimus con espressione spaventata, Kingsley con una serietà in grado di mettere i brividi, Gilderoy… be’, Gilderoy era sempre stato estremamente consapevole del proprio viso e del modo in cui quello poteva apparire, ma  non quel giorno. Non aveva idea di che cosa ci fosse dipinto sul suo volto: terrore, angoscia, confusione, voglia di sparire e al tempo stesso voglia di far scomparire dalla faccia della terra quella donna, con ogni probabilità.

Rita rise, una risata artefatta e calcolata sotto la quale, però, Gilderoy riuscì a cogliere tutta la soddisfazione di un momento che aveva a lungo cullato. Un momento  costruito con cura, atteso e pregustato. 

“Davvero, forse la foto dovrei scattarla ora, le vostre espressioni sono impagabili… volete accomodarvi in cucina? Questo vino sta benissimo con quel formaggio francese che…”
“Rita, vuoi farci il favore di spiegarti?”
La interruppe Septimus, il viso cinereo e la voce ridotta a un mormorio.

“Con piacere”, mormorò lei, e Gilderoy si rese conto che la sua voce era davvero intrisa di piacere. Che lei si stava gustando quel momento, la loro attesa, il potere che poteva esercitare su tutti gli uomini nella stanza e i privilegi che avrebbe ricavato dalle informazioni in suo possesso ancor più di quanto si stava gustando vino e formaggio. 

“Oh, andiamo, scioglietevi un po’. Ormai non ci sono più segreti, e quando non ci sono segreti è un po’ come essere in famiglia, no?”
Questa volta Gilderoy era certo che gli occhi di Rita si fossero soffermati un istante più a lungo su Kingsley. 

Kingsley, però, si limitò a incrociare le sue enormi braccia in un gesto che sembrava voler sancire un confine netto fra sé e Rita, ben deciso a differenziare la propria famiglia dalla giornalista.

“No? Niente divani comodi, niente brindisi tutti in compagnia? Peccato…”
Rita si accomodò sul divano di Gilderoy, incurante delle gocce di vino che scivolarono dal suo bicchiere a macchiare la stoffa chiara dei cuscini.

“Come dicevo, Septimus voleva parlarmi dei miei progetti futuri, delle inchieste che ho intenzione di pubblicare nelle prossime settimane su Queenie Royal e tutto quello che ho scoperto, ma il punto è che il povero Septimus non poteva sapere che io non gioco mai una sola partita alla volta”.

Rita lanciò un’occhiata allusiva a Kingsley e a Gilderoy, svuotò con una sola sorsata il suo bicchiere e proseguì:

“Mentre indagavo sulla nostra Queenie ho svolto qualche altra ricerca, perché non potevo proprio spiegarmi la totale assenza di gossip sulla vita privata del nostro Sorriso Più Affascinante, e non potete immaginare la mia sorpresa quando queste indagini mi  hanno portato, se mi concedete la metafora piuttosto appropriata, alle uova dello stesso nido nel Glouchestershire”.

Questa volta Rita fissò direttamente negli occhi Kingsley, e lui abbandonò il silenzio, per parlare con un mormorio basso e minaccioso:
“N0n mi piacciono le chiacchiere. Dica quello che deve dire e facciamola finita in fretta”.

“Non c’è bisogno di scaldarsi tanto, Auror Shacklebolt, anche perché penso che lei sappia benissimo che sto parlando dell’allevamento di rapaci della sua famiglia. Quello che sua sorella Zara, dopo un brevissimo e disastroso matrimonio con Mr. Battenberg, ha deciso di dirigere da sola. Ci sarebbe da chiedersi come faccia la giovanissima madre di due figli con un ex marito scomparso oltre la Manica e del tutto disinteressato al mantenimento dei pargoli a mandare avanti un business che richiede così tanti investimenti…”
Sul viso di Rita comparve il sorrisetto di un’attrice soddisfatta dell’atmosfera creata per arredare al meglio il colpo di scena tanto atteso. 

“A meno che, ovviamente, dopo il divorzio questa madre abbia deciso di impiegare le lunghe serate di solitudine scrivendo romanzi d’amore da far pubblicare sotto pseudonimo  a quello che ai tempi della scuola era il fidanzatino del suo adorato fratello”.

Gilderoy sapeva che, fra tutte le reazioni possibili, quella che lo spinse a voltarsi verso Kingsley e a esclamare, soffocando a stento l’indignazione e la gelosia Flintshire è il tuo ex? era la peggiore di tutte, ma non potè comunque trattenersi.

L’idea che Kingsley avesse condiviso qualcosa con Ebenezer Flintshire lo disgustava. 

“A Hogwarts ci siamo frequentati, ma Miss Skeeter ha frainteso molte cose”.
La semplicità con cui Kingsley ammetteva, dopo essere stato messo all’angolo e smascherato come il fratello della più acerrima nemica di Gilderoy, di avere avuto una relazione con il burattinaio di suddetta nemica era sconcertante.

Gilderoy avrebbe voluto mettersi a gridare. Forse anche a piangere, ma soprattutto a gridare, perché in qualche modo la cosnapevolezza che ogni azione di Kingsley avrebbe potuto essere una finzione volta solo ad aiutare la sorella faceva male, ma pensare che quel complotto fosse stato architettato in accordo con una persona con cui Kingsley aveva avuto una relazione era insopportabile. 

Forse quella relazione non era neanche mai finita, ma era stata tenuta abilmente nascosta per non ostacolare la carriera di Kingsley.

No.

Gilderoy non ci poteva pensare. Non se voleva mantenere quel minimo di lucidità necessaria per non tradirsi davanti a Rita Skeeter, nel caso ci fosse ancora qualche briciola del suo rapporto con Kingsley ad essere rimasta segreta e nascosta. 

Rita piegò la testa di lato nella patetica imitazione di un gesto lezioso. 

“Non sapete quale sia stata la mia sorpresa e la mia soddisfazione quando ho capito che, nonostante l’assoluto riserbo con la stampa, il nostro caro Gilderoy aveva davvero qualche batticuore. L’ho seguito, ho fatto delle ricerche, e l’ho trovato a tubare come un piccioncino proprio con l’irreprensibile fratello di Queenie Royal”. 

Gildeory se l’era aspettato, ma sentire il suo più grande segreto pronunciato dalle labbra spaventosamente bisognose di uno scrub di Rita Skeeter lo fece comunque precipitare in un mare di terrore e disperazione. 

Era tutto finito.
Non solo la sua storia con Kingsley – una storia che non era mai neanche cominciata, non per davvero, se si era trattato solo di una presa in giro – ma tutto, tutto. Rita Skeeter non avrebbe mai taciuto, non dopo essere riuscita a mettere le mani su qualcosa di così succulento. Non dopo essere riuscita a tracciare un filo così inequivocabile fra due inchieste: Gilderoy conosceva abbastanza bene il mondo di fama e lustrini per sapere che solo uno sciocco si sarebbe fatto sfuggire la possibilità di accaparrarsi nello stesso momento la verità su Queenie Royal e il modo in cui suo fratello ne aveva approfittato per incastrare quell’invertito  di Gildeory Allock, il più grande bluff del mondo dell’editoria. 

“E ora tu che cosa pensi di fare, Rita?”
La voce di Septimus era circospetta. Gilderoy sapeva che neanche un uomo con le risorse che sapeva estrarre dal cilindro Septimus poteva risolvere quella situazione, ma evidentemente Septimus continuava a sperarci. O, quantomeno, sperava di prendere tempo per poi riuscire almeno a contenere parte dei danni.

“Oh, andiamo, Septimus, io e te ci assomigliamo molto più di quanto tu possa voler ammettere. Cosa credi che farò? Che mi accontenterò di una stupida esclusiva per le interviste di Gilderoy?”
Septimus strinse gli occhi, senza mai smettere di fissare la donna che si era poco cerimoniosamente spalmata sul divano di Gilderoy. 

“Vuoi bruciarti tutti e due gli scandali in una volta sola?”
Rita rise, e Gilderoy capì esattamente il motivo di quella risata: nessuno sano di mente si sarebbe fatto scappare la possibilità di sbugiardare Queenie Royal e allo stesso tempo di rivelare al mondo ciò che accadeva nella vita privata di Gilderoy Allock. E di certo non lo avrebbe fatto Rita Skeeter, avida com’era di successo e di voglia di far brillare la propria carriera. Non lo avrebbe fatto nemmeno Gilderoy, se solo lui si fosse trovato al posto della giornalista.

“Septimus, non insultare la tua intelligenza. Sei stato bravo, davvero bravo a ogni cosa, ma anche i migliori devono arrendersi davanti alla verità. Ma potresti comunque guadagnarci qualcosa… Gilderoy sarà sulla bocca di tutti, per un po’. Ne varrà la pena”.

Gilderoy vide gli occhi di Septimus ridursi a una sottile fessura ed ebbe quasi la sensazione di vedere il suo cervello brillare di fervore mentre vagava alla ricerca di una soluzione. Gilderoy sapeva che la cosa più razionale da fare, per Septimus, sarebbe stata cavalcare l’onda: se non poteva salvare Gilderoy, tanto valeva che salvasse sé stesso gettando Gilderoy in pasto allo scandalo.

“Quello che però vorrei sapere”, continuò Rita, gli occhi ora avidamente puntati su Kingsley, “è se la passione di Mr. Muscolo per gli scribacchini è autentica o è solo un’abile mossa di marketing. Prima Ebenezer, poi Gilderoy… confesso che alla mia penna non dispiacerebbe essere maneggiata da lui, se capisce quello che intendo”.

Kingsley non si degnò neanche di risponderle, limitandosi a regalarle uno sguardo che grondava minaccia.

“Rita, per favore, vogliamo calmarci? Credo di poterti offrire un accordo… uno scoop che potrebbe compensarti della rinuncia a svelare delle inclinazioni di Gilderoy”.

Gilderoy si voltò di scatto verso Septimus, cercando di seguire il flusso di pensieri del suo editore, invano. Non aveva idea di quale fosse il suo piano, sempre che ne avesse uno, ma era confortante sapere che, invece di spingerlo in pasto alla Skeeter, Septimus stava provando a negoziare per salvarlo.

“Un nuovo scoop?”
Septimus annuì, sedendo con fare pratico accanto a Rita.
“Non ti chiedi perché noi volessimo scoprire con tanta insistenza l’identità della Royal?”
Rita strinse a sua volta gli occhi, e Gilderoy si ritrovò a pensare che quei due fossero davvero molto più simili di quanto forse Septimus sarebbe mai stato disposto a dichiarare.

“Per conoscerla, per metterla in difficoltà, per dare un volto al nemico…”
“Al nemico?”
Questa volta Kingsley non riuscì a trattenersi.

“Sì, Kingsley, al nemico. Come lo chiameresti tu un rivale che invade il tuo mercato, si prende le tue vendite, mette a punto strategie di marketing subdole e ti ruba anche il colore perfetto?”
“Il colore… in che senso, scusa?”
Gilderoy scosse la testa. Quella stessa mattina avrebbe provato a spiegare a Kingsley del suo perfetto completo lilla, e Kingsley forse avrebbe sorriso, ma avrebbe sicuramente capito il tormento che quell’episodio rappresentava per Gilderoy. Ma sarebbe stata solo una recita, l’ennesima bugia, e Gilderoy era stanco di vendere pezzi di sé a chi lo aveva solo preso in giro.

“Non cambiare discorso. Tu come chiameresti una minaccia del genere?”
“Un collega! Gilderoy, a Queenie Royal non importa niente di rubarti lettori. È solo un altro scrittore, qualcuno che nel tempo libero si diverte a rigirarsi in testa dei personaggi e delle storie, proprio come abbiamo fatto io e te nelle nostre lettere”.

Quello fece male. Quel richiamo alle lettere che si erano scambiati inventando intervistatori, fan, vicende e voci faceva male, perché era qualcosa che Gilderoy non aveva mai avuto con nessuno e che ora sapeva di non aver avuto neanche con Kingsley.

“E tu ora cosa farai, darai quelle lettere a tua sorella così che lei possa rubarmi anche i personaggi?”
L’idea che forse Kingsley lo avesse già fatto, e che Zara proprio in quel momento potesse essere nella sua cucina imbiancata a calce a scrivere  l’ennesimo brutto romanzo basandosi sulle idee di Gilderoy lo disgustava.

“Non lo farei mai. Lo sai che non lo farei mai, Gilderoy. Dopo tutto quello che abbiamo fatto, puoi davvero pensare che io sia questo tipo di persona?”
Un lieve grattare di piuma sulla pergamena interruppe la discussione. La Penna Prendiappunti di Rita sfrecciava su un taccuino poggiato con noncuranza sul bracciolo del divano, mentre la donna li fissava con aria rapita.

“Non smettete, non smettete! Questo articolo sarà una bomba!”
“Rita! Il nostro accordo… Gilderoy vuole sedurre Queenie Royal, e tu potresti essere la regina di questa storia d’amore! La riveleresti al pubblico, potresti avere una rubrica in cui raccogli le loro confessioni… seguire i loro viaggi… potresti anche scrivere la loro biografia, tra qualche anno!”
Gilderoy sentì, improvviso e patetico, il bisogno di voltarsi verso Kingsley e gridare più forte di Septimus:
“Non con tua sorella! Non lo farei mai, con tua sorella!
La risata di Rita si mescolò alle offerte di un radioso futuro di Septimus, ma Gilderoy vedeva solo il viso terreo di Kingsley mentre l’uomo gli posava le mani sulle spalle, implorante:
“Non mia sorella, smettila di parlare di mia sorella! Zara non è Queenie, non lo è mai stata, io sono Queenie!”

Ancora quella folle bugia.

Gilderoy avrebbe voluto mettersi a gridare, ma l’aria era già satura degli strilli di Septimus e Rita Skeeter che vomitavano minacce e prese in giro l’uno sull’altra.

“Sei patetico, Septimus, vuoi mercanteggiare ma non hai niente da offrirmi… la carriera di Gilderoy è finita, e  la tua lo seguirà a ruota!”

Accadde tutto molto rapidamente.
Septimus estrasse la bacchetta, puntandola contro Rita, che ebbe appena il tempo di impallidire prima che un getto di luce rossa erompesse dalla bacchetta dell’editore, per schiantarsi con un botto assordante contro la libreria alle spalle della donna. Kingsley, la bacchetta comparsa miracolosamente nelle sue mani, aveva deviato il colpo. 

Ci furono grida e imprecazioni, Rita cercò riparo stringendosi a Kingsley, per la prima volta davvero spaventata, e un solo sguardo passò fra Septimus e Gilderoy. Uno sguardo che Gilderoy conosceva molto bene, fin nelle più recondite intenzioni. Mentre l’attenzione di Rita e di Kingsley era ancora concentrata su Septimus, Gilderoy afferrò la propria bacchetta. Un solo respiro per schiarire la mente e trovare il giusto stato d’animo per concentrarsi, e tutto ciò che voleva far dimenticare a Rita si ordinò con precisione nella testa di Gilderoy.

Non esitò nello scagliare l’incantesimo di memoria su Rita: non esitò nemmeno a domandarsi se l’incantesimo avesse davvero funzionato, perché Gilderoy sapeva istintivamente di essere in grado di eseguire quell’incantesimo con una finezza d’intenti pari a nessun’altra magia. Sapeva distinguere l’ampiezza del ricordo da rimuovere e, il più delle volte, sapeva fermarsi senza andare troppo in profondità, senza rischiare di causare amnesie troppo estese e in grado di intaccare anche altri aspetti della memoria di chi aveva davanti.

“Oh, salve, Septimus. Gilderoy, che piacere… dobbiamo fare una bella chiacchierata, è così?”
Rita sbattè un paio di volte le palpebre, confusa.
“Rita, cara, l’avete già fatta la vostra chiacchierata. Un gufo ha già portato a casa tua i tuoi appunti, e tu te ne stavi andando. Lascia che ti accompagni, il tuo soprabito è di là…”
Septimus, sereno come se non fosse successo niente, prese Rita sottobraccio e l’accompagnò all’ingresso, chiacchierando ininterrottamente per non lasciare tempo alla memoria instabile della donna di trovare buchi e punti deboli all’incantesimo.

 

“Gilderoy, che cosa hai fatto? Lo sai che potrei arrestarti per una cosa del genere?”
Ma a Gilderoy non importava più. Kingsley poteva arrestarlo, poteva sbugiardarlo davanti a tutta la comunità magica, lui non avrebbe reagito. Era semplicemente troppo stanco per avere qualsiasi tipo di reazione.

“Mentre mi metti le manette, dovresti almeno ringraziarti, dato che mi sono anche preso la briga di farle dimenticare tutto su tua sorella”.

Gilderoy non sapeva perché lo aveva fatto, ma sentiva che era importante fare in modo che Rita dimenticasse di Zara Battenberg e delle ricerche su Queenie Royal. Forse perché temeva che ripercorrendo quelle ricerche la giornalista sarebbe giunta di nuovo alle stesse conclusioni. O forse c’era anche una ragione molto patetica, ma non ci voleva pensare.

“Perché non vuoi credere che Queenie sia io?”
Gilderoy rise quella risata amara che ormai gli stava salendo alle labbra così spesso da temere che non sarebbe mai più stato in grado di cancellarne il sapore. 

“Perché non puoi essere tu. Tu sei un Auror. E Rita sa che la Tu-Mi-Streghi ha dato un sacco di soldi a tua sorella ogni volta che è uscito un nuovo romanzo della Royal. Anche uno scemo come me saprebbe fare questo collegamento”.

Kingsley scosse la testa.

“La Tu-Mi-Streghi non ha versato neanche uno zellino sul conto di Zara, ma ha versato tutto su quello dell’allevamento. L’allevamento di famiglia”.

L’allevamento di rapaci da lettera della famiglia Shacklebolt. Quello in cui Kingsley non lavorava in prima persona, ma di cui parlava spesso con un orgoglio e un affetto negli occhi da aver fatto desiderare a Gilderoy di poterlo visitare.

“E quindi? Lo manda avanti lei, no? È come se li avessero dati a lei”.

“Se ne occupa lei, ma è un’attività di famiglia. E io contribuisco come posso. Un Auror non guadagna abbastanza per finanziare un allevamento, ma una scrittrice misteriosa sì”.

Poteva avere senso quello che Kingsley stava dicendo? Certo che no. Perché credere che Kingsley davvero fosse Queenie Royal faceva ancora più male.

Eppure.

Eppure quando si scambiavano tutte quelle lettere piene di personaggi inventati, Kingsley si era gettato in quel folle esperimento con una naturalezza che non molti Auror abituati prendere in mano una piuma solo per redigere un verbale avrebbero avuto.

Eppure il personaggio di Queenie esisteva già quando Ebenezer Flintshire dirigeva quello stupido giornalino scolastico, e Zara doveva essere molto giovane all’epoca. Mentre Kingsley aveva ammesso di conoscere bene Flintshire, ai tempi di Hogwarts. 

“Oh, Kingsley, ti prego, dimmi che non è vero”.

“Sarebbe tanto terribile?”

Gilderoy non seppe più trattenere le lacrime. Le lasciò scorrere liberamente sulle guance, senza provare a nasconderle né a recuperare un po’ di padronanza di sé.

“Mi hai mentito per settimane. Mi hai preso in giro, mi hai raggirato, mi hai sfruttato… tutto per cosa? Per spezzarmi il cuore? Per distrarmi dal lavoro? Per distruggere tutto il mio materiale?”
Kingsley scosse la testa, il volto atteggiato in una smorfia di dolore così autentica da lasciare Gilderoy boccheggiante.

“Non ho mai voluto fare niente di tutto questo. So di aver sbagliato a non dirti niente, ma devi provare a capire… il mio lavoro di Auror è mille volte più importante di un passatempo che mi è esploso tra le mani. Non ho mai voluto fare lo scrittore, ma ho sempre scritto, e questa cosa di Queenie… doveva essere solo un gioco. Un gioco che però ha iniziato a pagare le bollette e a permetterci di acquistare un nuovo terreno, ma sono un Auror, devo mantenere una certa reputazione, e all’inizio non sapevo se avrei potuto fidarmi di te”.

Gilderoy si sentì come se la sua testa fosse piena di ovatta. Lento nei ragionamenti, incerto, non riusiva a mettere a fuoco le parole di Kingsley. Kingsley che era Queenie Royal e non glielo aveva mai detto per un motivo apparentemente sensato, ma che lasciava comunque un sapore di sconfitta sulle labbra di Gilderoy.

“E questo non è mai cambiato? Non ti sono mai sembrato degno di fiducia?”
Kingsley non abbassò lo sguardo, quasi a voler esporre tutte le sue debolezze e lasciare che Gilderoy le afferrasse.

“Volevo farlo. Volevo, davvero, ma non sembrava mai il momento giusto… e ora lo ha fatto qualcun altro, e io so di aver perso l’occasione perché non avrò più modo di dimostrartelo”.

“Sei ridicolo. Credi davvero che io possa bermi questa storia? Pensi davvero che io possa credere che sia solo una grande coincidenza che tu fossi proprio al congresso di magi-editoria e che del tutto a caso abbia cercato di attacare bottone con me?”
Gilderoy non aveva smesso di piangere, ma era un pianto continuo e silenzioso.

“Certo che non ci sono andato per caso. E sì, volevo conoscerti, perché mi è sempre piaciuto il tuo aspetto e ho letto tutti i tuoi libri e ti ho sempre ammirato molto, come scrittore… hai una prosa bellissima, e spesso leggendo sembra che quello che scrivi sia la verità, e non solo un romanzo che ricalca il memoir. Ero solo curioso di conoscerti, ma te lo giuro, te lo giuro, non ho mai avuto un secondo fine. Quello che c’è stato tra di noi è stato tutto autentico”.

Gilderoy si irrigidì: lui non scriveva romanzi. Non aveva mai voluto dare l’impressione di scrivere dei romanzi. Come poteva Kingsley sapere qualcosa di tutto questo?
“Per le mutande sporche di tutti i gargoyle, Gilderoy! Possibile che tu sia stato così stupido? Possibile che gli abbia davvero raccontato tutto? Gli hai dato anche i nomi di tutte le persone che abbiamo Obliviato, magari, così non deve neanche far la fatica di indagare un po’ prima di arrestarci?”
Septimus doveva essersi liberato di Rita, e ora era tornato. Sembrava esausto, molto più esausto di quanto Gilderoy non lo avesse mai visto, e li fissava come un genitore avrebbe fissato i figli ritti in mezzo ai cocci di un vaso prezioso. 

“Avete obliviato qualcun altro, oltre alla Skeeter?”
Septimus lanciò a Gilderoy un’occhiata eloquente. Era l’occhiata che significava non è tutto perduto, cancella la memoria a questo bell’imbusto e facciamola finita.

Ma Gilderoy sapeva di non poterlo fare. Non solo perché Kingsley aveva dei riflessi che Gilderoy non sarebbe mai stato in grado di battere, ma perché Gilderoy non poteva rivolgere la bacchetta contro Kingsley. Non poteva farlo, nonostate lo odiasse e volesse solo piangere per le sue bugie e il modo in cui gli aveva nascosto la verità e come lo aveva raggirato.

“I miei libri non sono dei romanzi. Tutto quello che racconto è successo davvero, solo non a me. E le persone a cui è successo non se lo ricordano. Come vedi, non sei il solo a vivere di segreti, King”.

Kingsley sospirò appena, mentre la comprensione gli adombrava il viso.

“Gilderoy… perché non ti sei limitato a scrivere dei romanzi?”
Perché? Perché Septimus non glielo aveva mai permesso.

Perché era stato più facile rubare le imprese a maghi sconosciuti e limitarsi a riscrivere le loro memorie in bella copia. Inventare avrebbe presupposto ricerche, prove, studiosi esperti a cui sottoporre un manoscritto. E nessun personaggio sarebbe mai stato bello e affascinante come Gilderoy.

“Mi dispiace, signor Auror, ma capisce bene che queste informazioni non possono…”
Bang.

Septimus aveva provato a sollevare la bacchetta contro Kingsley, ma Kingsley era stato più rapido, spedendolo al tappeto con un lampo di luce che non aveva neanche avuto bisogno di una parola mormorata fra i denti.

“Gilderoy…”
“Hai intenzione di arrestarmi?”
Gilderoy voleva solo che quell’infinita giornata volgesse al termine.

Kingsley chinò il capo. Sembrava sconfitto, e questo in qualche modo sconcertò Gilderoy più di qualsiasi altra cosa fosse successa quel giorno: vedere qualcuno come Kingsley così abbandonato era sconcertante.

“Vorrei che avessi cancellato anche la mia memoria, Gilderoy. Ma no, non voglio arrestarti. Non posso arrestarti”.

C’era un tale struggimento nella sua voce che Gilderoy avrebbe solo voluto ricominciare a singhiozzare. 

Invece, indicò con un cenno stanco il corpo di Septimus accasciato a terra.
“Forse dovremmo cancellare la sua, di memoria. Credo ti abbia sentito, sa che tu sei… lei…  e non so cosa vorrà fare di questa informazione”.
Kingsley però si strinse nelle spalle.

“Ne faccia quello che vuole. Questa storia è durata fin troppo, e io sono stanco di giocare il gioco di Ebenezer”.

Gilderoy annuì appena. Davvero non sapeva che cosa avrebbe fatto Septimus. Niente, probabilmente, perché quando aveva provato per la prima volta a smascherare Queenie Royal, il suo piano gli aveva quasi fatto perdere la carriera. Septimus non era stupido, non avrebbe rischiato di commettere due volte lo stesso errore. O forse avrebbe sbugiardato Kingsley, ma non potendo dire la verità su di lui e Gilderoy, questo gli avrebbe portato ben pochi vantaggi.

“Me ne vado, Gilderoy”.

Un lungo silenzio, un silenzio in cui entrambi rimasero immobili, occhi negli occhi, la verità di quella fine ad aleggiare tra di loro.

Fu Gilderoy, alla fine, a spezzare il silenzio.

“Non ci rivedremo, vero?”
“Credo sia meglio di no”.
Forse era solo uno sciocco desiderio, ma a Gilderoy sembrò di udire una velata supplica incrinare la voce di Kingsley.

Ma Gilderoy si limitò ad annuire, a chinare il capo e ad affaccendarsi attorno a Septimus, posizionandogli un cuscino del divano sotto la testa.

Non alzò il capo quando Kingsley fece un passo verso di lui, né quando si allontanò e percorse il corridoio che lo separava dal camino collegato alla Metropolvere. 

Non sollevò lo sguardo, ma fu certo che non avrebbe mai dimenticato quanto potesse essere doloroso sentire le fiamme crepitare attorno al corpo di Kingsley che se ne andava da casa sua. 






 

 


 

Note:

Io davvero non so neanche più come scusarmi per il ritmo imbarazzante che stanno avendo gli aggiornamenti di questa storia, ma non credo di essere mai stata così in crisi con la scrittura come nell’ultimo anno, e purtroppo questa storia ne risente moltissimo.

Vorrei fare tante riflessioni in proposito, ma non è il luogo adatto, quindi mi limito a dire che l’ultima parte di questo capitolo è stata cancellata così tante volte che ora ho pubblicato senza neanche rileggere l’ultima stesura, proprio in preda alla disperazione. Perdonate quindi la quantità infinita di refusi che troverete, ma al momento il mood è “se rileggo, cancello tutti e sedici i capitoli”, quindi forse è meglio così. 

L’epilogo in teoria è praticamente pronto, quindi potremmo essere ottimisti e sperare che uscirà a breve, ma sappiamo tutti che ci vorranno comunque dei mesi, no?
Intanto, abbraccio chiunque abbia avuto la pazienza di seguirmi fin qui, sempre che qualcuno ci sia. 

 

   
 
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