Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Jamie_Sand    16/06/2023    4 recensioni
Nel pieno della seconda guerra magica, lontano dalla famiglia, senza più una fidanzata e con ben pochi amici rimasti al suo fianco, il giovane Percy Weasley cerca di fare del suo meglio per limitare i danni.
Poi, una notte di fine ottobre, l'incontro con una babbana di nome Audrey Manning.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Audrey, Famiglia Weasley, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Tw: violenza, sangue, cose brutte ma ahimé necessarie. 

 

Capitolo 11


Dopo le vacanze di Natale il tempo iniziò a scorrere molto più lentamente, in un incessante susseguirsi di giornate grigie e innevate. Il 1998 arrivò portandosi dietro una bella bufera di neve: Audrey passò il capodanno a casa con nonna Harriette, nonna Constance, suo padre e lo zio e, qualche settimana dopo, Jude ripartì per il New Jersey. Elijah decise invece di rimanere a Londra: troppo preoccupato per l’aria che si respirava nel mondo magico per riuscire a lasciare la casa di famiglia senza preoccupazioni, si sistemò nella stanza che durante le feste era stata occupata da Percy. 

Da quando Audrey aveva scoperto la verità, tutti in quella casa avevano preso l’abitudine di fare incantesimi senza timore. Nonna Harriette si occupava di pulire la casa imponendo semplicemente le mani, mentre Elijah di tanto in tanto si chiudeva nel suo van a fare esperimenti sulla magia, lamentandosi di quanto gli mancasse il suo lavoro di ricerca all’Ufficio Misteri. 

Insospettito da strane presenze che aveva notato aggirarsi non troppo distanti da lì, il mago circondò la casa di incantesimi di protezione e diede ad Audrey una bussola ammaccata che aveva incantato per far si che le fornisse una via di fuga in caso di pericolo. 

- Tienila sempre con te: ti porterà esattamente dove devi andare. - Le aveva detto. 

Audrey era certa che suo zio fosse un po’ paranoico. Dopotutto cosa potevano volere i Mangiamorte da loro? 

Comunque non le dispiaceva avere sempre un passaggio, visto che Elijah non se la sentiva affatto di mandarla in giro da sola. 

Di tanto in tanto, capitava che Audrey sentisse sua nonna litigare con suo zio nel silenzio sonnacchioso della notte. Lei accusava il figlio di non mantenere un basso profilo, di metterli tutti in pericolo, che doveva smettere di fare ciò che faceva (qualsiasi cosa stesse facendo), e lui di rimando diceva che non poteva far finta di niente, che lì erano al sicuro, che nessuno avrebbe mai fatto loro del male e che, se proprio aveva paura, poteva raggiungere Jude in America. 

Una notte di metà gennaio, Elijah tornò a casa portando con sé un uomo ferito, chiedendo a sua madre di aiutarlo. Harriette allora aveva esitato e inveito contro il figlio, ma poi aveva trasformato la vecchia stanza di Jude, al piano di sopra, in una sorta di pronto soccorso. Iniziò in questo modo a capitare sempre più spesso di ritrovarsi degli sconosciuti e malridotti maghi in casa, cosa che portò Audrey in contatto con cose strabilianti: Harriette sapeva rimarginare ferite, curare infezioni, alleviare qualsiasi tipo di dolore; univa la medicina magica con quella babbana imparata durante i suoi anni da semplice infermiera e sempre, tutte le volte, rimetteva in forze il paziente di turno. 

Di tanto in tanto Audrey la aiutava nelle procedure più semplici che non implicavano l’uso della magia e, davanti ai racconti terribili di chi passava in quella casa, la giovane si rese conto di essere la persona meno coraggiosa di questo mondo: l’idea di andarsene, di raggiungere suo padre dall’altra parte del mondo, la sfiorava ogni volta in cui qualcuno arrivava ferito e spaventato a casa sua. 

Tuttavia c’era qualcosa di più forte dell’attaccamento alla vita a tenerla ancora lì in Gran Bretagna, anche se il mondo sembrava essere completamente impazzito: Lucy. 

Non poteva di certo lasciarla lì e mettersi in salvo senza di lei, che sembrava non avere nessuna intenzione di abbandonare Hogwarts e i suoi amici al loro destino. 

Durante quei giorni folli, Audrey decise che suo zio si sarebbe occupato delle lettere tra lei e sua sorella al posto di Percy, così da poterlo evitare come una brutta variante di spruzzolosi capace di colpire anche i babbani.  

Certo, la corrispondenza era meno fitta, ma ad Audrey andava bene così: avrebbe fatto di tutto per tenersi ben lontana da Percy e soprattutto dall’imbarazzo che provava ogni volta che si incontravano. 

Tra loro sembrava essersi alzato un vistosissimo muro di ghiaccio che li spingeva a comportarsi come due perfetti sconosciuti l’uno con l'altra ma, nonostante ciò, Percy continuava a passare al Bistrot in cui la ragazza lavorava molto più spesso di quanto fosse sopportabile. 

- Sono qui solo per assicurarmi che tu non sia in pericolo e per portarti qualche novità dal mondo magico. - Era questa la versione ufficiale che lui forniva ogni qualvolta in cui lei gli chiedeva con irritazione cosa ci facesse lì. 

Ma la verità era che lei gli mancava. 

Gli mancava, ma non come gli mancava Penelope, non come un’abitudine.

C’era qualcosa di più, qualcosa che non si riusciva a spiegare che lo spingeva sempre lì, che gli faceva venire voglia di raccontare a lei e solo a lei ciò che gli capitava durante la giornata. 

Lei però di rimando era un pezzo di ghiaccio, un po’ come se fosse tornata ad essere quella ragazzina diffidente che aveva incontrato mesi prima. 

Con l’arrivo di febbraio il tempo migliorò: la neve scomparve pian piano dalle strade ma il cielo rimase grigio.

Un giorno Percy uscì di casa e si rese conto che tutte le vetrine dei negozi lungo la strada su cui abitava erano state addobbate da cuori, fiori e piccoli cupidi. Stava arrivando il giorno di San Valentino, ma di buono c’era il fatto che almeno al Ministero non ci sarebbe stata quell’aria melensa quell’anno. 

Tuttavia, quando mise piede in ufficio, la mattina del 14 febbraio, dovette ricredersi. Sembrava infatti che il Ministro avesse una passione ben poco segreta per la festa degli innamorati, cosa che aveva lasciato una grande libertà di festeggiare a tutti gli impiegati. 

Dei piccoli putti incantati, simili a fatine, si aggiravano per i corridoi del Ministero cozzando malamente con l’aria pesante dei tempi di guerra che si respirava da mesi da quelle parti, c’era chi si scambiava dolci e fiori, qualche stendardo tutt’altro che sobrio era apparso qua e là. 

Candace Fernsby, una giovane dipendente dell’ufficio Applicazione delle Leggi Magiche che Percy aveva conosciuto ai tempi del signor Crouch — e che aveva inspiegabilmente una cotta per lui — gli fece trovare come tutti gli anni una scatola di ottimi cioccolatini sulla scrivania, accompagnata da un bigliettino che si mise a cantare una canzone di Celestina Warbeck nonappena Percy lo aprì. 

Poco prima di mezzogiorno, il Ministro si era affacciato nell’ufficio del suo giovane assistente e gli aveva ordinato di andare a comprare al posto suo dei fiori per la moglie, cosa che aveva scioccato Percy: se uno come O'Tusoe si era sposato allora c’era speranza proprio per tutti. 

- Oh Godric… - Mugugnò Katie Bell, quel giorno durante la pausa pranzo, seduta insieme a Percy a uno dei tavoli della caffetteria gestita da elfi del Ministero. - Vorresti dirmi che c’è una donna a questo mondo che trova il Ministro… desiderabile? - 

- Ha detto “moglie”, quindi direi proprio di sì. - Annuì Percy, fissando con contrarietà l’insalata di pollo che aveva sul piatto. 

- Assurdo. - 

- Già… hanno anche una prenotazione in quel nuovo ristorante a Diagon Alley… quello su quella terrazza. - 

Prima di iniziare a collaborare con lei e Oliver per mettere in salvo più persone possibili da Azkaban, Percy non aveva stretto nessun significativo rapporto con gli altri dipendenti del Ministero. Si era ritrovato parecchie volte in quella caffetteria da solo, sperando con tutto il cuore di non vedere entrare suo padre, a consumare un miserevole pasto prima di tornare a lavoro. Ora invece… be’, Percy doveva ammetterlo: era bello avere una amica lì con lui. 

- Tu e Oliver avete programmi per stasera? - Le domandò. 

Katie fece un verso a metà tra lo sprezzante e il divertito, poi strinse la tazza che aveva davanti tra le mani. - Lo conosci, l’amico tuo… - Buttò lì, e poi sorrise e aggiunse: - Non è mica un tipo romantico come il Ministro. - 

Percy rabbrividì e Katie rise.

- Anche i più insospettabili vengono amati e fanno sesso. - Disse divertita. - Chissà se anche Tu-Sai-Chi… - 

Percy sgranò gli occhi e si guardò attorno. Parlare male dell’Oscuro Signore o prenderlo in giro in un luogo pubblico non era affatto una buona idea. - Abbassa la voce! - 

- Scusa, scusa… - Fece lei. - Tu cosa farai stasera? - 

- Lavoro fino alle sette, poi tornerò a casa. - Rispose Percy, perdendo lo sguardo verso il bancone posto sul lato destro del locale, dietro cui c’erano una schiera di elfi che si davano da fare. - Forse vado a vedere come sta Audrey, non la vedo da giorni. - 

La strega sogghignò, come accadeva tutte le volte in cui lo sentiva pronunciare quel nome. Era sempre così: ogni qualvolta in cui Percy parlava di lei, Katie e Oliver lo guardavano come due ragazzini delle scuole medie osservano il loro compagno di classe cotto della ragazzina più carina della scuola. 

- Hai pensato di prendere dei fiori anche per lei? Magari così vi riappacificate. - Suggerì Katie. - Insomma, sei stato un po’ stronzo… -

Percy borbottò un rapido “no”, afferrò la forchetta a lato del piatto e smosse un po’ l’insalata di pollo senza aggiungere altro. 

Katie sbuffò. - La cosa davvero deprimente è che a te lei piace. - Asserì. 

- Anche se fosse non potrei farci niente. - Ribadì Percy. - Io sono impegnato con un’altra donna e lei è una babbana. - 

- Anche mia madre era babbana. - 

- A quei tempi non c’era una guerra. - 

- Erano gli anni ‘70, sì che c’era una guerra. - Obiettò Katie. 

- Ma Tu-Sai-Chi non stava vincendo. - Ribatté freddamente Percy. - Sono arrivati al Ministero, comandano loro adesso, non posso rischiare la vita perché mi sono preso una cotta. Potrebbero uccidermi o ucciderla, in ogni caso non ci sarebbe alcun futuro. - 

- Quindi lo ammetti! - Esclamò Katie. 

- Che cosa? - 

- Che provi qualcosa per lei! - 

Percy le scoccò uno sguardo torvo. - Provo per lei una innegabile simpatia. - Disse. - È molto bella, decisamente interessante e di certo mi sento attratto da lei, tuttavia posso dire con certezza che non c’è altro che questo: una semplice attrazione fisica condita con del rispetto reciproco. - 

- D’accordo, lo prendo come un sì. -

Percy si lamentò sommessamente e decise di dargliela vinta: - Fa’ come vuoi, Bell… - Disse, seppur un po’ infastidito. - Ma ora parliamo di cose serie: come va al Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti Magici? - 

Katie scrollò le spalle. - I babbani stanno capendo che c’è qualcosa che non va. - Rispose a bassa voce, guardandosi fugacemente intorno. - Il lupo mannaro… quel Greyback… sta facendo parecchi danni in giro. La storiella dell’orso non regge: dove l’hai mai visto un animale selvatico che attacca solo ragazze babbane? - 

- Be’, ha anche attaccato un paio di bambini, mi pare. - 

- In quel caso era più un’arma da sguinzagliare contro chi non era proprio d’accordo con loro. - Spiegò Katie, facendo uno sguardo eloquente. - Comunque gli obliviatori non sanno più dove mettersi le mani, è come se ci fossimo svelati, ormai. - 

Percy sospirò e basta. Si guardò attorno, cercando di allontanarsi dai soliti pensieri catastrofisti in cui tendeva a cadere da ormai parecchio tempo, osservando anche in caffetteria gli effetti di San Valentino. 

Per l’occasione, gli elfi avevano indosso delle divise dipinte di rosa, sulle pareti c’erano stendardi fatti di cuori di cartoncino e in molti erano seduti in coppia a quei tavoli. E pensare che una volta quella festa gli sarebbe anche piaciuta: era l’ennesima occasione per dimostrare a Penny quanto fosse perfetto come fidanzato. Le prendeva dei fiori, la portava a cena fuori e le regalava qualcosa; seguiva la procedura alla lettera e lei sembrava contenta tutte le volte, anche se le cose si ripetevano uguali di anno in anno. 

La nostalgia lo colpì, ma non nostalgia di lei — cosa che lo lasciò un po’ di stucco. 

Percy sentiva la mancanza di tempi in cui il suo unico problema era cercare di essere perfetto per Penny, essere un bravo studente e un buon prefetto a Hogwarts, tempi in cui sopravvivere era scontato e banale. Sembravano passati cent’anni dall’ultima volta in cui si era messo a dormire senza avere paura di ricevere cattive notizie il giorno seguente. 

Dopo un altro sospirò, Percy si alzò in piedi. - Devo andare a cercare un fioraio, adesso. Pare ce ne sia uno ben fornito a Diagon Alley. - Disse cupamente. 

- Il duro lavoro dell’assistente del Ministro. - Ridacchiò Katie. 

- Fosse sempre così allora di notte non avrei più incubi; direi che non posso proprio lamentarmi. - 

- Prendi dei fiori anche per Audrey! - Esclamò lei, mentre il giovane stava per andarsene. 

- Non ci penso nemmeno! - 

Quando arrivò a Diagon Alley, Percy si rese conto che la stradina storta e acciottolata era molto diversa dal luogo brulicante che aveva frequentato fin da bambino. Moltissimi negozi erano sprangati, ma dalla sua ultima visita, qualche settimana prima, ne erano stati aperti di nuovi dedicati alle Arti Oscure. Anche quello di Fred e George, che solitamente era ben visibile in mezzo a tutto quel grigiore, sembrava aver chiuso i battenti. 

Nei vani delle porte erano rannicchiate persone coperte di stracci. Percy le sentì sussurrare nella direzione dei pochi passanti, elemosinando denaro o insistendo di essere veri maghi. 

In nessun angolo di Diagon Alley sembrava esserci traccia di addobbi, cuoricini o atmosfera festosa, — a differenza della città che si era lasciato alle sue spalle entrando nel Paiolo Magico, — tranne che in un piccolo chiosco di fiori accanto al negozio che una volta si occupava di articoli per il quidditch, ormai chiuso. 

Percy si avvicinò, sfilando per la strada tentando di ignorare i mendicanti, e una volta lì si ritrovò davanti ad una donna anziana che aveva tutta l’aria di una che, ai suoi tempi, doveva essere stata bellissima. Lei lo scrutò con grossi occhi azzurri dalle palpebre un po’ cadenti e poi domandò: - Serve aiuto? - 

- Devo comprare dei fiori. - Rispose subito Percy. Non aveva nessuna intenzione di rimanere a Diagon Alley più di quanto non fosse necessario. 

- Sono per la tua fidanzata? - Chiese allora la vecchia. 

- Per la moglie del mio capo. - 

- Non abbiamo una scelta molto vasta quest’oggi, giovane. - Lo avvertì lei, facendo un cenno alle sue spalle, verso l’interno del chiosco che, in effetti, si presentò piuttosto spoglio. - Abbiamo solo queste rose dalle spine avvelenate, ideali da regalare ai propri nemici, qualche bell’esemplare di piante carnivore, aconito… e delle peonie rosa. - 

Percy aggrottò la fronte, guardando la vecchia strega come per chiederle pietà. - Delle peonie, ha detto? - Si accertò, lugubre. 

- Peonie rosa, sì, giovane. - 

Percy annuì. 

Forse l’universo gli stava dicendo qualcosa. 

- Vada per le peonie. Due mazzi, per favore. - 

- Per la moglie del suo capo e per la sua fidanzata? - 

Percy sospirò. - Sì, be’... una cosa del genere. - Buttò lì.

 

.

 

Audrey Manning non era una persona romantica, almeno non lo era alla luce del sole. In verità aveva un’alta considerazione dell’amore e forse per questo le sue relazioni non riuscivano a durare più di qualche settimana. Audrey era del parere che, se proprio doveva esporsi mostrando a qualcuno quei tanti decantati sentimenti, doveva perlomeno essere per una persona speciale, che ne valesse la pena. 

Doveva essere con qualcuno di meglio del suo primo fidanzato, che trovava sua madre molto più attraente di lei, doveva essere meglio del ragazzo del campeggio con cui era andata a letto la prima volta, che si era lamentato tutto il tempo dandole del “pezzo di legno” e che il mattino seguente le aveva dato una pacca sulla spalla per poi sparire nel nulla. Doveva essere meglio anche di quel tale con cui era uscita per tre volte lo scorso anno, che parlava solo di sé stesso e che l’aveva definita “esotica”, pronunciando quella semplice parola con tutta la viscidità del mondo. 

Doveva invece essere per qualcuno che si sarebbe messo a cantare il suo nome per le strade deserte di una New York addormentata come aveva fatto Tony per Maria in West Side Story, doveva essere per qualcuno capace di rivolgerle parole appassionate come Mr Darcy aveva fatto con Elizabeth Bennet e… d’accordo: Audrey Manning era una persona romantica, orribilmente romantica, solo che non lo era alla luce del sole. 

Detestava mostrare affetto in pubblico e faticava a mettere in fila le parole “ti voglio bene” anche quando doveva rivolgerle a qualcuno con cui non aveva un legame romantico. Ovviamente la festa di San Valentino la faceva sentire in imbarazzo, tuttavia — forse per colpa dell’atmosfera creata dalla musica italiana in sottofondo — trovava quasi tenere quelle coppie che ogni anno affollavano il Bistrot Viva Verdi per il 14 febbraio. 

- Mangiare italiano il giorno di San Valentino non mi sembra proprio afrodisiaco, non credete? - Disse, mentre lasciava finalmente il bistrot a fine serata. 

- Sicuramente più afrodisiaco del purè e delle vostre salsicce. - Commentò Tony, il figlio del proprietario, mentre chiudeva a chiave il locale, infagottato in un piumino di un rosso fiammante, il cappellino di lana che nascondeva l’ordinata chioma castana come i suoi occhi e un paio di guanti dello stesso tessuto a proteggergli le mani dal freddo.

- Audrey non ha tutti i torti. - Fece Anne, al fianco dell’amica, coprendosi il naso e la bocca con la lunga sciarpa azzurra che stava indossando, lasciando scoperti solo quei suoi grandi occhi da bambola di porcellana. - Nessuno con un apparato digerente sano avrebbe le forze di spogliarsi dopo aver mangiato una pizza. - 

- E poi è così banale andare a cena fuori a San Valentino. - Aggiunse Audrey. 

Tony annuì. - È vero. Io infatti avrei cucinato per te, con le mie mani. - Disse.

Audrey fece un sorrisetto imbarazzato, annuendo e scuotendo la testa insieme.

Da quando Percy l’aveva rifiutata ancora prima che lei potesse effettivamente farsi avanti, — dandogli della babbana come se fosse un insulto, per giunta — le avance di Tony avevano iniziato a sembrare meno fastidiose del solito. 

Insomma, si trattava pur sempre di un bel ragazzo, un bel ragazzo che aveva una cotta per lei, proprio per lei. Doveva pur voler dire qualcosa, no? Certo, Tony aveva la sveltezza mentale di un cetriolo di mare e il carisma di un cucchiaino da tè, ma Audrey aveva deciso che nulla di tutto questo fosse poi così importante. 

- Sei proprio patetico… - Mugugnò Anne, alzando gli occhi al cielo. 

- Poverino, lascialo stare… - Fece Audrey, guardando il ragazzo con insolita dolcezza. 

Tony scoccò ad Anne una faccia vittoriosa e lei, in tutta risposta, guardò l’amica con uno sguardo perplesso. - Sono preoccupata per te. - Dichiarò, seria. 

Audrey scrollò le spalle con nonchalance e non rispose. 

Faceva piuttosto freddo quella notte, c’era la nebbia e una gelida brezza stava soffiando fastidiosamente sul suo volto. Stringendosi nel suo cappotto di lana cotta giallo, Audrey si guardò attorno, sorpresa di non vedere suo zio Elijah aspettarla a pochi passi da lì, come accadeva tutte le sere da ormai parecchie settimane. 

Era piuttosto tardi, magari si era addormentato e adesso le toccava tornare da sola a piedi, pensò scocciata, ignorando quella punta di preoccupazione che aveva iniziato a farsi notare all’altezza dello stomaco.

- Hai bisogno di un passaggio, Audrey? - Le domandò Tony, mostrando le chiavi della sua auto parcheggiata dall’altra parte della strada. 

Audrey scosse la testa. - Faccio una passeggiata, non preoccuparti. - 

- Facciamo un pezzo di strada insieme, come ai vecchi tempi. - Disse Anne, prendendola sotto braccio. 

Le due ragazze salutarono Tony alla svelta e si incamminarono verso la stazione della metropolitana. 

- Comunque dicevo sul serio prima. - Asserì Anne, dopo qualche attimo di silenzio. 

Audrey aggrottò la fronte e si voltò a guardarla. - A cosa ti riferisci? - 

- Al fatto che sono un po’ preoccupata per te. - Spiegò l’amica. 

- Solo perché mi comporto in modo gentile con una persona? - 

- No, non per questo. - Rispose Anne. - Ti comporti in modo strano in generale, sei un po’ sfuggente, ora che mi ci fai pensare. Solitamente a San Valentino dormivo a casa tua, passavamo la notte a guardare commedie romantiche... - 

- Non posso fare come voglio a casa di nonna, lo sai quanto è severa. - Si giustificò Audrey. E poi c’è il rischio che mio zio compaia dal nulla portandosi dietro qualche mago o qualche strega ferita, proseguì tra sé e sé. - Il prossimo anno organizziamo qualcosa, magari vengo io da te. -

Anne mugugnò scontenta. - Non mi stai nascondendo qualcosa, vero? - Domandò poi. 

Audrey sentì il suo cuore stringersi nel petto. Odiava mentire proprio ad Anne, che di lei conosceva tutto. - Cosa mai potrei nasconderti? - 

- Non lo so. Magari tua nonna fa parte della mafia ghanese. - 

Audrey fece una faccia perplessa e poi rise di gusto. - C0s’è, la versione farlocca della mafia nigeriana? - Domandò ironicamente. 

L’altra però rimase seria. - Audrey, avanti… - Sospirò.

- Mia nonna può far parte della mafia, secondo te? È una signora di mezza età che cucina e rassetta tutto il giorno! - 

- Be’ comunque c’è qualcosa che non mi dici; almeno questo potresti ammetterlo. - 

Audrey sbuffò, si fermò e incrociò le braccia sul petto. Erano arrivate in cima alle scale della stazione della metropolitana. 

- Non mi crederesti mai, Anne, se te ne parlassi. - Disse.

- Mettimi alla prova. - La spronò lei.

La giovane scosse la testa. - Non posso. - Ribatté, guardando la sua migliore amica negli occhi. - Non posso raccontarti niente se non so come dimostrarlo, ma un giorno lo farò, te lo prometto. Fidati di me. - 

- C’entra Percy, non è vero? - Insinuò Anne. - Da quanto è apparso dal nulla è successo qualcosa.  - 

- Lui c’entra solo in parte. - 

- Sì ma… tua nonna è severa ma tuttavia l’ha fatto dormire a casa vostra per una settimana. È strano. - 

- Te l’ho detto: ha avuto un piccolo incidente. - 

- Audrey, quello lì ha qualcosa di strano. - Asserì Anne, decisa. - All’inizio mi piaceva, ma poi… non lo so. Sembra totalmente di un altro mondo, come se venisse da un’altra epoca. Io credo che faccia parte di una setta o roba del genere. - 

Audrey alzò gli occhi al cielo e sbuffò. - È un amico di Lucy, andava a scuola con lei. - Spiegò.

- Be’, anche questa sorta di collegio scozzese che frequenta tua sorella è un po’ strano, non trovi? Insomma… tua madre che la iscrive in una scuola privata? Ti ricordi la nostra, non è vero? Non avevamo nemmeno le porte in bagno. - 

- Mia madre ha sempre preferito Lucy a me. - Ribadì Audrey. - Non c’è nessuna setta. - 

Anne, seppur contrariata, annuì. - Lo sai che in caso di bisogno puoi venire a stare da me, vero? - Le disse, seria. 

- Mi mancherebbe troppo la carne di maiale e i cheesburger. - Disse Audrey, facendo un sorriso pur di rassicurarla. - Nulla contro la cucina kosher, ovviamente, ma una vita senza bacon è una vita che non potrei fronteggiare. - 

Anne aggrottò la fronte e la guardò male prima di incrociare le braccia al petto. 

- Anne, va tutto bene, dico davvero. - Riprese Audrey. - Fidati di me, lo sai che sono una persona responsabile. - 

- Mh-mh. - Fece Anne, per poi sospirare. - Be’, almeno chiamami quando arrivi a casa. - Aggiunse.

- Ma sveglierei i tuoi. - 

- Chiamami lo stesso. -

Audrey sorrise. - D’accordo. - Acconsentì. - Ci vediamo domani sera. - 

- Sì. ‘Sta attenta… -

Dopo un brevissimo viaggio di due fermate in compagnia di un barbone ubriaco, molesto ma piuttosto innocuo, Audrey lasciò la metropolitana per dirigersi finalmente verso casa. Con le mani infilate nelle tasche del cappotto per proteggerle dal freddo, si rese conto che quella sera non aveva con sé la bussola incantata che Elijah le aveva affidato. Probabilmente, se suo zio lo avesse saputo, le avrebbe fatto una ramanzina infinita sui pericoli di quei tempi bui, cercando di spaventarla per renderla più attenta. 

Le strade erano deserte, il silenzio la avvolgeva come una pesante coperta opprimente e quando Audrey si ritrovò finalmente davanti alla villetta tirò un sospiro di sollievo. Di solito non aveva paura della notte, ma in quel momento si sentiva stranamente tesa. Voleva lasciare quella strada al più presto, chiudersi la porta alle spalle e gustare la sensazione di essere al sicuro. 

Attraversò il vialetto, raggiunse il portico e, quando fu abbastanza vicina, un brivido la colse quando si rese conto che la porta era accostata anziché chiusa come sarebbe dovuta essere in piena notte. 

Audrey rimase ferma per una manciata di secondi, incerta sul da farsi. Magari sua nonna l’aveva dimenticata aperta, magari Elijah non l’aveva chiusa facendo avanti e indietro dal van parcheggiato sulla strada… o magari c’era qualcuno in casa, forse dei ladri oppure… oppure dei Mangiamorte.

Con lo stomaco attorcigliato e le mani tremanti, Audrey entrò in casa cercando di non fare rumore, ritrovandosi in un corridoio messo totalmente a soqquadro. Si incamminò verso la sala da pranzo dove udì delle voci sconosciute, lamenti strazianti, delle suppliche… 

- Vi prego… ho dell’oro… moltissimo oro… vi prego… - Stava tentando di dire Elijah, con un tono che Audrey non gli aveva mai sentito usare. 

Poi qualcuno pronunciò una parola che lei non capì e suo zio urlò come se lo stessero spellando vivo. 

Audrey si portò una mano alla bocca e si bloccò nel bel mezzo del corridoio, incapace di muoversi o urlare a sua volta, la testa completamente svuotata dal terrore. 

- Non ce ne facciamo niente dell’oro, traditore. - Disse una voce gelida. Ci fu un colpo seguito da un urlo di dolore e poi la stessa voce aggiunse: - Vogliamo informazioni, solo informazioni. - 

- Io non… non so niente! - Supplicò Elijah. 

- Ma davvero? - Disse una seconda voce, calma e quasi divertita. - Eppure sei un noto traditore del proprio sangue, magari collabori con l’Ordine della Fenice e di certo qui avete messo su un bell’ospedale... avete ospitato parecchi ricercati ma forse, se mi dici tutto ciò che sai, potrei mettere una buona parola facendoti risparmiare un bel soggiorno ad Azkaban. - 

Elijah singhiozzò e non rispose. Poi qualcuno gridò di nuovo una formula e il ragazzo strillò ancora, proprio come poco prima. 

Accadde tutto troppo in fretta: due mani sconosciute presero Audrey da dietro e la tirarono su come una bambola di pezza. Audrey urlò e scalciò, ma ogni suo sforzo fu inutile vista la mole dell'uomo che l’aveva afferrata. 

- Guarda un po’ cosa ho trovato… - Disse tra sé e sé, costringendola a voltarsi.

Audrey spalancò gli occhi, incrociando quelli scuri e spaventosi di lui, che era un uomo dai capelli grigi, arruffati e sporchi, che emanava un odore di sudore e sangue, sostanza che in effetti sporcava la sua bocca e il suo mento come se avesse appena azzannato un animale alla gola. 

La trascinò di peso verso la sala da pranzo dove Audrey, tremante e rigida dalla paura, si ritrovò davanti altri due uomini vestiti di nero che tenevano sotto torchio suo zio, in ginocchio e ricoperto di sangue come se fosse stato brutalmente malmenato, mentre nonna Harriette era riversa a terra in una pozza di denso liquido rosso e viscere. Constance, qualche metro più in là, era svenuta, o forse morta anche lei, ai piedi del divano. 

- Audrey… - Mormorò Elijah, guardandola con terrore. - No, no, no…! Per favore! Lei è solo una babbana, lei non… non… vi prego… no! Lasciatela stare! - 

- Ah, ma certo. - Fece uno dei due uomini vestiti di nero, biondo e grosso, dal viso rotondo e il mento sfuggente, guardando Audrey con un sorrisetto che gli piegava le labbra sottili. - Certo… la nipotina babbana con la sorella sanguemarcio. - Proseguì, per poi alzare gli occhi sull’uomo che teneva ferma la giovane. - Scommetto che il nostro Fenrir qui non vede l’ora di occuparsene, vero, Greyback? -

- Come potrei rifiutare, Rowle? - Ghignò Greyback, accarezzando i capelli di Audrey come se si trattasse del pelo di un animaletto. - Così graziosa… -

- Lasciala stare! Non toccarla! - Elijah urlò dalla rabbia e si alzò in piedi, pronto a scattare verso il lupo mannaro, ma venne fermato dagli altri due, che lo buttarono a terra nuovamente. - Audrey… Audrey, ascolta… guardami… - 

Ma lei non lo guardava né tantomeno riusciva ad ascoltare ciò che lo zio aveva da dire in quel momento. La sua attenzione e il suo sguardo vacuo erano rivolti verso il corpo di Harriette a terra, a pochi passi da dove si trovava lei in quel momento. Vedeva il sangue, ne sentiva l’odore nauseante, percepiva le suppliche di Elijah e i discorsi di quei tre sconosciuti che erano entrati in casa sua quella notte e che avevano ucciso sua nonna profanando il suo corpo come se si trattasse di un mero oggetto, ma sentiva le loro voci ovattate, lontane. Gli sembrava tutto così irreale, lei si sentiva irreale, persa…

- Vuoi vedere più da vicino come ho squartato il corpo della tua cara nonnina, mmh? - Sussurrò Greyback alle sue spalle, spingendola verso ciò che rimaneva di Harriette. 

La costrinse a inginocchiarsi accanto al cadavere di sua nonna, che aveva gli occhi aperti e vitrei rivolti al soffitto, e lì Audrey si sporcò le mani e gli abiti di sangue come se fosse il suo o come se fosse stata lei ad ucciderla. 

- No… - Mormorò con voce spezzata.

Le prese la mano, la strinse e solo allora si lasciò scappare un disperato singhiozzo. 

- Ecco, guarda. L’ho attaccata alla gola e poi l’ho aperta dal collo in giù come la vecchia vacca che era. - Spiegò Greyback, scoprendo i denti appuntiti e luridi in un sorrisetto sgradevole. - Tranquilla… con te sarò più clemente, se fai la brava. - 

Audrey singhiozzò ancora e poi le prime lacrime sfuggirono dai suoi occhi, rigandole le guance. - No… - Ripeté, continuando a stringere la mano di nonna Harriette. - Per favore… -

Intanto, alle sue spalle, Elijah continuava a gridare il suo nome: - Audrey… - La supplicava, fuori di sé. - Audrey… Audrey, ascolta… - 

L’altro mangiamorte, più basso di quello di nome Rowle ma con una lunga faccia storta, colpì il giovane con una fattura, facendolo gemere di dolore. 

- Grazie, Dolohov. - Disse Rowle, con rilassatezza. - Stava cominciando a diventare fastidioso. -

Dolohov fece un grugnito d’assenso. - Quelli della sua razza lo sono sempre. - 

- Già, sono come animali. - Ghignò Rowle, per poi avvicinarsi a Elijah, ancora dolorante a terra. - Portiamo questo sporco traditore ad Azkaban. - 

- Della vecchia veggente che ne facciamo? - Domandò Dolohov guardando Constance, ancora sdraiata vicino al divano.

- Controlla che sia viva, in tal caso la portiamo con noi: l’Oscuro Signore la sfrutterà in qualche modo. -

Il Mangiamorte attraversò la sala da pranzo e smosse Constance senza delicatezza, usando la punta del piede contro la faccia della strega. - Direi che è andata. - Sentenziò. 

Audrey sussultò a quelle parole e si voltò, riuscendo a scorgere il volto affranto di suo zio. Aveva uno zigomo tumefatto, il labbro inferiore spaccato e gli usciva sangue dal naso e dalla fronte, era fragile e indifeso come lei non si sarebbe mai potuta immaginare di vederlo: il ragazzo allegro e sempre rilassato che aveva conosciuto era stato spazzato via e ora al suo posto c’era un uomo con una maschera di dolore calata in volto. Quasi non sembrava lui.

Quella era la fine, Audrey lo sentiva nelle ossa. Sarebbe morta, sarebbero morti entrambi proprio come nonna Harriette e nonna Constance, quel mostro l’avrebbe mangiata mentre Elijah sarebbe morto ad Azkaban, solo e terrorizzato, seppellito sotto una tomba senza nome. 

Le labbra di suo zio si mossero mimando un silenzioso “scusa” prima che Rowle lo tirasse su di peso. 

Scusa per non averla protetta, scusa per non aver mantenuto un basso profilo come Harriette l’aveva supplicato di fare, scusa perché per colpa sua la famiglia era stata dimezzata. 

Che diamine aveva combinato…

- Tu occupati di questa qui. - Ordinò Rowle a Greyback, facendo un cenno annoiato verso Audrey. - Ci vediamo dai Malfoy a missione compiuta. - 

Greyback annuì distrattamente e si leccò le labbra quando posò gli occhi sulla ragazza.

- Audrey… - Fece disperatamente Elijah, mentre Rowle e Dolohov lo trascinavano verso l’uscita. - Audrey, lo sai quello che devi fare, vero? - 

- Sta zitto e cammina, traditore! - 

Quando Elijah e i due mangiamorte sparirono dalla vista di Audrey, accompagnati dal tipico suono di una smaterializzazione, in casa crollò il silenzio.

Audrey alzò gli occhi su Greyback, facendo i conti con il fatto che quella sarebbe stata probabilmente l’ultima faccia che avrebbe visto in questa vita. Pensò a Lucy, a suo padre e a sua madre, pensò ai sogni che non avrebbe mai realizzato e, infine, pensò a Percy. 

Questo sarebbe un ottimo momento per venirmi a salvare, Weasley, pensò tra sé e sé, quando il lupo mannaro si avvicinò, tirandola su, di nuovo in piedi. 

- Siamo rimasti soli, finalmente. - Fece l’uomo, alzando i lati della bocca in quello che doveva essere una mezza specie di sorriso che uscì fuori come una smorfia. 

Audrey non disse una parola ma guardò in basso: i suoi jeans, il suo cappotto giallo e le sue mani erano sporche del sangue di nonna Harriette, lo stesso sangue che macchiava il mento di quell’uomo che era la rappresentazione esatta di tutti i suoi incubi: le tornò in mente così tutto ciò che da bambina aveva dovuto subire, le mani del fidanzato di sua madre che la toccavano dove non avrebbero dovuto, tutte le volte in cui lui si era infilato nella sua stanza nonostante la presenza di Lucy, che dormiva in un letto accanto al suo. In quelle occasioni Audrey non si era mai difesa, mai, neppure una volta, semplicemente rimaneva lì e aspettava che passasse, che finisse: stavolta non sarebbe stato poi tanto diverso. 

Sarebbe finita anche stavolta, ma sarebbe finita per sempre. 

Fu questo pensiero a riscuoterla improvvisamente dal torpore provocato dal senso di irrealtà che l’aveva imprigionata da quando aveva messo piede in casa. 

Non voleva morire; il suo spirito di sopravvivenza era più forte della paura e della disperazione, più forte del disgusto di essere ricoperta di sangue, più forte della voglia di scappare via da quella realtà spaventosa per rifugiarsi in un angolo della sua mente, senza nemmeno provare a combattere. Ma se proprio doveva lasciare questo mondo, allora lo avrebbe fatto con dignità e presenza. 

Le sue gambe si mossero ancora prima di formulare un vero e proprio piano d’azione: si liberò dalla presa fortunatamente debole che Greyback stava esercitando sul suo braccio e corse disperatamente al piano di sopra. Raggiunse la sua camera da letto e si chiuse dentro a chiave, consapevole che al lupo mannaro sarebbe bastato un solo incantesimo per spalancare di nuovo quella soglia. E poi la vide, la salvezza. 

Abbandonata sulla scrivania affollata di libri e fogli, la bussola di Elijah sembrava brillare come se fosse fatta di diamante. Audrey la afferrò, sperando con tutta sé stessa che funzionasse, che la portasse esattamente dove doveva andare, proprio come aveva detto Elijah, ma nello stesso momento la porta si aprì con un cigolio sinistro. 

- Quindi giochiamo alla caccia. - Ringhiò Greyback, facendo uno svelto passo in avanti. 

Audrey sentì il suo cuore saltare un battito. La paura, l’adrenalina e una furiosa voglia di vivere le fece valutare l’idea di tentare l’impossibile saltando giù dalla finestra; magari sarebbe sopravvissuta, magari no, ma qualsiasi cosa sarebbe stata migliore di morire divorata nelle mani di quel mostro. 

Si ritrovò dolorosamente spinta con la faccia contro la scrivania. Greyback, alle sue spalle, le tolse il cappotto di dosso senza badare alle sue suppliche, le strinse forte una mano attorno al collo, affondando le unghie gialle e sporche nella sua carne fino a lasciarla senza fiato. Audrey chiuse gli occhi ricolmi di lacrime e si lasciò andare nella speranza che finisse presto, e poi qualcosa accadde.  

La bussola si illuminò, stretta in una delle sue mani, di un bagliore talmente forte che il lupo mannaro fece un passo indietro, allarmato. Audrey avvertì il pavimento mancarle sotto ai piedi e dopo una forza invisibile che la risucchiava come in un tubo molto stretto. 

Sentì i suoi polmoni svuotarsi come quella sera in cui Percy aveva fatto smaterializzare lei e Lucy a Hyde Park e infine cadde su una superficie dura. 

Le orecchie le fischiavano e ci mise qualche secondo per rendersi conto che si trovava all’aperto, sdraiata, gli occhi puntati al cielo notturno privo di stelle e circondata dalle voci e dai rumori della città. 

Forse ce l’aveva fatta.

Forse era in salvo. 



 

Due parole: che. fatica. 

Perdonate il ritardo ma sono stati giorni un po’ pesanti tra i miei soliti problemi di salute, stanchezza post pride (dopo cinque ore di parata “ballando” Paola e Chiara sotto al sole il mio corpo mi ha letteralmente abbandonata per l’intero giorno successivo) e impegni vari ci ho messo più del solito a scrivere e rileggere. 

In realtà ho scritto una versione di gran lunga più cruda di questo capitolo (cosa che mi ha rallentata un po’) ma poi mi sono ripetuta che è una fanfiction, non il copione di un film splatter quindi vi siete beccati la versione light. Comunque credo che alzerò il rating da giallo ad arancione per sicurezza. 

Grazie per aver letto fin qui e scusate se non ho ancora risposto alle precedenti recensioni (ho notato che ci sono nuovi lettori, che ne dite di farmi sapere cosa ne pensate della storia?)

Alla prossima, spero presto. 

J. 



 
 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Jamie_Sand