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Autore: Angel_lilac    01/06/2023    0 recensioni
Avevamo messo piede in casa da pochi minuti e tu non avevi potuto gioire dei suoi profumi, gli stessi che io avevo sognato per tutto l’inverno. Non gioisci mai di niente. Piangi ricordando di quando eri leggera, così leggera che l’Ander avrebbe potuto portarti via, ma cosa è cambiato davvero?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Così passarono due settimane e quattro giorni. Quando mi stavo ormai abituando a dividere le mie giornate con un viso gemello, il caschetto rossastro e la pelle olivastra di mamma ricomparvero sul cancello di casa, accompagnate da un volto piatto, in cui si incastravano due occhi minuscoli e antipatici.Per qualche ragione, il mio cuore prese a battere in maniera incontrollata e tu, che seduta al tavolo della cucina non potevi scorgere il loro ingresso, sembrava avessi percepito i miei battiti.

« Cosa sta succedendo? » 

Io restai in silenzio per un attimo, mentre studiavo i movimenti di quell’individuo. La camicia gli si incollava alla pelle a causa del caldo, il primo e il quarto bottone slacciati, ed indossava dei mocassini che mi davano l’impressione di volersi sfilare dai suoi piedi in qualsiasi momento. Dietro di sé trascinava una valigia di un colore appariscente ed attraverso i finestrini della sua auto mi sembrava di intravedere un mucchio di sculture di legno, forse souvenir del loro viaggio. 
Mi voltai. Il tuo sguardo era rimasto in attesa di una risposta. 
« Mamma è tornata » dissi solo. Ma a te non bastava, così mi raggiunsi di corsa alla finestra. Sicuramente mi aspettavo un’espressione diversa da quella che si dipinse sul tuo volto, ma comunque non poteva significare nulla di positivo. Dopo pochi secondi mamma entrò in casa saltellante e corse ad avvolgerci in un abbraccio impacciato. Poi ci presentò quell’uomo, o meglio mi presentò, perché sembrava ostinata a non incontrare i tuoi occhi mentre diceva con certo entusiasmo: « Lui è Bruno, è un collezionista. Ci siamo incontrati all’asta del museo, quella in memoria del papà »
Io gli strinsi la mano, ma non potevo celare un’espressione diffidente. Eppure sembrava che lui non volesse disturbarsi troppo a notarlo.  
Mamma cominciò ad elencare il suo programma per la cena e ad inviarci in spedizioni in paese per recuperare l’indispensabile. Io ero quasi entusiasta di allontanarmi immediatamente da loro e tu non volevi parlare, così ascoltammo in silenzio il rumore della ghiaia sotto ai nostri piedi, finché non arrivammo in piazza. Una volta tornati si era già fatta sera e mamma ci aspettava impaziente con le pentole già sui fornelli. L’uomo non faceva altro che riportare dibattiti di suoi “colleghi” sui temi più roventi che circondano l’arte contemporanea, ma è così facile ammaliare con parole altrui. Fu la cena più insopportabile della mia vita. 

Lui è un collezionista di oggetti vuoti, non di arte o almeno ho la sensazione che le opere perdano la loro aurea quando varcano la soglia della sua galleria. Non conosce l’insoddisfazione, l’indagine, il contatto, non conosce lo struggimento, il fugace orgoglio. Lui conosce solo gli applausi, i flash della stampa e gli aggiudicato alle aste. Non credo si nasconda alcun criterio dietro alle proprie collezioni, forse solo una forma di horror vacui che lo costringe a riempire ogni margine del suo archivio. 
Ma tu sei sempre stata cortese con gli sconosciuti e forse il tuo interesse nei suoi confronti era davvero genuino. Infatti, annoiato dalla conversazione sterile che stavamo intrattenendo ormai da troppo tempo, l’uomo si era voltato per chiedere con finta gentilezza di parlargli di te. Si intendeva fosse alla ricerca di una storia più interessante della mia. Ma tu non sapevi come soddisfarlo e rimasi in attesa della sua arrogante replica al tuo sguardo imbarazzato: « A volte ciò che gli altri dicono di noi è più verosimile rispetto a come ci piace descriverci… ».
Io alzai gli occhi al cielo e tu approfittasti del momento in cui mamma  andò a recuperare altro vino per rispondere con voce dolce « Mamma dice che sono fuori dal mondo e che non capisce quando intendo davvero le sciocchezze che dico. Ma mio papà diceva che somiglio ad un angelo con ali come neve e pelle di porcellana ». Lui sorrise e mosse gli occhi nella mia direzione, così velocemente da non riconoscere il mio sguardo irritato. Al suo sguardo inquisitore, tu risposi: « Mi vuole bene » 

« Tutto qui? » fece lui. 

I tuoi occhi mi sorrisero: « Quando eravamo bambini ha legato insieme i nostri polsi con una manica ritagliata da una camicia di papà, perché temeva potessi sfuggirgli. Ma ora non lo ammetterebbe mai » Al tuo sorriso ricambiai con finto imbarazzato.


Ed è tutto qui quello che il futuro ha in serbo per noi, per te. Sguardi imbruttiti, imbarazzati in spazi desolanti, di fronte ad occhi desolati. Ma a te piace ancora sorridere e fingo che a tratti non mi dia sui nervi. Non puoi trattenere il futuro in una mattonella di lapislazzuli. E non puoi sradicare la cultura. Questo lo sai bene, anche se il spazio di mondo da cui ti lasci accudire nei mesi estivi te ne dà l’illusione. È facile adagiarsi alla vita quando la pelle brucia ed l’acqua ti solletica i piedi.
Ma la mia pietà non ti è più sufficiente, e seppure hai imparato ad incontrare occhi non compassionevoli ancor non li sai affrontare. Non puoi più concederti il lusso di sguardi silenziosi, non puoi pretendere di poter racchiudere te stessa in un timido sorriso. E allo stesso tempo, prego che non diventi una di quelle persone che passano le giornate a limare se stesse e diventano affilate e dimenticano la dolcezza. 
D’estate ti scordi dei meccanismi che articolano il mondo, dimentichi di essere diventata grande, che dopo verrà l’inverno e tornerai a gelarti i piedi su quel freddo pavimento in città. Dimenticherai che esistano certe sensazioni e ti consolerai nell’indifferenza. Non ti mancherò io, ci sentiremo a malapena. E non ti mancherà il profumo del lago, perché d’inverno ha un'atmosfera triste e preferisci starne lontana. 
Persino io ti sto perdendo di vista. Ci sono riflessi di te che non so più decifrare. Ed è inutile tendermi la mano quando posso solo strisciare tra la mia frustrazione ed immobile disillusione. Abito un piccolo spazio, una fissa dimora, ho smesso di barcollare ancora tempo fa. E questa è la differenza tra me e te. 
So che se quella sera ti avessi sputato tutte queste parole in faccia avresti passato il viaggio in treno nel mutismo più radicale e forse avresti avuto anche un po’ pietà di me e delle mie convinzioni. Ma nonostante i quattro calici di vino mi avessero turbato l’animo, ebbi la decenza di non provocare lo stesso effetto in te.

Ed il mattino successivo, dietro al tuo sguardo che si posava delicato sulle colline, sentivo la tua fatica nell’accettare il volgersi dell'illusione in cui avevi vissuto da ormai due settimane. Una volta arrivati alla stazione ci saremmo salutati, tu mi avresti lasciato un foglio con trascritte le poesie che avevo cercato di sbirciare durante il periodo trascorso insieme, raccomandandomi, come ogni anno, di leggerle una volta lontani. E solo alla conclusione di questa parentesi avrei saputo decifrare tra quelle righe tutti quei tuoi sguardi enigmatici che per giorni e giorni mi avevano dato irrequietezza. Tutto tornava al proprio posto, ogni anno, col volgersi dell’estate e mentre ci avviavamo a binari diversi nell’attesa di un secondo treno, sapevamo entrambi che non avremmo sentito le nostre voci per mesi, nonostante un tempo correvamo per il giardino con i polsi legati da una striscia di lino. 
Eppure in questo cambiamento che tanto ti tormenta, appariamo ottusamente abitudinari, i nostri gesti ripetitivi, le nostre scelte strade già percorse. E un giorno vorrei che imparassi ad accettare la nostra incredibile banalità, anche se queste mura ci fanno pensare diversamente. Certe volte, quando il vento mi solletica la pelle e mi sussurra nelle orecchie, mi illudo ancora che lo faccia solo con me. E altre volte ancora ho la sensazione che tutto esaurisca il proprio senso in quel piccolo spazio in cui finisce l’asfalto e comincia la melma.

   
 
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