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Autore: Saekki    11/05/2023    2 recensioni
"...Qualcosa di antico aveva deciso di muoversi, strisciare tra le ombre per reclamare il compiersi di un'antica vendetta. I tempi erano maturi, i venti di tempesta soffiavano forti, il grande disegno si sarebbe compiuto." Calatevi insieme ad Ilyria, la protagonista di questa storia, nel selvaggio mondo di Ophiria. Tra misteri ed antichi rancori, un passato da svelare ed un mondo che scivola sempre più verso il nero abisso, riuscirà la ragazza dai capelli corvini a trovare la propria strada?
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Cap.10- Cavaliere di Grande verde

 

 

Fulmini e saette all’orizzonte squarciavano con il loro innaturale colore rosso scarlatto un cielo livido e nero, nubi di tempesta soffiavano sulle lande del continente a Sud, spingendosi sempre più oltre il confine della foresta che circondava la Grande Montagna, il suono dei tuoni che fendeva l’aria recava con se un’antica maledizione, un ruggito di vendetta che prepotentemente rimbombava nell’antro della bestia che, con iridi altrettanto scarlatte, osservava quel tumulto in rapido avvicinamento. L’enorme testa della creatura posta come un monolite sul mastodontico collo serpentino, incorniciata da scaglie dorate che ai bagliori di quella tempesta arcana assumevano sinistre sfumature color sangue, si sporse in avanti, portandosi fuori da quella cornice in pietra color ebano ed antichi glifi, le fauci immense spalancate a mostrare le zanne candide, lunghe come due uomini adulti ed affilate come schegge di ossidiana mentre una lunga lingua biforcuta schioccava con forza saggiando l’aria. Un rombo sordo e basso precedette quella che era una dichiarazione di guerra, un ruggito tanto potente da scuotere la terra stessa, da far tremare quelle colonne di pietra, schiantare gli alberi circostanti come fossero fili d’erba che si piegano alla forza dirompente di un uragano, un suono talmente potente che Ophiria stessa riverberò, come se tutto il mondo stesse tremando, un brivido di terrore talmente primordiale che perfino le montagne più antiche avevano dimenticato. 

Il richiamo all’ultima, grande battuta di caccia che il mondo avesse mai visto, un invito per un ultima furiosa battaglia rimandata da troppi millenni, una provocazione per l’ultimo dei propri nemici.

Le narici della bestia sbuffarono fumo nero mentre le fauci ancora semi dischiuse esalavano una nube rossastra che rapida si disperse nell’aria, un sospiro quasi avrebbe potuto dire un osservatore esterno, se una creatura di tali proporzioni era capace di sospirare. 

Gli occhi scarlatti del grande drago si voltarono ad osservare la piccola umana che era rimasta all’ombra delle colonne del tempio, nascosta dietro una di queste. 

L’immensa testa della creatura discese in sua direzione, osservando quelle piccole iridi violette che lo osservavano non con paura, non con rispetto, ma semplice e pura preoccupazione. Una mano venne mossa in sua direzione, la pelle soffice e candida della bambina in netto contrasto con le scaglie ruvide. 

Sapeva perfettamente perché aveva fatto tutto quello che aveva compiuto. Forse anche lui alla fine si era piegato alla mera avarizia umana, ad un senso di egoismo che lo aveva portato a tenere con sé quella bambina legata fin dal principio ad un destino infausto, tutto per un paio di occhi.  

Ma una tale creatura nata senza un cuore non poteva essere frutto del caso, che Ashun gli avesse mandato un segno, un ultimo barlume di speranza, un’ultima scintilla da far risplendere nelle tenebre che tutto divorano, il lascito di un dio morente al suo figlio primogenito. 

Per anni aveva cercato una risposta contemplando l’analemma solare, per sei anni aveva ricercato un senso a tutto quello che era successo ma nulla, neppure un indizio era stato rivelato. Forse la sua parte nel grande disegno era giunta al proprio compimento e non gli era dato sapere. Ma lei… lei doveva trovare una risposta. 

Il tempo non era dalla loro parte, Lui si era mosso prima del previsto senza lasciargli il tempo di addestrala od istruirla a dovere, senza lasciargli il tempo di conoscerla e neppure il tempo di ricordare. 

Il Sole Invincibile si era piegato al rammarico di un passato creduto oramai sepolto, una storia di dolore e rabbia che affondava le sue radici nella creazione del mondo stesso. 

Riportando la testa verso l’alto e stagliandosi contro il cielo plumbeo.

Raizandum ruggì ancora.

Un grido non di guerra ma di dolore, di rabbia, di tristezza, una maledizione talmente potente affinché, nella sua prigione millenaria, suo fratello potesse udirlo. 

Il Re avrebbe avuto giustizia, avrebbe posto fine alla scelleratezza di quella guerra millenaria, avrebbe portato a termine quello che non era stato in grado di concludere eoni prima. 

A lei l’aveva promesso. Il sole sarebbe sorto di nuovo, più splendente che mai, per squarciare la tempesta.

 

 

Svegliandosi di soprassalto Ilyria si ritrovò a boccheggiare per un soffio di aria, sentiva il polmoni bruciare, il petto scoppiare, il sudore colare dalle tempie ed appiccicare i capelli corvini sulla fronte madida. Erano passate svariate notti dall’ultimo incubo ma, dopo quel breve periodo di tregua, eccoli che erano tornati, ancora più vividi di prima. 

Davanti a lei le braci morenti del falò che aveva acceso qualche ora prima, ora ridotto solamente a pochi tizzoni ardenti risplendenti di tiepidi bagliori rossi che sembravano pulsare in maniera ritmica e costante. Un fastidio su tutti fu quello che l’aveva destata, infilando una mano nel colletto del vestito ne trasse il ciondolo che Sylvia le aveva regalato settimane prima, il metallo con il quale quella foglia era stata modellata scottava, emettendo un tenue bagliore che le rischiarava i tratti dolci del volto e quegli occhi dal taglio allungato che, nel buio della notte, sembravano risplendere di luce propria. Ancora scossa rimise il ciondolo al proprio posto, voltandosi lentamente verso l’albero poco distante, posando lo sguardo sulla figura del satiro che… non era più lì. 

Al suo posto le corde che aveva usato per tenerlo legato recise di netto e lasciate sul terreno. Presa dal panico si apprestò ad avvicinarsi, prendendo in mano incredula quei monconi di canapa, una scheggia, forse di corno, lasciata a terra. Probabilmente il mezz’umano aveva usato le proprie per recidere quelle funi e darsi alla fuga. 

“Merda.”

Imprecò a denti stretti la ragazza. Il secondo pensiero fu per la spada, si voltò nuovamente, accorrendo al proprio giaciglio improvvisato, anche questa era sparita, svanita nel nulla proprio come il ragazzo della foresta che si era identificato come Lesnoy. Solo la borraccia era rimasta dov’era. 

Scivolando sulle proprie ginocchia e stringendo quella fiasca in pelle al petto la giovane si lasciò abbandonare all’amarezza. Era sola, nel buio di una foresta sconosciuta rischiarata solo dai raggi di una luna piena che sembrava farsi beffe delle proprie sofferenze, insensibile alle sciagure degli uomini. Non aveva neppure la parvenza di protezione che recuperare quell’arma le aveva dato. 

Ma il fato non sembrava darle tregua, come una fiamma che attira le falene che cieche brancolano nella notte lei sembrava essere il fulcro di una spirale di eventi infausti senza fine. 

Lo scricchiolare di rami la colse nuovamente impreparata mentre il suono ovattato di qualcosa o qualcuno che si muoveva nella propria direzione la fece scattare in piedi, stringendo quell’unico avere tra le mani prese a correre, in preda al panico correva attraverso gli alti alberi che sembravano scorrere tutti uguali, gli stivali che rumorosamente calpestavano il terreno risuonando con forza nel silenzio interrotto solamente dal richiamo di uccelli notturni che interrompevano i loro vocalizzi al passaggio concitato della ragazza.

Il fiato corto mentre il petto si alzava e si abbassava rapidamente, una miriade di pensieri che si avvicendavano mentre durante la corsa rocambolesca i rami ed arbusti le ferivano il volto, le braccia e le gambe, lasciando subdoli taglietti che si tingevano di rosso scarlatto .

Come aveva fatto a finire in quella situazione, perché dopo tutto quello che era successo adesso si ritrovava nuovamente a rischiare la vita, quanto era stata stupida a pensare di poter sopravvivere lì, in quella natura selvaggia e popolata di orrori ai quali a malapena i cacciatori più addestrati riuscivano a scampare.

Lacrime iniziarono a solcarle il volto, lasciando lunghe scie umide prima di essere soffiate via dal vento che le soffiava contro. 

In quel tumulto di emozioni un piede venne messo in fallo, impigliandosi in una radice che emergeva dal terreno umido e soffice, l’equilibrio oramai perso mentre rovinosamente la ragazza capitombolava, rotolando giù per una ripida scarpata. 

Un gemito sfuggì dalle labbra di Ilyria quando provò a riprendersi dopo che quella rovinosa caduta si fu arrestata, quando il rumore di membra che sbattono contro il terreno e di ramoscelli spezzati si fu acquietato. Solo il verso di un gufo solitario sembrava farsi scherno della sofferenza della giovane che, sentendo ogni singola parte del corpo dolerle, tentava di rimettersi in piedi. La veste sgualcita e strappata, il prezioso mantello che le aveva salvato la vita donatole da Sylvia squarciato in più punti, il volto graffiato e sporco di fango così come le mani, la cui pelle candida era stata rovinata dal vano tentativo di arrestare la propria caduta. 

Scivolata oramai nello sconforto sollevò lo sguardo violetto verso quella volta di fronde che solo parzialmente lasciava filtrare la luce candida di una luna lontana, un singolo raggio pallido che rischiarava il viso della giovane. Una nuvola tuttavia oscurò quel flebile bagliore, interrompendo anche quel timido barlume di speranza, sostituito da un rombo possente, come di zoccoli che cavalcano attraverso la foresta sradicando qualsiasi cosa fosse sul loro passaggio, schiantando radici, falciando cespugli con forza indicibile. Poteva sentire la terra stessa riverberare e tremare sotto di sé al ritmo di quella corsa scellerata di qualcosa che si stava avvicinando sempre di più. Al culmine di quella tempestosa cacofonia venne il silenzio, solo un sommesso suono di zoccoli che avanzano a sostituire quella che prima sembrava una mandria impazzita. Dal buio della foresta d’innanzi ad Ilyria emersero un paio di iridi gialle, rifulgenti come gemme d’ambra incastonate in un volto equino le cui narici si aprivano e si chiudevano con forza, esalando nuvole di fumo nero, maestose e lunghe corna ritorte adornavano il capo della bestia che con le sue sei zampe calcava il terreno, smuovendolo ad ogni passo, lasciando profonde impronte nel soffice sottobosco. Ma nonostante il volto di quella bestia potesse somigliare solo vagamente a quello di un cavallo per la forma, le zanne bianche ed acuminate che scintillavano nel buio della notte raccontavano un altro tipo di storia, il manto lungo e lanuginoso che ne ricopriva il collo possente e muscoloso così come il corpo sinuoso e la lunga coda sembravano totalmente fuori posto, sei zampe calcavano il terreno mentre l’animale si avvicinava in tutta la sua terribile maestosità. 

A carponi Ilyria trattenne il fiato, la vista parzialmente oscurata da quelle ciocche nere che le ricadevano davanti al volto e che con fare frettoloso riportò dietro le orecchie prima che il proprio cuore avesse un sussulto. Non per la bestia in sé, ma per chi, o cosa, la stava cavalcando. 

La figura del cavaliere era decisamente più massiccia di quella di un comune umano, tanto da sembrare quasi proporzionata in groppa alla bestia da incubo che governava senza bisogno di redini. Un volto che pareva allungato, dalle fattezze quasi rettiloidi, simile a quello di un coccodrillo, la cui parte superiore era coperta da una maschera in metallo intarsiato, incorniciando un paio di occhi del profondo verde, risplendenti come smeraldi. Un’armatura, altrettanto finemente lavorata ricopriva il corpo della creatura, dagli spallacci alla corazza del petto, dagli schinieri ai bracciali, sembrava un completo estremamente pregiato nonché antico che esaltava la muscolatura prorompente della creatura

Ma quello che attirò l’attenzione della ragazza più di tutto fu la punta scintillante della lunga alabarda impugnata nella mano destra. La spessa ed affilata lama sembrava vibrare, trepidante di essere usata mentre rifletteva quei raggi di luna che si infiltravano tra gli alti rami che formavano una volta sorretta dai massicci pilastri in legno che altro non erano se non alberi. 

Per lunghi istanti seguì un profondo silenzio, interrotto solo dal respiro pesante della cavalcatura mentre, il suo cavaliere, sembrava tutt'al più una statua di marmo se non fosse che Ilyria poteva percepire quello sguardo che la scrutava, le iridi che la studiavano, se con attenzione o con disprezzo non avrebbe saputo dirlo. 

L’enigmatica creatura fletté un braccio verso l’alto, sollevando in aria la punta di quell’arma dalle dimensioni assurde. Gli occhi violetti della ragazza fissi sull’arma scintillarono pochi istanti prima che questa calasse con  forza e velocità oltre l’umana comprensione, non seppe neppure lei come riuscì a schivare quel fendente che, nonostante la distanza che li separava, sapeva in qualche modo sarebbe stato letale. Rotolò sul suolo ricoperto di foglie e muschio, la spinta che si era data sufficiente a coprire qualche metro mentre, voltandosi, capì perché il proprio istinto le aveva detto di schivare. Nonostante la lama avesse tagliato l’aria, un lungo e profondo solco sembrava squarciare la terra della scarpata sulla quale era rovinata, il terreno stesso spaccato da una forza brutale, il legno dei tronchi degli sfortunati alberi che si erano trovati lungo la traiettoria del colpo tagliato di netto con precisione chirurgica mentre i monconi scivolavano schiantandosi al suolo con suoni secchi. 

Il respiro della ragazza accelerò, mentre riportava lo sguardo sulla creatura che aveva preso nuovamente a muoversi, con i movimenti fluidi seppure oziosi di chi ha appena fallito nello schiacciare una mosca, sollevò nuovamente la propria arma. Stavolta Ilyria chiuse gli occhi, rannicchiandosi su sé stessa ed afferrando con entrambe le mani il monile che Sylvia le aveva donato, portandolo alle labbra. Non era di certo quello il modo in cui avrebbe voluto lasciare quella terra, non era questo il modo in cui si aspettava di morire. Adesso che era scampata alla distruzione, che aveva trovato un nuovo posto dove poteva essere felice, tutto questo stava per finire. I volti di Damien, di Emmet e di Sylvia le affollarono la mente mentre desiderava di trovarsi altrove, desiderava che qualcuno la salvasse, che la portasse il più lontano possibile da lì. 

Ma la scure del proprio boia non calò mai su di lei, un lungo e profondo richiamo riempì la foresta, un corno estremamente vicino. Sollevandosi dalla propria posizione la ragazza dagli occhi violetti portò proprio quelle iridi in direzione del suono stesso, osservando la figura di un satiro stagliarsi sul ciglio della scarpata dalla quale era scivolata. Aguzzando lo sguardo cercò di identificarne i tratti ed ebbe quasi un sussulto quando riconobbe la figura di Lesnoy che, quasi a scimmiottare uno dei principi delle leggende che accorrevano a salvare le principesse, sembrava aver interrotto, almeno momentaneamente, la propria esecuzione. Sentì le iridi gialle del ragazzo bestia posarsi per qualche istante su di lei, forse un’espressione di compassione sul suo volto. 

Il mezzo umano tuonò parole in una lingua incomprensibile, la voce esattamente come la ricordava dal breve scambio che avevano avuto poche ore prima, inspiegabilmente melodiosa ed armoniosa. 

< Rytsar, chiedo umilmente il tuo perdono, non è lei la tua preda. La principessa è già scappata, ti prego di risparmiarla.

Ilyria non riusciva a capire cosa dicesse, quella lingua per quanto familiare continuava ad esserle totalmente sconosciuta, ma quelle parole furono abbastanza perché l’impietoso cavaliere abbassasse lentamente la propria alabarda, portando la lama fin quasi a sfiorare il terreno.

< Giovane cacciatore, pensavo foste tutti periti, mi rincuora vederti ancora in vita. Ho cavalcato come il vento, ma non è stato abbastanza per arrivare in tempo, Lei aveva nascosto con abilità la propria presenza.

La voce del cavaliere era profonda, potente, sembrava che l’aria stessa vibrasse al suono delle sue sillabe. E se quelle iridi verdi erano portate sul satiro per qualche istante si portarono sulla ragazza inginocchiata, per poi tornare al proprio interlocutore. 

< Ma questa è un'umana, perché vuoi salvarle la vita? >

Un lungo silenzio seguì le parole del rettile mentre Lesnoy sembrava perso nei propri pensieri, lasciandosi scivolare lungo la scarpata e smorzando la discesa con i propri zoccoli arrivò sul fondo di quest’ultima, qualche metro alle spalle di Ilyria, portandosi una mano al petto. 

< Una vita per una vita, lei ha salvato la mia. E poi… Rytsar, ho sentito qualcosa in lei. Forse sa usare la magia. Potrebbe essere una di Loro. >

Durante la discussione la giovane era rimasta immobile, se non per qualche sguardo fugace a destra ed a sinistra, aveva valutato l’opzione di fuggire, ma era stanca, ferita e di certo non sarebbe mai stata più veloce di qualsiasi cosa fosse quella cavalcatura a sei zampe. Senza contare che non aveva idea di dove fuggire, non era neppure sicura che sarebbe riuscita a ritrovare la strada per uscire dal bosco, figuriamoci avventurarsi nelle lande senza equipaggiamento od una mappa. L’idea più saggia, almeno al momento, era quella di rimanere immobile, in un modo o nell’altro se la sua vita era stata segnata, provare a fuggire non avrebbe portato a nulla. 

Gli occhi verdi del cavaliere si spostarono lentamente sulla figura di lei, valutandola per lunghi istanti, prima di scuotere il capo. 

< Non percepisco nulla ma… mi fido dell’istinto di voi satiri. Se hai fiducia in lei, io l’avrò in te. >

Un sospiro lasciò le labbra di Lesnoy che, portandosi una mano alla fronte, sembrò essersi tolto un macigno dal cuore. Quella mano passò attraverso le ciocche corvine prima di accennare un sorriso, ma il cavaliere aggiunse. 

< Conducila a Serdtse Lesa, al cospetto di Tot kto Znayet. Ma se per qualche motivo non la reputerà degna, sarai tu a calare la lama su di lei. Sono stato chiaro? >

Un semplice cenno di assenso arrivò da parte del satiro, seguito da un emulazione di quel movimento da parte del cavaliere dalla testa di rettile. Con un semplice schiocco la bestia dalle sei zampe si impennò, girandosi su sé stessa e ritornando sui suoi passi, riempiendo la foresta del suono di quegli zoccoli che tornavano a calcare con forza il terreno mentre il misterioso cavaliere spariva nel buio della boscaglia.

Davanti ad Ilyria assorta nell’osservare quella figura sparire, si parò davanti la figura del satiro che, inaspettatamente, le tese una mano. La corrispettiva, ancora tremante della ragazza afferrò quella dell’altro, aiutandosi a tirarsi su mentre ancora scossa tentò di passare la mani sul proprio vestito sgualcito, liberandolo dagli arbusti che vi erano rimasti impigliati. Con un sospiro e mordendosi il labbro inferiore ricacciò le lacrime, ora che il pericolo era passato e l’adrenalina era scesa, sarebbe voluta scoppiare a piangere ma non poteva permetterselo. Semplicemente sollevò il proprio sguardo verso Lesnoy deglutendo con forza. 

< N-non so cosa tu abbia fatto… ma ti ringrazio. >

Una mano passò sotto l’occhio destro portando via una lacrima che, nonostante tutto, stava rotolando sulla guancia, tirando poi su con il naso. 

< Probabilmente neanche mi capisci ma grazie ancora. > 

La voce era tremante, visibilmente scossa per aver letteralmente visto la morte passarle davanti, ma un gesto inaspettato la fece trasalire. Sentì una mano poggiarsi sulla propria spalla, un contatto umano inaspettato che portò i propri occhi ad incontrarsi con quelli del satiro,  il viola riflesso nel dorato dell’altro. Un semplice cenno del capo da parte del ragazzo, non parlava sicuramente la sua lingua ma questo non gli avrebbe impedito di comunicare. Il mezz’uomo interruppe quel contatto, facendo cenno ad Ilyria di seguirlo, mentre il suono dei suoi passi interrompeva il ritrovato silenzio della foresta. 

Senza parlare anche la ragazza si incamminò, passi leggeri a seguire quelli dell’altro, un improbabile duo con una meta ancora sconosciuta.

 

 


-- Con un pochino di ritardo ma eccomi, il nuovissimo capitolo di questa fiera della sciagura! Finalmente entriamo un po' nel vivo della storia, ho intenzione di dare un po' di spiegazioni nel prossimo capitolo per poi spostare il focus sugli altri personaggi, chissà cosa stanno combinando la nostra principessa ed il suo amichetto, o come vanno le cose al villaggio di Acque Grigie, o magari introdurremo un nuovo pov? Io non spoilero niente, spero sempre che la storia vi stia piacendo e non annoiando ed inoltre vi lascio qui sotto una refery per il misterioso cavaliere, un'immagine alla quale mi sono ispirata più che altro per la cavalcatura. Alla prossima, bye! <3

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