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Autore: A_Typing_Heart    27/05/2023    1 recensioni
Due morti accidentali identiche. Dubbi, sospetti e insabbiamenti. Una chiesa che cela gelosamente i suoi segreti e i suoi tesori. E una richiesta silenziosa che Mikaela, sopravvissuto a una pericolosa setta, non può lasciare inascoltata.
* segue Il Vampiro di West End *
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Crowley non vedeva l’ospedale del West End da quando Ferid era stato avvelenato con l’aconito. Questa volta però lo andò a cercare in un altro reparto, al primo piano dell’ala sud. Sbirciò dentro un paio di stanze con la porta aperta, poi lo trovò sulla panca nel corridoio, seduto a gambe incrociate. Una serie di vagiti veniva dal fagottino che teneva sulle gambe, dal quale un braccino minuscolo si muoveva.

Bussò piano sulla parete per annunciarsi. Ferid lo guardò con un sorriso incerto.

«Ciao… come mai qui?»

«Sono venuto a vedere tuo figlio.»

Il suo sorriso divenne più convinto e prese il neonato in braccio con tutte le attenzioni di un genitore che non aveva mai avuto a che fare con bambini piccoli. Crowley si avvicinò, ma non si sedette accanto a lui.

Il bambino era piccolo e vivace, aveva ancora il naso schiacciato ma un paio di vividi occhi azzurri e pochi capelli chiari, dal riflesso biondo. Suo malgrado il tenente sorrise e si lasciò vincere dalla tentazione, accarezzandogli il visetto con il dito.

«Ti assomiglia già adesso… ma tu non hai mai avuto delle guance così piene, neanche quando ti sei ingozzato di burritos.»

Il risolino di Ferid venne quasi coperto da un vagito acuto del piccolo.

«Lo conosci da venti secondi e gli stai già raccontando cose imbarazzanti su di me…»

«Gli interesseranno molto quando sarà un po’ più adolescente» lo rassicurò Crowley. «Allora? Ora sei papà… come ti senti?»

Ferid fece un sospiro che aveva un che di sognante. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e per lui questa era già una risposta.

«Sono terrorizzato… ce l’ho qui da un paio d’ore e mi sto già chiedendo se farei bene a dargli tutto quello che vuole o se dovrei fargli sapere quanti fondi ha solo da grande, quando si sarà costruito una carriera… o in quale modo lo dovrei motivare a studiare. Credo che prima di mezzogiorno le mie preoccupazioni saranno sul suo piano di pensionamento.»

Crowley rise e scosse la testa.

«Ferid, credimi, ti sentirai uno scemo domani quando il tuo panico sarà tutto perché non sai come tenerlo fermo e chiudere un pannolino con sole due mani.»

Il nervosismo s’impennò come un cobra reale. Ferid guardò il pannolino nello stesso modo in cui guardava un ingrediente dimenticato sul ripiano a ricetta conclusa.

«Io non ho figli… ma i miei cugini ne hanno due a testa. Se vuoi essere un bravo genitore goditi le sue fasi, perché quando sono piccoli durano un attimo e il giorno dopo non sono più gli stessi. Ora pensa al latte, ai pannolini anallergici, al talco e… beh, ti risparmio le immagini peggiori. Ti piacerà lo stesso. I genitori diventano incapaci di provare disgusto per tutto il tempo in cui la loro prole ha da zero a otto anni.»

«E dopo gli otto?»

«Iniziano a lamentarsi del fango sui vestiti, se ricordo bene.»

Ferid rise. Crowley provò quasi un dolore fisico al petto quando lo vide strusciare il viso con quello del bambino, come i gatti affettuosi o i bambini con i loro peluche preferiti.

Si voltò verso la stanza con il vetro e si avvicinò per guardare bene, per la prima volta, la donna del miracolo. Quella con cui Ferid lo aveva tradito – di per sé l’atto non gli aveva fatto eccessivamente male, date le circostanze – e che gli aveva dato il tesoro di una vita. Questo gli aveva impedito di incontrare quella donna fino ad allora: la consapevolezza che anche standogli accanto una vita con il massimo della devozione non avrebbe mai dato a Ferid qualcosa di altrettanto prezioso.

«Qual è?»

Ferid sembrò apparirgli accanto per magia tanto era stato veloce e silenzioso.

«La mora, nel letto in fondo.»

Crowley guardò meglio Estelle Young, che si stava pettinando i capelli corvini con l’aiuto dell’infermiera. Pur reduce da una notte di travaglio e da un parto era stupenda, e non riuscì a negarlo neanche pescando dentro il piccolo pozzo di gelosia che provava per lei.

«Dannazione, Ferid. È bella veramente.»

«Lo so.»

«Che diavolo ci fai a casa mia? Persino io ti mollerei per lei.»

Ferid rise abbastanza forte da indispettire il bambino, che minacciò di scoppiare a piangere. Il modo in cui lo cullava per scongiurare il pericolo lo faceva sembrare un artificiere alle prese con una bomba, e quando il piccolo si placò sospirò come se avesse ripreso il controllo di una macchina che slittava sulla neve.

«Sto da te perché ti ho scelto… poco importa quanto bello sia chiunque altro, e che cosa sono in grado di regalarmi… la mia vita non è completa senza di te.»

Crowley gli diede un bacio sul viso, assicurandosi che Estelle non potesse vederli dalla stanza. Per geloso che fosse non poteva mancare di tatto nei confronti di una donna che stava per iniziare una vita da madre single, anche se finanziariamente e moralmente supportata.

Poco dopo Ferid si rimise seduto in quella strana posizione giustificandosi con “tre chili di neonato pesano più di tre chili di ferro”, e depose il suo piccolo erede nello spazio della sua gamba piegata: ci calzava come un fagiolo nel suo baccello.

Almeno per i prossimi dieci giorni…

«Che peccato, però…»

«Che cosa?»

«Che sia un maschietto… speravo che fosse femmina» ammise Ferid. «Così tu… l’avresti adorata di sicuro.»

«Non essere stupido, Ferid. È tuo figlio, non dovresti neanche pensare delle assurdità del genere… e siccome è tuo figlio io l’adoro a prescindere.»

Erano discorsi che non avevano affrontato per tutta la durata della gravidanza di Estelle. Crowley si offrì di prendergli qualcosa da bere, per lui e per prepararsi psicologicamente: se finora avevano rimandato tutti i dettagli tecnici e ogni discussione su quello che sentivano e sui loro ruoli, adesso erano inevitabili.

Quando tornò portandogli una bottiglia di acqua e una di tè alla pesca, però, trovò Ferid che piangeva. Teneva il bambino in braccio, ma dagli occhi scendevano lacrime copiose come gocce sulla finestra in un giorno di pioggia.

«Ferid… ehi, che succede?»

«Ho paura di dimenticarmelo» rispose lui con la voce rotta. «Ho paura di non ricordare il giorno in cui è nato l’unico figlio che avrò… di dimenticarmi che tu c’eri, che cosa ho sentito… di dimenticarmi come vedo Eden adesso.»

Crowley sospirò. Non aveva tutti i torti, ma non avrebbe avuto senso alimentare il suo terrore, guastandosi magari senza ragione uno dei giorni più emozionanti della sua vita.

«Non succede da tanto… vedrai che non lo perderai.»

«Ma se succede oggi?»

Appoggiò le bottiglie sulla panca e prese il cellulare dalla tasca. Passando tanto tempo con Yuu nei mesi di assenza dei loro partner aveva imparato a usarlo meglio, così accese il video mentre inquadrava Ferid.

«Sei in onda, Ferid. Smetti di piangere, questo resterà negli annali.»

«C-che… n-non riprendermi!» protestò lui, asciugandosi la faccia con la manica.

«Così ricorderai tutto. Ricorderai che tempo faceva, che io ero qui, che aspetto aveva tuo figlio e quanto eri patetico.»

«Oh, che comportamento gretto, Crowley! Aspetta… taglia questa parte, facciamone un altro…»

Crowley sorrise e ingrandì la ripresa sulla sua faccia arrossata.

«Neanche per sogno. Quando sarà grande si divertirà a vedere che ti cola il naso…»

«Meschino» sibilò lui.

Decise di dargli un attimo di privacy per soffiarsi il naso e nel mentre inquadrò il bambino, i cui occhi si richiusero sonnolenti mentre lo riprendeva. Quando Ferid fu presentabile allargò il campo per includerlo.

«Okay, Ferid, ora sei serio. Dicci che giorno è, dove siamo e chi c’è con te.»

«Oh, Crowley… è stupido…»

«No, è un documento importante. Lo vedrà quando sarà grande.»

Lui sospirò e si schiarì la gola.

«Ehm… è la mattina del diciotto giugno, è sabato… siamo al Central Hall Hospital di New Oakheart… il cameraman è un grosso scemo che in alcuni ambienti malfamati chiamano tenente Eusford» fece Ferid scoccandogli un’occhiataccia. «Qui con me c’è Eden, che è nato stanotte e pesa due chili e novecento… e la mamma si sta facendo bella. È terribilmente vanitosa.»

«Senti chi parla» commentò Crowley.

«Ehi, i cameraman non commentano!»

«Ti piacerebbe» lo punzecchiò lui. «Avanti, questo video Eden lo vedrà quando sarà alle soglie della scuola elementare. Digli due cose che è importante che sappia a quell’età.»

«Eh? Ma non lo so… perché dovrei pensarci adesso?»

«Non lo so, ma mio padre l’ha fatto con me.»

«E cosa ti ha consigliato?»

«Di non buttare via i soldi e che per baciare una ragazza ci sarebbe sempre stato tempo. Se posso dirlo, due pessimi consigli da dare a un bambino, tu cerca di fare qualcosa di meglio.»

Ferid esitò, guardò Eden per un lungo momento, poi tornò a guardare in camera.

«Penso… che ti darò due consigli che mi diedero due persone meravigliose… che mi sono stati utili… indispensabili. Il primo è: “non smettere mai di leggere”. È molto più che conoscenza… molto più che studiare. Se lo farai poi capirai perché è così importante.»

Crowley annuì. Sapeva che erano parole di Claude Trobiano, e in quel momento non poteva non essere grato a un uomo che non aveva mai conosciuto ma che, dando a Ferid quel consiglio, aveva fatto sì che si incontrassero.

«Il secondo consiglio è… sii qualsiasi tipo di uomo, purché sia vero.»

L’emozione tolse la voce a Ferid e anche al suo cameraman. Ferid si asciugò l’occhio e annuì.

«Penso… che potrai chiedere direttamente a chi me l’ha detto che cosa significa. Spero che potrai.»

Crowley incrociò gli occhi di Ferid al di sopra del cellulare.

«Certo che potrà. Io ci sarò.»

Ferid sorrise e Crowley terminò il video.

 

****

 

Guren si accigliava sempre di più a ogni passo che Yuu faceva verso il suo tavolo. Quando si sedette davanti a lui sembrava quasi accartocciato dal peso della sua irritazione.

«Che fai tu qui?»

«Ho fatto il giro di tutte le caffetterie per trovare il posto dove vieni tutti i giorni. Ordinaria amministrazione per gli investigatori. Si chiama “vecchia scuola”.»

«Non parlarmi di vecchia scuola, sei un poppante.»

«Con buoni maestri della vecchia scuola» precisò lui. «Non sono il tipo che fa tante chiacchiere, quindi vado dritto al punto. Ho una proposta per te.»

«Non hai assolutamente nulla che possa interessarmi in un senso qualsiasi» commentò Guren annoiato, abbandonando il tavolo.

«Prendi me per la tua squadra.»

Guren si girò di scatto. Quasi lo stupore aveva superato lo sdegno.

«Prego?»

«Hai detto che avevi un posto per Mikaela, no? Prendi me al posto suo!»

«Ho un posto per lui perché è in gamba ed è preparato. Perché mai dovrei volere un pivello come te?»

Yuu attese il punto di tensione più alto, quando stava per voltarsi, per sollevare un quaderno dalla copertina rigida piuttosto frusta, e tirò un sorriso più simile a un ghigno.

«Perché io ho qualcosa per cui tu e la tua squadra avete pregato» l’ingolosì il ragazzo. «Qualcosa che potrebbe fare di voi delle leggende.»

Guren dimenticò del tutto il suo tono acido e mosse ampi passi per tornare indietro, con gli occhi viola fissi sul quaderno. Yuu tirò indietro il braccio prima che potesse anche solo sfiorarlo.

«Se non mi mostri cos’è come so se ha qualche valore?»

«Gli Emissari dei Sei Divini, l’ordine delle Rovine, il Culto D’Oro, i discepoli di Aeon, la Fratellanza delle Aquile, i Gardiens de Gloire» elencò, battendo sulla copertina con la nocca. «Sono tutti nomi che sono qui dentro. Tutto quello che io voglio è esserci quando prenderete i Figli di Prometeo.»

La faccia di Guren era diventata più pallida e Yuu non poteva desiderare una reazione migliore. Ripose il quaderno sotto la giacca.

«Allora… abbiamo un accordo?»

Guren era in borghese, in jeans scuri e t-shirt stampata, eppure quando gli offrì una stretta di mano era impettito come un ufficiale di stato maggiore in alta uniforme.

«Benvenuto a Quantico, agente Amane.»

 

****

 

Nel buio, Mikaela ascoltò il proprio respiro mentre i muscoli delle gambe si stendevano uno a uno. Raddrizzò la schiena e infilò le cuffie ad archetto in modo che non si impigliassero nei capelli.

La musica che riproduceva era senza parole, in modo che potesse ascoltare i propri pensieri senza distrazione. Non sentì i passi che fece sulla strada, ma era concentrato sul suo corpo dall’interno: il battito del cuore, la profondità del respiro, la contrazione dei muscoli, la pressione della suola contro l’asfalto, l’umidità dell’aria sulla pelle…

Quando abbandonò Mountain Road le sue scarpe raggiunsero la massima efficienza, come il suo corpo che iniziava a essere sveglio. Stese la mano per sfiorare il grano, perché sarebbe stata l’ultima mattina in cui avrebbe attraversato correndo quella distesa d’oro accarezzata dalla luce aranciata dell’alba.

Il sole stava sorgendo sui campi del Kentucky.

 


 

E siamo di nuovo alla fine di un altro viaggio insieme, o almeno a un'altra tappa di un viaggio iniziato tempo fa, perché immagino che se sei qui è perché hai iniziato dal Vampiro di West End. 
Come autrice, a me sembra passata una vita da allora anche se il Vampiro è una storia che prende forma nel periodo del lockdown del 2020: ho studiato e (spero) imparato nel frattempo, e percepisco una grande distanza dal primo capitolo a questo finale del secondo "libro". Spero che una trasformazione positiva sia arrivata anche a te.
Lascia che ti ringrazi, perché leggere una quantità di parole come il Vampiro e la Chiesa equivale a leggere tre o quattro romanzi, considerando la media dei libri sentimentali, thriller e gialli. E questo tempo tu l'hai dedicato a me. Per questo ti ringrazio dal profondo del cuore.

Tra non molto inizierò la pubblicazione dell'ultimo arco della serie, più breve di questi, ma che li conclude (mi auguro) con soddisfazione. Confido che tu abbia voglia di camminare con me ancora un po' e chiudere questo viaggio insieme.

A presto.
   
 
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