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Autore: rosy03    20/05/2023    2 recensioni
• || Storia Interattiva || Iscrizioni Chiuse || •
Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile.
È questo il destino? Come vostro Umile Narratore non posso rispondere a una tale domanda.
Finora non ho mai visto nessuno abbandonare la pista, non ho mai incontrato qualcuno che fosse stato in grado di cambiare disco. Il destino è davvero già scritto?
Se sapeste la verità, penso proprio che mi odiereste.
Ma nonostante questo sono qui: a raccontarvi di questa mitica impresa. Sono qui a parlarvi di come la Bestia dagli Occhi di Luna ululerà, di come questo porterà il caos nel continente di Ishgar, di come seguirà un’infinita notte, di come le stelle smetteranno di brillare, di come la luna scurirà il suo colore... e magari anche di come sorgerà una nuova aurora. Chissà.
Il vostro Umile Narratore.
J.C.
|| • «Ho perso tutto. Ho perso la mia umanità, il mio tempo, la mia famiglia. Lei è l'unica cosa buona che mi sia rimasta...»
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ancient Aurora'
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CAPITOLO 11. Fragore

 

 
 





 
[Inizio Flashback]

 
 
Aveva deciso di restare a casa perché aveva da fare.
Semisdraiata sul dondolo che Royal aveva fatto costruire per lei qualche mese prima – essendosi ricordato di non averle fatto alcun regalo per il suo compleanno e con il solo scopo di tenersela buona fino al prossimo –, Lily stava studiando. Aveva appena dieci anni, eppure si era messa in testa di dover leggere tutti i libri dell’Aurora e di diventare la più esperta nel campo delle lingue morte.
Era una secchiona e le piaceva esserlo. Le piaceva studiare e in poco tempo era diventata bravissima, riusciva a reggere conversazioni di alto livello senza la minima fatica e conosceva a memoria gli indici di tutti i libri che aveva letto nella sua vita. Secchiona e pure maniaca.
E quel pomeriggio non sembrava essere tanto diverso: Lily si godeva i tiepidi raggi di sole carezzarle la pelle bianchissima mentre era al contempo concentrata a tradurre un brano dal cimbro[1]. Tant’era presa da quell’operazione che si accorse del Master solo quando fu a un passo dal dondolo.
Si voltò a guardarlo abbandonando la matita tra le pagine del suo libro. Royal non era solo, c’era una bambina con lui.
I suoi occhi si sgranarono. «Oddio, hai messo incinta una donna e questa è tua figlia?!»
«Cosa? No! Chi diavolo te le insegna queste cose? Hai solo otto anni!» Era più scandalizzato di quanto avrebbe voluto far pensare.
Lily sbuffò. «Ne ho dieci e queste cose le so perché tu, Killian e Wiles non fate altro che parlare di-»
«Ok, ho capito l’antifona. Piantala.» Royal sospirò, volgendo per un attimo lo sguardo al cielo e imprecando mentalmente. A quella nanerottola non faceva bene ascoltare i loro discorsi da adulti – più che altro si chiedeva come facesse, visto che si sforzavano tutti di parlarne al bancone mentre lei era indaffarata a fare altro lontano da loro. È proprio vero che le donne sono multitasking, pensò, allibito. «Comunque, lei si chiama Ella. Si è appena unita alla nostra gilda e ho pensato di portarla qui per farvi fare amicizia visto che oggi non ti sei degnata di venire a salutarci.»
Solo allora, Lily posò gli occhi grigi su di lei. La salopette di jeans che indossava era troppo grande per lei e una spallina era già scivolata giù dalla spalla senza troppo sforzo. I capelli rossi erano disordinati e legati in un codino basso ma alcune ciocche erano riuscite a sfuggire all’elastico e le incorniciavano le guance.
Sospettava che avesse pianto per via dei suoi occhi gonfi. E il cuore della corvina mancò un battito. È come me? «Piacere, mi chiamo Lily.»
L’altra boccheggiò prima di rispondere. Sembrava avesse paura anche solo di respirare. «Ella... mi chiamo Ella... Fitzgerald.»
A quel punto Royal sfregò i palmi tra loro e sorrise, compiaciuto. «Bene! Allora vi lascio fare amicizia. Buona giornata!»
«Non mettere incinta nessuna. Se sei insopportabile tu, figurati qualcuno che ha i tuoi stessi geni mischiati a quelli di una civetta in calore!»
Lui rimase quanto meno interdetto da una tale constatazione. «E questo dove l’hai imparato?»
Lily fece un’alzatina di spalle. «Dai libri.»
Questa qui mi fa paura, pensò tra sé e sé. Alla fine, però, Royal decise di andarsene e si appuntò mentalmente di suggerire a Killian di dare un’occhiata ai libri che la sua sorellina si ostinava a leggere con tanta passione a soli dieci anni.
Rimaste sole, le bambine si osservavano l’un l’altra. Ella tremava e Lily finì col sospirare mentre chiudeva il libro lasciando che la matita facesse da segnalibro. Il rumore con cui le pagine si chiusero, fece sobbalzare la rossa.
«Che ti va di fare? Ti avverto che non gioco con le bambole.»
Ella si mordicchiò la guancia. «Nemmeno a me piacciono.»
«Ottimo. Quanti anni hai?»
Era già un buon inizio. Nonostante avesse addosso lo stesso odore di un cucciolo di cane spaventato, le rispondeva in modo abbastanza chiaro – seppur con un po’ di timore. «Otto.»
Lily si sedette e con una mano le fece segno di fare lo stesso accanto a lei, sul dondolo.
Ella ubbidì ma non osò dire nulla. Il vento primaverile portò con sé il profumo della foresta e la corvina inspirò estasiata. Dopodiché inclinò la testa di lato per mostrare alla sua nuova compagna di gilda un sorriso di incoraggiamento. «Non devi avere paura. Questo posto lo conosco come le mie tasche e gli animali feroci non osano avvicinarsi.»
L’altra scosse la testa. «Non ho paura della foresta.»
«Hai paura di me?» Domandò, ma Ella fece nuovamente segno di no. «E allora di cos’hai paura?»
È come me. È come me. È come me. Solo questo riusciva a pensare, Lily.
Poi udì un singhiozzo e vide una lacrima rigarle la guancia. «Mia sorella maggiore è morta due giorni fa.»
Le spalle tremarono e le mani stringevano qualcosa a cui fino ad allora la corvina non aveva prestato attenzione. Era una pietra di colore arancione, levigata in più punti, poco più grande della sua mano. «Hai paura di rimanere da sola?»
«Sono già sola.»
Lily non ce la fece a rimanere zitta e sbottò: «Non dire cazzate! Ci sono io, no? Sono seduta qui accanto a te e Royal è uno stupido, sì, ma ti accolto nella nostra gilda!»
Ella le lanciò un’occhiata carica di dolore.
«Vieni con me.» Disse, e la corvina l’agguantò per il polso trascinandosela dietro, immergendosi nella foresta. In un primo momento, Ella faticò a starle dietro – aveva paura che avrebbero finito col perdersi in mezzo agli alberi... ma la sicurezza con cui Lily riusciva a muoversi e a orientarsi bastò a farla tranquillizzare. Quel poco che le permise di non incespicare, almeno.
Poco dopo, sentì lo scrosciare dell’acqua e prima che potesse chiedere qualsiasi cosa, si ritrovò davanti a una piccola cascata. Ella strabuzzò gli occhi; era uno spettacolo! Lo specchio d’acqua si allargava per diversi metri e confluiva in un piccolo fiumiciattolo che poi andava ad alimentare il grande fiume che attraversava la città di Magnolia.
«È bellissimo…» Sussurrò, esterrefatta.
Lily sghignazzò. «Visto? E ora ci facciamo un bel bagno.»
«Cosa? Ma sarà gelata!»
Quando si voltò a guardarla, la vide togliersi le scarpe e legarsi i lunghi capelli neri in una coda alta. Dopodiché, senza alcun preavviso e senza esitazione, l’atterrò e con un forza che alla rossa non parve possibile, sfilò anche a lei le calzature!
«Su, coraggio!»
«No, no, no, no, no. Ti prego, sembra freddissima, nooohSplash. Ella riemerse e per la prima volta da quando aveva incontrato quella strana bambina, da quando il mondo si era fermato, respirò. Non se ne accorse subito, tant’era occupata a inveire contro la corvina. «Lo sapevo! È gelida! Perché mi hai lanciata?!»
Lily rise e subito dopo si tuffò anche lei.
«Eddai, non è mica così gelata!» Ignorò le proteste della rossa. A lei il freddo non dispiaceva per niente, nemmeno lo sentiva. «E comunque, hai visto? Ora va molto meglio, no?»
Fu quello il momento in cui Ella realizzò. Certo, stava congelando – la primavera era cominciata da poco e il sole era ancora troppo tiepido per poterla riscaldare completamente – ma non poté non sentirsi viva. Inspirò forte ed espirò. L’aria fresca aveva sempre avuto quel sapore? Il mondo attorno a lei era sempre stato così luminoso?
. Ma da quando era morta sua sorella, l’aveva dimenticato.
Ella storse il naso e si porto entrambe le mani sugli occhi. Immerse la testa per circa cinque secondi e poi tornò a guardare Lily con un sorriso che andava da un orecchio all’altro – aveva gli occhi lucidi e rossi per via della lacrime. «Grazie...»
Lei, di tutta risposta, la spinse nuovamente sott’acqua, imbarazzata a morte.
 

 
[Fine Flashback]
 

 
Mi sono addormentata...
Ripresasi dal sonno che l’aveva silenziosamente colta, Ella si stiracchiò contro lo schienale della sedia, emettendo altresì un sonoro sbadiglio. Non era affatto abituata a quegli orari e avrebbe di gran lunga preferito che qualche anima pia l’avesse svegliata prima che facesse buio.
Guardò l’orario e strabuzzò gli occhi quando si rese conto che era già tardissimo. A quell’ora di solito era già a casa, nel suo letto, a dormire, stretta al peluche che Lily e Nimue le avevano regalato per il suo dodicesimo compleanno.
Si alzò e con un movimento brusco scostò le tende, permettendo alla fioca luce lunare di invadere il suo studiolo. Lo zaffiro sulla sua scrivania brillò e lei sorrise: trovare e poter studiare i cristalli era la sua ragion d’essere.
Non riusciva proprio a smettere di emozionarsi dinanzi alla bellezza di tali gemme – un po’ come non riusciva a rimanere impassibile davanti a Killian.
Quando aveva cominciato a sentire le farfalle nello stomaco? Quando aveva iniziato ad arrossire semplicemente guardandolo e a immaginare di prendergli la mano, di baciarlo...?
Ella non riusciva a spiegarselo.
Quando aveva confessato la sua cotta a niente di meno che a Lily, quest’ultima le aveva apertamente consigliato di lasciar perdere un tale – parole sue – idiota che finge di non vedere ciò che invece è evidente. Ella non poteva semplicemente dimenticare di essersi innamorata di lui.
Lei lo amava davvero, davvero tanto. Amava il suo modo di scherzare, amava come tutti alla gilda pendessero dalle sue labbra, amava vederlo ridere assieme al Master. Lo amava.
E poi è così bello! Pensò, sognante.
Wiles le aveva chiesto quando avesse intenzione di dichiararcisi ma la sua risposta fu quella di sputargli addosso il suo tè freddo, non aspettandosi minimamente una proposta del genere.
No. No. Assolutamente no! Non avrebbe mai potuto confessarglielo.
Mai e poi mai. Sarebbe stato super imbarazzante!
 

 
§

 
 
Quello sguardo famelico sembrò divorarlo.
Subito dopo avergli tolto i vestiti con una delicatezza disarmante, Clizia lo fece sedere sul bordo del letto. D’istinto, Royal allargò le gambe e l’accolse tra le braccia mentre lei gli accarezzava i capelli baciandogli la fronte, le palpebre, mordendogli le guance e, infine, le labbra.
«Rilassati.» Soffiò sulla sua pelle. «Ti farò dimenticare tutte le preoccupazioni.»
Lui annuì, ricercando quelle labbra che si erano allontanate. «Torna qui...»

[...]

Dopodiché, Clizia si lasciò cadere di schiena sul materasso, ansante. Ridacchiò nel constatare che il suo compagno di letto a stento riusciva a completare una frase di senso compiuto.
Si voltò a guardarlo, con aria birichina. «Sembra che qualcuno qui sia troppo vecchio per queste cose.»
Royal girò di scatto la testa, mostrando un finto broncio. Il sorriso di Clizia si ampliò maggiormente e allungò il collo fino a stampargli un bacio veloce. «Sei un pessimo attore.»
Lui la imitò, rubandole le labbra. «E tu sei malefica.»
Clizia gongolò, stringendosi al suo petto e chiedendo altresì un abbraccio. Il mago non se lo fece dire due volte e avvolse le braccia attorno al corpo nudo e bollente di lei, lasciandole infine un altro bacio tra i capelli.
«Come ti senti adesso?» gli chiese, alzando lo sguardo bronzeo su di lui.
«Mi è bastato vederti per stare subito meglio.»
La sua risata cristallina riempì la stanza. «Non fare il ruffiano, adesso.»
«Ma è la verità. Il tuo seno ha un potere rigenerante. Basta guardarlo per- ahia!» Gli aveva appena dato un pizzico all’inguine! «Che ho detto?»
«Le tue solite stupidaggini, ovviamente.» Disse, ma sotto sotto già rideva.
Fin quanto si può amare qualcuno? Quando Clizia ragionava sulla risposta a una tale domanda, il suo viso si illuminava e il cuore implodeva. Veniva riempita da troppe magiche sensazioni per poterle spiegare se non con una sola parola: amore. E lei lo vedeva, vedeva Amore ogni volta che incrociava gli occhi dorati della sua gioia più grande che, in quel momento, la guardavano con malcelata malizia.
Royal affondò le dita sul suo seno destro e strinse. «Vedi? Mi basta sfiorarlo e sono pronto per un altro round. È magico, te lo dico io.»
«L’abbiamo appena fatto e-» tentò di dire, ma lui le sollevò la testa senza alcun avvertimento per catturare ogni sua protesta in un bacio.
Una volta allontanatosi, le leccò le labbra. «Ti ho convinta?»
Come se ci fosse bisogno di convincermi, pensò. Ma decise di stare al gioco, decise di non dargliela vinta... subito. «Mh. No, non direi proprio.»
«Avevo ragione, sei davvero malefica» le sussurrò, invertendo quella che era stata la posizione precedente. Le baciò il viso, tutto il viso, per poi scendere sul collo che vibrò a causa di una risata.

[...]

Restò paralizzata per alcuni istanti, limitandosi a boccheggiare. Quando le sembrò di essersi ripresa, sollevò le spalle fino a puntellarne il peso sui gomiti. «Mi hai fatta venire per la seconda volta in meno di cinque minuti?»
Royal sollevò le spalle. «Sono un mago
«Bene, mago dei miei stivali,» e a giudicare dal tono ebbe la seria sensazione di averla fatta arrabbiare davvero, «perché ti sei fermato? Continua, su.»
Lui non poté non scoppiare a ridere. «Tu mi farai impazzire.»
«Ci puoi giurare.» Disse, mettendosi a sedere e baciandolo lentamente. Gli accarezzò le guance e si lasciò ricadere all’indietro, seguito a ruota da lui che la sovrastò.
Fece per allacciargli le gambe attorno ai fianchi ma accadde qualcosa di inaspettato. Un’altra scossa l’attraversò ma fu una scarica diversa da quella precedente, tanto forte da costringere Royal a sollevarsi di scatto. L’atmosfera cambiò di colpo, cancellando il calore che fino a quel momento aveva raccolto il cuore e i corpi dei due amanti.
E si ricordò solo allora, Clizia, di ciò che le disse poche settimane dopo essersi ritrovati, quando le raccontò di essere diventato il Master di una gilda di maghi. Le aveva spiegato che ovunque egli fosse e qualsiasi cosa stesse facendo, avrebbe sempre – sempre – tenuto un occhio aperto sull’Aurora.
La scossa che l’aveva costretto a ritrarsi era stata troppo potente perché non fosse successo niente – e lo sapevano bene entrambi. Royal si rialzò e come un fulmine indossò nuovamente i vestiti che si era tolto prima di farsi il bagno; c’era fretta nei suoi movimenti. Era teso, preoccupato. Tutte emozioni che con Clizia erano sparite ma che erano tornate prepotentemente perché qualcosa di brutto era accaduto e lui doveva correre a controllare.
La giovane attrice si ritrovò a raggiungerlo, in piedi; le sopracciglia corrucciate, non curandosi nemmeno di coprirsi col lenzuolo. Avrebbe voluto dire qualcosa ma lui la anticipò baciandola rapidamente, a mo’ di saluto. «Resta qui. Torno subito.»
Lei annuì e fece un passo indietro, cosicché Royal potesse richiamare a sé la sua magia. Venne avvolto da un sottile manto dorato e l’attimo dopo, era già scomparso, lasciando Clizia da sola in casa sua e in balia di mille emozioni.
 

 
§
 
 

Il cuore mancò un battito. Forse due. O forse tre.
Si rese conto di aver smesso di respirare nel momento in cui udì un flebile lamento provenire da un ammasso di detriti che un tempo formavano la torre destra della gilda, laddove risiedeva lo studio di mineralogia. Si avvicinò rapidamente col cuore in gola e ciò che vide lo inorridì tanto che il viso si tramutò in una maschera di rabbia.
La gamba sinistra di Ella era rimasta incastrata sotto alcune travi. Doveva aver preso una bella botta in testa perché una parte del viso era completamente ricoperta di sangue. Senza aspettare nemmeno un secondo strappò la manica della camicia e tamponò la ferita sulla fronte, pulendole il viso quel poco per permetterle di schiudere gli occhi.
Dopodiché spostò le travi che gli avrebbero impedito di metterla in salvo, si strappò l’altra manica e gliel’annodò attorno alla coscia per evitare ulteriori perdite di sangue. Infine, toccò alla parte più difficile. Un tipo come lui era difficile da impressionare: eppure, vedere un membro della sua gilda lì, più morta che viva, gli provocò un moto di disgusto indescrivibile.
Dal suo stomaco spuntava un sottile pezzo di ferro che le faceva da tappo. Non poteva muoverla senza rischiare un’emorragia, perciò cercò di tagliarlo alla base grazie alla sua magia; quando lo fece, la sentì borbottare un lamento a mezza bocca.
«Ehi, va tutto bene. Rimani sveglia, ok? Andrà tutto bene.»
Voleva crederci davvero, Royal. Voleva davvero credere che sarebbe andato tutto bene e che avrebbe fatto in tempo a portarla da un medico.
Lei schiuse le labbra per cercare di parlare. Lo chiamò con voce rotta dalla disperazione, dalla paura, con le lacrime agli occhi.
Una volta liberata da quella trappola infernale, la prese delicatamente in braccio e la sollevò da terra ma fu quando si rialzò che se ne accorse. Non erano soli.
Dietro di lui, c’era qualcuno, uno sconosciuto – il responsabile di quel macello. E Royal un attimo vide rosso, si voltò lentamente e, ancora una volta, la sua espressione fu di pura rabbia. Strinse le dita attorno alle gambe e alle spalle di Ella, obbligandosi a fare un respiro profondo e a calmarsi. Non poteva permettersi di perdere tempo o lei sarebbe morta.
Morta. Ella sarebbe morta?
«E questa? Che ci fa nella tasca della mia giacca?»
«Ce l’ho messa io! È un quarzo rosa e serve ad attrarre l’amore. Magari è la volta buona che incontra la donna della sua vita!»
No.
Royal non aveva tempo per farsi trascinare via dall’onda delle emozioni e dei ricordi. Non aveva il tempo di pestare a sangue quel tizio. Doveva portarla in ospedale. E prima di subito.
«Sto cercando una persona.» Non era né alto, né basso. Gli abiti e il viso erano coperti da un mantello scuro ma dalla voce fresca, seppur nuda e cruda, Royal capì di trovarsi di fronte a qualcuno di più giovane di lui. Un ragazzo che non si era affatto pentito e che pretendeva di ricevere delle risposte.
Royal strinse i denti. «Non ho intenzione di starti a sentire, bastardo figlio di puttana.»
E si voltò di nuovo, dandogli le spalle, ma lui proseguì. «Sto cercando quella che qui chiamate Bestia. So che si nasconde qui.»
Cosa c’entra adesso?
«E so che tu lo sai.»
Era ovvio quale fosse la priorità. Doveva salvare Ella. Per quanto avrebbe voluto sapere chi fosse quell’individuo e il motivo di quelle domande assurde, lui era il Master, dannazione.
Per questo, decise di ignorarlo. Per questo, decise che era meglio lasciarsi avvolgere dalla sua magia e correre, correre e correre in ospedale. E lo fece.
Di norma, il tragitto dall’Ancient Aurora alla clinica era di dieci minuti a piedi – per lui fu una questione di trenta secondi al massimo. Adagiò Ella su un lettino sotto lo sguardo sconvolto di un’infermiera che se li era visti comparire all’improvviso, e terminò il lavoro ordinandole senza mezzi termini di fare tutto il possibile per tenerla in vita.
Fece per tornare alla sede della gilda, intenzionato a far fuori quel bastardo se si fosse fatto trovare ancora lì, ma la flebile voce di Ella lo richiamò. Non riuscendo a capirla del tutto, decise di avvicinarsi. «Master...» Royal le strinse la mano, come a volerle prestare un po’ della sua forza per permetterle di dire altro. «La... la... lazuli...»
Ma non riuscì a dire nient’altro, perché troppo debole.
Royal si scostò come fosse stato bruciato da quelle parole e lasciò che i medici si attorniassero alla barella. Richiamò la sua magia e in un lampo tornò all’Aurora, più incazzato che mai.
Il fatto che quell’individuo incappucciato lo stesse ancora aspettando significava due cose: da un lato era estremamente sicuro di sé, dall’altro aveva davvero bisogno di quelle informazioni. Ad ogni modo, Royal era certo che da lì a breve si sarebbe scatenato il putiferio e, ancora di più, che l’avrebbe massacrato se quello non si fosse deciso a crepare di sua sponte.
«Prima che ti riduca in poltiglia, dimmi chi cazzo sei e cosa vuoi.» Sibilò.
Fu grazie alla luce dei lampioni che Royal riuscì a vederlo in viso una volta che quest’ultimo lasciò cadere il mantello a terra. Aveva avuto ragione, il viso pulito e quasi infantile rivelava un’età che non superava i venti. Eppure, gli occhi verdi erano taglienti – erano gli occhi di chi aveva visto tante cose orribili, occhi che aveva già avuto l’occasione di incrociare.
«Comincia tu. Dov’è quella bestiaccia
«Non so di cosa tu stia parlando ma è chiaro che muori dalla voglia di essere preso a calci. Quindi, ti accontento.»
Royal non era diventato Master per puro caso. Suo zio non l’aveva scelto come suo successore soltanto perché era suo nipote – l’aveva scelto perché sapeva che quando non ci sarebbe stato, quello scapestrato avrebbe saputo proteggere il suo più grande tesoro. La sua gilda, la sua famiglia.
Che la sede fosse stata distrutta per metà poco importava – certo, a Royal bruciava un sacco che lo studio di Ella non ci fosse più perché sapeva quanto la ragazza ci tenesse. Era furioso.
Tutto di lui gridava rabbia: i muscoli rigidi, gli occhi iniettati di sangue, le vene ingrossate, i denti digrignati.
Il cielo fu scosso da un rombo e quello fu il segnale.
Ma lo straniero non si lasciò sconvolgere da ciò. «Non credere che non mi sia preparato ad affrontarti, Master
Royal fece schioccare la lingua. «Non farei tanto lo spiritoso, fossi in te.»
E scattò in avanti. Fu veloce, velocissimo, e il rosso accusò il colpo parando il pugno con entrambe le braccia. Il corpo venne sbalzato in aria a causa dell’impatto ma il giovane atterrò facilmente in piedi, seppur crepando il cemento.
Il corpo dell’uomo era completamente ricoperto da fulmini bianchi, di pura luce. Persino Jace Ivory, il consigliere del re di Fiore, aveva più volte elogiato le sue capacità magiche e per questo veniva rispettato da molte altre personalità importanti, compreso il re. La potenza dei suoi incantesimi era conosciuta anche al di fuori del regno.
E Leonte non faceva eccezione.
Lui, il ragazzo dai capelli rossi legati in una coda bassa, aveva da subito messo in conto la possibilità di potersi trovare di fronte al tanto decantato Master dell’Aurora e di doverlo affrontare in combattimento. Certo, non si aspettava che un suo pugno facesse così male.
Ma non importa. In quanto a forza, nessuno è alla mia altezza, pensò.
Fu il suo turno di attaccare e per quanto non potesse eguagliare la velocità di Royal, Leonte riuscì comunque ad avvicinarsi quel tanto per prenderlo di sorpresa e attivare il suo incantesimo. Un potente vento si generò sotto i suoi piedi, vento che gli diede lo slancio necessario a evitare un secondo colpo e ad assestagli un pugno al petto.
Il Master boccheggiò mentre schizzava lontano. La schiena sbatté violentemente contro un lampione che s’incrinò.
Ok, questa non me l’aspettavo. Royal si rimise in piedi subito. Da dove tira fuori tutta questa potenza mingherlino com’è?!
Lui di certo non poteva saperlo. Non poteva sapere che Leonte avesse stretto un patto con una certa divinità e che da quel momento avesse acquisito La Forza, un qualcosa che andava aldilà della semplice magia – che, nel suo caso, poteva essere chiamata Ventus Magic. Quindi, a conti fatti, era come possedere due abilità differenti.
La prima era capace di renderlo potente e vigoroso; la seconda riusciva a farlo sembrare leggero e flessibile come il vento. E Royal avrebbe presto avuto prova delle sue capacità.



 
[Inizio Flashback]
 
 

Era scappata. Era scappata nel mezzo di una conversazione ed Ella non riusciva a capirne il motivo.
Che avesse detto o fatto qualcosa che l’aveva offesa?
Decise, quindi, di chiedere all’unica persona che avrebbe potuto spiegarle il motivo per cui Lily si era comportata in modo strano. Entrò dentro casa dei due fratelli e vide Killian intento a preparare una gustosa merenda: pancakes con marmellata di fragole e frutti di bosco per guarnire. Si avvicinò al bancone della cucina e aspettò che fosse lui a rivolgerle la parola per primo. «Che succede? Mia sorella ha combinato qualcosa?»
Ella scosse la testa. «Mi stava pettinando i capelli e poi è scappata via con le lacrime agli occhi.»
«Ti sta facendo preoccupare?» Al che, la rossa annuì pensierosa.
«Ce la sta mettendo tutta.» Killian sorride mestamente. «Non sapendo nulla di tua sorella e non conoscendo appieno nemmeno te, sta cercando di imitare suo padre per farti sentire meno sola.» E in questo modo è costretta a ripiombare ogni giorno nel suo personale incubo, pensò.
«Suo papà è… è morto?» La voce è appena sussurrata, come se avesse paura che qualcuno oltre lui la potesse sentire.
Il maggiore non rispose subito, ma quando lo fece, il suo viso si rattristò: «Non è morto. È una storia complicata.» Poi le mise davanti il piattino con sopra tre pancakes farciti di marmellata. «Dalle del tempo per stare un po’ da sola e poi va’ a parlarle. Apprezzerà.»
Ella annuì ancora e, un po’ titubante, si sedette sullo sgabello per poi mangiare la sua merenda. Era buonissima – il sapore era simile alle torte che sua sorella Beatrice amava sfornare nei fine settimana. Certo, l’estetica lasciava a desiderare... ma in quanto a dolci, Bea era la numero uno.
«Ti piacciono?» Domanda Killian, incrociando le braccia sul bancone. Lei annuisce e stenta a trattenere le lacrime. «Meno male! Oggi ho voluto provare una nuova ricetta.»
Passarono una ventina di minuti in cui Ella osservò il fratello della sua amica destreggiarsi in cucina. Avrebbero mangiato del tacchino ripieno con contorno di verdure e non stava più nella pelle. Intanto, però, il suo cuore le diceva di uscire e di andare a cercare Lily. E lo fece.
Salutò Killian – che fece altrettanto ma con entrambi i pollici in su, in segno di incoraggiamento – e si avviò verso il centro della foresta. Aveva cominciato a conoscerla, a non confondere un albero dall’altro e a farsi largo tra la coltre di rami senza inciampare nel frattempo. La vide seduta su un masso e con libro in mano.
La raggiunse e Lily nascose il viso tra le pagine per evitare che Ella lo potesse vedere rigato di lacrime. Aveva solo dieci anni e già si vergognava a farsi vedere in lacrime, la scema.
La rossa si posizionò alle sue spalle e tirò fuori il pettine. Senza dire nulla, cominciò a pettinare quei soffici capelli corvini, lunghi fino a metà schiena. Vide le sue spalle sussultare ma Lily non si scostò.
«Bea è rimasta gravemente ferita in miniera.» Dice. «I dottori hanno detto che non ce l’avrebbe fatta, che aveva perso troppo sangue e che a causa delle esalazioni, il suo corpo era rimasto danneggiato dall’interno. È stato bruttissimo vederla sparire davanti a me.»
Se non fosse stato per Lily, Ella non avrebbe mai avuto il coraggio di raccontare quello che era successo poche settimane prima ad alta voce. Certo, gli occhi si erano già gonfiati di lacrime, ma almeno aveva ammesso a parole, a se stessa e al mondo, che sua sorella maggiore Beatrice non c’era più. «Se non vuoi dirlo a me, non importa. Non voglio costringerti. Ma sappi che per qualsiasi cosa, io ci sono per te.»
E più il pettine affondava nella sua chioma, più Lily venne scossa dai ricordi.
«Vieni qui, ti aiuto a sistemare questo disastro di capelli
«Ma che hai combinato?» Risata. «Sei imbranata come tua madre. Dai, ti aiuto io!»
«Non ti dimenticare che in te scorre anche il mio sangue, per cui smettila di autocommiserarti. Incanterai tantissimi uomini e a quel punto dovrò ucciderli tutti... quindi, evviva, altro lavoro per me! Come se non avessi già abbastanza problemi con tutti quelli che sbavano dietro a tua madre... sei sicura di voler crescere? Non preferiresti restare una bambina?»
No. Col senno di poi, suo padre non era mai stato normale e sapeva essere davvero egoista. Eppure, nonostante le sue stranezze e le litigate con la mamma per cose stupide – come quando l’aveva beccata a insegnarle come ci si inchinava: un vero affronto per un uomo che non aveva mai abbassato la testa davanti a nessuno e che pretendeva che nemmeno sua figlia lo facesse mai – era stato un padre meraviglioso.
E quindi glielo raccontò. Raccontò a Ella di tutte quelle volte che l’aveva aiutata a sistemarsi i capelli perché lei non ne era in grado, le raccontò delle volte in cui le tirava su il morale perché lei era complicata proprio come sua madre e spesso si lasciava schiacciare dai sensi di colpa. Le raccontò tutto. Tutto. E per la prima volta, Lily si sentì più leggera.
Si sentì felice perché a dispetto della sua indole capricciosa e irritante, aveva trovato un’amica. Un’amica che aveva sofferto i suoi stessi dolori, la stessa separazione traumatica.
 

 
[Fine Flashback]



Non erano trascorsi che tre minuti.
Tre minuti da quando avevano cominciato a combattere, tre minuti da quando aveva cominciato a rimbombare nell’aria il fragore dei primi fulmini scagliati. E Leonte dovette arrendersi all’evidenza: non avrebbe potuto batterlo nemmeno tra un centinaio di anni.
Seppur fosse riuscito a colpirlo un paio di volte con La Forza, Royal era ancora in piedi e a parte il labbro spaccato e un leggero affanno per via dell’uso prolungato dei uno dei suoi incantesimi più potenti, sembrava in perfetta salute.
«E adesso, prima che perda la pazienza e decida di massacrarti finché non muori, dimmi chi se e cosa sei venuto a fare.» La voce del Master era furente, cruda e minacciosa.
Leonte era a terra, sdraiato, col viso rivolto al cielo non più tanto limpido a causa del temporale che sarebbe scoppiato da lì a breve. Il rombo dei tuoni lo fecero sobbalzare e si vergognò immensamente di essere stato sconfitto con così tanta facilità, si vergognò della presunzione con cui aveva suggerito alla sua partner di lasciarlo andare da solo perché se la sarebbe cavata, non c’era bisogno che lei si sporcasse le mani.
Sono stato uno stupido, pensò.
«Non ho tutta la notte, fottuto stronzo. Rispondimi!» Ringhiò, ma dovette arretrare di un balzo quando avvertì la magia di una seconda presenza palesarsi tra loro. Dal terreno spuntò fuori quello che sembrava uno specchio ovale circondato da un’aura grigiastra.
Poco dopo, udì una voce. «Non osare toccarlo e né tanto meno minacciarlo, cagnaccio. Lui è il mio solo e unico cagnolino, il mio pupillo, e sebbene non approvi la sua scelta di combatterti da solo, è mio dovere aiutarlo.»
E ora questa chi cazzo è?!
Dallo specchio sbucò fuori una figura, una donna. I lunghi capelli bianchi erano lisci e le ricadevano morbidi sulle spalle e lungo le braccia. Indossava una tunica anch’essa bianca dai dettagli verde ghiaccio, come i suoi occhi, inespressivi, freddi e letali. Aveva l’aria di essere qualcuno di pericoloso, ma Royal era certo che nessuno si sarebbe mosso da lì finché non avrebbero risposto alle sue domande.
Leone, d’altro canto, strinse le labbra in una smorfia di disagio. «Signora Ofelia... mi dispiace.»
«Non devi dispiacerti. Sono io che ti ho lasciato andare.»
«Sembri essere in vena di chiacchiere al contrario del tuo amico. Chi diavolo siete?»
La donna gli rifilò un’occhiataccia. «Non è un mio amico, ma il mio cagnolino. Mi sembra di parlare la tua stessa lingua, cos’è che non capisci?»
Il cielo si illuminò per un istante e, di nuovo, fu scosso dal tremore dei rombi.
«Se pensi che questo mi spaventi, mi spiace per te.»
«Oh, io penso che, così come ho fatto abbassare la cresta al tuo cagnolino, la farò abbassare a te.»
Ora, Ofelia non era mai stata una persona particolarmente paziente. Mai. Per questo non andava d’accordo con molti altri suoi colleghi. Ma la cosa che proprio non sopportava era che qualcuno si prendesse gioco di lei, delle sue capacità.
Royal si preparò e sopra le loro teste si allargò un enorme cerchio magico da cui precipitò una fitta pioggia di fulmini. La luce era abbagliante e Leonte stesso strinse gli occhi, impossibilitato a schivare quell’attacco – non che avesse potuto, era stato proprio quest’incantesimo a metterlo definitivamente ko!
Ma Ofelia non era della stessa opinione. Infatti, lo specchio si spostò e andò a riparare i due a mo’ di ombrello, lasciando che l’elettricità venisse intrappolata al suo interno. Quando l’incantesimo terminò, il Master dell’Aurora non sembrò per niente stupito.
Lo sapevo. Quell’affare sarà una grossa seccatura.
«Hai perso questi, mi sa.» Disse, divertita. E lo specchiò seguì il flebile gesto della mano, tornando in piedi. «Te li restituisco.»
Fulmini. Gli stava lanciando i suoi stessi fottutissimi fulmini.
A Royal non servì scansarsi, gli bastò reagire con un medesimo attacco e il boato creato dallo scontro dei due incantesimi fece tremare persino la terra.
«Mi sembra di capire che magie come quella di prima costino parecchia energia. Perché non la finiamo qui e ci dici subito dov’è la Bestia? Almeno, così, risparmieremo del tempo.»
«Non so di cosa parliate. Nessuno sa cosa sia né dove si nasconda.»
«Che bugiardo! Un cagnaccio bugiardo, ecco cosa sei.» Ribatté, a metà tra l’ilare e il fastidio. Il suo abito, seppur raffinato, nascondeva degli spacchi vertiginosi che le consentivano di combattere al meglio delle sue capacità.
Devo risolvere la situazione. Devo renderli inoffensivi prima che qualcuno possa avere la malaugurata idea di uscire di casa e venire a controllare. Royal era preoccupato. Per questa ragione, decise che era arrivato il momento di utilizzare Fulgora.
Ofelia ghignò. «Qualsiasi cosa tu stia architettando non funzionerà.»
Lui non sembrò neanche sentirla e si concentrò al massimo. Il cielo si illuminò ancora e ancora, a intermittenza, fino al momento in cui una cascata di fulmini lo investì in pieno.
L’espressione dell’avversaria non mutò di striscio ma nel cuore covò una punta di preoccupazione. Che sta facendo? Al che, i fulmini cessarono improvvisamente di cadere e Royal raggiunse la sua posizione in un battito di ciglia.
Ofelia trattenne il respiro e in un primo momento sembrò sinceramente spaventata dalla velocità con cui si era palesato dinanzi a lei. Era in procinto di tirarle un pugno carico di elettricità ma lo specchio si frappose e catturò l’attacco senza la minima crepa.
«Te l’avevo detto.» Cantilenò lei, sicura di sé.
In risposta, Royal ghignò serafico.
Accadde tutto in un millesimo di secondo. Lo specchio stava assorbendo il suo potere magico tramite il contatto con il suo pugno, ma c’era qualcos’altro che si muoveva alle sue spalle – qualcosa che con un balzo riuscì a superare l’ostacolo. Ofelia vide una sagoma – una figura che le sembrava avesse assunto le sembianze di una donna particolarmente formosa – e questa non ci pensò due volte a scaricarle addosso tutta l’elettricità di cui era composta.
La donna decise di non muoversi, di restare lì. Se si fosse spostata, Leonte sarebbe morto a causa di tutto quel potere. Quando tutto tornò alla normalità, la sagoma era sparita e Royal apparve così affaticato da non riuscire più a fingere di stare giocando al gatto con il topo.
Ofelia, invece, era indispettita. Il candore con cui si era ricoperta era sparito. Il vestito si era ingrigito, i capelli bruciacchiati e la pelle era sporca di fuliggine.
Sfoderò il suo fioretto e partì alla carica. Seppur rallentata nei movimenti, riuscì a dargli del filo da torcere, tanto che Royal fu costretto ad arretrare e a scansarsi di qualche passo per poter schivare i suoi affondi.
Una persona normale sarebbe quantomeno svenuta dopo quest’ultimo incantesimo! Pensò, allibito.
«Ora sì che sei finito.» Ghignò Ofelia. Poi sibilò malignamente: «Morpheus
In un attimo, l’ambiente circostante si fece molleggiante. Royal si ritrovò costretto a lasciare la presa e a guardarsi intorno, scorgendo nel buio che lo circondava innumerevoli facce mostruose apparire e scomparire come fossero soltanto immagini proiettate.
È un’illusione? Si chiese. In linea teoria sì, poteva essere considerata tale. L’abilità di Ofelia non era classificabile come mera magia illusoria – a volte neanche lei riusciva a capirne le caratteristiche. Ma Royal non aveva voglia di stare al suo gioco. Affrontò quelle facce distruggendole con i propri fulmini. Lanciò scariche elettriche in ogni direzione e schivò tutti gli attacchi perché incapace di stabilire quali fossero reali e quali no. Poi, a un certo punto, la percepì.
Percepì la presenza di qualcuno farsi sempre più vicina, alla sua destra. Così parò la stoccata di Ofelia con la mano e nonostante la lama gli avesse tagliato il palmo, dal suo corpo fuoriuscirono diverse decine di fulmini che attraverso l’arma, finirono per essere scagliate addosso all’avversaria.
La bianca boccheggiò e lasciò la presa sul fioretto, arretrando di un passo. I muscoli erano indolenziti e nonostante il suo corpo fosse molto più resistente di un normale essere umano, Ofelia si ritrovò a dover prendere in considerazione la fuga.
Dannato cagnaccio! Non ce la faccio più a sopportare tutte queste scariche!
E intanto l’illusione sembrava essersi dissolta perché Royal riconobbe la gilda mezza distrutta, i lampioni, le nuvole di piombo e Leonte, inginocchiato qualche metro più in là. Si guardò la mano insanguinata e capì che era stato grazie a quella ferita se era riuscito a uscirne. «Sei un osso duro.»
Ofelia ridacchiò, mascherando altresì una smorfia di dolore. «E tu sei soltanto un cagnaccio senza alcun rispetto. Sai cosa vuol dire mettersi contro di noi
«E tu sai cosa vuol dire mettersi contro la mia gilda?» Sibilò, iroso.
«Non me ne importa niente della tua misera gilda, cagnaccio. Voglio sapere dov’è quella bestiaccia dal sangue immondo e tu me lo dirai!»
«Perché tutta questo interesse? Non mi sembra che da voi stia dando problemi, o sbaglio?»
Leonte sussultò; la sua partner fu molto più brava a mascherare la sua sorpresa. Decise, per tanto, di non dargli corda, di smorzare la conversazione e di non istigarlo a cercare risposte che avrebbero messo in allarme i suoi superiori. «Al diavolo le informazioni. Al diavolo tutto. Tu adesso morirai.»
Royal rise, mostrandosi sicuro di sé. «Ci hai provato fino ad ora e non ci sei ancora riuscita.»
Basta. Si disse. Adesso finiamola. Il corpo di Royal venne nuovamente avvolto dai fulmini e partì all’attacco. Scattò verso di lei che, capita l’antifona, andò a rifugiarsi nello specchio con l’idea di ucciderlo al suo interno, laddove aveva il pieno controllo su tutto.
Aspettò con pazienza, aspettò fiduciosa che ne sfiorasse la superficie così da risucchiarlo ma la sua espressione mutò radicalmente non appena si rese conto che i suoi fulmini avevano cambiato colore. Da bianchi a neri. Fulmini neri e un’aura diversa da quella di prima.
Che cosa? È un...
Il pugno di Royal andò a schiantarsi contro lo specchio, all’altezza della sua faccia. Il vetro s’infranse e Ofelia non ebbe nemmeno la forza di urlare. Il suo corpo venne sbalzato fuori dal mondo-specchio e ricadde sul terreno con un tonfo.
Si morse le labbra per evitare di urlare e si portò una mano sul viso, coprendo l’occhio destro che era stato colpito dalle schegge e che aveva preso a sanguinare copiosamente. Era incazzata. Incazzatissima. «Perché hai tenuto nascosta la natura della tua magia finora?! Sei un maledettissimo God Slayer! Com’è possibile?!»
Royal sospirò, stanco. «Non l’ho mai usata in combattimento fino a oggi. E questo per evitare che gente come voi Arcani lo veniste a sapere. Dalle vostre parti io rappresento la minaccia più grande, dico bene?»
Le si avvicinò – ormai era chiaro che non riuscisse più a muoversi.
«E adesso, ditemi perché state cercando la Bestia
In un impeto di rabbia e con un verso quasi animalesco, Ofelia fece una cosa che Royal non si sarebbe mai aspettato. L’agguantò per il colletto della camicia e lo attirò a sé, stampandogli un semplice bacio sulle labbra.
Lui rievocò istintivamente la magia del fulmine per scrollarsela di dosso e, intanto, Leonte riuscì a circondarle la vita con un braccio e a trascinarla via, richiamando a sé il vento per potersi dare maggiore spinta. In questo modo, Royal si ritrovò da solo in mezzo allo spiazzale con ancora l’adrenalina che scorreva a fiumi.
Quando fu sicuro che i nemici fossero fuggiti per davvero, solo allora, il Master si rilassò. Ma una voce in lontananza lo fece voltare di scatto. Lei era lì. Clizia gli stava correndo incontro con su un’espressione puramente sollevata.
«Che ci fai qui?» Domandò, preoccupato che qualcuno l’avesse vista.
Se c’era una cosa su cui erano stati entrambi d’accordo era che nessuno avrebbe dovuto sapere della loro relazione, sia per salvaguardare la sua carriera, sia per evitare che qualcuno potesse approfittarsi di lei per riuscire a colpire lui.
Clizia, di tutta risposta, corrucciò la fronte. «E ti sembra che io possa rimanere a casa dopo che ho visto il cielo tuonare in quel modo? Sei stato un illuso, tesoro, perché io non rimango certo rintanata in un angolo mentre tu rischi la vita!»
Royal sospirò. «No, certo che no. Sei la donna più testarda che io abbia mai incontrato. E anche la più incosciente.»
«Non è vero che sono incosciente. Sono rimasta lontana per tutto il tempo, così che tu potessi combattere senza dover pensare a me. E a proposito…» Fece una pausa, Clizia, una pausa che a lui bastò per ricollegare le tempistiche e gli eventi accaduti poco prima. «Quella tizia ti ha baciato.»
Royal deglutì a vuoto. «Non mi aspettavo che dopo quel colpo continuasse a muoversi.»
«Non mi interessa.» Ribatté gelida. Se mi capita tra le mani la strangolo.
Ma era pur vero che non avevano il tempo per mettersi a discutere su questo. Clizia lo osservò in viso – constatò che non avesse riportato troppe ferite e ne rimase sollevata. Per lo meno sta bene.
«Devo tornare in ospedale. Quando ce l’ho portata, Ella era in gravissime condizioni.»
L’attrice annuì e si strinse nel cappotto che aveva indosso. Di sicuro prima avrebbe voluto riaccompagnarla a casa ma lei era decisa a lasciargli il tempo necessario per assicurarsi che quella ragazza stesse bene.
Eppure, Royal fece appena in tempo a fare un passo che un dolore lancinante al petto lo costrinse a piegarsi in due, richiamando l’attenzione di Clizia. «Royal! Ti senti male?»
Incapace di poterle rispondere, si accasciò in avanti ma lei riuscì ad attutire la rovinosa caduta, voltandolo in modo che desse le spalle al terreno. Più la sua espressione si faceva sofferente, più la preoccupazione saliva.
Osservò la mano olivastra reggersi con forza la camicia e allora Clizia gliela sbottonò nella speranza di capire da cosa derivasse quel malessere improvviso e senza senso. E così lo vide. A coprire il marchio della sua amata gilda, vi era un simbolo che non gli aveva mai visto addosso.
Un cerchio formato da ventiquattro rombi, dodici dei quali più grandi di altri, e al cui interno vi era una linea, una freccia, che dal centro puntava al rombo più in alto.
E questo che cos’è?



 
§



Le urla rabbiose di Ofelia risuonarono in tutta l’ala Ovest.
Nessuno aveva davvero il coraggio di andarle vicino e farle notare che forse, magari, avrebbe fatto meglio ad abbassare il tono della voce perché se avesse attirato l’attenzione dell’Imperatore, le cose non sarebbero finite per niente bene.
Ma no. Nessuno dei presenti aveva il coraggio di farlo.
Porzia era letteralmente scappata prima ancora che tornasse con un occhio in meno, percependo la malaparata. Quindi, con la scusa che Il Mondo potesse avere bisogno di lei si era volatilizzata. D’altronde, il suo era un lavoro importante – assisteva quell’uomo in ogni istante della sua vita.
Lisandro non voleva averci nulla a che fare – non era mai stato bravo a calmare Ofelia, non era mai stato bravo con le donne in generale. Di fatti Mercuzio glielo ripeteva sempre: «Sei un poeta, eppure quando hai davanti una donna hai l’assurda capacità di dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato. Come fai?» A ripensarci, un po’ gli mancava chiacchierare con lui. Era sempre stato un buon amico.
Per Curio valeva lo stesso, ma lui restava zitto solo perché reputava divertente sentirla imprecare… insomma, quella che di solito difficilmente si lasciava trascinare dalle emozioni, era stata non solo sconfitta, ma era stata persino ferita nell’orgoglio da un cagnaccio dispensatore di scosse elettriche!
Che indecenza.
«Fallo tornare come prima!» Esclamò imperitura a una Giulietta esasperata che, con il suo caschetto asimmetrico di capelli blu, era annoverata tra le più belle ragazze dell’intero paese.
Ecco. Lei era quella messa peggio: costretta a sopportare l’isterica che aveva perso un occhio, l’isterica che le ordinava cosa assurde. «Non posso, te l’ho già detto. Le mie abilità curative non arrivano a tanto.»
Ofelia se la prese a morte per questa cosa – neanche fosse stata lei a causarle quella menomazione.
Con la sua La Luna, Giulietta non avrebbe potuto fare niente comunque. «Piuttosto, Leonte è come nuovo. Sta dormendo. Appena si sarà ristabilito, tornatevene nella vostra città. È tanto che siamo riusciti a liberarci di quell’esaltata di Emilia inviando lei e l’Imperatrice a Cortana. Non ho alcuna intenzione di avere altri problemi.»
Ecco. Lei era anche quella che senza mezzi termini le suggeriva di sloggiare. Giulietta non si era mai fatta alcun problema a dire quello che pensava a meno che non avesse davanti l’Imperatore. Certo, davanti a lui tutti, nessuno escluso, diventavano dei cuccioli ubbidienti, pronti ad annuire e ad accettare qualsiasi decisione.
Curio ridacchiò – cosa che non sfuggì a nessuna delle due. «E tu perché sei qui?»
«Tranquilla, Ofelia, sono solo venuto a vedere come stai. A quanto pare la missione non è andata così bene. Tornerai a Fiore per la tua rivincita?»
Giulietta alzò gli occhi al cielo. Possibile che debba sempre istigare le persone? Istigare lei, poi?
Ma diversamente da come si aspettava, l’altra donna non si scompose più di tanto e, anzi, abbozzò un ghigno diabolico. «Per la verità ho già avuto la mia rivincita.» Il silenzio che seguì servì a entrambi per registrare quelle parole e capire cosa avesse combinato poco prima di essere trascinata via da lì. «Ho utilizzato Il Demone e ho maledetto quel cagnaccio! Ormai ha i giorni contati.»






















 
 
 

 
[1] Il cimbro esiste davvero. È un dialetto tedesco, o meglio, alto bavarese.
 
 
 
 

 
 
 
E dopo mesi di silenzio... rieccomi. Sono tornata in compagnia di Ella, Royal e Clizia! ^^
Avrei dovuto terminare il capitolo con un’altra scena ma alla fine mi son detta “lasciamo un po’ di suspence...” e quindi, chissà quanto vi toccherà aspettare prima di sapere come stanno Ella e Royal!

Bando alle ciance. Questo capitolo è stato difficile da scrivere per almeno due motivi.
In primis, lo stress. Questi mesi sono stati una tortura dal punto di vista mentale a causa del lavoro – dove, a quanto pare, senza di me faticano ad andare avanti… cioè, come hanno fatto a campare fino al mio arrivo? Boh. Dovrò cominciare a mettere alcuni paletti. Della serie che non bisogna sempre affidarsi alla sottoscritta, specie se c’è da scrivere una STRAMALEDETTISSIMA nota di TRE RIGHE. E che cavolo! Scusate lo sfogo ^^
E poi, anche perché non avevo idea di come strutturare tutto lo scontro di Royal vs Ofelia. Cioè, avevo scritto inizio e fine, ma non la parte centrale! ^^

Ad ogni modo, cosa ne pensate? E lo so cosa state pensando... e no, non vedremo Clizia solo e soltanto in scene vietate ai minori. È solo che mi sembrava un peccato. Tu che stai leggendo, immagina di essere Clizia: c’è quel figo di Royal a pochi passi da te, che fai, non ne approfitti? XD

Vi aspettavate tanta devastazione? Ella che versa in condizioni critiche, Royal che ha qualcosa di strano addosso... chissà cos’è. Idee?

Domanda importante: i nomi dei personaggi “apparsi” nell’ultima scena (gli Arcani) vi dicono niente? Eheh *^* sapete che io ho delle fisime – un po’ come Oda che adora dare ai suoi personaggi nomi/caratteristiche che rispecchiano un determinato ambito o una determinata cultura. Io ho fatto lo stesso. Pensateci. Pensateci prima di leggere la curiosità n. 20, però.

Curiosità n.19 ► Prima dell’incontro focoso avuto con Clizia, Royal era stressato. Per questo, Clizia gli dice che gli chiede come stia. C'è chi pensa che sia per l'assenza di Killian a cui è solito sbolognarei suoi doveri.

Curiosità n.20 ► Per i nomi degli Arcani ho preso ispirazione dai personaggi di Shakespeare: Giulietta e Mercuzio da “Romeo e Giulietta”; Curio da “La dodicesima notte, o Quel che volete”; Porzia da “Il mercante di Venezia”; Ofelia da “Amleto”; Leonte da “Il racconto d’inverno”; Lisandro da “Sogno di una notte di mezza estate”. Emilia da “Otello”. Ecc. E Betty? Quale sarà il suo nome completo?

Potete dirlo. Sono matta. Non mi offendo ^^
A questo punto vi lascio con questa.

BREVISSIMISSIMISSIMA SCENA TAGLIATA MA CHE MI SEMBRAVA BRUTTO BUTTARE [Ella e Lily sono appena tornate dopo il tuffo al laghetto]:
Tornarono a casa zuppe d’acqua e tremanti. Killian era tornato da poco e quando se le era viste apparire davanti, aveva riso di sua sorella – il suo “pulcino bagnato” preferito – e aveva dato il benvenuto alla piccola Ella che, per via di tanta gentilezza, arrossì.

Alla prossima! ^^


Rosy



P.S. Ovviamente, la scena integrale di sesso la pubblicherò nell'apposito spin off a rating ross ^^


PP.SS. Oda è un pazzo. È da ricovero. 



 
  
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