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Autore: blackjessamine    07/05/2023    9 recensioni
È una verità universalmente riconosciuta che i maghi non sappiano nulla di leggi economiche. Tuttavia, Gilderoy Allock una cosa la sa: in un mercato stagnante e chiuso come quello dell'editoria magica non c'è posto per due regine.
Per questo Queenie Royal, la misteriosa autrice capace di fare impazzire ogni strega con i suoi libri d'amore, rappresenta una minaccia pericolosissima per chiunque voglia indossare una corona d'inchiostro.
Una minaccia resa ancor più pericolosa dal suo essere invisibile, dal momento che nessuno, nemmeno gli editori più scaltri, sembrano aver mai posato lo sguardo su questa gallina dalle uova lilla.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gilderoy Allock, Kingsley Shacklebolt, Rita Skeeter, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo

 

Kingsley restava aggrappato al suo bicchiere di Acquaviola cercando di muoversi ai margini della folla, di non dare nell’occhio e di mettere a tacere la voce dell’Auror paranoico che dopo tanti anni non riusciva a lasciarlo in pace, suggerendogli continuamente di mappare mentalmente la stanza in cerca di vie di fuga e movimenti sospetti.

Tutti tentativi fallimentari, ovviamente: un mandato da Ministro in tempo di pace concluso da ormai un anno non era neanche lontanamente bastato a cancellare quell’istinto che lo spingeva ad avere sempre la bacchetta a portata di mano e i sensi all’erta ogni volta che si trovava in compagnia di più di tre sconosciuti. E passare inosservati in mezzo a quella pletora di personaggi più o meno famosi e più o meno attratti dalla fama era ancor più difficile: da che aveva messo piede nella sala del Congresso era stato vittima di un numero imprecisato di assalti da parte di colleghi, ex colleghi, esimi sconosciuti che millantavano pregresse conoscenze, ammiratori e detrattori, tutti decisi a prendersi un pezzettino del poco tempo dell’ex Ministro Shacklebolt. E Kingsley, che l’arte della politica se l’era forzata addosso come una giacca di tre misure più strette a cui non aveva saputo sottrarsi, ma non l’aveva mai sentita propriamente sua, aveva fatto il possibile per stringere i denti, sorridere, assecondare chiacchiere insulse e dare risposte più o meno plausibili per giustificare la propria presenza a un Congresso di Magica Editoria.

Perché, a voler essere onesti, il rapporto di Kingsley Shacklebolt con l’editoria magica si era fatto talmente labile nel corso degli anni che la sua presenza in quel luogo sembrava del tutto superflua. Non che qualcuno avesse mai sospettato che potesse esserci un qualsiasi rapporto fra l’Auror che aveva guidato il Paese durante il difficilissimo periodo della ricostruzione e il mondo dell’editoria: i pochi che avevano avuto l’occasione di vederlo con il naso immerso  nella lettura di qualcosa di diverso da un voluminoso rapporto redatto dal direttore di un dipartimento qualsiasi forse si erano stupiti scoprendo la sua sorprendente passione per la letteratura d’intrattenimento babbana, ma del resto non era più un segreto che Kingsley si fosse specializzato in missioni sotto copertura nel mondo babbano, né era un segreto il fatto che i babbani si fossero salvati da un Primo Ministro posseduto da Colui-Che-Ora-Può-Essere-Nominato soltanto grazie a lui. E chiunque avesse un briciolo di cervello avrebbe potuto capire che leggere romanzi era il modo più facile per raggiungere una discreta conoscenza di una determinata cultura.

Quanto all’editoria magica, la sua estraneità al congresso era tanto più profonda quanto più nessuno, in quella sala, avrebbe mai potuto immaginare che fosse esistito un tempo in cui lui e quel mondo si erano appartenuti. 

 

“Minis… Mr. Shacklebolt, non mi aspettavo di trovarla qui!”
Una strega ammantata di un abito dai pesanti panneggi di un bel velluto color prato, che doveva aver superato da un pezzo i sessant’anni ma faceva di tutto per nasconderlo con un trucco sapiente e un’acconciatura talmente intricata da distogliere l’attenzione di chiunque dal suo viso gli strinse la mano.

Kingsley non aveva idea di chi potesse essere quella donna – e dire che aveva un’ottima memoria ed era molto bravo a incidersi nella testa i volti delle persone – ma si armò comunque di un sorriso cordiale e di quelle chiacchiere inutili che aveva dovuto imparare a padroneggiare durante i difficili anni che lo avevano visto al timone della società magica inglese.

“Oh, lo so, nessuno si aspetta di trovarmi qui, ma ora che sono tornato a occuparmi solo del Dipartimento Auror sembra che io abbia parecchio tempo libero, e i libri sono sempre un’ottimo modo di occupare questo tempo”.

La donna si aprì in un sorriso ancora più ampio, lasciandosi andare a un lungo discorso sugli autori contemporanei e sulla loro capacità di filtrare il mondo moderno attraverso stilemi classici che Kingsley, in tutta onestà, non seguì fino in fondo.

Aveva anche pensato di presentarsi a quella serata con la divisa da Auror, fingendosi in servizio, ma era giunto alla conclusione che in quel modo avrebbe attirato l’attenzione molto più di quanto avrebbe voluto. 

Non era più il giovane Auror che aveva potuto richiedere di far parte del servizio d’ordine a uno di quei congressi, anni prima, solo per poter osservare da vicino i commenti ai libri che aveva scritto nascosto da uno pseudonimo nato per gioco. Era passato così tanto tempo da quando era solo un ragazzo con una mente che spesso correva più velocemente della propria vita, e che quando tornava a casa da un lungo turno di lavoro si sedeva sul divano del soggiorno con un taccuino posato in grembo e scriveva di getto trame sciocche. Raramente in quegli anni aveva ripensato a Queenie Royal e al modo in cui un gioco, un passatempo innocuo, qualcosa che non avrebbe dovuto mai lasciare i confini sicuri degli occhi di pochi amici fidati era esploso fra le sue mani, rischiando di trasformarsi in un personaggio in grado di fagocitare tutto quello che lo circondava. Era cominciato tutto a scuola, quando lui era solo un ragazzino che si divertiva a scribacchiare sciocchezze senza neanche pensare che quelle sciocchezze a qualcuno potessero interessare. E quando una persona a cui teneva come ci si può tenere solo a quindici anni lo aveva implorato di mettere le sue sciocchezze a disposizione di un giornalino scolastico che ogni mese rischiava di fallire, aveva accettato. Non perché ci tenesse a far leggere i suoi racconti a qualcuno, ma solo perché ci teneva a far felice Ebenezer. Poi la scuola era finita, il giornalino scolastico di Ebenezer si era trasformata in una casa editrice e Kingsley si era ritrovato quasi a sua insaputa a pubblicare un romanzo: era poco più che un racconto, la storia con cui lui aveva voluto chiudere la relazione con Ebenezer, una cosa melensa e di cui ora si vergognava anche un po’, ma che a diciotto anni aveva contenuto tutti i sentimenti di un cuore che si spezzava per la prima volta. Ebenezer gli aveva chiesto di poterlo pubblicare, e insieme avevano fantasticato di come quel romanzo avrebbe potuto contribuire a salvare l’allevamento della famiglia di Kingsley nonché a dare un tetto sopra la testa a quei nipoti nati da una storia fin troppo travagliata. Kingsley non credeva che avrebbe funzionato, ma ci aveva provato, perché per pagarsi l’Accademia Auror aveva dato fondo a tutti i suoi risparmi e non aveva modo di aiutare sua sorella Zara, e sorprendentemente aveva funzionato. Aveva funzionato così bene che il nome di Queenie Royal aveva presto cominciato a essere sulla bocca di tutti, facendolo sentire sempre peggio, tormentato com’era dalla consapevolezza che non avrebbe mai voluto continuare per sempre ad avere una vita divisa a metà.

Ma, e questo Kingsley ormai lo aveva imparato bene, tutto prima o poi finisce. Le guerre non durano per sempre, la pace non dura per sempre, la serenità e il dolore sanno sempre accavallarsi in modi ogni volta più sorprendenti. E anche gli pseudonimi letterari prima o poi vengono chiusi in un cassetto, soprattutto quando il cuore si spezza per davvero e il bisogno di scegliere veramente quale vita si desidera percorrere diventa troppo forte.

E i cassetti, qualche volta, tornano ad aprirsi, ma non è mai la stessa cosa.

 

“Oh, io ero una grande fan di Queenie Royal, sa? Mi è dispiaciuto così tanto quando ha smesso di scrivere… ma poi è arrivata la guerra, e in guerra a certe cose uno non ci pensa, no?”
Kinglsey annuì distrattamente alla donna vestita di verde. Era proprio vero: in guerra a certe cose non ci si pensa. In guerra non c’è tempo per un cuore spezzato, non c’è tempo per le menzogne, non c’è tempo per farsi domande sul proprio comportamento e su quello altrui. E, naturalmente, in guerra un Auror che fa parte di un’organizzazione segreta e che al contempo è inviato sottocopertura dal governo corrotto che sta spiando a proteggere il Primo Ministro babbano non ha tempo per scrivere romanzi, né per sentire la mancanza della scrittura.

“Non ha idea di quanto sia stata felice quando ho saputo che Queenie sarebbe tornata… e questo nuovo romanzo è decisamente più maturo dei precedenti, non crede? C’è sempre quel tocco di romanticismo un po’ fanciullesco, ma la prosa ha decisamente qualcosa in più… sorprendente, considerato quello che ha passato Queenie negli ultimi anni”.

Kingsley annuì, concedendosi un sorriso per una volta sincero e interessato.

Non c’era dubbio che il nuovo romanzo di Queenie Royal fosse ben più di una spanna sopra i precedenti: lo poteva ammettere senza alcun rammarico, ma Kingsley era ben consapevole che il suo talento letterario era sempre stato piuttosto scarso. Non era un bravo scrittore, lo sapeva e non se ne crucciava: scrivere per lui era sempre stato un bellissimo passatempo, ma niente di più. Il successo dei romanzi della sua giovinezza era dovuto principalmente a un insieme di congiunture favorevoli: i suoi romanzi erano stati pubblicati al momento giusto, riempiendo un buco di mercato e andando incontro a una domanda latente. Per di più, il mistero della scrittrice senza volto aveva non poco contribuito a creare un chiacchiericcio che i suoi libri da soli non sarebbero mai stati in grado di alimentare. Senza contare, naturalmente, il talento straordinario di Ebenezer per le trovate pubblicitarie più originali, che erano riuscite a rendere i suoi romanzi qualcosa di mai visto prima nell’ambiente. Ma illudersi di essere un bravo scrittore, no, quello Kingsley non lo aveva mai fatto.

“Oh, ma eccola… voglio dire, eccolo”.

La donna indicò con un eccitato cenno della mano il palcoscenico su cui, dopo un lungo applauso da parte dei presenti, le luci si erano abbassate, preparando la scena per la comparsa di Queenie Royal.

O meglio, la persona che aveva scritto il nuovo romanzo di Queenie Royal e che, per dare slancio al nome dopo tanti anni di silenzio editoriale, aveva scelto di rivelarsi al pubblico con la sua vera identità. 

O con l’identità che era stata scelta, col benestare di tutti i coinvolti, per interpretare il personaggio.


Kingsley bevve in un fiato tutta la sua Acquaviola, sorridendo tra sé pensando a quando Queenie lo aveva implorato di bere solo Acquaviola, così che anche i suoi drink sarebbero stati perfettamente in armonia con i colori della serata.

Posò il bicchiere sul tavolo, senza curarsi di averlo piazzato in mezzo a un vassoio di tartine, e rivolse tutta la sua attenzione al palcoscenico, deciso a non perdere neanche un istante dello spettacolo che stava per cominciare.

Non aveva ascoltato il discorso degli editori presenti sul palco, ma conosceva a memoria quello che sarebbe stato pronunciato entro pochi minuti, ma nonostante questo voleva seguirlo con l’attenzione di uno studente modello. 

Dal fondo del palco, con andatura elegante  e portamento impeccabile, emerse una figura che strappò subito un lungo applauso dal pubblico. Kingsley si unì all’applauso, osservando ammirato l’uomo avvolto da un impeccabile completo di gabardine lilla – non lilla e basta, ma il perfetto equilibrio di rosso e blu stemperato nel bianco, come l’uomo aveva tenuto a sottolineare – che avanzò fino a fermarsi nel punto perfetto del palco in cui la luce dei riflettori poteva cadere a illuminare i suoi grandi occhi blu. I suoi capelli, color dell’oro in cui avevano appena cominciato a spuntare sporadici fili di un argento purissimo, come Kingsley aveva ben potuto osservare, gli incorniciavano il viso in ricci apparentemente casuali, ma che Kingsley sapeva essere stati studiati nel minimo dettaglio e ottenuti tramite ore e ore di complicati calcoli ingegneristici fatti di bigodini e colpi di calore emessi dalla bacchetta puntata ad un’angolatura ben precisa.

Gilderoy Allock, alla sua prima apparizione pubblica dopo gli anni trascorsi ricoverato al San Mungo, era a dir poco perfetto. Bello, elegante, ancora capace del sorriso affascinante che lo aveva reso famoso, ma con gli occhi talvolta in grado di allargarsi su un abisso di confusione tale da renderlo umano e sì, anche degno di compassione.

Una compassione che per anni Kingsley gli aveva negato, covando in cuor suo un risentimento che non aveva mai sfogato da nessuna parte.

Lui e Gilderoy, per anni, non si erano mai più parlati: Kingsley si era sempre chiesto perché Gilderoy e Thesaurus non avessero mai cercato di svelare il ruolo che aveva avuto per il personaggio di Queenie Royal, né si era spiegato perché lui stesso non avesse fatto niente per intervenire e far valere la legge nei confronti di un uomo che si era appropriato della memoria altrui per fare successo. Era qualcosa che andava contro ogni suo principio, ma la verità era che non aveva mai avuto il coraggio di tornare ad avvicinarsi a Gilderoy. Non lo voleva rovinare, perché in fondo i mesi che avevano trascorso insieme gli avevano mostrato sprazzi dell’uomo che avrebbe potuto essere, se solo non avesse anteposto sé stesso a tutti gli altri, e per quanto Kingsley fosse fermamente convinto che il comportamento di Gilderoy fosse deprecabile e spregevole, non era comunque riuscito a fare nulla a riguardo.
E poi aveva saputo dell’incidente di Gilderoy, aveva letto sui giornali della sua memoria andata in fumo e del suo essersi ridotto a uno spettro di sé stesso, incapace di ricordare anche il proprio nome, ma anche in questo caso non aveva trovato il coraggio di fare niente. 

Poi era arrivata la guerra, e si era portata via tutto, costringendolo a lottare con le unghie per strappare brandelli di luce a tempi che avevano minacciato di portargli via anche la speranza, e a Gilderoy, così come a Queenie e ai romanzi, non aveva pensato proprio  più.

Fino a quando non si era ritrovato Ministro, ed era stato obbligato a visite istituzionali al San Mungo, e si era trovato di nuovo davanti agli occhi quell’uomo dagli occhi così blu da sembrare finti. Un uomo che non ricordava neanche più di essere stato meschino, che non ricordava di aver ingannato delle persone, non ricordava nulla.

E ancora Kingsley non aveva fatto niente, salvo informarsi saltuariamente, con vari sotterfugi, sul suo stato di salute. Aveva raccolto informazioni, aveva saputo che il primario Nissen aveva dato una svolta sperimentale al trattamento di molti pazienti ricoverati al Janus Thickey, e Gilderoy era stato tra coloro che avevano risposto meglio alle nuove terapie. Non che avesse recuperato la memoria, quel danno era stato troppo esteso e troppo a lungo curato in maniera pigra, ma il Guaritore Nissen aveva scelto di concentrarsi sul presente, lavorando sulle capacità ancora intatte di Gilderoy, aiutandolo a riconquistare un'autonomia che fino a quel momento gli era stata negata, incitandolo a costruirsi una vita che forse non sarebbe mai stata quella che avrebbe avuto se non avesse mai perso la memoria, ma una vita comunque degna di essere vissuta. 

Proprio in quel periodo, quando a Gilderoy era stato permesso di vivere una vita autonoma, almeno di giorno, Kingsley aveva ritenuto concluso il suo lavoro da Ministro ad interim. E non si era mai sentito così tanto stanco.

Aveva combattuto una guerra, aveva dovuto seppellire troppi amici, aveva stretto i denti ed era andato avanti, aveva indossato quella strettissima e soffocante giacca che era la sua carica politica, aveva imparato a ingoiare compromessi per rimettere a fatica in piedi un Paese che forse avrebbe portato sempre addosso le cicatrici delle ultime due guerre, aveva fatto tutto ciò che era in suo dovere e in suo potere per provare davvero a rendere il mondo un posto migliore. Aveva dato così tanto che ora non gli bastavano più le energie per restare aggrappato ai principi morali che lo volevano distanti da un uomo che aveva basato la propria carriera sull’inganno.

 

Il fragore degli applausi con cui si concluse il breve discorso di Gilderoy commosse Kingsley.

E ancor più lo commosse vedere il suo sorriso farsi ampio davanti a quegli applausi per poi vacillare, mentre gli occhi si spalancavano sul dubbio che ancora lo coglieva quando la situazione si rivelava imprevista e fuori dagli schemi a cui era abituato. Le condizioni di Gilderoy erano migliorate moltissimo, ormai conduceva una vita del tutto autonoma – tornava in ospedale solo un pomeriggio a settimana per una seduta di terapia che somigliava in tutto e per tutto a una seduta di terapia cognitivo-comportamentale babbana – ma qualche volta il fuoco della sua memoria si annebbiava, e lui si perdeva in azioni semplici.

L’infermiera che in quell’occasione così importante si era appostata fra le pieghe del velluto delle quinte del palcoscenico aveva già fatto qualche timido passo preoccupato verso Gilderoy, ma lo sguardo smarrito di Gilderoy si arrestò sul viso di Kingsley. Kingsley gli sorrise, un sorriso del tutto inappropriato per un Auror ed ex-Ministro che si trovasse a un Congresso di Magica Editoria solo per intessere utili relazioni con personaggi importanti del panorama culturale e politico del Paese, ma aveva smesso di importargli da troppo tempo. 

Gilderoy rispose a quello sguardo con un sorriso altrettanto ampio – un sorriso un po’ ingenuo, quasi da bambino – e concluse il suo discorso con un elegantissimo inchino, per poi raggiungere l’infermiera che si era arrestata terrorizzata in mezzo al palco e presentarla galantemente come un prezioso membro dell’equipe che si era occupata del suo ritorno alla vita.

Questo scatenò un’altra ondata di applausi e di commosso compatimento: a quanto pareva, il pubblico aveva dimenticato le sue malefatte, e dopo una guerra si era accontentato della triste storia di un uomo che per anni aveva vissuto in un ospedale, privo di memoria. Forse anche i maghi e le streghe inglesi, come Kingsley, erano ormai troppo stanchi per certi principi morali, e volevano solo poter provare compassione per un uomo che forse non aveva sofferto quanto aveva fatto soffrire, ma era bello e affascinante e soprattutto talentuoso, perché il suo ultimo romanzo, La voce dell’allodola, era davvero un piccolo capolavoro, nel suo genere. Ed era, soprattutto, farina del sacco di Gilderoy dalla prima bozza all’ultima riga dei ringraziamenti.

 

***

 

“Dovremmo rientrare. È tardi, tu sei stanco e hai bisogno di dormire”.

Kingsley e Gilderoy sedevano sul piccolo divanetto di un delizioso locale di Mayfair, intenti a sorseggiare le ultime gocce di un delizioso tè e a mangiare una treacle tart che una volta avrebbe terrorizzato Gilderoy, con tutto il suo zucchero e le sue calorie, ma che ora sembrava non essere più un problema. 

Il Congresso era stato un successo, ma era finito tardissimo. E dopo il Congresso, si erano costretti a festeggiare con lo staff della casa editrice Edgecombe, e solo dopo si erano concessi un momento da soli. Kingsley sapeva che Gilderoy aveva bisogno di una routine stabile, e anche se il suo Guaritore aveva dato il suo benestare per quella serata, era ansioso di riportare Gilderoy a casa e farlo tornare alle abitudini che lo confortavano.

“Lo so. Ma non ricordavo nemmeno che si potesse essere tanto felici, e vorrei che questa notte non finisse mai”.

Kingsley annuì.

Del resto, si fidava del Primario Nissen, e non vedeva perché non continuare a fidarsi di lui e regalare a Gilderoy ancora un po’ di felicità.

E poi, il loro restare seduti al tavolino di un grazioso locale non era poi così distante dalla loro routine. Certo, solitamente lo facevano di pomeriggio, non a notte fonda, ma era così che si erano riavvicinati. Con lunghe chiacchierate nella sala da tè di fronte al San Mungo, e con il taccuino che un giorno Kingsley aveva posato tra di loro. La scrittura era ciò che li aveva fatti incontrare, e la scrittura, aveva pensato, avrebbe potuto essere anche ciò che li avrebbe fatti riavvicinare. Era cominciato come un gioco: scrivere brevi racconti a quattro mani, una frase per uno. I racconti che ne erano nati erano innegabilmente brutti e vagamente demenziali, ma avevano riacceso in Gilderoy una luce e un interesse per la scrittura che il Primario Nissen aveva incoraggiato. E così, presto Gilderoy aveva cominciato a scrivere da solo brevi racconti che poi sottoponeva alla lettura attenta di Kingsley. Loro parlavano di trame, di personaggi e colpi di scena, e il loro legame si rinsaldava. I racconti si facevano sempre più lunghi, e più lunghe diventavano le loro conversazioni personali, fino a quando era stato chiaro che la loro relazione era pronta a rinascere, e che i racconti di Gilderoy si stavano trasformando in un romanzo pieno di potenziale.

Era stato Kingsley a suggerire che Gilderoy indossasse la corona di Queenie Royal, e la nuova editrice di Gilderoy era stata entusiasta della cosa: tutto sarebbe stato fatto sotto la luce del sole, per giustificare il cambio di direzione della scrittura di Gilderoy, che dalla finta cronaca avventurosa si era trasformata in un romanzo pieno di sentimenti. Sembrava un buon modo di chiudere un cerchio, tantopiù che avevano scelto di pubblicare il romanzo sotto pseudonimo, ma di dichiarare dal primo momento che quello pseudonimo apparteneva a Gilderoy. 

Ed era stato un enorme successo, sotto ogni punto di vista.

 

Gilderoy stava ripercorrendo per l’ennesima volta i momenti salienti della serata, e lo stava facendo con la mano posata apertamente sopra a quella di Kingsley, disegnando distrattamente vaghi cerchi con il pollice sulla pelle del suo palmo.

“E ti ho detto quanto stai bene con questo mantello prugna intenso? Sei incantevole. Se non fossi già innamorato di te, mi innamorerei in questo istante”.

Kingsley sorrise. Gilderoy sapeva essere bravissimo nell’esagerare con l’esternazione dei suoi sentimenti, ma Kingsley non poteva dire che la cosa gli dispiacesse. 

“Me lo hai detto, sì. E mi hai anche fatto comprare altri due completi di questo colore, te lo ricordi?”
“La mia memoria sui vestiti è ancora perfetta, grazie tante”.

Gilderoy posò il capo sulla sua spalla, e in quel momento, con la coda dell’occhio, Kingsley scorse un lampo color limone acerbo in fondo alla sala.

“Gilderoy, come reagiresti se ti dicessi che credo che Rita Skeeter ci stia seguendo?”
“La nostra giornalista?”
Nostra era un termine forse affrettato, ma Kingsley capiva a che cosa si riferisse Gilderoy. Quando si era trattato di rendere noto il nuovo romanzo di Queenie/Gilderoy,  Kingsley aveva scelto Rita Skeeter come giornalista a cui rilasciare la prima intervista. Perché, in fondo, nonostante la disprezzasse profondamente, non poteva fare a meno di sentirsi un po’ in colpa per il modo in cui l’avevano trattata, anni prima. 

Questa breve collaborazione non era certo servita però ad accaparrarsi la fiducia o la riconoscenza della donna, che continuava ad essere a caccia di scoop.

“Lei, sì. Credo ci abbia fotografati proprio in questo momento”.

Gilderoy si raddrizzò, si sistemò i capelli già perfetti, e sorrise. Il sorriso che aveva indossato una volta, quello che sfoggiava quando aveva un piano e tutta l’intenzione di approfittare di tale piano per portare acqua al proprio mulino.

“Sai che prima una strega si è sbottonata il corpetto per chiedermi di firmarle un autografo proprio lì? Le ho visto praticamente tutto… bleah”, rabbrividì Gilderoy.

“Una mossa un po’ invadente, direi”.

“Decisamente. Forse è arrivato il momento di far capire a chiunque che con me nessuno ha speranze, perché ho già l’uomo più bello, intelligente, affascinante e influente di tutta l’Inghilterra al mio fianco… il più bello dopo di me, intendo”.

Kingsley si limitò a sorridere. E a obbedire, docile, quando Gilderoy gli suggerì di alzarsi e di spostarsi in modo che la luce delle piccole lampade del locale li illuminasse nel modo più lusinghiero, perché quando finiremo in prima pagina, vorrei che fossimo al meglio delle nostre già elevate possibilità.

E si lasciò baciare, stringendo a sé quell’uomo che mai avrebbe pensato di volere al suo fianco, e a cui invece non sapeva rinunciare. Si lasciò baciare e baciò con trasporto, consapevole del flash che Rita Skeeter, abbandonato ogni tentativo di nascondersi, puntò contro di loro. Quando si separarono, Rita e il suo abito giallo limone acerbo erano ancora ritti davanti a loro, lo sguardo famelico e la Penna Prendiappunti fremente sopra la sua testa. 

“Rita, cara, posso darti un consiglio? Da collega a collega, il titolo perfetto per questo articolo credo che sia: Lieto fine per Queenie Royal: la Regina ha trovato il suo Re”.





 

 


 

Note:

Come sempre, arrivare a scrivere le note conclusive di una long è qualcosa che mi mette molto in difficoltà, perché da un lato vorrei dire moltissime cose, dall’altro credo invece che dopo diciassette capitolo la storia dovrebbe parlare da sé. In questo caso, poi, sono ancor più in difficoltà perché questa storia è stata la più tormentata di tutta la mia carriera di fanwriter. Non per la storia in sé, ma perché è un periodo in cui sono molto in difficoltà con la mia scrittura, e insomma, c’è stato un momento (più di uno, a dire il vero) in cui ho seriamente pensato che questa storia non avrebbe mai visto la fine. E invece ce l’abbiamo fatta, nonostante vorrei cancellare tre quarti della storia e abbia la costante sensazione che questa storia sia lo spreco di un’idea di base carina.

In ogni caso, ringrazio davvero di cuore chiunque abbia seguito questa storia, perché la sua genesi è stata così travagliata e le pause tra un capitolo e l’altro così lunghe che mi sembra un miracolo che qualcuno sia davvero arrivato fino a qui.

Arriverò prestissimo a recuperare le risposte alle recensioni dell’ultimo capitolo, ma ho preferito questa volta concentrarmi prima sulla storia per non perdere lo slancio positivo e non rimandare per altri mesi la pubblicazione di questo epilogo.

Un abbraccio grande a tutti!

 
   
 
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